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Autore: Stelplena_Cielo    30/10/2014    1 recensioni
2010, Giappone: Kira prende il controllo del mondo come pianificava dai tempi del liceo dopo aver sconfitto chi tentava di fermarlo. Nel frattempo in Inghilterra sta per essere fatta una scelta importantissima
2030, Inghilterra: forse chi potrà sottrarre a Kira il dominio malato del mondo che ora lo vede come un Dio è arrivato, scelto tra altri orfani geniali; la storia si ripete, il mondo è col fiato sospeso: ce la farà?
Genere: Azione, Malinconico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri personaggi, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Prologo

 
 
 
  -Near è morto. -

  Era ormai qualche giorno che in Giappone, così come nel resto di tutto il mondo, Kira era solo un ricordo, una domanda, un’insicurezza. Come se parlarne fosse ormai Tabù, come se la gente volesse finalmente scordare; e si sentivano stupidi e sconfitti tutti quelli che avevano tifato per lui, incitando tramite media la popolazione di tutto il mondo a convertirsi al grande Messia, come se quella fosse una sorta di Guerra Santa verso una nuova religione. Eppure, nessuno aveva aizzato torce e forconi, nessuna folla si era accalcata sotto i balconi di chi aveva difeso e idolatrato Kira; forse perché, in fondo, tutti loro sentivano che l’operato di quell’essere pazzo e fanatico in qualche modo poteva essere giusto. Ma c’era giustizia in tutto quello, o era solo paura?
  Tutto il mondo era in silenzio, tratteneva il fiato, perché i telegiornali non parlano? Perché sono tutti zitti mentre noi tentiamo di capire? Kira ha vinto, vero? Ma no, a questo punto speriamo che lo abbiano arrestato.. non si può mica vivere così..
  Eppure nessuno ne parlava, nessuno si degnava di prendere il discorso ed esporre le proprie idee e magari battersi affinché gli altri capissero il proprio punto di vista e decidessero finalmente da che parte stare; ma evidentemente, la paura era troppa anche solo per immaginare una cosa simile.
  Dopo il rapimento di Takada, erano state davvero poche le notizie. Di lei non s’era più saputo niente se non dopo tre giorni, quando al telegiornale ne annunciarono la morte. Il rapitore e il complice erano entrambi morti, ma nessuno sapeva dare un senso alle notizie che si susseguivano;  la televisione era più criptata del solito, notizie su Kira pari a zero, dispiacere e dolore per Takada ovunque e poi i soliti reality show probabilmente destinati a celare la confusione generale che a quanto pareva aveva colpito anche i mass media.
  Se Takada era morta, forse allora anche Kira lo era. Forse Kira era Takada stessa, visto che i criminali avevano smesso di morire da quando lei, il ventisei  gennaio, era stata rapita. La gente si chiedeva se avesse effettivamente il diritto di parlarne, di farsi domande, di avere paura; se in televisione non ne parlano, allora è tutto finito. Sì, ma quando puoi fidarti della tv? Sai quante cose ti nascondono?
  Una sola persona poteva essere la risposta a tutto quello, ma poco dopo la fine di Takada – e forse anche quella di Kira-, colui che aveva riservato la speranza di tutto il mondo nascondendosi nel buio era sparito; come morto, puff, dissolto nel nulla. Ancora una volta, il mondo si era ritrovato davanti ad una grande persona, forse l’unica in grado di fermare il killer del millennio che da troppo ormai seminava morte senza pagarne le conseguenze.
  La gente era arrabbiata; qualcuno alla fine si fidava di Near. Ma ancora una volta, dopo L, forse avevano fatto affidamento sulla persona sbagliata, perché dopo quasi un mese dalla fine di tutto non aveva dato una risposta. Lui era Near, era N,  avrebbe dovuto rassicurare il mondo; avrebbe dovuto essere più vicino alla popolazione, quindi perché anche lui aveva tradito tutti quanti?
  C’era chi aveva anche iniziato a pensare che L fosse reale, ma che in qualche modo N non lo fosse, che fosse una copertura di Kira o un modo per intrattenere le persone, tenerle col fiato sospeso – o una pistola alla tempia.
  Ancora una volta, dopo L, il mondo si era ritrovato senza qualcuno in grado di salvarlo; senza speranza. E nella confusione generale, c’era anche chi iniziava a pensare che forse aveva fatto male a fidarsi di quei famosi detective, forse avrebbe dovuto prendere parte nella guerra, ma dalla parte di Kira.
  Che volessero fargli credere che tutto quello non fosse vero? Ma no. Era troppo mondiale, troppo grande, non sarebbero mai riusciti a celare qualcosa del genere e la gente aveva sempre più paura. Cosa sarebbe accaduto? Niente, nessuno rispondeva, ma nemmeno nessuno chiedeva.
