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Autore: earlgreytea68    03/11/2014    8 recensioni
Sherlock Holmes, studente.
Sì, in pratica è tutto.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Saving Sherlock Holmes

 

 


 

Sherlock era passato dal negare di essere malato all’essere, come diceva lui, in punto di morte. Mycroft si sarebbe preoccupato per lui se avesse detto di non esserlo. Rassicurato, invece, dal fatto che il tipico melodramma alla Sherlock significava che si trattava di un semplice raffreddore, Mycroft lo aveva messo a letto (guadagnandosi un’occhiataccia) e aveva chiesto al cuoco di preparare del brodo di pollo per cena. 
Sherlock chiaramente non era rimasto a letto, giudicando dal suono di violino che proveniva da dietro la porta chiusa della sua camera. Preferiva violare le direttive di Mycroft nel modo più ovvio possibile invece di limitarsi a fare qualcosa di meno ribelle, come lavorare ai suoi esperimenti. 
Mycroft si sistemò nello studio di sua madre, lontano dalla stanza da letto. Poteva sentire il violino anche da lì ed era confortante, in realtà. Fin tanto che Sherlock suonava il violino, allora si sentiva abbastanza bene da essere molesto, e quello era un bene. Prese un respiro profondo e aprì il primo cassetto della scrivania. 
Sua madre era stata una persona organizzata e Mycroft aveva sempre apprezzato quel lato di lei. Non gli ci era voluto molto, davvero, per occuparsi della maggior parte delle cose a cui bisognava pensare. Decise che la cosa primaria di cui doveva preoccuparsi ora era, come sempre, Sherlock: non sarebbe andato a Eton prima di due anni, perciò Mycroft doveva decidere come gestire quel periodo. 
Avevano, pensò, due opzioni: Sherlock poteva cambiare scuola e andare in un collegio, il che gli avrebbe permesso di non preoccuparsi per lui mentre era all’università, vacanze scolastiche a parte. O poteva restare nella sua scuola attuale e Mycroft avrebbe cercato qualcuno che lo tenesse d’occhio mentre lui era lontano. 
Sua madre aveva sempre lasciato a Sherlock tantissima libertà, trasformandolo nella testarda, ostinata creatura che era, ma Mycroft sapeva che non era possibile lasciarlo solo nella casa, senza altra supervisione che quella del maggiordomo. 
Così prese una decisione, raggiunse la camera di Sherlock e bussò rapidamente sulla porta. 
Il suono del violino s’interruppe. “Puoi entrare!” disse Sherlock dopo un secondo. 
Mycroft aprì la porta e aggrottò le sopracciglia in direzione di Sherlock che, rimboccato nelle coperte fino al mento, lo guardava con fare innocente. 
“Posso sentirti suonare il violino, Sherlock,” disse. 
“Non so di cosa stai parlando,” replicò lui, vagamente, gli occhi gioiosi per il raggiro. 
Fortunatamente per quello e non per la febbre, pensò Mycroft, entrando nella stanza e spostando la sedia della scrivania vicino al letto. “Dobbiamo parlare,” disse. 
“Altrimenti non avresti interrotto la mia convalescenza,” commentò Sherlock, allegramente. 
“Cosa vorresti fare con la scuola?”
“Non andarci,” disse Sherlock. 
