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Autore: A li    21/10/2008    5 recensioni
Anno 2013.
Una vita distrutta. Un'adolescenza rubata.
Un'ultima possibilità di riscatto.
- Bill… - sussurrai.
Lui si voltò, ancora una volta con quello sguardo desolato e stanco, ancora una volta trapassandomi il cuore.
- Cosa volevi davvero dalla tua vita? -
Genere: Triste, Song-fic, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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*No Happy Ending*

NdA:

Ringrazio tantissimo, con tutto il cuore, chi si è fidato di me e ha recensito!

vero94

broken93

Gufo

Grazie anche a

angie83

sbadata93

che mi hanno messa tra i preferiti! XD

 

Spero che questo nuovo capitolo vi faccia piacere!

Commentate, eh? XD

 

*No Happy Ending*

 

 

No Hope, No Love, No Glory.

No Happy Ending.

 

Happy Ending – Mika

 

 

Anno 2013

2. No Love (senza amore)

 

- In Die Nacht… -

Una voce dolce canticchiava una melodia familiare poco distante da me.

Mentre dal dormiveglia una forza sconosciuta mi riportava alla realtà, una forza altrettanto sconosciuta mi diceva di non aprire gli occhi.

E io non lo feci. Ma portai alla mente tutte le informazioni che avevo per stabilire in che luogo fossi.

Analizzai la voce che pian piano si affievoliva, come in balia dei ricordi che la trascinavano lontano e, in un secondo, tutto quello che mi era successo nel negozio riaffiorò alla memoria.

Il terrore mi scosse in un tremito violento e la voce interruppe anche i pensieri, dopo la cantilena, e si rivolse a me.

- Tutto bene? -

Spalancai di scatto gli occhi e mi ritrovai a fissare una massa grigia a cui la mia faccia era incollata.

A fatica piegai le braccia, facendomi forza su quelle per sollevare di poco la schiena ed il viso.

La vista che mi si presentava non era certo delle migliori: ero in cinque metri quadrati di pavimento, stesa a terra, circondata da attaccapanni pieni di jeans e felpe e con una persona, che in fondo al cuore odiavo, davanti.

- Oh… Ben svegliata. -

Alzai lo sguardo ed incrociai il suo, tra l’ironico e lo spaventato. Non dovevo avere un bell’aspetto.

- Grazie. – sussurrai, fredda.

Bill Kaulitz si rabbuiò e il sorriso, che fino a poco prima aveva sfoggiato, scomparve dalla sua faccia.

Restò in silenzio per qualche minuto, fissandomi di soppiatto, mentre riprendeva a cantare quelle canzoni che la mia mente, contro la mia volontà, aveva conservato. Le sapevo a memoria: non c’era una nota che uscisse dalle sue labbra che io non conoscessi prima di udirla.

Ma faceva troppo male.

Già, male. Guardai l’orologio che aderiva al polso del mio braccio destro, ricordandomi in che razza di situazione ero. Le lancette segnavano le sette e mezza di mattina. La sera prima dovevo essermi addormentata dopo la sfuriata.

Che stupida.

Mi ero comportata come una bambina, come quella ragazzina illusa da cui tanto avevo cercato di scappare e che invece avevo conservato gelosamente dentro di me, pronta a riaffiorare. Avevo gridato contro Bill Kaulitz (che avevo sempre sperato di conoscere, nonostante cercassi di negarlo) per colpe che lui non aveva. Come poteva riguardarlo il cuore infranto di una ragazzina di 18 anni? Come poteva importargliene quando lui non sapeva nemmeno della mia esistenza? Quali colpe aveva se una stupida bambina si era rovinata due anni di vita inseguendo un sogno impossibile?

Nessuna.

- Ich schrei in Die Nacht... -

I miei occhi agirono incontrollati e si puntarono su quel ragazzo che era stato il dilemma della mia giovinezza. Lo fissai per un attimo di troppo e, incollata alla sua figura dall’aspetto androgino, non potei più abbassare lo sguardo.