  La gente non sapeva che in realtà, le risposte c’erano. Bastava cercare, bastava pensare. Il problema non persisteva solo in Giappone, in Inghilterra c’era qualcuno che avrebbe voluto urlarlo al mondo, ma non poteva. Il paese Nipponico non era il centro dell’universo, era solo la cellula madre, il posto in cui tutto era iniziato. Se Tokyo era in subbuglio, quell’istituto sull’altra faccia del pianeta lo era il doppio.
  In uno studio qualcuno tratteneva il fiato. L’odore di libri aleggiava nell’aria, così come lo scricchiolio di una sedia la riempiva  a ogni respiro di chi vi sedeva gracchiando come una rana; o almeno, un bambino una volta l’aveva definita così. All’epoca era molto piccolo. La carta da parati splendeva illuminata dalla luce del sole che passava dalle finestre, eppure l’aria era così fredda. Forse perché era gennaio.
  Le mani anziane erano pallide, raggrinzite dal tempo e ora agitate dal nervoso e anche dal dispiacere. Dalla paura di non aver fatto abbastanza, anche se chi le possedeva e le tamburellava nervosamente sul piano della scrivania scura, sapeva bene di non essere la causa di tutto quello che stava avvenendo nel mondo; sapeva che Wammy l’avrebbe presa in un altro modo, ma lui non era il vecchio preside ormai defunto. Era un surrogato, era solo un sostituto.
  Quando il ventotto gennaio il telefono vecchio stile nero e lucido aveva suonato, l’uomo aveva esitato. Aveva alzato un braccio, ma con troppa ansia di rispondere e avere finalmente un quadro chiaro della situazione, aveva sbattuto le dita contro la base, girando di qualche grado i numeri. Aveva poi recuperato il controllo di se stesso, magari anche della situazione,  e aveva portato la  cornetta fredda e lucida alla guancia, rispondendo un tirato e freddissimo “sì”.
  -Near è morto. – aveva gracchiato la voce metallica dall’altra parte del telefono, prima di tirare un sospiro quasi ferito e attaccare. Il suono ripetuto della linea del telefono nemmeno infastidiva Roger, che aveva staccato di qualche millimetro la cornetta rimanendo a fissare il vuoto davanti a sé. Gli sembrava ieri quando davanti alla sua scrivania c’erano due ragazzini, entrambi col dovere di crescere troppo in fretta e troppo presto, due poli della stessa calamita; quel giorno, aveva dato la stessa notizia ai due … ed ora a distanza di anni era cambiato solo il soggetto, ma aveva fatto male quanto la prima volta. E le loro reazioni avevano fatto male, uno così freddo e distaccato quando il suo mondo probabilmente crollava, uno così-non aveva mai saputo come definire il biondo. Aveva inveito contro di lui e Roger da educatore avrebbe dovuto rimetterlo sulla buona strada, ma come in una situazione come quella? Avrebbe voluto fermarlo e non l’aveva fatto. Aveva lasciato che un quindicenne se ne andasse; magari era un genio. Magari era uno tra le scelte di L, ma era un bambino. E lui non aveva fatto nulla per proteggerlo.
  Qualche giorno prima, in televisione la notizia della morte dei rapitori della signorina Takada, colei che faceva da portavoce a Kira. Il solo pensare di averli cresciuti lui quei ragazzini l’aveva ucciso più della notizia stessa. Ora la notizia che anche l’albino aveva perso la vita in quella guerra, tutto lo faceva sentire vuoto. Non era nemmeno triste, sentiva solo malinconia. Dispiacere. Non era stato fermo abbastanza da impedire al biondo di andarsene; doveva imporsi, costringerlo a lavorare con l’albino e forse sarebbero sopravvissuti. Forse non avrebbero del tutto seguito le orme di L.
  E invece tre geni erano andati; ma che dico, tre bambini che lui stesso aveva visto crescere, quattro con il bambino che se ne stava sempre in disparte e che anche in quel caso aveva seguito Mello, come aveva sempre fatto.
  Quando aveva attaccato il telefono, era rimasto a guardare il vuoto, il nulla. E quindi, Kira aveva vinto.
  Non vi sarebbe più stato modo di proteggere i cento e passa bambini che alloggiavano nell’istituto, quella che tutti chiamavano casa.
  Dieci anni prima, quando quello che per lungo ma pochissimo tempo era stato il Detective migliore al mondo, aveva suggerito un piano di protezione per gli altri alunni. Aveva spiegato che nel caso lui non ci fosse più stato o fosse successo qualcosa a livello mondiale, tutti quei bambini avrebbero dovuto essere protetti; in primo piano come bambini, in secondo come geni; non potevano permettersi di perdere menti come le loro, perché se un giorno lui fosse morto, qualcuno avrebbe dovuto prendere il suo posto.
