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Autore: syontai    23/10/2014    5 recensioni
Un mondo diviso in quattro regni.
Un principe spietato e crudele, tormentato dai fantasmi del passato.
Una regina detronizzata in seguito ad una rivolta.
Una regina il cui unico scopo è quello di ottenere sempre più potere.
Un re saggio e giusto da cui dipendono le ultime forze della resistenza.
Una ragazza capitata per il volere del destino in un mondo apparentemente privo di logica, e lacerato dai conflitti.
Una storia d'amore in grado di cambiare le sorti di una guerra e di tutto questo magico mondo.
This is Wonderland, welcome.
[Leonetta, accenni Pangie, LibixAndres e altri]
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leon, Un po' tutti, Violetta
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Capitolo 57
Il mondo in un libro

“Tu sei Alice?”. La figura riflessa scosse la testa. Una folata di vento all’interno dello specchio le scompigliò i capelli di un biondo dorato. La gonna turchese che indossava venne sollevata appena sopra le ginocchia.
“Sono solo un ricordo” sussurrò la ragazza, senza smettere di sorridere. Violetta rimase a fissare incantata l’Alice del passato che di tanto in tanto si voltava indietro, da dove proveniva il vento. Allungò la mano fino a sfiorare la superficie trasparente dura e fredda. Essa si deformò al suo tocco, creando delle increspature concentriche. Alice, o almeno il suo fantasma, la invitò a raggiungerla dall’altra parte. “Non c’è molto tempo” la esortò tendendo la mano. Violetta affondò il braccio nello specchio, riuscendo a stringere la mano della ragazza, che la attirò a sé, facendola sprofondare nel vuoto. Sembrava di galleggiare dentro un oceano, trasparente, limpido e immenso. L’unica differenza è che riusciva a respirare normalmente.
Atterrò senza nemmeno accorgersene nello stesso luogo in cui poco prima c’era lo specchio, ma la nebbia si era diradata; al suo posto splendeva un sole ardente. Il cielo terso era offuscato dal fumo che proveniva nelle vicinanze, insieme ad un odore acre e nauseante. Sulla scacchiera c’erano schizzi di sangue vermiglio e al centro due fazioni erano separate da un misterioso guerriero, che indossava un’armatura scintillante. Si avvicinò piano, ma nessuno le prestava attenzione. Una donna vestita di bianco e capelli corvini fissava con astio colei che si trovava di fronte a lei, una bionda e attraente regina dal diadema argentato che faceva sfoggio del suo abito rosso fuoco. La Regina Bianca e la Regina rossa. Dove era finita? Quello doveva essere il giorno del Liberatutto! Ma allora il cavaliere che si trovava nel mezzo e separava le due contendenti…non fece nemmeno in tempo a pensarlo, che quello si sfilò l’elmo, facendo ricadere una cascata dorata lungo le spalle.
“Alice” digrignò la Regina Rossa. “E pensare che avevo avuto la possibilità di farti tagliare la testa a suo tempo! Che occasione sprecata”. Alice non badò a quelle parole piene di odio, ma piantò la spada di fronte a sé, gli occhi azzurri che lampeggiavano imperiosi.
“Questa guerra finisce qui. Ho raccolto tutti i pezzi dell’armatura, ho sconfitto il Ciciarampa, ho impedito che ci fosse un ulteriore scontro. Avete quasi condotto il Paese delle Meraviglie alla rovina, è disoronevole”. Violetta non si perdeva nemmeno un dettaglio di quella scena. Se Alice le aveva voluto mostrare quel frammento del passato doveva essere successo qualcosa di veramente importante.
“La ragazza ha ragione. Dovremmo mettere da parte le nostre discordie e pensare al bene del Regno” intervenne la Regina Bianca.
“Sorella, credi davvero che la pace nel Paese delle Meraviglie possa durare per sempre? Le ostilità riprenderanno come sempre, la guerra è un evento necessario che si ripete ciclicamente nel tempo” rispose con tono solenne la Regina Rossa.
La scena cambiò. Erano tra la mura di un castello, sedute tutte e tre intorno ad una tavola rotonda con dei lunghi candelabri che illuminavano l’ambiente. Non c’era alcun banchetto in corso, piuttosto sembrava che stessero studiando qualcosa di insolito.
“E’ accaduto subito dopo che ho tolto l’armatura…non so come sia potuto succedere, dalla spada è uscito un fascio di luce e subito dopo ho trovato questi”. Violetta si avvicinò, sicura di non essere vista, e vide due tomi dalle copertine di pelle identiche e la scritta a caratteri dorati ‘Alice nel Paese delle Meraviglie’. Sotto la prima scritta c’era una mezzaluna argentata, sotto il secondo invece un sole dorato. “C’è un nome…Lewis Carroll. L’ho letto ed effettivamente parla di quello che mi è successo. Come ne è potuto venire a conoscenza?”. La Regina Bianca intrecciò le dita, meditando a fondo, mentre la sorella osservava avidamente i due libri.  “Sono completamente uguali a parte le piccole differenze della copertina” precisò subito dopo la ragazza.
