Capitolo
VII – Incontri al bacio
Era
passata ormai una settimana da quando i malvagi
o, meglio, i saiyan avevano messo piede sulle terre di Furipan e da allora né Muten, né
Condor avevano più avuto notizie di Yamcha, Tensinhan e Jaozi.
Tutto
sommato, a dispetto delle peggiori previsioni, la vita era proceduta in maniera
relativamente tranquilla. Certo, ai saiyan piaceva
essere serviti e riveriti e ciò aveva comportato un aumento di lavoro per tutti
i terrestri. Ma, in fondo, se ciò era sufficiente a tenerli buoni, un piccolo
sacrificio si poteva anche fare.
Già;
ma per quanto tempo ancora avrebbero pazientato in attesa che la principessa
rivelasse loro il segreto per usare le sfere del drago?
Muten
non era uno sciocco e aveva capito che il principe
era tutto, fuorché uno sprovveduto. Certo, in quel momento si trovava
praticamente in trappola, dato che non aveva alcun potere sulle prodigiose
sfere, ma l’anziano maestro avrebbe scommesso qualunque cosa che quel dannato
ragazzo avrebbe scoperto, prima o poi, il modo per farle funzionare.
Perché
tenere Bulma con sé al castello, altrimenti?
In
un momento di relativa tranquillità mentale, Muten si
chiese, tra l’altro, come procedesse la convivenza nella vecchia dimora di Giumaho. Vegeta, Son Goku – o come si chiamava – il padre
di quest’ultimo e un energumeno pelato di cui non ricordava il nome avevano
deciso di stabilirsi proprio lì, senza però buttare fuori i vecchi proprietari.
E il principe aveva preteso che anche Bulma restasse.
Era
chiaro: quel giovane principe senza scrupoli doveva aver capito perfettamente
quanto la signorina Brief fosse arguta. In fondo, in
poco meno di mezz’ora, quella scienziata aveva riparato completamente le
astronavi dei saiyan andate distrutte con l’impatto
sul suolo terrestre, e lo aveva fatto ricostruendo alla perfezione materiali
inesistenti sul pianeta Terra.
Qualunque
sovrano con un minimo di raziocinio, per quanto spietato, si sarebbe tenuto
stretto un simile gioiello della scienza.
Il
sole stava ormai tramontando sull’ancora ridente villaggio di Furipan e Muten aveva quasi
terminato di arare la parte di campo che gli era toccata. Quei dannati invasori
mangiavano come dinosauri! Le provvigioni di cibo che gli abitanti di Furipan avevano messo da parte l’anno precedente non erano
sufficienti a sfamare ventuno alieni dalle fattezze umane.
Be’,
se non altro, i saiyan avevano preferito mettere i
terrestri a lavorare la terra e ad allevare bestiame piuttosto che farli fuori.
Probabilmente,
a quei disgraziati la Terra piaceva; perché altrimenti stabilirsi lì?
D’accordo, c’era sempre la questione delle sfere
del drago in sospeso, ma ciò non bastava a giustificare il modo in cui il
principe dei saiyan aveva cura di non distruggere il pianeta.
Magari
ne aveva colto le potenzialità ma, alla luce dei fatti, Muten
non poteva essere certo che ciò fosse necessariamente un bene.
Anche
quella sera, come tutte le altre, Crilin aveva
terminato di lavorare prima di lui e, come sempre, aveva raggiunto il suo
anziano maestro. Al giovane allievo di Muten era
andata piuttosto male: i saiyan si erano accorti che
la sua forza era decisamente sopra la media e, pur essendo comunque superiori a
lui in quanto a prestanza fisica, avevano pensato di sfruttarlo come cavia per
i marchingegni creati da Bulma.
Quella
ragazza era un pozzo di idee senza fine ma, evidentemente, il principe non era
convinto al cento per cento di potersi fidare di lei. La strategia di Vegeta,
in fondo, aveva un senso: semmai le creazioni della scienziata si fossero volutamente rivelate fallaci o, peggio, letali, a farne le spese sarebbe stato Crilin.