  Wammy aveva accettato, reputandola una scelta saggia e attenta, previdente; nonostante il carattere abbastanza infantile del giovane detective, se c’era una cosa a cui teneva era probabilmente la protezione degli altri orfani;  la metteva sopra ogni cosa, era molto maturo sotto quel punto di vista, così come in altri.
  Per quanto il dolore di Roger fosse grande, per quanto non avrebbe mai saputo come giustificare tutto quel  cambiamento che sarebbe arrivato burrascoso nelle vite dei bambini da quel momento in poi, doveva farlo. In onore a L, a Wammy. Sorrise mentre apriva il cassetto della scrivania, gli era tornato in mente qualcosa. Alcuni dei bambini non ricordavano più L, sapevano della sua esistenza solo perché il ragazzo di tanto in tanto intratteneva gli altri parlando da dietro a uno schermo. Forse, si diceva Roger, quei bambini senza una famiglia lo vedevano un po’ come un fratello maggiore ed era sicuro che per la maggior parte di loro lo era stato. Gli unici che erano venuti a sapere della sua morte erano Mello e Near e di conseguenza anche Matt, terzo in classifica (che triste dover numerare dei bambini, aveva sempre pensato). Alcuni dei bambini, tutt’ora,  a distanza di anni lo cercavano.   Cercavano L e gli si spezzava il cuore  a dover sempre mentire, ma non poteva fare altro. Non potevano sapere.
  Sfogliò l’agenda impolverata, la carta talmente vecchia da scricchiolare ogni volta che cambiava pagina. Aveva il profumo di carta e di inchiostro asciutto, dolce all’olfatto. C’erano numeri di ogni tipo, c’era anche qualche piccolo appunto che Wammy aveva tenuto da parte per non scordare cose importanti una volta invecchiato, come quando L aveva perso il primo dentino lì nella Casa.
  Con un sospiro dolce e malinconico, sfogliò ancora e scritto di nero sull’ultima pagina trovò un numero per il piano Zeta. L’ironia della sorte aveva voluto che in un momento di fretta, Wammy scrivesse quel numero con i dettagli abbastanza frettolosi del piano proprio sull’ultima pagina dell’agenda; ah, quel vecchio baffuto mai avrebbe saputo quanto quella fosse in realtà l’ultima spiaggia nella vita di Roger e forse di tutti quanti lì dentro.
  Alzò la cornetta del telefono, nuovamente, con più decisione in corpo. Le dita fredde tremavano appena, ma stavolta non lasciarono sfuggire la presa e trattennero con decisione l’unica cosa che univa quei bambini alla salvezza, un po’ come il filo nero arricciato univa la cornetta al telefono. Si avvicinò la base dello stesso e iniziò a digitare il numero lentamente, sentendo la rotella scrocchiare  a ritmo ogni volta che tornava alla posizione di partenza; poi aspettò che il telefono entrasse in linea e quando sentì qualcuno dall’altra parte rispondere, trasalì. Aveva forse scordato come articolare una frase di senso compiuto?
  Un leggero fischio dall’altro lato del telefono, un respiro un po’ affannoso e rumoroso, come quello di chi fuma tanto da tanti, troppi anni.
  - Sono Roger – aveva decretato l’uomo non sapendo bene che voce aspettarsi, che tipo di risposta. – Sotto richiesta di L, è arrivato il momento di attuare il piano Zeta; puoi procedere.
  La cornetta emise un suono particolare, quasi buffo; era un leggero verso di scherno, come una piccola risatina, ma c’era della dolcezza velata in quel suono.
Roger attaccò poco dopo, capendo che non avrebbe potuto sentire la voce dell’uomo – o della donna – che si nascondeva dietro il nome di “Plan Z”, avrebbe solo potuto fidarsi ciecamente di lui, o di L.
Ti prego, ragazzo mio. Proteggi questi bambini.
 







 

Gn~

Hola a tutti; è la prima volta che scrivo qualcosa in questo fandom e sono un po' titubante, non sono nememno sicura di volerla postare davvero. Ma va be', contando che mi sono anticipata gli altri capitoli, farò un piccolo sforzo. Mi dispiace per gli errori se ne troverete, forse sarà anche un po' OOC; spero non faccia schifo, non più di tanto almeno ;)

Magari se voi mi fate sapere che ne pensate tramite una piccola recensioncina mi fate un favore; mica dovete scrivere poemi, eh, solo dirmi che ne pensate! ^^ Mi farebbe molto piacere se non lo fate vi sparo

Probabilmente non ci avrete capito molto, ma giuro che dal primo capitolo (questo è solo il prologo) sarà tutto più chiaro - o forse tutto più confuso??-

Posso darvi una piccola spiegazione, comunque: come avrete capito, Kira ha vinto la guerra a differenza della storia originale. Near è morto e Roger si è ritrovato a dover mandare avanti un orfanotrofio ormai a rischio per via di Kira, se non fa qualcosa in fretta i bambini potrebbero trovarsi in pericolo.

Quindi che farà?
   
 
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