Quanto era cambiato.

Erano passati cinque anni, miseria, solo cinque anni. Eppure mi sembrava di non posare gli occhi sul suo profilo da una vita. I suoi capelli erano più corti di quelli che aveva a diciotto anni, erano tornati simili al taglio che aveva all’epoca di “Schrei (so laut du kannst)”. Però le meche bionde arricchivano perennemente le sue ciocche scure. Gli occhi erano ancora come me li ricordavo, marcati da quelle strisce di matita nera che lo rendevano così particolare. Il fisico però non rappresentava le mie memorie: sembrava persino più basso di come lo ricordassi.

Ma non era questo a preoccuparmi.

Non era tanto l’aspetto a renderlo così diverso ai miei occhi. Era che… sembrava… stanco, molto stanco. Sotto il nero disegnato al contorno delle palpebre riuscivo ad intravedere pesanti occhiaie, che non poteva sperare di mascherare: erano troppo evidenti.

E poi lo sguardo. Me lo ricordavo così pieno di vita e forza, che il dolore e la rassegnazione che vi lessi mi fecero salire i brividi sulla schiena.

Sembrava invecchiato di dieci anni, nonostante ne avesse solo cinque in più. Pareva che il dolore gli avesse risucchiato a tradimento due anni alla volta,

Chissà cos’erano diventati i Tokio Hotel in tutto questo tempo. In America non erano così popolari come in Europa e non ne avevo sentito più parlare da quando ero partita per andarci a studiare. Probabilmente avevano tirato fuori altri album belli come i primi, ma mi risultava particolarmente difficile immaginare canzoni migliori di quelle scolpite nei miei ricordi.

E Bill, ignaro dei miei pensieri, continuava a canticchiare tristemente ‘Spring Nicht’, con il volto e lo sguardo rivolti a terra. Ma la voce non era più chiara come prima, c’era qualcosa che mi faceva pensare che rivolgesse a se stesso le suppliche di ‘non saltare’ presenti nella canzone.

Un altro brivido mi percorse tutta e questa volta lui si voltò.

Sostenni il suo sguardo indagatore con una certa difficoltà.

- Allora… - cominciò, tornando a guardare con straordinario interesse il pavimento – Non mi hai detto come ti chiami. -

- Ailka. Ailka Benzner. – risposi con voce ferma. A ventitre anni non mi sarei certo emozionata di fronte a Bill Kaulitz, avevo da tempo superato quella stupida adolescenza.

- Ailka… - soppesò un momento la parola pronunciata – Immagino che tu mi abbia riconosciuto… -

Sorrisi. – Si è visto, eh? –

Non sapevo perché, ma una voglia strana di farlo sorridere cresceva dentro di me, alla vista del suo aspetto desolato.

Per fortuna lui rispose al sorriso.

- Sì, mi è sembrato che, oltre a conoscermi, fossi un po’ arrabbiata con me. – fece una pausa voluta.

Ma io non replicai e lui andò avanti.

- Comunque non importa. Già solo il fatto che tu ti sia accorta di me mi fa onore. -

Dovevo avere sulla faccia un’espressione così esplicitamente interrogativa da farlo sorridere ancora.

- Che c’è? – chiese, sinceramente curioso.

Alzai un sopracciglio. – Non credo di aver capito bene la parte sul fatto dell’ “onorato” eccetera. –

- Beh,… - replicò lui, visibilmente confuso – Ho detto che sono contento di essere stato riconosciuto, non mi capita spesso, sai? – aggiunse, ironico.

Ma io non colsi niente del genere, avevo semplicemente e totalmente la mente in subbuglio. Poi un’idea si fece spazio tra le altre.

- Vuoi dire che nessuno ti riconosce più? – chiesi, sconvolta.

- … sì… - affermò lui, cauto.