“Non è un’opzione.”
“Perché no?”
“Perché devi andare a scuola. La questione è chiusa.”
“La questione non è chiusa,” disse Sherlock e cominciò a tossire con l’entusiasmo della sua asserzione.
“Sarebbe saggio da parte tua scegliere battaglie che hai la possibilità di vincere. Questa non è una di quelle. So che sei molto intelligente e che probabilmente potresti insegnare gran parte delle lezioni tu stesso.”
Tutte le lezioni,” lo corresse Sherlock, un po’ rauco dopo l’attacco di tosse. 
“Va bene. Tutte quante. Non è solo per quello che esiste la scuola. Devi imparare a stare insieme ad altre persone; è una cosa che dovrai fare per tutta la vita.”
“Sono tutte noiose. Le odio.”
“Le persone generalmente sono noiose. E perché dovresti fare qualcosa di diverso dall’odiarle? Bisogna coltivare delle conoscenze, Sherlock, non degli amici, lo sai.”
Mycroft guardò Sherlock e pensò alle parole che la mamma gli aveva inculcato durante oh, così tante partite a scacchi. Tenerci non è un vantaggio, Mycroft.* 
Mycroft guardò Sherlock, a cui ovviamente teneva, e pensò a tutte le cose che ultimamente aveva fatto proprio per questo. Sua madre aveva valutato bene cosa comportava affezionarsi a qualcuno, ma Mycroft non vedeva come avrebbe potuto cambiare la situazione. 
Decise che al momento il tenere a Sherlock non sarebbe stato la causa della sua rovina. Avrebbe vinto ogni sfida che gli si fosse presentata e si sarebbe occupato di Sherlock al tempo stesso. Se qualcuno poteva riuscirci, quel qualcuno era lui. 
Presa quella decisione, Mycroft prestò la sua attenzione al problema più prossimo. “Ti piacerebbe cambiare scuola?”
Sherlock non sembrò eccitato all’idea. “E andare dove?”
Mycroft scrollò appena le spalle. “Sono sicuro che troveremo delle opzioni. Il punto è che potresti alloggiare da qualche altra parte.”
“Invece che vivere qui?” chiese Sherlock.
“Esattamente.”
Sherlock restò in silenzio per un lungo momento, lo sguardo imperscrutabile. Poi disse, soppesando le parole, “Preferirei di no.”
Mycroft lasciò correre. C’era un fondo di vulnerabilità nella risposta di Sherlock e sapeva che lui la odiava. Se Sherlock desiderava restare in questa casa, allora sarebbe rimasto in questa casa. Avrebbe già dovuto affrontare grandi sconvolgimenti, non era necessario che Mycroft lo costringesse anche ad andare in collegio.
“Allora ti farebbe piacere cambiare scuola qui?”
Sherlock valutò la cosa. “No,” decise. “Immagino che la Hall sia buona quanto qualunque altra.”
“In più, è dove sono andati tutti gli Holmes,” gli fece notare Mycroft.
Sherlock sembrò dubbioso su quel punto ma disse, semplicemente, “Resterò alla Hall. Se devo andare a scuola.”
“Devi andare a scuola. Proprio come io devo andare a Cambridge.” Mycroft esitò. “Ecco... Non ti aspetti che io...” Sherlock lo guardò, colpito da quell’inusuale insicurezza nel parlare. Mycroft prese un bel respiro. “Era mia intenzione tornare all’università. Non resterei qui con te.” Gli venne in mente che non sapeva cosa avrebbe fatto se Sherlock si fosse lamentato di quello, se lo avesse voluto più vicino. Davvero non aveva preso in considerazione la possibilità di lasciare Cambridge. 
