NdA:
Ringrazio tantissimo, con tutto il cuore, chi si è
fidato di me e ha recensito!
vero94
broken93
Gufo
Grazie anche a
angie83
sbadata93
che mi hanno messa tra i preferiti! XD
Spero che questo nuovo capitolo vi faccia piacere!
Commentate, eh? XD
*No Happy
Ending*
No Hope, No Love, No
Glory.
No Happy Ending.
Happy Ending – Mika
Anno 2013
2. No Love (senza amore)
- In Die Nacht… -
Una voce dolce canticchiava una melodia familiare
poco distante da me.
Mentre dal dormiveglia una forza sconosciuta mi
riportava alla realtà, una forza altrettanto sconosciuta mi diceva di non
aprire gli occhi.
E io non lo feci. Ma portai alla mente tutte le
informazioni che avevo per stabilire in che luogo fossi.
Analizzai la voce che pian piano si affievoliva,
come in balia dei ricordi che la trascinavano lontano e, in un secondo, tutto
quello che mi era successo nel negozio riaffiorò alla memoria.
Il terrore mi scosse in un tremito violento e la
voce interruppe anche i pensieri, dopo la cantilena, e si rivolse a me.
- Tutto bene? -
Spalancai di scatto gli occhi e mi ritrovai a
fissare una massa grigia a cui la mia faccia era incollata.
A fatica piegai le braccia, facendomi forza su
quelle per sollevare di poco la schiena ed il viso.
La vista che mi si presentava non era certo delle
migliori: ero in cinque metri quadrati di pavimento, stesa a terra, circondata
da attaccapanni pieni di jeans e felpe e con una persona, che in fondo al cuore
odiavo, davanti.
- Oh… Ben svegliata. -
Alzai lo sguardo ed incrociai il suo, tra l’ironico
e lo spaventato. Non dovevo avere un bell’aspetto.
- Grazie. – sussurrai, fredda.
Bill Kaulitz si rabbuiò e il sorriso, che fino a
poco prima aveva sfoggiato, scomparve dalla sua faccia.
Restò in silenzio per qualche minuto, fissandomi di
soppiatto, mentre riprendeva a cantare quelle canzoni che la mia mente, contro
la mia volontà, aveva conservato. Le sapevo a memoria: non c’era una nota che
uscisse dalle sue labbra che io non conoscessi prima di udirla.
Ma faceva troppo male.
Già, male. Guardai l’orologio che aderiva al polso
del mio braccio destro, ricordandomi in che razza di situazione ero. Le
lancette segnavano le sette e mezza di mattina. La sera prima dovevo essermi
addormentata dopo la sfuriata.
Che stupida.
Mi ero comportata come una bambina, come quella
ragazzina illusa da cui tanto avevo cercato di scappare e che invece avevo
conservato gelosamente dentro di me, pronta a riaffiorare. Avevo gridato contro
Bill Kaulitz (che avevo sempre sperato di conoscere, nonostante cercassi di
negarlo) per colpe che lui non aveva. Come poteva riguardarlo il cuore infranto
di una ragazzina di 18 anni? Come poteva importargliene quando lui non sapeva
nemmeno della mia esistenza? Quali colpe aveva se una stupida bambina si era
rovinata due anni di vita inseguendo un sogno impossibile?
Nessuna.
- Ich schrei in Die Nacht... -
I miei occhi agirono incontrollati e si puntarono su
quel ragazzo che era stato il dilemma della mia giovinezza. Lo fissai per un
attimo di troppo e, incollata alla sua figura dall’aspetto androgino, non potei
più abbassare lo sguardo.
Quanto era cambiato.
