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Autore: Nadie    01/11/2014    3 recensioni
«Figliolo, sono il capitan Jack Sparrow, comprendi?» l’uomo lo guardò speranzoso, lui incurvò le sopracciglia confuso.
«Il tuo volto mi sembra familiare… ti ho minacciato altre volte?»
«Ne dubito, non sono di qua.»
«E allora da dove vieni, straniero, e qual è il tuo nome?»
Abbassò lo sguardo, poi prese un profondo respiro e raddrizzò la schiena.
«Sono Caspian X, Re di Narnia.»

[SyrenaXCaspian]
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Syrena, Un po' tutti
Note: Cross-over, Movieverse, OOC | Avvertimenti: nessuno
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VII




Le costole gli si ruppero.
Quando lo capì sorrise, pensò fosse tremendamente buffo che qualcosa di così interno e così vitale potesse rompersi come un vaso o una bottiglia di vetro, frantumarsi, scollegarsi, ma era così fragile dentro al suo corpo? Bastava così poco per spezzarlo?
Con grande sforzo si mise in posizione supina e fissò il soffitto con gli occhi socchiusi, quasi serrati per il dolore.
Il saporaccio nella sua bocca non se n’era ancora andato e il braccio destro gli tremava e non riusciva, non sapeva come fermarlo, sembrava non fosse più sotto il suo controllo, un braccio impazzito che non rispettava i comandi giusti.
Si sentiva come un grosso, enorme livido, una botta, un bernoccolo, un contenitore del dolore.
Così tanto dolore dentro lui, fitte insopportabili, insostenibili che lo laceravano internamente.
E pregò, pregò che tutto finisse presto ma passavano i giorni e mani, mani e mani gli facevano costantemente visita.
Un giorno quasi si spezzò, provò a rischiare, a perdere lucidità, ad abbandonarsi all’ignoto, a cosa l’avrebbe potuto condurre quel dolore, ma lo stesso dolore lo costringeva a restare sveglio, vigile, non addormentarti, non chiudere più gli occhi perché non puoi essere sicuro di riuscire poi a riaprirli, resta sveglio e aggrappati a qualcosa!
A cosa? A cosa poteva aggrapparsi se dentro quella cella non c’era niente, nessuna anima, nessun colore, nessuna parola ma solo lui, lui solo con troppo dolore?
All’inizio si aggrappò ai suoni: i pianti dei prigionieri nelle celle accanto, i passi pesanti degli zombie, i suoi stessi lamenti, la sua pancia vuota, ciò che stava ai piani superiori della nave dove decine e decine di piedi camminavano liberi, liberi e vivi.
Quando non c’erano abbastanza rumori o quando un silenzio fastidioso gli piombava addosso, batteva con le unghie sul pavimento.
Clic clic clic.
Rumore, rumore, rumore.
Restò sveglio grazie al suo rumore, si riempì le orecchie con il suo rumore.
Ma dopo l’ennesimo pestaggio anche muovere le dita o ascoltare rumori diventò troppo doloroso, ma cercò, ispezionò in lungo e in largo, a cosa mi aggrappo? A cosa mi aggrappo?
Non c’era niente fuori da lui, niente a cui potersi aggrappare e allora si mise a cercare dentro se stesso, nella sua testa, nel suo corpo e trovò i suoi ricordi, ciò che gli restava e ci si aggrappò saldamente.
Si fece esplodere dentro la testa ricordi che non sapeva neppure di possedere.
E quando era un bambino suo padre lo portava a cavalcare con lui e che buon profumo che aveva la sua Narnia, un bambino che respirava erba, prati pieni di fiori, e a volte c’era anche della pioggia e sua madre gli diceva: «non uscire o ti ammalerai, Caspian. Caspian. Tesoro. Mio tesoro.»
Mio tesoro, tesoro prezioso.
E poi nessuno lo portò più a cavalcare e nessuno lo chiamò più tesoro.
Mio tesoro, tesoro prezioso.
La voce di sua madre gli riempiva la testa, ma dov’era sua madre? Poteva salvarlo?
Resta sveglio! Non chiudere gli occhi! Aggrappati! Sveglio, sveglio, mio tesoro, tesoro prezioso!
E si aggrappò ad un altro ricordo e vide un uomo inginocchiato di fronte a lui, il capo chino, un uomo che non conosceva le parole ‘scusa’ o ‘amore’ e che gli aveva tolto cavalcate e tesori, e lui avrebbe voluto e potuto punirlo, ma non lo fece, Vattene! gli disse, ma non lo uccise, Non ti uccido perché non sono niente ma sono migliore di te, e non ti ucciderò, non ti ucciderò.
Il ricordo cominciò a sbiadire.
Trovane un altro, trovalo, mio tesoro, tesoro prezioso!
E vide un immenso leone con una voce profonda che gli diceva «Tu sei un re. Tu sei un buon re.»
Aggrappati alle parole, mio tesoro, tesoro prezioso.
Io sono un re. Io sono un buon re. Resterò sveglio e lucido e combatterò contro al dolore.
Io sono un re. Io sono un buon te. E non mi spezzerò, e non mi piegherò e le mie costole torneranno a posto, perché sono le costole di un re, di un buon re.
A volte si chiedeva perché cercasse di resistere così tanto e così a lungo, perché si aggrappasse così saldamente a suoni e ricordi, sarebbe stato più facile chiudere gli occhi.
Ci provava ogni giorno, quando il suo pestaggio arrivava puntale e delle mani troppo forti gli spaccavano la pelle, provava a chiudere gli occhi e abbandonarsi a quelle mani, ma la voce di sua madre urlava nella sua testa.
Sveglio! Resta sveglio e resta vivo, in fondo sono solo mani. Sveglio e vivo, mio tesoro, tesoro prezioso.
E appena sentiva quella voce si aggrappava a tutto, ad ogni rumore e ad ogni ricordo, perché finché riusciva a sentire il mondo intorno a lui era vivo, finché aveva ancora i suoi ricordi era vivo.
Sveglio, vivo e salvo.
Sveglio, vivo e salvo.
Ma perché restare sveglio, vivo e salvo? Ne valeva la pena?
Forse no, ma lui non poté farci nulla, era radicato dentro lui un istinto di sopravvivenza che lo costringeva a restare sveglio, vivo e salvo.
E cercava di tenere ferme ed immobili le parti più dolorose del suo corpo, di non compiere movimenti bruschi, non chiudere gli occhi, di mangiare fino all’ultima goccia di quella zuppa che sapeva quasi di veleno, Ma mi tiene in vita e devo berla per forza, non ho scelta.
E restò sveglio, vivo e salvo.
 