Bulma,
insomma, si era ritrovata in trappola.
Crilin
quella sera pareva più stanco del solito. Muten
sapeva qual era il problema: il principe era molto forte e Bulma
progettava i suoi marchingegni a prova di Vegeta. Non doveva essere semplice
per Crilin testarli, tanto più che il giovane saiyan si era messo in testa di fare esperimenti
riguardanti il campo gravitazionale.
«Accidenti,
ragazzo, sembra che tu sia appena stato investito da un tir!»
«Credo
che sarebbe stato decisamente più piacevole, Muten.
Ah, se continuo così, non arriverò al mio prossimo compleanno!»
«Non
dire sciocchezze! Vedrai che in qualche modo riusciremo a risolvere la
situazione. Per ora sembra che i saiyan se ne stiano
relativamente buoni.»
«Già,
per ora.»
La
perplessità che lesse negli occhi del suo allievo non piacque molto a Muten.
Era
evidente: il ragazzo, oltre a essere molto affaticato per il duro lavoro che i saiyan
gli avevano imposto, doveva essere anche a conoscenza di vari dettagli, sconosciuti a chi non
frequentava assiduamente la corte. Sebbene, infatti, Crilin
non dormisse lì, era ovvio che con la mansione che doveva svolgere trascorresse
nel castello parecchie ore ogni giorno.
«C’è
qualcosa che ti preoccupa, ragazzo?»
Crilin
sospirò, cercando di tagliare sul proprio volto un sorriso di circostanza.
«Niente
che tu non sappia già, Muten. Anche se, a dire il
vero, non capisco quali intenzioni abbia Gok… cioè, Kakaroth.»
«Che
vuoi dire?»
«Ho
scoperto per puro caso che ha mentito a Vegeta dicendogli di non sapere dove
siano nascoste le sfere. Tra l’altro, credo che le abbia fatte sparire dalla
loro stanza, dato che i saiyan hanno perlustrato ogni
angolo del palazzo. Quello che mi chiedo è se Chichi
sia complice di tutto ciò o se il finto protettore
le abbia di fatto sottratte anche a lei.»
Muten
si mise a riflettere per un po’, rimanendo imbambolato in mezzo al campo.
Solo
l’arrivo di un saiyan lo ridestò dai suoi pensieri,
costringendolo a interrompere anche il discorso con Crilin.
«Ehi,
vecchio, vedi di non battere la fiacca! Non vedi che hai quasi terminato il tuo
lavoro? Datti una mossa se ci tieni alla
pelle!»
Crilin
abbassò lo sguardo e strinse i pugni: detestava sentire con quanta mancanza di
rispetto quegli esaltati scimmioni si rivolgessero al suo maestro.
«Muten, ti do una mano io, così finiamo prima.»
«Cosa!?
Ma tu sei già stanco per il tuo lavo…»
«Appunto,
cosa vuoi che sia un po’ di terra da arare in confronto a una stanza dalla
super gravità?»
Il
ragazzo prese l’aratro e si mise all’opera come aveva promesso. Muten ebbe un moto di compassione: oltre ad essere il più
forte tra tutti gli allievi che avesse mai avuto, era decisamente anche il più magnanimo.
***
«Così
non va, Chichi. Ma è possibile che tu non riesca a
fare di meglio? Hai una forza pari a quella di un moscerino!»
La
principessa di Furipan stava tirando calci e pugni da
circa tre ore, ma ancora, come ogni fottuto giorno, non era riuscita nemmeno a
colpirlo. Più passava il tempo e più si chiedeva come accidenti fosse venuto in
mente a Gok… a Kakaroth di
impartirle lezioni di arti marziali.
Non
ne aveva bisogno, oltretutto: per essere una terrestre lei era già
spaventosamente forte; ma quel maledetto saiyan
sembrava proprio non volersi accontentare.
Era
come se si fosse messo in testa di tirarle fuori qualche potere nascosto.
La
cosa, inizialmente, le aveva anche fatto comodo considerando che quello poteva
essere l’unico modo per tenere salva la pelle più a lungo; peccato che lei non
avesse uno straccio di potere nascosto.