“Che ne pensate? Chi può conoscere questo mondo a parte noi?”.
La scena svanì riprendendo subito consistenza. Era ancora notte, ma questa volta si trovava in mezzo a un corridoio. L’allarme suonava incessante e le guardie accorrevano. “Un furto! Un furto! Uno dei libri è stato trafugato!”. Alice ascoltò quella terribile notizia con lo sguardo terreo. Nessuna delle due regine mancava all’appello, eppure lei avrebbe scommesso che solo la Regina Rossa avrebbe potuto fare qualcosa del genere. Nessuno a parte loro tre era a conoscenza dei due libri. “Del ladro non si ha nessuna traccia”. La guardia la parlava ma lei ascoltava con aria assente. Violetta invece era sempre più confusa: che cosa rappresentavano di così importante quei libri? Ma soprattutto che fine avevano fatto? Uno era stato rubato e se ne erano perse le tracce, ma quello in possesso di Alice? Si ricordò della scritta trovata nel fondo di un vecchio scaffale della biblioteca. Lewis Carrol…era rimasto solo quel frammento del libro?
Tutto intorno vorticò, trasferendola in una piccola stanza illuminata dal camino, il cui fuoco gettava ombre intorno alle fiamme crepitanti. Da una finestra che dava sull’esterno Violetta si rese conto che era passato del tempo. Fiocchi bianchi svolazzavano in aria, in mezzo al vento gelido e alla neve fitta che scendeva. Alice era in piedi di fronte al camino, stringendo in una mano il libro, mentre dall’altra chiusa in un pugno si scorgeva un foglietto. Violetta lo riconobbe subito: era quello che aveva trovato nella biblioteca di Cuori. Mosse la mano avanti, poi si ricordò che nessuno poteva vederla né sentirla. Era come un fantasma, perso in quell’oceano di ricordi confusi, di frammenti che presi da soli risultavano incomprensibili. Alice sembrava pensierosa, quindi gettò il libro nel fuoco, lasciando che le fiamme lo divorassero man mano.
Perché bruciare quel libro?
Che cosa voleva evitare Alice con quel gesto?
Che fine aveva aveva fatto la copia rubata?
Violetta aprì gli occhi e si ritrovò in ginocchio, immersa nella nebbia. Dello specchio non c’era più alcuna traccia. Si rialzò in piedi, ancora stordita, prima di ricadere sulla ginocchia. Non riusciva nemmeno a muoversi, talmente tanto si sentiva affaticata. La pietra risuonava di un ticchettare confuso, ma ci vollero diversi secondi prima che Violetta se ne potesse rendere conto.
“Violetta!”. Riconobbe la voce in lontananza, ma proveniva dalla parte opposta in cui aveva sentito i rumori. “Violetta, corri!”. Maxi. Ma come poteva chiederle di scappare se non riusciva neppure a strisciare via? E poi come mai era tanto preoccupato per lei? Dalla nebbia emerse una zampa nera e pelosa. Poi un’altra e un’altra ancora. Dopo un po’ ne perse il conto, l’attenzione rivolta verso quel corpo lucido e tondo sempre nero da cui si ergeva un corpo di donna. Aveva i capelli scuri e gli occhi completamente bianchi, dalla bocca semiaperta si diramava un sottile strato di nebbia. Quella creatura mostruosa era per metà ragno per metà donna, anche se di umano non aveva proprio nulla. Tentò di arretrare scalciando, ma fu tutto inutile: una viscida sostanza biancastra le intrappolò il piede al pavimento. Tentò più volte di liberarsi di quella ragnatela, ma era ormai in trappola. Proprio in quell’istante dietro di lei spuntarono Lena ancora zoppicante, Maxi, che era riuscita a localizzarla grazie all’elmo, e Thomas, che brandiva la spada magica. Subito il Bianconiglio si lanciò contro il nemico, infuriato. Non c’era più nulla di pacifico e innocuo in lui, era come se fosse un’altra persona. Maxi riconobbe l’anima della spada che si serviva di Thomas per soddisfare la sua sete di sangue. La creatura però dopo lo stupore iniziale evitò il colpo del Bianconiglio e con una zampata lo scaraventò a qualche metro di distanza. Lo chiamò a gran voce, ma non ottenne alcuna risposta. Si mise a correre verso l’amico, con l’elmo in testa, e quando lo raggiunse vide che era svenuto. Imprecò. Sarebbe riuscito ad usare due oggetti contemporaneamente senza che essi gli succhiassero via la vita? Non appena vide però l’essere avanzare verso Violetta smise di pensare e strappò di mano la spada a Thomas. La forza, l’energia…era un mix devastante e potente. Prese consapevolezza del fatto che nessuno avrebbe potuto opporgli resistenza: era invincibile. L’elmo gli stava