“Ovviamente devi tornare all’università,” disse Sherlock. “Se io devo andare a scuola, tu devi andare a Cambridge; e di certo non ti voglio qui.” Starnutì per sottolineare il punto. 
Mycroft sorrise, sollevato. “Così avevo previsto. Dovremo assumere qualcuno per stare con te.”
Sherlock sembrò oltraggiato. “Cosa?”
Mycroft ignorò l’esclamazione. “Qualcuno che si assicuri che tu mangi decentemente, vada effettivamente a scuola e che ti pettini i capelli di tanto in tanto.”
“Ho un maggiordomo per quello.”
“Non è compito del maggiordomo prendersi cura di te in quel modo.”
“Ho undici anni,” annunciò Sherlock, con il tono più altezzoso che il suo naso chiuso gli permise di ottenere. “Spetta solo a me badare a me stesso.”
“E’ mio compito prendermi cura di te,” disse Mycroft. “Cosa potrei mai dire a Iphigenia se dovesse accaderti qualcosa mentre sono all’università? Come potrebbe mai sopravvivere, Sherlock caro? Ne sarebbe distrutta.”
Sherlock ridacchiò, una cosa che faceva di rado, e Mycroft ne fu contento. 
“Credo che la perseguiterei,” decise Sherlock. “Se qualcosa dovesse accadermi.”
“Buono a sapersi che perseguiteresti lei e non me. Non di meno dovrei avere qualcuno qui che faccia le mie veci. Altrimenti, lasciato a te stesso, daresti fuoco alla casa solo per poter poi testare le ceneri.”
Sherlock assunse un’espressione pensosa. 
“Non era un suggerimento,” si affrettò a dire Mycroft. “E questo spiega esattamente perché dobbiamo assumere qualcuno per tenerti d’occhio mentre non ci sono.”
“Una tata,” disse Sherlock, aspramente. “Stai suggerendo una tata.”
“Puoi aiutarmi a sceglierla. O sceglierlo.” suppose Mycroft. 
“Posso avere l’ultima parola?” propose Sherlock. 
“Assolutamente no. Ma ascolterò i tuoi punti di vista sulla questione.”
“Sono io che dovrò vivere con questa persona.” protestò Sherlock. 
“Se ti lasciassi l’ultima parola, non mi faresti assumere nessuno.”
Sherlock tirò su col naso con rabbia e si coprì drammaticamente la testa con le coperte. “Sei impossibile,” si lamentò. “Sarei dovuto andare a vivere con Iphigenia. Scommetto che non mi avrebbe costretto ad avere una tata. Probabilmente non mi avrebbe nemmeno fatto andare a scuola.”
“Questa è una tragedia degna di Euripide,” disse Mycroft. “Di cui studierai a scuola.”
“So chi è Euripide,” insisté Sherlock dal suo rifugio. 
No, non lo sapeva, pensò Mycroft, e sorrise al bozzolo di coperte. “Vado a prenderti del tè con limone e miele.”
“Non sono malato,” disse Sherlock. 
“No? Poco fa eri in punto di morte.”
Sherlock restò in silenzio per un momento. “Credo di odiarti. A scuola dirò a tutti quanto odioso tu sia.”
“Bagnerò il cuscino di lacrime ogni notte.”
“Vattene,” disse Sherlock, una replica che significava che si dava per vinto per quel round, perciò Mycroft andò in cerca del tè. 
Sherlock dormiva quando fu di ritorno, Mycroft lasciò il tè sul comodino e andò a contattare l’agenzia per assumere quella che Sherlock decisamente non voleva considerare una tata. 