Per
quanto ancora sarebbe andata avanti quella farsa?
Tra
l’altro, Chichi aveva il forte sospetto che il suo protettore volesse in qualche modo
spodestare Vegeta. Gli aveva mentito sulle sfere
del drago e aveva permesso a lei di restituirle al Supremo. Insomma, non era un atto molto leale nei confronti del
proprio principe.
Un
pugno dalla potenza fuori dal normale la colpì in pieno viso scaraventandola
contro le pareti della vecchia palestra del palazzo, ormai di uso esclusivo di Kakaroth.
«Ma
si può sapere che diavolo combini? Se continui così finirai col farti
ammazzare!» urlò il saiyan sputando a terra.
La
ragazza si asciugò con la manica della sua tunica un rivolo di sangue che le
scendeva dal labbro superiore.
Era
tutto inutile: per quanto potesse sforzarsi, Chichi
non sarebbe mai riuscita a competere con un mostro del genere.
«Non
fare la preziosa e rimettiti in piedi! Non era poi così forte quel pugno.»
Chichi,
per l’ennesima volta da quando aveva cominciato gli allenamenti quotidiani,
fece forza sui gomiti e si rialzò. Sentiva che non avrebbe retto ancora per
molto e sapeva che prima o poi quel bastardo l’avrebbe uccisa se non avesse
iniziato a regolare la sua forza.
Più
passava il tempo e più si chiedeva cosa diamine si aspettasse da lei.
Certo,
però, mettere a nudo le proprie debolezze in quel momento sarebbe stata una
pessima mossa. Lei era la principessa di Furipan e
aveva sulle spalle la responsabilità di un regno. In un modo o nell’altro
avrebbe dovuto trovare a tutti i costi la forza di sopravvivere.
La
ragazza non fece in tempo ad alzare lo sguardo che si ritrovò Kakaroth vicino.
Molto
vicino.
Un’altra
delle abilità di quel saiyan che lei proprio non
tollerava era la sua eccezionale velocità.
La
guardava negli occhi con sguardo severo, in parte beffardo. Davvero, la
principessa non sapeva se si stesse arrabbiando sul serio o volesse prenderla
in giro.
«Continuiamo
l’allenamento!» cercò di urlare la ragazza; ma ciò che uscì fuori dalla sua
bocca fu poco più di un sussurro.
L’ennesimo,
patetico tentativo di tirare un pugno a Kakaroth si
concluse con un buco nell’acqua; stavolta, però, il guerriero aveva preferito
parare il colpo piuttosto che schivarlo.
La
mano di Chichi era ancora chiusa dentro quella del
suo protettore/aguzzino e, nonostante gli sforzi, la giovane principessa non
riusciva proprio a liberarsi dalla presa.
E
quel maledetto continuava a sorriderle sfacciatamente, burlandosi della sua
patetica debolezza.
«Fossi
in te chiuderei la bocca e risparmierei il poco fiato che hai ancora in corpo.»
La
ragazza respirava affannosamente.
Era
vero: ormai non aveva quasi più la forza nemmeno per parlare. Inutile mentire a
sé stessa: Kakaroth voleva ucciderla a poco a poco,
umiliandola e ferendo sia il suo corpo che il suo orgoglio. E lei presto
avrebbe ceduto, nonostante il suo ego le
intimasse di non mostrare alcun segno di sofferenza al suo aguzzino.
Ma
sarebbe stato da stupidi credere che lui non lo avesse capito da solo.
La
sua debolezza iniziava a farle pena.
Quel
dannato saiyan l’aveva costretta a fare i conti con
sé stessa e a mettere in discussione la persona che era.
O
che credeva di essere.
Dov’era
finita la Chichi spavalda che si prendeva gioco di Yamcha e degli altri guerrieri terrestri? Anche questi
ultimi, in fondo, erano più forti di lei, ma la principessa non si era mai
fatta spaventare dall’abisso che c’era tra loro per quanto riguardava la forza
fisica.
In
altri ambiti, lei stravinceva alla grande.