donando tutto ciò di cui aveva bisogno per agire a mente fredda, mentre la spada era il fulcro della sua forza. Con uno sguardo astuto corse fino a raggiungere il mostro, che si voltò con un sorriso di sfida. Prima che potesse colpirlo, Maxi mozzò una delle zampe, evitando il fiotto verde che ne fuoriuscì, macchiando il pavimento. Un urlo simile più a un rantolo risuonò nella nebbia. Scartò un colpo inflitto da una furia cieca e affondò, questa volta non riuscendo a colpirlo. Lena nel frattempo aveva zoppicato fino a Violetta, cercando di aiutarla a liberarsi. La donna-ragno si ritirò nell’ombra, aspettando il momento giusto per attaccare, ora che non era vista. Non sapeva che Maxi in realtà grazie all’elmo era in grado di vedere qualunque punto del Paese delle Meraviglie, e dopo qualche secondo riuscì a seguire i suoi movimenti. La lama della spada brillò di una luce abbagliante, venendo avvolta da quell’alone sempre più splendente. Puntò la spada di fronte a sé, e corse con sicurezza verso la nebbia, entrandoci, fino a quando non incontrò l’ostacolo. Il mostro emise un rantolo, mentre il suo corpo veniva trafitto. La sua corazza era stata distrutta in un solo colpo. Si accasciò a terra, mentre Maxi estrava la spada, intinta di una sostanza verde. La luce però ripulì l’arma, come se rifiutasse ogni cosa che potesse contaminare la lama. La nebbia si diradò pian piano, mostrando nuovamente la scacchiera gigante. “Ci siamo liberati della regina” sospirò, sedendosi a terra ansante. Si sentiva debolissimo, forse perché aveva fatto eccessivamente ricorso alla magia dell’elmo e della spada, ma almeno era riuscito a salvare la vita a Violetta e agli altri. Tenere gli occhi aperti gli faceva male, quindi li chiuse, e prima che se ne rendesse conto perse i sensi.
Si svegliò, disteso sotto l’ombra di un cespuglio. Vicino a lui c’era Lena, che ancora si lamentava per la caviglia. “Oh, sei sveglio” esclamò la bionda senza alcuna enfasi. Probabilmente aveva sperato che morisse nel sonno o qualcosa del genere. Nonostante gli avesse salvato la vita sapeva di non andarle a genio, anzi probabilmente lo detestava. Si tastò le tempie, poi i capelli. Non aveva l’elmo addosso. Sollevò il busto di scatto, rimanendo seduto, sospirando di sollievo non appena lo vide alla sua destra. “La spada?” chiese con la voce impastata.
“L’ha presa Thomas non appena si è ripreso. Lui e Violetta sono andati a cercare qualcosa da mangiare” rispose asciutta Lena, sistemandosi meglio sotto l’ombra.
Maxi sentiva il grande bisogno di alzarsi e andare a cercare Violetta per parlarle. Non poteva andare avanti in quel modo, lei doveva sapere di ciò che provava. Soprattutto ora che aveva compreso appieno i rischi che avrebbero corso durante il viaggio. Si alzò in piedi a fatica, squadrando la sua compagna, che lo degnò appena di uno sguardo.
“Da che parte si sono diretti?”
“Che ti importa? Adesso devi pensare a riposare” rispose Lena, insospettendosi subito di fronte a quella domanda. Non nascondeva certo di non sopportare Maxi, come non nascondeva la sua ostilità ogni volta che lui provava ad avvicinarsi a Violetta.
“Vorrà dire che proverò a cercarli senza il tuo aiuto”.
Detto quello si mise in cammino, raggiungendo un piccolo boschetto vicino. In lontananza udiva il fruscio dell’acqua che scorreva e pensò che c’erano buone probabilità di trovare lì Violetta. La fortuna ancora una volta fu dalla sua: la vide infatti mentre era chinata su una polla, intenta a riempire due borracce che si portavano dietro durante il viaggio. Si sentì molto meno determinato di fronte a quell’abbagliante scena. Gli tremavano le gambe e non riusciva a smettere di guardarla incantato. Violetta si rimise in piedi e si voltò, sobbalzando per la sorpresa nel vederlo lì. Di tutto il discorso che si era preparato ricordava solo qualche parola vaga, per il resto era il nulla totale. Violetta gli sorrise e anche quelle poche parole svanirono dalla sua testa.
“Grazie per averci salvato la vita” disse Violetta riconoscente. Il silenzio fu rotto dalla sua dolce voce e Maxi avrebbe voluto spiegarle che non c’era bisogno di alcun ringraziamento, perché l’avrebbe fatto anche cento volte pur di vedere il suo sorriso. Mosse qualche passo verso di lei, incerto. “Sei l’ultimo che è entrato nel vortice visto che hai l’elmo…come stanno gli altri?”.
