Mi sono dimenticata di una cosa importantissima. Il titolo della storia è preso, manco a dirlo, ad una canzone dei McFly. Esattamente Hypnotized, cliccate per avere un ascolto. Specifico, non c'è scopo di lucro, ma solo quello di trovare un titolo stupido XD
Il titolo di questo capitolo è, invece, di mia invenzione... Cioè, non lo è, ma fa lo stesso! E' il solito "M'ama non m'ama", non so chi l'abbia inventato, ma io l'ho usato in maniera lievemente diversa...
Metto anche un po' di fotuzze di quei quattro, dai, che così vi spacco definitivamente le scatole e non mi leggere più! Ecco Danny, Dougie, Tom e Harry. Metto anche Giovanna, la vera ragazza di Tom, che comparirà più volte. Infine, il personaggio che molte di voi stimano profondamente... Arianna. Non è proprio come la vorrei, ma si avvicina molto. Per chi la conoscesse, è la Penny Widmore del telefilm "Lost". Non uso la sua persona per scopo di lucro, è ovvio, ma solo perchè la sua immagine si avvicina molto a quella che ho nella mia testa...
Vi lascio al capitolo, spero che il "colpo di scena" non vi dispiaccia...
2. Love
You, Love You Not
Aspettava da
un’ora, seduta sulla sua valigia grigia e rigida, tutta
graffiata. Dentro a
Heathrow, il grandissimo aeroporto internazionale londinese, si stava
sentendo
piccola come una formica; aveva faticato a ritagliarsi un piccolo
quadrato di
pavimento dove sostare con la sua valigia, in attesa che qualcuno la
venisse a
prendere. Intorno a lei migliaia di viaggiatori di ogni
nazionalità, persone
che esibivano cartelli con strani nomi neri di pennarello e famiglie
che si
ricongiungevano, tra baci ed abbracci.
Ma ancora nessuno
per Joanna…
Si sistemò
nervosamente i capelli dietro alle orecchie. Si era addirittura decisa
a fare
qualcosa per quella pettinatura un po’ smorta: su consiglio
di Arianna, che
aveva perdonato quasi subito il gesto convulso dello schiaffo sulla
bocca
imputandolo ad una reazione causata dalle sue parole troppo
provocatorie, aveva
dato un bel taglio alle lunghe ciocche bionde. Adesso i suoi capelli
erano
fermi sulle spalle, lievemente mossi, con una frangetta liscia e dritta
che le
copriva la fronte. Il fidato parrucchiere di Arianna le aveva anche
ravvivato
il colore con qualche colpo di sole, stava decisamente meglio.
Al lavoro aveva
avuto dei problemi nell’annunciare di voler usufruire delle
giornate di ferie
accumulate. Non aveva compreso tutta la ritrosia del direttore del
cinema nel
darle ciò che le spettava: si stavano avvicinando
all’estate ed il numero dei
clienti era visibilmente diminuito, virtualmente non ci sarebbero stati
problemi con una persona in meno nello staff. Ad ogni modo, lui aveva
acconsentito ponendo una pesante spada di Damocle sulla sua testa: al
ritorno
dall’Inghilterra molto probabilmente non avrebbero
più avuto bisogno di lei.
Meglio, si era detta, non
sono molto brava nel
togliere chewing gum da sotto i sedili…
Ed adesso era lì,
con il cuore che batteva forte e la smania di uscire da quel posto
brulicante
di persone. Era nervosa, gingillava ritmicamente il suo piede, si
mordicchiava
le labbra. Si chiese se sarebbe piaciuta ai suoi: Danny non gliene
aveva
parlato molto, sapeva solo che aveva una sorella, Vicky,
nient’altro. Anche
lei, dal suo canto, non aveva fatto di meglio... Ma era pronta a
recuperare. Si
era promessa che gli avrebbe parlato di tutto.
Di tutto.
Sì, era pronta per
farlo, lui l’avrebbe capita e non le avrebbe voltato le
spalle. Se n’era
convinta dopo lunghissimi sforzi, aveva anche provato a recitare la
parte di se
stessa in confessione, davanti allo specchio, inutilmente, ma era
sicura che ce
l’avrebbe fatta.
Non ci devono
essere segreti.
Non la spaventava
molto la possibilità di incontrare di nuovo Dougie, anzi, si
sentiva abbastanza
certa che sarebbe tutto filato nel migliore dei modi: lui non le
avrebbe
rivolto la parola, lei neppure, fine della questione. Per quanto
riguardava
Harry, lo avrebbero zittito un paio di secche risposte. Era anche
eccitata dal
fatto di incontrare Gi, la cosiddetta ragazza di Tom:
dall’impressione avuta
nel vedere le foto di lei pubblicate su internet doveva essere proprio
una
simpatica ragazza, oltre che tremendamente carina.