Erano passati cinque anni, miseria, solo cinque
anni. Eppure mi sembrava di non posare gli occhi sul suo profilo da una vita. I
suoi capelli erano più corti di quelli che aveva a diciotto anni, erano tornati
simili al taglio che aveva all’epoca di “Schrei (so laut du kannst)”. Però le
meche bionde arricchivano perennemente le sue ciocche scure. Gli occhi erano
ancora come me li ricordavo, marcati da quelle strisce di matita nera che lo
rendevano così particolare. Il fisico però non rappresentava le mie memorie:
sembrava persino più basso di come lo ricordassi.
Ma non era questo a preoccuparmi.
Non era tanto l’aspetto a renderlo così diverso ai
miei occhi. Era che… sembrava… stanco, molto stanco. Sotto il nero disegnato al
contorno delle palpebre riuscivo ad intravedere pesanti occhiaie, che non
poteva sperare di mascherare: erano troppo evidenti.
E poi lo sguardo. Me lo ricordavo così pieno di vita
e forza, che il dolore e la rassegnazione che vi lessi mi fecero salire i
brividi sulla schiena.
Sembrava invecchiato di dieci anni, nonostante ne
avesse solo cinque in più. Pareva che il dolore gli avesse risucchiato a
tradimento due anni alla volta,
Chissà cos’erano diventati i Tokio Hotel in tutto
questo tempo. In America non erano così popolari come in Europa e non ne avevo
sentito più parlare da quando ero partita per andarci a studiare. Probabilmente
avevano tirato fuori altri album belli come i primi, ma mi risultava
particolarmente difficile immaginare canzoni migliori di quelle scolpite nei
miei ricordi.
E Bill, ignaro dei miei pensieri, continuava a
canticchiare tristemente ‘Spring Nicht’, con il volto e lo sguardo rivolti a
terra. Ma la voce non era più chiara come prima, c’era qualcosa che mi faceva
pensare che rivolgesse a se stesso le suppliche di ‘non saltare’ presenti nella
canzone.
Un altro brivido mi percorse tutta e questa volta
lui si voltò.
Sostenni il suo sguardo indagatore con una certa
difficoltà.
- Allora… - cominciò, tornando a guardare con
straordinario interesse il pavimento – Non mi hai detto come ti chiami. -
- Ailka. Ailka Benzner. – risposi con voce ferma. A
ventitre anni non mi sarei certo emozionata di fronte a Bill Kaulitz, avevo da
tempo superato quella stupida adolescenza.
- Ailka… - soppesò un momento la parola pronunciata
– Immagino che tu mi abbia riconosciuto… -
Sorrisi. – Si è visto, eh? –
Non sapevo perché, ma una voglia strana di farlo
sorridere cresceva dentro di me, alla vista del suo aspetto desolato.
Per fortuna lui rispose al sorriso.
- Sì, mi è sembrato che, oltre a conoscermi, fossi
un po’ arrabbiata con me. – fece una pausa voluta.
Ma io non replicai e lui andò avanti.
- Comunque non importa. Già solo il fatto che tu ti
sia accorta di me mi fa onore. -
Dovevo avere sulla faccia un’espressione così
esplicitamente interrogativa da farlo sorridere ancora.
- Che c’è? – chiese, sinceramente curioso.
Alzai un sopracciglio. – Non credo di aver capito
bene la parte sul fatto dell’ “onorato” eccetera. –
- Beh,… - replicò lui, visibilmente confuso – Ho
detto che sono contento di essere stato riconosciuto, non mi capita spesso,
sai? – aggiunse, ironico.
Ma io non colsi niente del genere, avevo
semplicemente e totalmente la mente in subbuglio. Poi un’idea si fece spazio
tra le altre.
- Vuoi dire che nessuno ti riconosce più? – chiesi,
sconvolta.
- … sì… - affermò lui, cauto.
- Quindi – continuai – non sei più famoso? –
Conclusi la frase con gli occhi spalancati.
Bill mi fissò un momento come una malata di mente,
poi si sforzò anche lui di ragionare come avevo fatto io. E anche lui centrò in
pieno la situazione. Per un attimo fu colto da una risatina.