Maxi scosse la testa. “C’era fumo ovunque, non so nemmeno se sono riusciti tutti ad entrare nel varco…mi ricordo solo un urlo straziante, ma poi mi sono lanciato dentro”. Non era lì che voleva andare a parare in ogni caso; quella conversazione era infatti partita con ben altri intenti. “Devo parlarti…” esclamò con voce impastata. La ragazza non si smosse minimamente e sembrava serena, eppure sentiva che in qualche modo era riuscito a metterle agitazione addosso. Era affrettato, forse anche idiota, ma non poteva più tenerselo dentro. Le prese con decisione le mani, avvicinandosi ancora di più. Che parole avrebbe potuto usare? Nessuna gli risultava sufficiente ad esprimere ciò che provava quando era vicino a lei, come in quel momento, in cui il cuore gli batteva talmente forte da assordargli le orecchie. Si convinse che i fatti avrebbero parlato al posto suo. Si specchiò per un secondo nei suoi occhi timorosi, quindi come un lampo, quasi per timore di essere respinto, sfiorò le sue labbra con l’intenzione di baciarla. Si sentiva come se avesse dovuto saltare nel vuoto. Una parte di sé aveva paura, un’altra invece era scossa dalla pura adrenalina che gli scorreva nelle vene. E così, senza avere ripensamenti, senza più alcun dubbio su quello che provava, la baciò.
 
Andres era ancora steso prone, non riuscendo a muovere un muscolo. Era dell’idea che qualche costola fosse rotta, perché faceva fatica perfino a respirare tanto era forte il dolore. Emma era stata davvero imprudente a saltare in quel portale magico e lui era stato altrettanto sciocco e impulsivo a gettarsi insieme a lei. Gli occhi aperti fissavano il cielo, limpido e terso, di un colore rosato. Il sole stava tramontando. Per quanto tempo aveva perso i sensi? Aveva sopportato ben di peggio, ma lo stesso ebbe un momento di panico. Era finito in chissà quale luogo, magari anche pieno di nemici. Ed Emma? Strizzò le palpebre, richiamando tutte le sue energie per tirarsi in piedi. Come aveva immaginato, si rivelò un’impres atitanica. Il dolore alle costole era sempre più fitto, sempre più lacerante. Si portò una mano sul fianco, gemendo. Si trovava nel bel mezzo di una strada lastricata, completamente deserta. Tutto intorno c’erano case di pietra, che sembravano disabitate. Il vento cominciò a soffiare, sollevando una nuvola di polvere, che lo investì, facendolo tossire più volte, mentre gli occhi lacrimavano. Di Emma nessuna traccia. Era forse un villaggio abbandonato? Ciuffi d’erba secca crescevano qua e là, invadendo la strada. Cominciò a vagare nei dintorni sperando di incontrare qualcuno che potesse dirgli almeno dove fosse finito. Forse è lo stesso che aveva fatto Emma. Deglutì: doveva trovarla assolutamente. Arrancando e annaspando si trovò di fronte all’insegna di un’osteria. Scricchiolava orribilmente, mossa dal vento, e sopra vi era il disegno scolorito di una zucca. Bussò, sapendo in anticipo che si sarebbe rivelato inutile: nessuno rispose. La porta era sbarrata con delle assi di legno, così come le finestre. Si armò di coraggio e diede una forte spallata alla porta, che per fortuna cedette al primo colpo. Il dolore si infittì ancora. Aveva bisogno di qualche farmaco, oppure di un guaritore o un medico. La stanza era ampia e vuota. I tavolini rotondi erano disposti in file ordinate, alcuni coperti con dei teli bianchi, altri invece lasciati in balia della polvere. Le assi del pavimento scricchiolavano sotto i suoi piedi; riconobbe un pianoforte in fondo alla sala. Si fece avanti fino al bancone, dove erano capovolti dei bicchieri con accanto uno strofinaccio. Una nota solitaria lo fece sobbalzare. Intorno non c’era nessuno però il piano non poteva aver suonato da solo. Si voltò impaurito e questa volta venne riprodotto un intero motivetto. Si voltò di nuovo ma ancora una volta l’unico essere vivente lì dentro era lui.
“Mi state prendendo in giro? Fatevi vedere!” sbottò spazientito. Come se le avesse invocate, diverse ombre trasparenti si materializzarono intorno a lui. Dietro il bancone un uomo corpulento con un bel paio di baffi argentei ripuliva un bicchiere inesistente, mentre uomini e donne di ogni età, parlottavano tra loro. Al piano era seduto una signora dall’aria distinta che indossava un paio di occhialetti a mezzaluna e aveva i capelli raccolti in una crocchia. Riprese a suonare lo stesso motivo, nonostante le dita scorressero attraverso i tasti.
“Abbiamo un ospite” esclamò l’oste allegro, mostrando i buchi tra i denti. “Oggi deve essere giornata, dopo la biondina”. Emma. Andres scattò come un animale, piantando le unghie sul bancone, e fissando l’oste che continuava a pulire come se non avesse detto nulla di che.
“Avete visto Emma? Dove era diretta?”.
“Nello stesso posto in cui sei diretto te” si intromise un giovane, ghignando. Andres lo fissò confuso, cercando di capire a cosa si stesse riferendo. “Devi essere davvero un pazzo per venire nella città fantasma” proseguì, lasciando ancora più interdetto il suo interlocutore.