Si
era sempre ritenuta una ragazza intelligente, coraggiosa, responsabile e pronta
a tutto. Era cresciuta con la consapevolezza che essere la custode delle sfere del drago le avrebbe portato un
sacco di guai. Eppure, nonostante tutto, non le era mai passato per la mente di
darsela a gambe. Avrebbe potuto farlo, in fondo. Dove sarebbero andati a
cercarla i malvagi se lei avesse
abbandonato Furipan quando la perla aveva cominciato
a tingersi? Probabilmente, l’avrebbe fatta franca.
Al
prezzo, però, di non salvare il suo regno.
Poteva
abbandonare i suoi sudditi in mano a un finto protettore e un gruppo di alieni
spietati?
Probabilmente,
ragionandoci bene, il suo problema era proprio quello: lei desiderava
ardentemente morire con il suo
popolo. Perché, in fondo, aveva mai davvero creduto che da sola avrebbe potuto
battere i malvagi? Nel profondo del
suo cuore sapeva che anche un eventuale protettore fedele avrebbe potuto fare
poco e nulla.
Le
gambe le cedettero all’improvviso, facendola accasciare al suolo.
Kakaroth
aveva accompagnato la sua caduta tenendo ancora stretta la sua mano nel pugno.
Era
in ginocchio davanti a lei, che ormai a fatica riusciva a tenere alta la testa
per guardarlo dritto negli occhi.
Quei maledetti occhi.
Non
era alla sua altezza e non lo sarebbe mai stata, e la consapevolezza di non
riuscire a detestare quel traditore come avrebbe dovuto la faceva sentire
ancora più in difetto.
Con
sé stessa, prima di tutto; poi col suo popolo.
Perché,
certo, era facile professarsi vittima di uno sporco usurpatore e suscitare così
la pietà della povera gente, costretta a subire la schiavitù dagli invasori; ma
sapere comunque, in cuor suo, che lei avrebbe voluto essere qualcosa di più per
Kakaroth che non una patetica prigioniera la faceva
sentire terribilmente in colpa.
E
il modo in cui quel maledetto le sorrideva in quel momento le faceva capire che
lui se n’era accorto.
«Basta
così» sussurrò appena il ragazzo, mollando la presa. «Non è nel mio interesse
mandarti all’altro mondo, e questo lo sai bene anche tu.»
Chichi
annuì con un cenno della testa, ma la furia che c’era in lei avrebbe voluto
esplodere.
Era
riuscita a suscitare pietà persino in un essere malvagio per natura; quanto
poco valeva, dunque?
«Probabilmente,
questo modo di allenarti non fa per te. Pazienza, vorrà dire che studierò un
altro sistema per far venir fuori tutta la potenza che nascondi.»
«Goku…»
«Ti
ho detto mille volte che non devi chiamarmi con quel nome.»
«Già,
è vero. Ogni tanto tendo a dimenticare quanto tu sia ostile al finto bravo
ragazzo che hai impersonato venendo a Furipan. Ti fa
così tanto schifo il fatto che un terrestre ti abbia dato un nome, quando eri
solo un bambino?»
Chichi
ricevette il secondo, forte pugno di quella lunga giornata di allenamento.
«Se
ti impegnassi nella lotta almeno quanto ti impegni nello sparare spropositi mi
avresti già messo al tappeto da un pezzo.»
Goku
prese tra le mani il volto di Chichi,
La
vedeva bene in faccia, quella ragazzina sfrontata. Era arrabbiata,
probabilmente anche delusa. Ma di certo questo vortice di sensazioni non
dipendeva da lui.
Non
completamente, per lo meno.
Durante
quell’ultima settimana che aveva trascorso a palazzo nei panni, finalmente, di Kakaroth, nulla gli era sfuggito di tutto ciò che celavano
le smorfie della principessa. Aveva capito quanto quest’ultima fosse testarda:
incredibilmente cocciuta per quanto riguardava il suo ruolo sociale,
affidabile, caparbia, un vero punto di riferimento per ogni suddito; ma quando
si trattava di lui sembrava proprio
che Chichi perdesse completamente la testa.