 
 
 
 
 
Il tredicesimo giorno a bordo della Queen Anne’s Revenge accadde qualcosa di strano.
Barbanera ordinò che la sirena fosse portata al più presto nella sua cabina, i suoi fedeli zombie si diressero celeri nelle prigioni ed entrarono bruschi nella cella della creatura – che sembrava piuttosto deperita e ormai incapace di difendersi –  la afferrarono per le braccia e per la coda e la sollevarono dalla teca posandola a terra, con l’intenzione di trascinarla via, ma una volta fuori dall’acqua alla sirena scomparve misteriosamente la coda, lasciando il posto ad un paio di gambe.
Una volta informato dello strano evento, Barbanera si precipitò nelle prigioni, seguito dalla figlia Angelica e da un giovane missionario di nome Philip, e ciò che vide lo lasciò di stucco.
La sirena sedeva a terra nuda con – incredibile ma vero – un paio di gambe strette al petto.
Philip fu svelto e la coprì con la sua camicia e lei se la strinse addosso.
«Com’è possibile?» domandò incredula Angelica.
«Non importa. Anzi, è molto meglio così: almeno, una volta a terra, potrà camminare da sola.» le rispose il padre, senza distogliere lo sguardo dalla creatura che si stringeva nella camicia bianca e ormai umida e non osava alzare gli occhi.
«Dovreste lasciarla andare. La terra non è il suo posto, in questo modo la ucciderete!» Philip cercò di far ragionare Barbanera ma, come accadeva sempre, venne deriso ed ignorato.
«Credete mi importi della sua vita, buon missionario?»
«Alla vostra anima dovrebbe.»
«La mia anima è perduta.»
Philip non rispose e chinò lo sguardo sul pavimento.
Barbanera si avvicinò alla sirena, le mise una mano sotto il mento e la costrinse ad alzare il capo.
«Sai perché sei ancora viva? Perché disgraziatamente ho bisogno di te.»
Lei non rispose, ma lo guardò dritto negli occhi con uno sguardo fiero, come a volergli dire che non si sarebbe chinata dinanzi a lui, nemmeno a costo della vita.
«Mi servono le tue lacrime.» proseguì il pirata, senza ricevere alcuna risposta «Oltre alla coda hai perso anche la lingua?»
La sirena proseguì nel suo silenzio e Barbanera, perdendo la pazienza, la schiaffeggiò con veemenza.
«Ebbene, se non lo farai di tua volontà, stai certa che troverò un altro modo. Legatele mani e piedi e lasciatela senza acqua e cibo.» ordinò, e gli zombie obbedirono veloci.
Le immobilizzarono mani e piedi legandoli stretti, così stretti da tagliarle la pelle, e la lasciarono a completo digiuno, ma non servì a molto.
Non versò nemmeno una lacrima.
 
 
 
 

Buonsalve ciurma!
Casp e Syrena se la passano male... dite che son troppo sadica?
Non posso anticipare nulla(te credo, sto ancora scrivendo gli altri capitoli!), ma posso già ringraziare tutti i lettori, silenziosi e non.
Grazie!
A presto,
C.

 
 
 
 

 
  
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