“Città fantasma? Che cosa intendi?”.
Tutto intorno calò il silenzio, lo sguardo dei presenti fisso su di lui. Era una domanda tanto sciocca, forse? Non ne aveva mai sentito parlare, non sapeva nemmeno in quale dei quattro Regni si sarebbe dovuta collocare.
“Allora non conosce nemmeno la maledizione a cui sta andando incontro!” fece il verso una vocina stridula, proveniente da una bambina dalla trecce lunghe fino alle spalle. Un mormorio diffuso si levò tra i fantasmi: chi annuiva preoccupato, chi scuoteva la testa incredulo, chi alzava le spalle noncurante.
“Di che maledizione parlate?” domandò Andres, rabbrividendo al solo pensiero di quello che avrebbe potuto succedergli. Essere coraggioso era un conto, avere a che fare con la magia era tutta un’altra storia. Il pugnale che aveva appresso non poteva essergli di alcuna utlità di fronte alla stregoneria.
“Quella lanciata dalla regina di Quadri. Ti trovi in quella che un tempo era una ridente cittadina di nome Rosdasso, la cui unica sfortuna fu quella di ospitare un gruppo di rivoluzionari” mormorò la voce spenta del giovane. Andres si sedette sullo sgabello, pronto ad ascoltare il resto della storia. Il piano aveva smesso di suonare, tutto interno era tornato a calare un’inesorabile silenzio di tomba. “E’ stata gettata una maledizione su queste vie, su queste abitazioni. Tutti gli abitanti vennero ridotti a degli esseri immateriali, degli spettri. Ludmilla Ferro ci ha accusato di tradimento ed è questa la sorte che ci è stata riservata. Non si può tornare indietro in nessun modo…i fantasmi rimangono tali, inoltre non è possibile fuggire. Molti di noi hanno tentato, ma si sono risvegliati nella piazza principale. E’ una prigione eterna”. Non era finita lì, percepiva l’esitazione dello spettro a continuare il racconto. “La prima volta che venne un forestiero cercava un luogo dove poter riposare la notte. Il giorno dopo però si è risvegliato come uno di noi”. Andres impallidì: rimanere lì l’avrebbe trasformato in un fantasma, e non sarebbe più potuto andarsene, rimanendo intrappolato come gli altri. Si guardò le mani e vide che erano più pallide del solito. Chiese conferma al fantasma che annuì tristemente. “Si, ti stai già trasformando…devi andartene di qui prima che sia troppo tardi”.
“E Emma?” chiese, alzandosi di scatto in piedi.
“La tua amica si trova in una delle camere del piano di sopra. E’ debole…”. Andres non gli fece nemmeno terminare la frase, scattò fino alle scale che conducevano di sopra quindi le percorse velocemente, per poi ritrovarsi in un corridoio fiocamente illuminato da una finestra circolare sul fondo. Aprì le porte una ad una, mentre nel frattempo l’ansia e la paura crescevano. Doveva fare in fretta, altrimenti sarebbero rimasti in quella città fantasma per sempre. A così tanto potevano arrivare i poteri della regina di Quadri? Aveva paura di sapere in che modo lo scudo fosse stato protetto. Dj avrebbe potuto contrastare una maledizione di quella portata? Non era convinto. Ludmilla Ferro con i suoi intrugli e le sue pozioni sapeva essere ben più abile di un mago adulto. Il dolore alle costole si fece più debole…a quanto pare la sua trasformazioni in spirito lo allontanava dai sensi e dal suo corpo. Con un colpo, aprì l’ultima porta, dopo averle provate una ad una, e vide distesa su un letto sfatto Emma, profondamente addormentata. I suoi capelli biondi si confondevano con il bianco delle lenzuola e Andres pensò che per lei fosse ormai tardi. Quando però si avvicinò per prenderla in braccio si rese conto che era ancora tangibile. Però pesava pochissimo, gli sembrava di sollevare una piuma.
“Andrà tutto bene” le ripeteva, ma non sapeva se fosse più un modo per rassicurare se stesso che altro. Cercava di correre lungo la via, ma era stanco e affamato, senza energie. Gli sembrava di trascinarsi, mosso da chissà quale forza motrice. Erano passate solo poche ore e già su stava facendo buio. Con il calare delle tenebre li raggiunse anche il freddo notturno, ma Andres non sentiva nulla. Non sentiva il suo corpo, era come se non ne possedesse uno. La maledizione stava facendo sempre più effetto, e l’uscita dalla città gli sembrava irraggiungibile. In quell’intricato incrocio di vicoli, non capiva più nulla, proseguiva verso sud nella speranza che prima o poi ne sarebbe uscito. La pareti esterne delle case diventavano ostacoli oscuri e maledetti e Andres sentiva sempre più la pressione del tempo che scorreva senza dargli tregua. Un’uscita, aveva bisogno di un’uscita. Inciampò per la stanchezza e finì con Emma a terra con un rantolo. Il sangue gli scorreva dalle nocche, ma non provava alcun dolore. E invece avrebbe voluto poter urlare per la sofferenza, avrebbe voluto sentirsi nel suo corpo. Fatalità del destino: chiunque avrebbe pagato oro per non dover sottostare all’essere mortale insito nella natura umana, ma quelle condizioni rendevano la benedizione ricercata una condanna eterna. Si rialzò a fatica, caricandosi nuovamente Emma in braccio. Non c’era più traccia di determinazione in lui, solo esasperazione e voglia di sopravvivere.