La valigia sotto di
lei ebbe un sussulto, qualcuno aveva scontrato il suo piede su di essa
e la
stava sonoramente maledicendo, traballando in equilibrio su un solo
piede. Lei
non poté non sbuffare in una risata, mascherata dalla mano
mentre il tizio
recuperava la sua dignità risistemando il suo cardigan
giallino.
Per una volta
che non sono io ad inciampare contro qualcosa…
Si accomodò
sul
bagaglio e tornò in attesa, incrociando le braccia e notando
che la grande
mattonella a fantasia sale e pepe su cui si trovava sembrava contenere
il
disegno di un diavoletto con la forca in mano.
Sospirò.
Aveva razionalizzato
ogni singolo aspetto della questione e, in un conflitto interno al suo
cuore,
stavano combattendo due contrarie consapevolezze. In quei giorni,
infatti,
aveva sentito nascere dentro di sé una lei diversa, ancora
sconosciuta, che
aveva sorpassato il suo lato iperrealista e l’aveva spinta a
trovare la giusta
settimana da dedicare a quel viaggio, accompagnandola a comprare i
biglietti
dell’aereo. Dall’altro
lato, invece, si
trovava la classica Joanna, quella troppo attaccata alla
realtà vista con i
suoi stessi occhi, quella a cui non piaceva sognare e che, in mezzo a
quella
folla multi etnica, era tornata a reclamare la superficie, il suo
trono, prima
spodestata dall’altro bizzarro ed appena nato alter ego.
Era la parte di sé
che concordava maggiormente con la scetticismo di Arianna, quella che
la
costringeva a realizzare il fatto che, molto probabilmente, sarebbe
tornata da
quella settimana inglese con la coda tra le gambe.
Perché
ti ostini
a vedere quello che tra due amici non ci può essere?
Quello era il loro
rapporto: amici. Tra le variabili presenti, non si
doveva dar per
scontato quel fattore. La sua efficiente razionalizzazione non doveva
commettere quel solito grandissimo errore, non dovevano esserci pesanti
falle
nel sistema del suo perfetto calcolatore. Tutto quello che stava per
accadere
non avrebbe voluto dire molto: Danny l’aveva voluta ospitare
a casa sua come
gesto di amicizia, di cordialità. Le voleva presentare la
sua famiglia perché
ci teneva a lei, non perché... Volesse dimostrarle
qualcos’altro.
La sua
famiglia…
Le sue guance
diventarono di un paonazzo strabiliante e non poté fare
altro che cercare di
nasconderle guardando a terra, mentre i capelli le scendevano in
avanti.
Improvvisamente ebbe voglia di fuggire, di scappare via, di tornare a
casa dove
tutto quello sarebbe diventato solo un ricordo, un errore, una
confusione
lontana e dimenticata.
Pentiti di
aver
accettato il suo invito.
Ma non doveva
farlo, assolutamente no. Prima o poi l’innamoramento sarebbe
passato, ne era ovviamente
certa: quel sentimento era stupidamente nato a causa della lunga
assenza di
Danny. Si era preoccupata, era stata male per lui... E si era fatta
prendere la
mano, ora sarebbe stato sufficiente mettere il piede sul freno.
Nel momento in cui
si fosse trovata faccia a faccia con Danny, si sarebbe data della
cretina per
tutto quel pensare. Era il migliore amico che avesse mai avuto in tutta
la sua
vita, e lo sarebbe stato per sempre. O per lo meno finché
non si fossero
stancati l'uno dell'altra.
Un paio di piedi in
avvicinamento la distrassero.
“Sei tu Joanna?”,
le domandò una ragazza dai capelli scurissimi,
innaturalmente neri. Il trucco
era pesante sui suoi occhi e la sua maglietta rossa piena di scritte
era
alquanto bizzarra.
La squadrò. Chi
era?
“Sì…”, le disse,
titubante.
“Oh finalmente!
Sono dieci minuti che ti cerco tra tutte le ragazze che stanno qua agli
arrivi
internazionali!”, esclamò l'altra, annettendo una
sonora risata, “Io sono
Vicky, la sorella di Danny.”
Le porse la mano,
stringendogliela con un sorriso.
Avrebbe dovuto
capirlo subito.
“Come stai?”, le
chiese la ragazza, “Com’è andato il
viaggio?”
“Tutto a posto, è
stato abbastanza tranquillo.”, le rispose.
Sporse gli occhi
oltre il suo corpo per cercare Danny, ma non vide nessuno.
Lei comprese
subito.
“Mio fratello non è
venuto perché… Sai…”, le
disse l’altra, ridacchiando, “Preferiva non
trovarsi
a... Dare spiegazioni...”
“Sì, lo capisco.”,
le rispose.
Cercò i tratti
somiglianti tra i due fratelli Jones: di sicuro, primi tra tutti i
grandi occhi
–quelli dei lei però erano scuri- e il sorriso
pieno in volto. E l’accento.