- Da quanto tempo non sei in Germania? -
Abbassai gli occhi e li rialzai quasi subito. –
Cinque anni. –
Sospirò e appoggiò i gomiti al pavimento dietro di
lui.
- Beh… - disse infine - Ti sei persa un bel po’ di
cose. -
- A quanto pare… -
Restammo in silenzio. Io riflettevo, lui
giocherellava con le gambe tese al pavimento.
All’improvviso mi sentii in dovere di dare
spiegazioni.
- Scusa. – esclamai, d’istinto.
Bill mi rivolse un’occhiata indecifrabile.
- Per ieri, dico, io… -
- Non fa niente. – replicò lui, tornando al solito
posto con lo sguardo.
Lo fissai nuovamente di sottecchi.
- Io… - esitai, le guance stavano diventando
pericolosamente calde. – Sai… Ero innamorata di te, da ragazzina. Beh, cinque
anni fa, intendo. -
Mi pentii subito delle mie parole, sia perché non
capivo come avessi potuto trovare il coraggio di spiattellargliele lì, sia
perché lui chiuse gli occhi e sospirò.
- E’ sbagliato. -
Aggrottai le sopracciglia, tra il confuso e
l’attento.
Bill mi si rivolse tristemente. – E’ sbagliato
innamorarsi così, immagino tu l’abbia capito, ormai… -
- Forse non ancora abbastanza. – le parole mi
uscirono automaticamente.
Un altro sospiro.
- Però l’ho sofferto, tanto, questo amore. –
sussurrai. Non sapevo perché gli stessi raccontando la mia vita, le mie
disgrazie, ma sentivo che poi sarei stata meglio. Forse infondo era un suo
diritto conoscerle, dato che era lui il mio centro, attorno a cui ruotava
quell’insensata esistenza. – Ho pianto tante di quelle notti, di nascosto, che
nemmeno ricordo di essere stata felice da ragazzina. Pensavo che tu saresti
stato mio un giorno, mi dicevo che in qualche modo saresti venuto a prendermi,
come il principe azzurro. Ci credevo davvero. – una risatina mi sorse alle
labbra – Che assurdità. -
Lui taceva. Senza voltarmi, ma sempre fissando il
pavimento, il viso ed il corpo parallelo ai suoi, potevo udirne il respiro
irregolare, ansioso.
- Poi, un giorno, i Tokio Hotel hanno deciso di venire
ad Oberhausen. Un concerto. Ed io avevo i biglietti dei meet&greet. -
Mi interruppi un momento. Bill emise un gemito
soffocato.
Continuai, pur con una strana preoccupazione in
corpo.
- Ma il momento non arrivò mai. Restai ad aspettarli sotto la pioggia, con
in mano quei biglietti inutili. Per un attimo, ti vidi passare all’entrata
dell’hotel, per andare al furgoncino e sparire. Rimasi solo con la tua immagine
per ricordo e le lacrime come scudo. Ma ero una ragazzina. Ed avevo dei sogni.
Ora ho imparato che i sogni non servono a nulla.
Nella vita conta solo il presente. -
Avevo finito. Non mi aspettavo niente, né una parola
di conforto, né un commento indifferente, nulla. Desideravo solo che lo
sapesse, che mi ascoltasse, una volta nella mia vita.
Ciò che sentii mi sconvolse.
Un gemito, più forte questa volta.
- Io sapevo. – sussurrò, la voce flebile – Io
sapevo. Quella sera, quando partimmo con il furgoncino, sentii dentro di me che
avevamo cambiato la vita di molte persone. Mi rendevo conto che le fan ci
amavano, che un tradimento sarebbe stato per loro molto più grave di come noi
ce l’immaginavamo. Sapevo che loro non ci avrebbero perdonato. Tu hai smesso di
sperare, hai smesso di sognare per quel giorno odiato. Ma cosa potrebbero aver
fatto molte altre? Alcune mi hanno scritto, le loro parole ancora mi
ossessionano… ‘Ti amo, Bill, ma ho capito che non c’è speranza, allora è
meglio andarsene’…’Bill, mi spiace, non posso più vivere con questo
dolore.’… Capisci? -
Bill mi fissava con occhi spalancati. Una lacrima
scese sulla linea perfetta del suo viso bianco.