“Non vorrai mica addormentarti qui?”. Andres sbarrò gli occhi, riconoscendo di fronte a sé la tremolante figura del fratello. Serdna aveva le braccia incrociate al petto, con un sorriso sardonico e la solita espressione di chi la sapeva di gran lunga più di tutti.
“Il mio sacrificio non è servito mica a farti marcire come un fantasma per l’eternità” lo riprese severo, facendolo rabbrividire. Sotto braccio teneva le sue immancabili carte, di cui qualcuna di tanto in tanto sfuggiva al suo controllo e si perdeva nel vento sfumando fino a sparire.
“Hai ragione fratello” sussurrò a bocca aperta, non riuscendo a capire se solo un frutto della sua immaginazione, o quel fantasma fosse effettivamente di fronte a lui. Però era proprio la motivazione di cui aveva bisogno per riprendere il cammino. Aveva promesso a se stesso davanti alla tomba di Serdna che l’avrebbe riscattato ponendo fine a quella guerra e avrebbe fatto tutto il possibile per mantenere la parola data. Si trascinò avanti con il sudore che gli imperlava la fronte, portando i muscoli al massimo sforzo possibile. Lo spettro non lo abbandonava, ma gli rimaneva affianco, spronandolo e dicendogli dove voltare.
Dopo una notte passata a destreggiarsi per i vicoli contorti della città finalmente raggiunsero le porte che segnavano l’uscita dalla cinta muraria. La loro salvezza. Fece adagiare Emma fuori dalla città e la sua carnagione tornò a colorarsi di un rosa pallido. Subito dopo si voltò verso il fratello, che era rimasto dall’altra parte.
“Non puoi venire con noi, vero?” gli chiese con la voce rotta. Rivedere Serdna era stato si un bene, ma riapriva una ferita profonda che mai si era rimarginata del tutto. Era l’unica persona che gli era rimasta affianco sempre, fin da piccoli. Era tutto ciò che aveva, e con la sua morte sentiva di aver perso ogni punto di riferimento. Si era gettato a capofitto in quell’impresa, senza pensarci due volte, senza considerare i rischi a cui sarebbe andato incontro. Aveva tentato di allontanare ogni ricordo, ma non aveva capito che era proprio il passato condiviso con il fratello ad essere la sua unica forza.
Il fantasma scosse la testa, rispondendo seppur tacitamente alla sua domanda.
“Sei solo frutto della mia immaginazione? O sei davvero tu?”. Come poteva pretendere che un miraggio rispondesse non lo sapeva, ma aveva bisogno di una conferma. Forse la maledizione aveva reso quella città un limbo tra i vivi e i morti. Il sole stava sorgendo e rimanendo fuori dalle mura sarebbe rimasto al sicuro, ma la tentazione di riabbracciare il fratello era forte. Diventando un fantasma avrebbe potuto passare l’eternità con lui? Non era quello che avrebbe voluto. Serdna non gliel’avrebbe mai permesso.
“Qualunque risposta sarebbe per te solo motivo di sofferenza. Non pensare a me, ormai sto bene. Pensa a quello che puoi fare per i vivi, non al modo in cui vuoi ritrovare i morti. Io vivrò quando tutto questo sarà finito, vivrò nella pace che tu contribuirai a creare”. Serdna sembrava nostaligico, ma allo stesso tempo appagato. Andres sorrise: si, stava bene. Quando i primi raggi di sole si abbatterono dietro di lui, l’ombra scomparve. Si rese conto di stare piangendo, ma non per il dolore, bensì per la gratitudine. Serdna l’aveva aiutato, ne era sicuro. Non poteva essere un miraggio, quel posto gli aveva dato l’opportunità di rivedere quella che aveva sempre considerato la sua famiglia. L’elmo l’aveva portato a casa, il posto più al sicuro del mondo. Serdna sarebbe stato per sempre la sua sicurezza.
Uno sbadiglio lo fece riscuotere e si inginocchiò vicino ad Emma per aiutarla a rialzarsi una volta che si fosse ripresa. “C-cosa succede?” balbettò la ragazza, socchiudendo le palpebre e coprendosi con una mano dalla luce mattutina. “Ricordo di essermi addormentata in una locanda abbandonata, ero così stanca…”. Andres sorrise sfiancato, sedendosi in ginocchio, e riprendendo fiato.