“Andiamo. Ho la
macchina in divieto di sosta!”, disse la ragazza,
afferrandole la valigia e
cominciando a trascinarla, “Dio! Com’è
leggera! La mia peserebbe un quintale!”
Joanna non poté non
ridere alla spontanea simpatia di quella ragazza. Era proprio sua
sorella, non
c’erano dubbi.
Durante il viaggio,
la parlantina veloce e acuta di Vicky la stordì
completamente. Era un treno in
corsa, sparava frasi ad una velocità tale che dovette
fermarla più volte e
chiederle di ripetere tutto, dato che non aveva ben colto il
significato di
alcune parole ed il suo accento, tipico del nord
dell’Inghilterra, era talvolta
piuttosto criptico. Nonostante ciò la lunga conversazione le
rimase impossibile
da comprendere per un bel sessanta percento.
Le riferì che Danny
aveva parlato molto spesso di lei, che sapevano un mucchio di cose
sulla sua
vita e che erano tutti molto ansiosi di conoscerla. Quando Kathy, la
loro
madre, aveva visto la sua foto aveva pensato subito che fosse stata la
ragazza
di Danny, e lui aveva prontamente riparato spacciandola come una sua
amica
speciale.
“Guarda che dice
bene.”, disse Joanna, “Siamo solo amici!”
“Oh sì, su questo
non ci sono dubbi!”, esclamò la ragazza, con un
gesto secco della mano ad
enfatizzare la sua risposta.
Visto? Che ti
dicevo? Pure la sorella ne è certa!
“A casa sua
ci sono
già gli altri.”, le disse Vicky, prima che potesse
mentalmente zittire la
vocetta della petulanza.
“Oh bene.”,
rispose, con tono assente.
Il termine ‘gli
altri’ doveva comprendere i tre quarti dei McFly,
ma non ebbe però tempo di
accertarsene. Vicky tornò di nuovo a parlare, dicendole che
anche lei aveva un
gruppo tutto suo, gli Yes Sensei, con i quali
suonavano rock alternativo,
hardcore. Speravano anche loro in un contratto ed erano già
in trattative con
un’etichetta che promuoveva gruppi del loro stesso genere
musicale.
“Allora è una cosa
di famiglia.”, disse Joanna, in un attimo libero dalle parole
dell’altra.
“Beh sì, la musica
è parte di tutti noi!”, esclamò felice
l’altra.
Il viaggio fu più
lungo del previsto, il traffico londinese le teneva bloccate in vie
strette e
ostruite da auto in doppia fila, cosa che a Vicky fece scappare un paio
di
sorde parolacce per le quali prontamente si scusò.
In circa
quarantacinque minuti furono a Watford, zona periferica di Londra, dove
Danny
viveva. L’auto si fermò nei pressi di una precisa
casa davanti alla quale
sostavano anche altri veicoli. Era fin troppo tipicamente inglese,
esattamente
come se l’era immaginata: sistemata su due piani, con una
piccola mansarda che
spuntava sul tetto, aveva un giardino tutto intorno contornato da una
siepe
abbastanza alta; la facciata era scura e pressoché simile a
tutte le altre, di
legno e mattoni, con gli infissi chiari ed una piccola veranda che
sovrastava
l’entrata principale.
Poco prima di
entrare, Vicky la informò che anche gli altri abitavano
lì vicino.
“Quella laggiù è
casa di Harry. Quella là è di Dougie,
lassù ci stanno Tom e la sua ragazza.”,
le fece, indicandole con gesti talmente rapidi che Joanna non fu in
grado di
capire.
“Vivono tutti sulla
stessa strada?”, le domandò, perplessa.
“Sì, da sempre!”,
fece lei, sorridendo, “Non lo sapevi?”
Scosse la testa.
“Tutte le loro fans
lo sanno!”, le disse la ragazza, con un’occhiata
strana, “Non sei una di quelle
che spulciano i siti in cerca di ogni più piccola
informazione su di loro?”
“Beh… Perché dovrei
farlo?”, scrollò le spalle Joanna,
“Potrei chiederle a Danny, se volessi
saperle.”
Vicky continuava ad
essere perplessa.
“Ecco, ora riesco
ad inquadrare un paio di cose!”, fece poi, sorridendo ancora.
Lo stesso
sorriso.
“E
quali?”, le
domandò, ma lei non rispose.
Vicky afferrò con
forza la valigia dal bagagliaio e, strizzandole un occhio, la
tirò fuori in un
solo balzo. Poi, tenendo la maniglia con entrambe le mani, si fece
strada nel
corto vialetto di casa di suo fratello. Joanna si offrì di
darle una mano,
inutilmente; lei rifiutò e, con il fiatone,
parcheggiò il bagaglio davanti alla
porta, mettendosi le mani davanti alla bocca.