 

***

 

Mycroft era determinato ad assumere la persona giusta in qualità di “fastidiosa, inutile idiota” di Sherlock, come lui l’aveva ufficialmente rinominata. 
Non importava quanto tempo gli ci sarebbe voluto per trovare la “fastidiosa, inutile idiota” più adatta; avrebbe raggiunto un qualche accordo con il suo tutor per qualsiasi cosa stesse perdendo a Cambridge. Imparare a coesistere con gli altri era il fine della scuola tanto per lui quanto per Sherlock, e Mycroft in quel particolare ambito era molto più avanti di quanto pensava Sherlock sarebbe mai arrivato. 
Perciò era disposto a fare con calma e non era un problema che Sherlock continuasse a fare domande inappropriate durante i colloqui, per lo più perché non aveva ancora incontrato una sola persona che a suo giudizio sarebbe stata capace di gestirlo. 
Sherlock chiedeva cose come: Hai una notevole collezione di pornografia. Quale articolo definiresti il tuo preferito? E: Se sostituissi tutto l’alcol presente in casa con dell’acqua, ti troverei a rovistare nel mobiletto delle medicine per del collutorio? E ancora: Non sono favorevole all’essere rapito e tenuto in ostaggio per ripagare i tuoi debiti di gioco. 
Be’, l’ultima non era una domanda, ma Mycroft aveva già raggiunto la stessa conclusione sul candidato che gli stava di fronte; perciò quando Sherlock lo disse, si limitò a fare un mediocre tentativo per trattenere il sorriso. Numerosi candidati gli avevano detto che così non faceva altro che incoraggiare l’inaccettabile comportamento di Sherlock; Mycroft suppose fosse vero e che avrebbe dovuto essere più severo con lui, ma era difficile quando era quasi sempre dalla parte del giusto. Mai educato, ma quasi sempre nel giusto. 
“Non troveremo mai qualcuno,” gli disse Sherlock, studiando attentamente le diverse varietà di garza che aveva trovato sul tappeto della biblioteca. 
“Sì, invece,” disse Mycroft senza sollevare lo sguardo dal libro di poesia che stava leggendo. 
“Non troveremo mai qualcuno e io dovrò andare andare a vivere su una nave pirata.”
“Sei consapevole che non saresti il capitano di questa nave pirata,” commentò Mycroft e voltò pagina. 
“Lo sarei!” protestò Sherlock.
“Non subito. E non sei abbastanza paziente da aspettare di essere promosso, perciò cercheresti di farti strada a forza fra i ranghi per essere infine buttato in mare e lasciato a morire.”
Sherlock era silenzioso e Mycroft combatté la voglia di girarsi per poter leggere l’espressione sul suo volto. 
“No, non andrebbe così,” decise Sherlock, alla fine.
“Oh no? Perché no?” Mycroft allora lo guardò, in attesa, interessato al suo scenario alternativo. 
Sherlock ricambiò lo sguardo freddamente. “Perché tu mi salveresti. Tu non permetteresti che mi accadesse niente del genere.” Non c’era ombra di dubbio nella sua affermazione; poi si voltò, tornando ad esaminare la garza. 
Mycroft sapeva che era la verità, ma era un po’ preoccupato dalla certezza granitica che Sherlock sembrava riporvi. “Come farei a salvarti dall’essere gettato in mare? Non ci sono telefoni sulle navi pirata. Come faresti ad avvertirmi?”
Sherlock non si curò nemmeno di alzare lo sguardo. “Non dovrei farlo. Tu lo sapresti e basta. Sei Mycroft Holmes. Un giorno, sarà una cosa terrificante. Di fatto, lo è già.”
“Tu, signorino, sei il più gran ruffiano che io abbia mai incontrato,” disse Mycroft in tono forzatamente leggero, prendendo un cuscino dal divano e lanciandolo verso la testa di Sherlock.
Sherlock lo evitò e sorrise.

 

***

 