“Non ricordi nulla?”. Emma scosse la testa. Era meglio così. Con un po’ di fatica l’aiutò a rimettersi in piedi, e cominciarono a percorrere la strada su cui si trovavano pronti a fermarsi al primo villaggio che avessero incontrato per chiedere informazioni si dove si trovassero. Nel traggito Andres le spiegò la storia della maledizione, ma omise volutamente la parte in cui Serdna interveniva ad aiutarli. Era una cosa sua, un incontro intimo che non si sentiva di condividere con nessuno. Si fermarono dopo qualche ora per riprendere fiato, consci della stanchezza che li sovrastava.
“E gli altri?” chiese ad un certo punto, staccandosi dalla borraccia che aveva afferrato avidamente. Andres scosse le spalle. “Non ne ho idea, mi sono svegliato in quella città, ma di certo se ci fossero stati anche loro Dj avrebbe trovato il modo per avvisarci”.
“Probabilmente con qualche fuoco d’artificio” ghignò la ragazza, facendosi poi pensierosa. “Ricordo solo di essermi svegliata e di averti visto a pochi passi da me, privo di sensi. Poi sono andata in cerca di aiuto e non ricordo altro”. Emma si sfregò le braccia, battendo i denti. In effetti faceva parecchio freddo, forse perché si trovano a nord e lì il clima era molto più austero e rigido. Erano troppo stanchi per continuare il viaggio, era meglio fermarsi a riposare. Quando lo propose alla sua compagna, lei all’inizio fece parecchie resistenze, ma alla fine cedette di fronte alla prospettiva di qualche ora di riposo. Si allontanarono dalla strada, percorrendo le vaste tundre ai lati, in cerca di un riparo. Gli unici alberi che costellavano quelle vaste piane erano rinsecchiti e privi di foglie. Di tanto in tanto dalle buche emergevano marmotte che si affacciavano curiose, prima di tornare al sicuro nelle propria tana.
“Oh, santo cielo” esclamò Andres, a bocca aperta. Di fronte a loro si stagliava una catena montuosa che continuava all’infinito. Erano talmente che le vette non si riuscivano a distinguere a causa della nebbia. Avevano raggiunto i confini del Paese delle Meraviglie, dietro quelle c’era il famoso e misterioso Deserto del Nulla. “Direi che abbiamo sbagliato direzione” disse Emma, intirizzita per il freddo. Il vento soffiava impalcabile, talmente forte che temettero fosse in grado di sollevarli.
“Se continuiamo di là”, Andres indicò le montagne, “dovremmo trovare un riparo; ci fermeremo quanto basta per poter recuperare le forze”.
“Stai scherzando? C’è un motivo se la gente sta lontano da quei posti, altro che Monti Neri!” provò a fargli cambiare idea Emma, sbracciandosi davanti a lui. Non si era certo salvata per un pelo tante volte per finire pasto di qualche creatura famelica.
“Beh, qui siamo in mezzo al nulla, se hai altre idee, sei la benvenuta” ribatté l’altro, tirando fuori il pugnale per ogni evenienza. Emma roteò gli occhi al cielo, quindi lo seguì senza dire nulla. In poche ore raggiunsero una piana frammentata da sporgenze rocciose, ai piedi di uno dei monti. Andres ispezionò diverse aperture, sia per controllare se fossero già abitate sia per verificare che all’interno non fossero troppo umide. Dopo qualche tentativo fallimentare ne trovò una che sembrava fare al caso loro. Era spaziosa, ma non troppo profonda. Per di più nelle vicinanze c’erano degli alberi da cui avrebbe potuto prendere la legna per accendere il fuoco.
“Vado a procurarmi la legna e poi penso al cibo” disse a voce asciutta.
“Scordatelo, non sono messa così male da non sapere come si caccia un coniglio. Tu pensi al fuoco, io al resto”. Ribattere di fronte alla testardaggine di Emma sarebbe stata solo una perdita di tempo, quindi Andres si costrinse a prendere un respiro profondo e ad annuire.
In poco tempo raccolse un bel fascio di rami, che posizionò in un mucchietto. Prese due bastoncini che gli sembravano abbastanza secchi e li sfregò tra loro fino a che le scintille provocate dallo sfregamento non fossero sufficienti ad appiccare un piccolo fuoco. Emma tornò dopo poco con una grassa marmotta imprudente, con un’espressione vittoriosa. Andres sorrise: quella ragazza aveva sempre mille risorse. Dopo la cena, i due rimasero uno di fronte all’altro, con le mani tese verso il fuoco, mentre lentamente la notte calava intorno a loro.
“Se la caveranno” lo rincuorò Emma, leggendo le sue preoccupazioni inespresse. Il ragazzo si passò una mano sui capelli scuri, esasperato, quindi tornò a fissare le fiamme. Avrebbe dovuto essere il loro capo, avrebbe dovuto proteggerli. Soprattutto Violetta, perché lei era il tassello essenziale per porre fine a quella guerra. E invece se ne doveva stare lì con le mani in mano. Non si rese conto che Emma si era spostata, sedendosi al suo fianco, con le braccia che circondavano le ginocchia. Lo fissava in modo enigmatico e Andres si chiese se all’esterno risultasse così nervoso come si sentiva dentro. “Hai fatto sempre tutto il possibile, Andres, non devi rimpiangere nulla, non avevi altra scelta”.