“Siamo arrivate!”,
gridò così forte da far volar via un paio di
uccellini, posatisi sui rami della
siepe.
Gli occhi
sorridenti di Danny spuntarono fuori dalla porta.
“Little!”, esclamò
lui, passando oltre alla sorella, che scacciava via il caldo e lo
sforzo con
una mano sventolante vicino al viso.
Joanna sentì un
tuffo al cuore e la pancia serrarsi in una stretta felice.
Danny le venne
incontro, la abbracciò e, afferrandola con forza, la
sollevò più in alto della
sua testa.
Aspettiamo
altri
cinque minuti, questo sfarfallio allo stomaco è solo un
effetto momentaneo.
“Com’è
il tempo lassù, Little?”, le chiese,
scoppiando poi in una risata che coinvolse anche lei.
“Soffro di
vertigini, mettimi giù!”, gli fece.
La fece tornare con
i piedi per terra, anche se ormai era praticamente impossibile
riuscirci.
“Com’è andato il
viaggio?”, le domandò, passandole un braccio sulle
spalle e accompagnandola
dentro casa.
Il volo, come
sempre per lei traumatico, ed il sorriso di Danny erano un buon
cocktail di
stordimento.
Facciamo
dieci minuti...
anzi, un quarto d’ora, e lo sfarfallio passerà.
“Bene,
non ero in prima classe ma mi sono
adattata.”, scherzò lei.
“Sei stanca? Vuoi
riposare un po’?”, le chiese, con fare premuroso.
“No, sto
bene, davvero.”, ripeté.
“Meglio! Perché
sono già arrivati tutti!”, fece lui, con
entusiasmo.
“Oh... bene!”,
disse, senza troppo entusiasmo, “Ho almeno il tempo di
aggiustami un po’?”
“Eh no, adesso non
più!”, disse lui ridendo, “E poi si
perfetta così... Il nuovo taglio ti sta
molto bene!”
Arrossì.
Mezzora.
Ancora
mezzora.
“Davvero?”,
gli
chiese, per sentirselo dire ancora.
“Sì, adesso sembri
più grande!”, esclamò Danny,
precedendola nel breve corridoio.
Non era proprio il
tipo di complimento che si aspettava, ma lo accettò lo
stesso.
Come non
detto... Sei patetica.
Non ebbe nemmeno il
tempo di guardarsi intorno e si trovò subito in un salotto
accogliente, dove i
due sofà ospitavano diverse facce. Riconobbe subito quella
di Tom, inconfondibile,
ed anche quella di Giovanna che le sorrideva impaziente, seduta accanto
a lui,
mentre vicino si era accomodata Vicky. Un altro divano se ne stava
incrociato
con quello, formando un angolo occupato da un tavolino rotondo di legno
con
fatture orientali; sul sofà sostava una signora sulla sua
cinquantina, bionda.
Se quella non
è
la mamma di Danny, io sono Maria Luisa Ciccone.
Ad entrambi i figli
aveva dato i suoi splendidi occhi e la solarità del sorriso,
erano
inconfondibili. Vicino a lei Harry, sempre beffardo nel suo aspetto.
Non trovò
Dougie: forse si era assentato, molto probabilmente non era nemmeno
venuto.
“Allora, passiamo
subito alle presentazioni.”, disse Danny, strusciandosi le
mani indaffarato,
“Uhm... Mamma, questa è Joanna.”
La donna si alzò e,
sempre con il solito sorriso luminoso, le prose la mano cordiale. Si
sentì
visibilmente imbarazzata e questo la fece sentire ancora più
atterrita.
“E’ un vero piacere
conoscerti, Joanna.”, le disse la donna.
“Il piacere è tutto
mio... Signora Jones.”, rispose, stringendole la mano.
“Kathy, chiamami
Kathy.”, le fece, “O mi farai sentire troppo
vecchia.”
Ridacchiò e Joanna
non trovò di meglio da fare che, come al suo solito,
arrossire.
“Accomodati,
Little.”, la esortò Danny.
“Non mi presenti?”,
protestò Giovanna, scattata sugli attenti.
E finalmente
conobbe anche lei: la stretta di mano di Giovanna fu così
forte e calorosa che
Joanna fu costretta a nascondere con un sorriso una lieve smorfia di
dolore.
Era mora, così come aveva visto nelle fotografie sul web, ed
i capelli le
cadevano lunghi sulle spalle; era sicuramente una bella ragazza, sia
nell’aspetto che nella presenza.
Approfittando della
situazione salutò con un abbraccio anche Tom, e con una
fredda stretta di mano
Harry.
“Adesso puoi
finalmente accomodarti, Little.”, la esortò Danny,
già sedutosi su una comoda e
larga poltrona di fronte a lei.