Avevano esaminato tutti candidati con esperienza nell’educazione dei bambini che l’agenzia aveva mandato. Dopo averci riflettuto, Mycroft arrivò alla conclusione che non avrebbe mai dovuto cercare fra persone con quel tipo di esperienza. Sherlock non era un tipico bambino sotto nessun aspetto. Le persone abituate a prendersi cura dei bambini non avrebbero avuto idea di cosa fare con lui. Mycroft aveva bisogno di qualcuno del tutto diverso. 
Sapeva che l’agenzia era seccata con lui. Non capivano come potesse star cercando una tata (Mycroft non li corresse con “fastidiosa, inutile idiota”) e richiedere persone senza alcuna conoscenza dei bambini. Gli fecero domande sarcastiche: se volesse, ad esempio, fare un colloquio a degli impiegati a tempo indeterminato e Mycroft si ritrovò ad accettare, chiedendogli di mandare i loro candidati meno qualificati. 
Il che spiegava come lui e Sherlock si ritrovarono in sala da pranzo con Martha Hudson. 
Su carta era, be’, praticamente nulla. Le sue esperienze lavorative erano minime e il tutto risaliva a decenni prima. Un lungo periodo del suo passato non era documentato e Mycroft si accigliò chiedendosi da dove cominciare con le domande. 
Sherlock, al solito, fece la prima domanda. “Dov’è suo marito?”
“E’ morto,” gli disse la signora Hudson. 
Mycroft guardò lei e quindi Sherlock: la stava studiando attentamente, lo sguardo assottigliato, catalogando cose del suo aspetto; Mycroft tornò a guardarla. 
In fatto di aspetto era nulla quasi quanto il foglio che aveva davanti. Abbastanza anziana da poter essere loro madre, probabilmente vicina all’età che lei aveva avuto, ma tanto diversa quanto la notte lo era dal giorno. 
Sicuramente la loro madre non avrebbe mai indossato il completo che la signora Hudson portava, una strana combinazione di troppo giovanile e troppo vecchio assieme. 
Aveva preso la metropolitana per arrivare e bevuto una frettolosa tazza di tè in mattinata; aveva un debole per i rimedi alle erbe, una sorella a cui voleva bene ma che viveva fuori dal paese - nel Surrey, probabilmente - e che non andava a trovare tanto spesso quanto le sarebbe piaciuto. Quel tanto era facilmente deducibile. Il resto era un’incognita. 
“Signora Hudson,” cominciò Mycroft, mettendo da parte l’inutile pezzo di carta. 
“Morto dove?” chiese Sherlock.
“Florida,” gli rispose la signora Hudson. “Sei mai stato in Florida? Fa terribilmente caldo. Va bene se hai un’anca malandata, come me. Devo prendere dei rimedi per quella. E’ un problema?” Guardò ansiosamente da Sherlock a Mycroft. 
“No,” le rispose Sherlock, riportando l’attenzione della signora Hudson su di sé. 
E ottenne anche l’attenzione di Mycroft. Sherlock sembrava... interessato. Il che era più di quanto fosse stato con chiunque altro fino a quel momento. 
Mycroft posò nuovamente lo sguardo sulla signora Hudson e cercò di capire cosa ci fosse di attraente in lei. Forse l’aspetto da matrona? Allettante per un ragazzo reso recentemente e inaspettatamente orfano? Ma avevano visto altre donne anziane e Sherlock non era stato colpito da nessuna di loro. 
“Così è stata in Florida di recente?” chiese Mycroft, rivolgendosi alla signora Hudson e considerando il colloquio più seriamente di quanto non avesse fatto. 
“Sì, sono appena tornata a casa. E’ bello tornare a casa, non è vero? Voglio dire, alla fine, è lì dov’è la famiglia.”
“Faccio molti esperimenti scientifici,” annunciò Sherlock bruscamente, lo sguardo ancora assottigliato, come se fosse un test. 
“Che tipo?” chiese con interesse la signora Hudson.
“Il tipo importante,” rispose Sherlock. “Non può toccarli o interferirci in alcun modo. Niente nella mia stanza può essere toccato.”
La signora Hudson sembrò un po’ offesa. “Be’, io non sarei la tua governante.”
“A volte dimentico di mangiare,” continuò Sherlock. “Dovrà portarmi il tè, penso. Mycroft, non dovrà portarmi il tè?”
“Ecco...” cominciò Mycroft, pronto a dire che avevano un cuoco che gli avrebbe fatto il tè e che quello non era necessariamente compito della signora Hudson. 
A volte ti porterò il tè, ma non sono la tua governante,” disse la signora Hudson a Sherlock. 
Sherlock ci pensò. “E i biscotti?”
“Forse,” disse la signora Hudson.
Mycroft sapeva che in realtà significava Sempre e lo sapeva anche Sherlock che si sistemò nella sedia con evidente soddisfazione. 
“Sono morbosamente affascinato dalla morte,” proclamò Sherlock con piacere. 
Un insegnante lo aveva detto di lui anni prima: la mamma ne aveva riso, portando Sherlock a trovarlo profondamente divertente e ad essere molto fiero di quella valutazione. 
“Questo è indecente da parte tua,” disse la signora Hudson, ma gli sorrise come se già gli volesse bene e pensasse che fosse la cosa più intelligente che avesse mai visto. 
Mycroft alternò lo sguardo fra i due, sconcertato dall’ovvio affetto ricambiato e deciso a non guardare in bocca al caval donato. Chiunque guardasse Sherlock con tenerezza dopo aver passato cinque minuti con lui valeva tanto oro quanto pesava. 
“Quando può cominciare?” chiese.

 

 

 

§


 


 

* Caring is not an advantage. - vuoto totale, gente. Quando mi sono ritrovata questa frase davanti ho avuto un vuoto totale: come tradurla? Sono andata a cercare la puntata in cui Mycroft lo diceva (2x1, min. 47) e il doppiatore dice Soffrire non è un vantaggio.
Eh, no. Non mi è andata bene come traduzione. Perché il caring non si riferisce direttamente al soffrire, bensì al voler bene, all’affezionarsi... non trovate? Così ho optato per tenerci, se vi dovesse venire in mente qualcosa di meglio fatemelo sapere :)





 

   
 
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