“Non avrei dovuto seguirti nel vortice…dovevo rimanere con Violetta e proteggerla. Lei è troppo importante” rispose Andres, trovando il coraggio di guardarla negli occhi. Pensava che con quelle parole l’avrebbe ferita, invece lei si limitò ad abbozzare un sorriso.
“Non mi sono mai fidata di nessuno. Ho sempre pensato di potercela fare da sola, con le mie sole gambe. I miei genitori mi disprezzavano, non capivano che la mia scelta era stata dettata dal desiderio di essere libera, indipendente. Prima di conoscere Broadway io ero sola” spiegò con noncuranza, sebbene una traccia di dolore le attraversò gli occhi. Senza l’aiuto di nessuno era diventato uno degli elementi più importanti dell’Accademia, tanto che Pablo le aveva affidato quella missione di vitale importanza. Nonostante tutti quei successi, era sola. Il suo unico amico si era rivelato un traditore e non aveva nessuno a cui appigliarsi. Andres pensò che erano molto simili: entrambi alla ricerca di qualcuno in grado di dargli una sicurezza. Per un momento si incantò a guardarla negli occhi, ma si riscosse quasi subito, girandosi dall’altra parte. Si sentiva strano, bene e male allo stesso tempo: Emma lo capiva, non a fondo come Libi, ma lo capiva. Non c’era nulla di sbagliato se tra loro fosse nato qualcosa, ma allora perché quella strana sensazione allo stomaco, come se fosse un traditore? Aveva allontanato Libi per non avere legami affettivi e adesso stava lasciando ad Emma aperta la porta del suo cuore…si sentiva un codardo e un’ipocrita. La mano fredda della bionda si posò sulla sua guancia, invitandolo a voltarsi di nuovo. Gli occhi di Emma erano scuri, profondi, e si riconobbe in quell’oscurità. Erano davvero troppo simili.
“Adesso non mi sento più sola” sussurrò la ragazza, improvvisamente imbarazzata, il che la rendeva parecchio strana. Non aveva mai visto Emma come una donna, alle prese con i suoi sentimenti, con le sue debolezze. Era stregato dalla sua voce, ma non capiva il perché. Un flash improvviso lo fece adombrare: la visione del Tempo. Il futuro. Lui sapeva a che cosa sarebbero andati incontro e ne soffriva ogni santo giorno. La malefica eredità che il Tempo gli aveva lasciato gravava ancora su di lui. “E nemmeno tu lo sei”. Fuori si sentiva l’imperversare di una tempesta. La pioggia scrosciava e i lampi investivano l’esterno della grotta di una luce improvvisa e sovrannaturale.
“Ho bisogno di dimenticare chi sono” rispose Andres, chiudendo gli occhi di fronte alla carezza di Emma. Era così dolce potersi lasciar cullare da qualcun altro, qualcuno che per lui provava una pura adorazione.
Emma annuì, comprensiva, quindi si avvicinò sempre di più, poggiando le labbra sulle sue. Andres la strinse con il braccio libero, riversando in quel bacio tutta la sua sofferenza, tutto il suo bisogno di essere amato. E ora che Libi se ne era andata per sempre, Emma era la sua unica possibilità di vivere qualcosa che fosse paragonabile all’amore. Ipocrita, gli diceva la sua vce interiore. Infimo. Traditore. Allontanò quelle voce, spegnendo il cervello, e concentrandosi solo in quel bacio, che rese volutamente aggressivo, violento. Emma non si ritrasse e questo gli diede ancora maggior soddisfazione. Una soddisfazione vuota, sorda, priva di una vera gioia. Serviva solo a nascondere quella crisi che sentiva montare dentro di lui, quel pensiero negativo che lo seguiva come un’ombra. Perché ogni cosa si stava sgretolando tra le sue mani e Emma gli sembrava la cosa più concreta che potesse capitargli in quel momento. 








NOTA AUTORE: Perdonate il ritardo! *arriva correndo* Non ho avuto nemmeno il tempo di ricontrollare la seconda parte, confido di farlo tra oggi e domani, solo che non volevo ritardare ancora nella pubblicazione, già sono in un ritardo spaventoso. Allora, sono successe parecchie cose, OLTRE IL BACIO DI MAXI CHE- NO. E anche il bacio di Emma e Andres è un altro no, questo capitolo è pieno di no .-. Ma succede qualcosa di importante...un nuovo mistero legato alla figura di Alice. Il libo del Paese delle Meraviglie! Una copia è stata rubata: perchè? Un'altra invece è stata bruciata dalla stessa Alice...il mistero si infittisce! Scusate per il commento un po' scarno, ma devo andare a finire di stu- stu- studiare -.-" Buona serata a tutti, e alla prossima! Buona lettura, e grazie a tutti voi che mi seguite e/o recensite, 
syontai :3 
  
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