Le indicò il posto
libero accanto al batterista che, ironicamente, prese a picchiettare la
mano
sulla stoffa del sofà per invogliarla.
“Hai fatto buon
viaggio, Jojo?”, le chiese, in tono scherzoso.
“Oh sì, non mi sono
lamentata.”, rispose lei, che non ebbe la forza di
controbattere con qualcosa
di altrettanto divertente.
Si sentiva gli
occhi concentrati su di sé, la mettevano abbastanza in
soggezione. Era nervosa
e sicura che gli altri se ne stessero accorgendo, notava tra di loro un
certo
disagio: gli sguardi che si lanciavano erano eloquenti.
“Vuoi qualcosa da
bere?”, le fece la signora Kathy, indicandole con un gesto
educato le bottiglie
presenti sul tavolino tondo alla sua sinistra, “Un
po’ d’acqua?”
“Beh... Sì,
grazie.”, rispose.
Mi ci
affogherò,
grazie mille.
La donna le porse
il suo bicchiere e, nel silenzio, prese il primo sorso. In quel
momento, si
chiese come mai non ci fosse alcun uomo al suo fianco, e quindi dove
fosse il
padre di Danny.
“Ormai sappiamo
tutto di te.”, continuò la donna, “Non
so nemmeno cosa chiederti di preciso,
Danny ha sempre fatto la spia!”
“Già, come se
fossero stati fatti nostri.”, aggiunse Harry.
“E dai, Judd!”,
esclamò Danny, “Dillo che è mancata
anche a te!”
“Tantissimo!”,
disse il batterista con sarcasmo, “Jojo, mi sei mancata da
morire.”
“Anche tu.”, gli
rispose, trovando un po’ di coraggio, “Mister
Drummer McHot.”
Harry parve non
scomporsi alla citazione della sua identità online; gli
altri, invece, erano
del tutto sorpresi, pronti a scoppiare a ridere da un momento
all’altro.
Beccati
questa!
“Certo che
sei
proprio il solito narciso.”, disse Giovanna, sogghignando.
“Drummer McHot!”,
ripeté Danny, “Hai anche una bella fantasia del
cazzo!”
“Daniel!”, lo
riprese d’improvviso sua madre.
Quella volta fu lui
ad avvampare, dalla punta dei capelli ricci fino all’ultimo
centimetro dei
piedi.
Ok, datemi
almeno un’ora, poi questo falso innamoramento
passerà.
Sì, sarebbe
sicuramente passato. Con il bicchiere tra le mani, attese che le prese
in giro
rivolte a Danny si concludessero ma, data
l’ilarità generale, non sembravano
essere destinate a finire presto.
“Cosa c’è da
ridere?”
In un attimo, tutti
si zittirono. I loro sguardi si fissarono in un punto alle sue spalle,
dal
quale era arrivata quella voce femminile. Con la coda
dell’occhio, Joanna notò
una statuaria presenza. Si voltò per osservarla e la ragazza
le sorrise.
“Sei tu Joanna,
vero?”, le domandò l’altra.
Occhi di un verde
brillante. Era abbastanza alta, o forse era lei ad
essere solo seduta.
Aveva un piccolo brillante sul naso, lievemente sproporzionato rispetto
al
resto della faccia, che comunque era molto armoniosa.
Hey, Jo,
indovina chi viene a cena?
“Finalmente!”,
esclamò Danny, avvicinandosi a colei, “Little, ti
presento Tamara, la mia
fidanzata.”
“Molto piacere.”,
disse la ragazza, porgendole la mano con educazione, “Spero
che ti troverai
bene a casa nostra.”
Joanna,
completamente statica nella sua espressione muta, venne svegliata dal
bicchiere
che aveva tra le mani, che sentì sguisciare via. Harry,
provvidenzialmente,
glielo aveva tolto dalle dita pericolanti e, con fare indifferente, se
lo era
portato alle labbra, mettendosi a bere l’acqua rimasta.
“Oh… Sì, mi troverò
sicuramente benissimo!”, esclamò Joanna con troppo
entusiasmo, alzandosi e
stringendole la mano come un automa a cui avevano fatto
un’overdose di felicità
assoluta.
“Ecco perché non mi
sono fatto più sentire per due mesi.”, le
spiegò Danny, “Tra il lavoro, gli
impegni vari e il trasloco di Tamara in casa mia, non avevo
più tempo per
niente e per nessuno, nemmeno per me. Mi dispiace davvero tanto,
Little.”
“Ma figurati!”,
disse Joanna, “Adesso capisco tutto…. Sono proprio
felice per voi!”
Visto il suo
atteggiamento, l’automa doveva avere sniffato anche una lunga
striscia di
malsana ipocrisia. In quel momento si sentì tanto simile a
sua madre, che aveva
finto per trent’anni di essere felicemente sposata con
l’uomo della sua vita.
Si disgustò di se stessa.