Con
Napa non si comportava di certo così, nonostante
fosse anch’egli un saiyan e nonostante l’enorme mole
di quel saiyan d’élite
lo rendesse particolarmente spaventoso.
E
il fatto che una terrestre si fosse innamorata di lui non gli piaceva per
niente. Come accidenti aveva fatto a suscitare in lei un simile sentimento?
D’accordo, all’inizio aveva finto, e anche bene, di essere una persona diversa.
Ma ormai era passata una settimana da quando aveva rivelato a tutti la proprio
identità. A lui, per iniziare a odiare una persona, di solito bastava molto
meno.
Che
con lei fosse stato troppo buono? Forse. Anzi, riflettendoci bene, la risposta
era senz’altro sì.
Ma
lui l’aveva fatto per le sfere del drago,
solo ed esclusivamente per le sfere del drago.
E
allora perché, si chiedeva, vederla affranta in quel modo lo faceva arrabbiare?
Quel
maledetto modo di ragionare alla maniera dei terrestri lo aveva influenzato
troppo.
«Smettila
di fissarmi. Che c’è? Ti piace davvero così tanto vedermi in queste
condizioni?»
Goku
non rispose immediatamente.
No.
Prima
aveva bisogno di capire quanta amarezza si nascondesse dietro a quelle parole.
Era
chiaro che a lei non piaceva affatto farsi vedere così. Lo si leggeva nei suoi
occhi, che, nonostante non avessero ancora versato una lacrima – troppa era la
dignità che si celava dietro a quella fragile e giovane donna – sprizzavano
rancore da tutti i pori.
Rancore
verso sé stessa e verso la sua stupida debolezza.
«Se
è questo che vuoi, la smetterò di fissarti» disse a mezza bocca avvicinandosi a
pochi millimetri dal suo viso.
Fu
lei, a quel punto, a guardarlo, e a rendersi conto di quanto i loro volti
fossero vicini.
Goku
non aveva mai azzardato tanto. Si era divertito a provocarla fin dal primo
giorno in cui si erano conosciuti, ma nel concreto non le si era mai avvicinato
a tal punto se non per picchiarla.
Quasi
la ragazza non si rese conto che Kakaroth la stava
baciando.
Inizialmente
fu un bacio leggero, appena strappato alle labbra inesperte di una principessa
poco avvezza all’amore. Ma il saiyan che stava
dilettando la sua bocca non era esattamente il tipo di persona che potesse
definirsi dolce. Era crudele, infame e, come sempre ci si aspetta da uomini del
genere, terribilmente passionale.
Lo
shock di Chichi non fu forte a sufficienza da
impedirle di ricambiare quel bacio, ormai tutt’altro che casto.
La
principessa non aveva mai provato nulla del genere e l’emozione di scoprirsi finalmente
donna aveva superato il dolore fisico dei pugni ricevuti.
Perché,
sì… a dispetto di ciò che il cervello le implorava di
fare, ogni fibra del suo corpo reagiva a quel bacio tremando di passione. Le
sue labbra si erano ormai perfettamente amalgamate a quelle del saiyan, la sua lingua abbracciava con scarso pudore quella
di Goku e le sue mani tremavano immobili al tocco ben poco pudico del ragazzo
che, incurante della scarsa esperienza della giovane donna che stava
aggiogando, scivolava con le dite sul seno della principessa.
Non
era solo un vortice di sensazioni nuove ad aver catturato completamente Chichi: pensieri mai concepiti prima si stavano facendo
largo tra i brividi di piacere accesi dal saiyan,
costringendo in parte la principessa a spegnere il fuoco di emozioni che la
stava divorando.
Perché,
cavolo, va bene che lei non aveva la forza fisica per opporsi a quel bacio; ma,
sfortunatamente, nemmeno lo voleva. Fino a pochi secondi prima credeva che la
sua forza di volontà fosse decisamente più spiccata.
A
cosa era servito chiedersi dove fosse finita la vecchia Chichi
se quella nuova non provava disgusto per un bacio strappatole da un poco di
buono?