- Io… -
Io… Io cosa? Non c’era niente da dire. Non ero stata
stupida, ero stata cieca. Avevo pensato al mio dolore, solo e soltanto al mio,
senza pensare che potevano esserci altre ragazze che condividevano la mia pena,
o una peggiore. Ero stata egoista, persino il dolore avevo voluto tenerlo solo
per me, come avevo sempre voluto fare con Bill. Molte avevano perso la vita,
quella notte, mentre io mi ero separata da loro, quando forse avrei potuto
aiutarle.
- Alcune – riprese Bill, la voce più calma, ma con
una terribile nota di rassegnazione – mi scrissero che avevano rinunciato ai
genitori, alla loro protezione, che avevano perso degli amici, per me. Solo per
me. E che adesso che io non le avrei nemmeno guardate, non avevano più niente.
Lo sai cosa vuol dire? – alzò improvvisamente la voce – Sai cosa significa il
peso di venti vite sulla coscienza? -
Io lo guardavo, impotente e attonita.
Il silenzio piombò di nuovo tra noi.
Un sospiro da parte sua, uno da parte mia. In fondo
avevamo tutti e due qualcosa di sbagliato alle spalle.
- Quella sera, anzi, quella notte, si registrò il
più alto tasso di suicidi dell’anno, a Oberhausen. E sembra stupido pensare che
sia a causa nostra… Gente che muore per noi! Ma, purtroppo, venti persone su
quaranta che quella notte posero fine alla loro esistenza, lo fecero a causa
dei Tokio Hotel. A causa nostra! Solo e solamente per noi! Nessuno in tutta la
Germania ci volle credere e per un anno si discusse di questo caso. Alla fine
dovettero ammettere che era così. Fu solo il primo passo verso la fine.
- Cominciai a guardare le fan con apprensione e a
non sopportare più i loro pianti ai concerti. Non riuscivo a non ricordare
quelle parole delle ultime lettere ricevute… Non so perché lo feci, forse fu
per disperazione, ma decisi di trovarmi una ragazza tra loro. Probabilmente ero
confuso, non trovavo una via d’uscita ai sensi di colpa, forse volevo donare ad
una di loro l’amore che avevo negato a tutte. Scelsi Julia, una sera d’ottobre.
Ma fu un errore. Non riuscii, per quanto mi sforzassi, ad amarla. Feci soffrire
anche lei, come tutte. E la persi: se ne andò una notte di febbraio del 2009.
Rimasi solo, ma era giusto così. –
Il mio respiro era accelerato, il cuore non contava
i battiti.
Perché? Perché Bill si era rovinato così?
- Non avevo capito che ero troppo sensibile per
essere una star del rock. Avrei dovuto guardare con distacco le sofferenze
delle fan. Ma come avrei potuto? -
Chiuse gli occhi un'altra volta e appoggiò la testa
al muro dietro di lui.
- Sono felice. – dissi, spontaneamente.
Lui grugnì la sua confusione, in risposta.
- Infondo sei sempre stato quello che
immaginavo. Solo senza peccati e… senza
amore. -
Bill Kaulitz strinse i pugni.
Capii che c’era ancora qualcosa del suo passato che
non mi aveva detto.
No Love.
Senza Amore.
Note finali:
Allora… La storia comincia a prendere corpo.
Era questa la mia intenzione primaria: immaginare un
futuro diverso per Bill, qualcosa che lo facesse riflettere e cambiare.
Spero che l’idea venga apprezzata!
Se vi è piaciuto lasciate un commentino! XD
Alla prossima!
Aki