Ebbe davanti a sé
una preveggenza su come sarebbe stata quella settimana inglese: piena
di
finzioni e di falsità, di frasi costruite appositamente per
mascherare ciò che
aveva dentro.
“Ma che
bel quadretto!”, irruppe poi Harry,
“Ora che ho visto tutto, addirittura senza essere colpito
dalla sindrome di
Stendhal, me ne vado a casa.”
Si alzò.
“Di già?”, lo fermò
Tamara, “Non vuoi rimanere a cena?”
“Oh no, grazie
mille comunque.”, declinò l’invito.
“E poi domattina ci
dobbiamo alzare presto…”, continuò
Danny, con entusiasmo, “Ho organizzato per
tutti noi qualcosa di molto divertente.”
“E cosa?”, domandò
Tom, evidentemente interessato.
“Una bella gita
nella campagna inglese, che non ha niente da invidiare a quella
italiana.”, si
spiegò patriotticamente, “Partiremo sul presto,
verso le otto, e andremo in un
maneggio. Prenderemo dei cavalli e ci faremo in giro. Che ne dici,
Little?”
Era perplessa.
L’ultima volta che era andata a cavallo, l’animale
si era imbizzarrito e ci
mancò poco che non la schiacciasse sotto il suo peso.
“Che bella idea…”,
disse, senza troppo vigore.
“Non ti va?”, le
domandò subito Danny, cogliendo qualcosa di nascosto nelle
sue parole.
“Oh sì, certo che
mi va!”, si affrettò a negare tutto.
“Domani non
posso.”, disse Giovanna, “Ho le prove con la
compagnia. A fine mese siamo di
scena e non posso mancare.”
Giovane, attrice in
erba, non poteva mancare ad una delle prove per quella giornata, la
capiva
perfettamente.
“Peccato…”, disse
Danny, visibilmente dispiaciuto, “Tom, verrai vero?”
“Vedremo, non lo
so.”, rispose lui, “Non è che mi senta
tanto bene.”
La sua voce
fortemente nasale, infatti, non era di buon auspicio.
“Cavolo…”, fece
Danny.
Anche se con
estrema ripugnanza, Joanna si voltò verso il batterista.
Se mi
costringi
a passare del tempo insieme
a loro due,
da sola, mi fucilo. Poi resusciterò, e fucilerò
anche te.
“Ok, ci
sarò. Ma
non sarò puntuale!”, disse Harry, comprendendo il
pensiero che aveva cercato di
trasmettergli con uno sguardo implorante, “Ora vado, prima
che mi arruoliate
per un pic-nic sull’erba umida.”
“E’ quello che
faremo domani!”, gli disse Danny.
“Allora spera che
non porti la mia mazza da cricket per dartela in testa!”
E dette quelle
parole, Harry sparì dietro la porta di ingresso. Poco dopo
anche Tom e Giovanna
se ne andarono, preoccupati soprattutto per il precario stato di salute
di lui.
“Bene, vado a
preparare la cena!”, disse la signora Kathy .
Si chiuse da sola
in cucina, ed ordinò loro di rimanere buoni in salotto in
attesa della sua
chiamata.
Stupido.
Altamente stupido.
In sintesi, da
quando era tornato dall’Italia la parola che più
veniva pronunciata dalle
labbra di suo fratello, in territorio di argomentazione femminile, era
‘Little
Joanna’. Ben presto ne aveva avuto le scatole piene
ed aveva reputato
un'idiozia che suo fratello perdesse tempo dietro ad
un’italiana lontana e mai
vista prima, alla quale mandava delle e-mail come se fossero stati dei
deficienti senza vita sociale.
“Basta!”, gli aveva
detto la sera di Natale, “Quando te la sposi questa
Joanna?”
“Mai!”, aveva
risposto lui, “Perché dovrei farlo? E’
una mia amica!”
“Ne parli così
spesso che non sembrate affatto amici.”, aveva ovviamente
ribattuto.
Lui non le aveva
risposto, cosicché lei era tornata presto
all’attacco.
“Dimmi, Dan”, gli
fece, “non sono una stupida, cosa c’è
stato tra di voi?”
“Niente!”, aveva
risposto lui.
Uno sguardo
eloquente era bastato per farlo confessare. Non era mai stato molto
propenso al
raccontarle delle sue vicende sentimentali ma, quando lei aveva voluto
sapere
particolari al riguardo, era sempre stato sufficiente puntarlo con un
paio di occhi
indagatori.
“Ok… Ci siamo
baciati.”, aveva detto, “Ma è finita
subito lì.”
“Ovviamente! Non
sei stato capace di tenerti stretto nessuna ragazza della tua stessa
nazionalità, figuriamoci una che abita a duemila chilometri
da casa tua!”
“Vick, non tornare
su questi argomenti, per favore.”, aveva detto Danny.
“Ho ragione!”