La
cosa peggiore era che nel preciso istante in cui assaporava le labbra del saiyan, la giovane principessa non era poi più tanto
convinta che la vecchia Chichi fosse migliore di
quella nuova.
Cosa
ci aveva guadagnato a non cedere mai alla corte di un ragazzo, se non
l’incapacità di fronteggiare a dovere il bacio di Goku? Aveva davvero desiderato
di finire tra le braccia di un assassino trovandosi a perdere completamente la
teta per lui? Perché, se forse in passato avesse già conosciuto l’amore, forse
le audaci mani del saiyan che le stavano ormai
sfiorando il ventre non l’avrebbero messa completamente in crisi.
Nell’unico
attimo di lucidità che la principessa riuscì a concedersi, fece forza con le
mani sul petto di Kakaroth nel tentativo di
allontanarlo.
Era
chiaro che in realtà non avesse la forza per farlo, ma il saiyan
decise comunque di assecondare quel gesto e di sciogliere il bacio che lo stava
unendo alla sua protetta.
Protetta.
Come gli era saltato in mente di pensare di nuovo a lei in quei termini?
E
perché diavolo l’aveva baciata?
Il
ragazzo arretrò di qualche centimetro da lei e poi si alzò in piedi, dandole
infine le spalle.
«Per
stavolta è andata così. Ma se domani non riuscirai a colpirmi almeno una volta,
giuro che ti ammazzo. E non sto scherzando.»
Chichi
restò immobile a fissare il pavimento.
Non
aveva il coraggio di alzare lo sguardo verso l’unico ragazzo che l’avesse mai avvinta
in quel modo. Tanto più che il suo scopo era soltanto quello di fotterle in
qualche modo le sfere del drago.
Sapeva
che mentre le diceva quelle parole, lui non la stava guardando. Ma lei,
evidentemente, era tutt’altro che forte e spavalda come aveva sempre pensato di
essere.
Il
rumore sordo della porta della palestra che Kakaroth
si era chiuso alle spalle non era bastato a permetterle di alzare lo sguardo.
Aveva
fallito. Aveva fallito alla grande.
E
provando piacere per mano di quel folle assassino, aveva anche tradito il suo
popolo.
***
La
voce di Giumaho, soffocata a stento in un esile
bisbiglio, aveva di nuovo attirato le attenzioni di Mamanu.
Ormai
erano giorni che lo stregone del toro tentava
di mettersi in contatto con la veggente Baba, ma
sembrava proprio che quest’ultima fosse sparita nel nulla.
O,
meglio, avesse deciso di non farsi trovare.
Mamanu
non era affatto certa che chiudersi in quella stanza a invocare il suo spirito
avrebbe aiutato suo marito a scovare la megera; eppure non si era sognata
nemmeno per un istante di smuoverlo dalle sue convinzioni. Giumaho
si era messo in testa che solo lei avrebbe potuto indicargli la via della
salvezza del regno e, nonostante Baba fosse stata
chiara in passato nel dire che non si sarebbe fatta trovare se non dopo il
ritorno della pace, lo stregone del toro non
perdeva occasione di chiudersi nella sua stanza a intonare canti di
invocazione.
Quella
sera, però, aveva lasciato la porta aperta.
Mamanu
non aveva voglia di entrare. Si limitò semplicemente a guardarlo, accucciata
allo stipite, e a osservare la sua inutile perseveranza. Suo marito si stava
logorando per salvare il regno di sua figlia. L’enorme dolore provocatogli
dalla scoperta della vera identità di Goku non era infatti bastato a
distoglierlo dal proposito di aiutare Chichi.
Già,
Chichi.
Mentre
Mamanu osservava di soppiatto il marito, non riuscì a
non rivolgere un pensiero a quella ragazzina tanto audace quanto sfrontata che
ora, improvvisamente, si era trovata faccia a faccia con un nemico molto più
grande di lei.
E
la giovane moglie di Giumaho non era nemmeno convinta
che fosse la sola.
Sospirando,
Mamanu si allontanò da quella porta e riprese la via
del corridoio verso la sua meta iniziale.
In
quel momento pensava a Chichi e le faceva una gran
pena. La bella principessa di Furipan non poteva
nemmeno lontanamente immaginare quanto lei e l’odiata moglie di suo padre
fossero simili.
E,
soprattutto, fossero incappate nel medesimo guaio.
In
fondo, Mamanu non era affatto una stupida e aveva
capito perfettamente che Chichi aveva perso la testa
per Kakaroth. Peccato che il suo dannato orgoglio le
impedisse di affrontare la realtà come avrebbe dovuto.
Per
lei, invece, non era affatto una questione di orgoglio.
Lei
era sposata, accidenti! E, oltretutto, non con un uomo qualunque.
Se
avesse avuto la possibilità di concedersi una chance senza il peso di un matrimonio sulle spalle, lei lo avrebbe
seguito in capo al mondo, fregandosene di chi fosse veramente e dello scopo per
il quale era giunto fin lì.
In
fondo, gli eventi portano le persone a cambiare, e sebbene non fosse totalmente
certa di essere un evento abbastanza
significativo per lui, Mamanu sapeva che vivere nel
dubbio non avrebbe mai portato ad alcuna certezza.
La
stanza era buia, come sempre, ma la flebile luce della luna piena le permetteva
comunque di scorgere la sua elegante sagoma in piedi davanti alla finestra.
«Ti
stavo aspettando. Oggi hai tardato più del solito…
Meriteresti una bella punizione.»
Un
sorriso compiaciuto si delineò sul volto di Mamanu.
Il
saiyan non aspettò che fosse lei a raggiungerlo. Si
avvicinò alla donna e chiuse la porta dietro di lei per poi avvincerla in un
lungo bacio.
Bardack
era per lei quel tutto che aveva
sempre desiderato ma che non aveva mai avuto il coraggio di reclamare. Sentire
le sue braccia stringerla in un abbraccio e provare l’ebbrezza del proprio
respiro soffocato da un bacio passionale era quanto di più gratificante la
donna avesse mai provato.
E
lo aveva scelto.
Nessuno
l’aveva obbligata a cedere a Bardack, nessuno l’aveva
obbligata a tradire quell’uomo che il padre le aveva fatto sposare. Ma, per la
prima volta in vita sua, nonostante fosse consapevole della grave colpa in cui
era caduta, Mamanu sentiva davvero di essere felice.
CONTINUA
Angolo dell’autrice
Ciao
a tutti! Eccomi di nuovo qui con un altro capitolo e con altri colpi di scena.
Be’, forse tutto ciò che è accaduto qui era in realtà nell’aria, anche se la
rapidità con cui ho deciso di dare una svolta agli eventi ha sorpreso persino
me (lo ammetto: non è nel mio stile).
Dunque,
qualche precisazione tecnica è d’obbligo.
Come
avrete notato, in questo capitolo, più che nei precedenti, ho usato
indistintamente sia il nome Goku che Kakaroth. La mia
è una scelta voluta: ciò che mi preme, infatti, è far notare come il saiyan stia entrando in crisi, come cioè il Kakaroth che c’è
in lui senta sempre più addosso il peso opprimente di quel Goku di cui vorrebbe liberarsi. Insomma, in alcune scene sta
diventando difficile segnare un confine netto tra Goku e Kakaroth,
per cui anche la scelta dei nomi da parte mia “risente” della crisi d’identità
del ragazzo.
Per
quanto riguarda Mamanu e Bardack,
mi rendo conto di non aver approfondito a sufficienza ciò che sta succedendo
tra loro, mettendovi di fronte al fatto compiuto. Chiaramente, nei prossimi
capitoli avrò modo di spiegare cosa passi loro per la testa.
Non
ho altre annotazioni tecniche da fare e credo che il capitolo, per quanto
riguarda la trama in generale, parli da sé.
Ringrazio
nuovamente tutti coloro che trovano il tempo di leggere la mia storia e,
magari, anche di lasciare un commento.
Grazie
di cuore,
9dolina0