Certo che aveva
avuto ragione, nelle loro discussioni era sempre lui dalla parte del
torto, era
fuori discussione.
“E basta!”, si era
stizzito Danny, “Convincitene, siamo amici.”
“Sai quel famoso
detto?”, gli aveva domandato.
“Quale?”
“Anche la bugia più
grossa del mondo, se detta fino allo stremo delle forze, diventa
un’assoluta
verità.”
Danny l’aveva
piantata in asso, evitando di ribattere e lasciando la stanza.
“Ho ragione!”, gli
aveva ripetuto, prima che lui sbattesse la porta.
Due settimane dopo,
la classifica delle parole più pronunciate da Danny venne
totalmente stravolta:
Little Joanna era stata scalzata via dalla prima posizione, battuta da
una
nuova ragazza, Tamara, con cui aveva deciso di convivere un mese dopo
averla
conosciuta, sotto gli occhi e le orecchie incredule di tutti. Come se
avesse
dovuto dimostrare qualcosa al mondo, ma soprattutto a lei, alla sorella
scettica... Era stata quella l’impressione che aveva avuto
quando Danny
gliel’aveva presentata con un sorriso dei suoi, uno di quelli
che era capace di
svegliare anche un morto.
Ma si era dovuta
però ricredere, suo fratello sembrava aver trovato davvero
–finalmente-
qualcuno di vero e genuino con cui passare i suoi giorni. E poi Tamara
era
veramente una ragazza simpatica, gentile, acqua e sapone, che aveva
trovato
anche la piena approvazione di mamma. Little Joanna sembrava quindi
essere
destinata a tramontare.
Ma…
“Mi ha chiamato
Daniel.”, le disse una sera sua madre, per telefono,
“Dice che ci vuole un paio
di giorni da lui, tra due fine settimana.”
“E perché?”, le aveva
domandato.
“Ti ricordi quella
ragazza che mandò i fiori quando stavo in
ospedale… Quella ragazza italiana?
Danny vuole farle conoscere Tamara e, visto che salirà in
Inghilterra, ha
voluto che cogliessimo l’occasione.”
Così quel coglione si
era giustificato con una faccia cristallina, senza malizia di sorta.
Che
idiota.
Non gli aveva detto
niente e non aveva cercato di farlo ragionare: dopo la discussione di
Natale
non aveva più specificato il suo punto di vista sulla
questione, si era sempre
astenuta da commenti. In fondo, la vita era di suo fratello, a lei
doveva
interessare poco. Aveva quindi accettato di andare a casa sua con mamma
ed
anche di prelevare a Heathrow questa Joanna, che aveva visto in
fotografia ma
di cui non si ricordava molto né faccia né
aspetto fisico generale. Non era mai
stata una buona fisionomista: una volta all'aeroporto aveva dovuto
chiamare
Danny per farsela descrivere altrimenti sarebbe tornata a casa a mani
vuote,
con suo grande disappunto.
Come le persone
normali facevano da millenni, durante il viaggio aveva provato a
conversare con
lei ma, a dispetto di quello che le aveva detto Danny, non doveva
parlare molto
bene l’inglese; continuava sempre a chiederle di ripetere,
cosa che l’aveva
infastidita parecchio, e non era una tipa granché loquace. A
lei piacevano le
persone spigliate ed alla mano, i suoi gusti erano molto affini a
quelli di suo
fratello.
Proprio per quello
si chiese come quei due potessero essere amici.
Volle osservare
anche il suo rapporto con gli altri, Tom ed Harry, per riuscire a
carpire cosa
pensassero di lei. Non aveva mai ascoltato tutta la storia della
vacanza
italiana, e si doveva essere persa qualche passaggio fondamentale.
Aveva notato
che la ragazza sembrava essere rimasta in buoni rapporti con Tom, ma
non con
Harry.
Non era con
Dougie che era successo quel casino, in cui si era trovato nel mezzo
anche
Danny?, si
chiese. Peccato che
Poynter non si fosse presentato.
Ma tutto quello non
era stato niente in confronto a quello che aveva vissuto dal momento
dell’ingresso di Tamara, assentatasi per andare in bagno al
momento dell’arrivo
dell’italiana. In un baleno, si era resa conto che quella
povera ragazza aveva
preso una cantonata pazzesca per quell’idiota di suo
fratello. E si era trovata
a provare compassione per lei...
Per quel motivo
volle provare a fare del suo meglio per togliere quella poveretta dal
casino in
cui quell’incosciente di Danny l’aveva tirata in
mezzo. Non appena sua mamma si
assentò per chiudersi in cucina a preparare qualcuno dei
suoi manicaretti da
paradiso, ne approfittò per prenderla in disparte e
chiacchierare un po’ con
lei.
“Ti aiuto a portare
su la valigia.”, le disse, alzandosi dal divano,
“Così ti dai una rinfrescata e
sei pronta per cena.”
“Faccio io.”, si
intromise prontamente Danny.
“No, faccio io!”,
gli impose con uno sguardo secco.
“E dai!”, ripeté
Danny.
Che fratello
idiota.
“Mettiti a
sedere.”, lo afferrò per un braccio, “Ti
ho detto che ci penso io, mi vuoi dare
l’occasione di conoscere privatamente questa tua amica oppure
no?”
Poteva anche essere
dieci centimetri più alto di lei, ma era comunque Vicky
Jones a portare i
pantaloni in casa.
“Ok, come vuoi.”,
si era arreso lui.
“Vieni.”, disse a
Joanna, con un sorriso.
Le prese la valigia
e, con un certo sforzo, la accompagnò nella stanza degli
ospiti dove lei
avrebbe alloggiato.
Com’era possibile
che Danny non avesse capito che quella povera ragazza era innamorata di
lui?
Nonostante lei avesse reagito con calore alla notizia, dopo la sorpresa
iniziale era stata palese davanti ai loro occhi. Aveva mascherato
abilmente il
suo stato d’animo con un bel sorriso e parole felici, ma non
la fregava.
“Allora”,
le fece, una volta posata la valigia
per terra e sistematasi sul letto, “cosa mi racconti di te
che io non sappia già?”
“Beh… Non lo so.”,
rispose l’altra, iniziando ad armeggiare con il bagaglio,
“Cosa vuoi sapere?”
“Vediamo…”, fece.
Accavallò la gamba, appoggiò le mani sul
materasso e iniziò a dondolare il
piede, sui cui ciondolava la ballerina che indossava. “Cosa
ne pensi di
Tamara?”, le domandò con fare diretto.
L’avrebbe
sicuramente spaventata facendosi passare per impicciona, ma non aveva
voglia di
giocare con lei a guardia e ladri ed aveva deciso di puntarle
direttamente la
lampada indagatrice sugli occhi.
“E’ una bella
ragazza, lei e Danny formano una bellissima coppia, sono contenta per
loro.”, rispose
Joanna, sicura e indelebile, come se avesse recitato un copione a
memoria.
“Sì, questo lo
penso anche io.”, le rispose, “Si sono conosciuti
poco dopo Natale, ad una
festa.”
“Ah sì?”, fece lei,
mentre apriva la valigia, appoggiandola contro il muro.
“Hanno deciso di
convivere un mese dopo.”
“Si vede che si
vogliono bene.”, rispose l’altra di nuovo, mentre
caricava sul suo braccio dei
beauty case da viaggio.
I casi erano due:
Joanna poteva essere una bravissima attrice, oppure lei aveva preso
lucciole
per lanterne. La sicurezza che questa ragazza fosse cotta di Danny
iniziò a
vacillare, doveva coglierla in fallo.
“Dove posso mettere
queste cose?”, le domandò Joanna.
“Hai un bagno tutto
per te.”, la informò, indicandole la porta bianca
vicino alla finestra di
fronte al letto, sulla stessa parete sui cui si appoggiava
l’armadio.
La ragazza si
avvicinò alla toilette.
“Forse si
sposeranno.”, insinuò Vicky.
In un attimo, le
varie cose che teneva in braccio caddero a terra, mancando
improvvisamente il
sostegno delle sue mani sotto di esse.
L’aveva
fregata.
Senza scomporsi di
una virgola, Joanna si chinò per raccoglierle.
“Non
è vero.”, le fece prontamente, “Volevo
solo vedere come reagivi.”
“Sono solo
tremendamente goffa, forse Danny non te lo ha mai detto.”, si
corresse lei.
“Certo che lo so.”,
le disse, “E so anche che non ti aspettavi di trovare mio
fratello fidanzato
così seriamente con qualcun’altra.”
Joanna le sorrise
con fare sincero.
“Hai ragione, mi ha
colto davvero di sorpresa.”, esclamò poi,
“Perché dovrei preoccuparmi?”
Era irriducibile e
lei aveva troppa fame per insistere ancora. Gliela volle dare vinta.
“Già… non c’è da
preoccuparsi.”, le disse, desistendo, “Adesso ti
lascio, torno giù. Per
qualsiasi cosa, chiama pure!”
Ormai non era più
affar suo.
Vi è piaciuto? Spero di sì. Non è facile trovare il volto di questa Tamara, ma penso che ricorrerò ad un tipo di ragazza come Evangeline Lilly, sempre di "Lost" [nessun scopo di lucro]. Non è lei, affatto, ma pensate a una ragazza che le somigli... Alta, longilinea, viso liscio e allungato, bel sorriso e occhi chiari... Tanto per darvi un volto a cui pensare e rendere il personaggio ancora più reale... Anche perchè è pure troppo bella per Danny XD
Poi immaginateli tutti come volete XD