- Quindi – continuai – non sei più famoso? –

Conclusi la frase con gli occhi spalancati.

Bill mi fissò un momento come una malata di mente, poi si sforzò anche lui di ragionare come avevo fatto io. E anche lui centrò in pieno la situazione. Per un attimo fu colto da una risatina.

- Da quanto tempo non sei in Germania? -

Abbassai gli occhi e li rialzai quasi subito. – Cinque anni. –

Sospirò e appoggiò i gomiti al pavimento dietro di lui.

- Beh… - disse infine - Ti sei persa un bel po’ di cose. -

- A quanto pare… - 

Restammo in silenzio. Io riflettevo, lui giocherellava con le gambe tese al pavimento.

All’improvviso mi sentii in dovere di dare spiegazioni.

- Scusa. – esclamai, d’istinto.

Bill mi rivolse un’occhiata indecifrabile.

- Per ieri, dico, io… -

- Non fa niente. – replicò lui, tornando al solito posto con lo sguardo.

Lo fissai nuovamente di sottecchi.

- Io… - esitai, le guance stavano diventando pericolosamente calde. – Sai… Ero innamorata di te, da ragazzina. Beh, cinque anni fa, intendo. -

Mi pentii subito delle mie parole, sia perché non capivo come avessi potuto trovare il coraggio di spiattellargliele lì, sia perché lui chiuse gli occhi e sospirò.

- E’ sbagliato. -

Aggrottai le sopracciglia, tra il confuso e l’attento.

Bill mi si rivolse tristemente. – E’ sbagliato innamorarsi così, immagino tu l’abbia capito, ormai… -

- Forse non ancora abbastanza. – le parole mi uscirono automaticamente.

Un altro sospiro.

- Però l’ho sofferto, tanto, questo amore. – sussurrai. Non sapevo perché gli stessi raccontando la mia vita, le mie disgrazie, ma sentivo che poi sarei stata meglio. Forse infondo era un suo diritto conoscerle, dato che era lui il mio centro, attorno a cui ruotava quell’insensata esistenza. – Ho pianto tante di quelle notti, di nascosto, che nemmeno ricordo di essere stata felice da ragazzina. Pensavo che tu saresti stato mio un giorno, mi dicevo che in qualche modo saresti venuto a prendermi, come il principe azzurro. Ci credevo davvero. – una risatina mi sorse alle labbra – Che assurdità. -

Lui taceva. Senza voltarmi, ma sempre fissando il pavimento, il viso ed il corpo parallelo ai suoi, potevo udirne il respiro irregolare, ansioso.

- Poi, un giorno, i Tokio Hotel hanno deciso di venire ad Oberhausen. Un concerto. Ed io avevo i biglietti dei meet&greet. -

Mi interruppi un momento. Bill emise un gemito soffocato.

Continuai, pur con una strana preoccupazione in corpo.

- Ma il momento non arrivò mai.  Restai ad aspettarli sotto la pioggia, con in mano quei biglietti inutili. Per un attimo, ti vidi passare all’entrata dell’hotel, per andare al furgoncino e sparire. Rimasi solo con la tua immagine per ricordo e le lacrime come scudo. Ma ero una ragazzina. Ed avevo dei sogni.

Ora ho imparato che i sogni non servono a nulla. Nella vita conta solo il presente. -

Avevo finito. Non mi aspettavo niente, né una parola di conforto, né un commento indifferente, nulla. Desideravo solo che lo sapesse, che mi ascoltasse, una volta nella mia vita.

Ciò che sentii mi sconvolse.

Un gemito, più forte questa volta.

- Io sapevo. – sussurrò, la voce flebile – Io sapevo. Quella sera, quando partimmo con il furgoncino, sentii dentro di me che avevamo cambiato la vita di molte persone. Mi rendevo conto che le fan ci amavano, che un tradimento sarebbe stato per loro molto più grave di come noi ce l’immaginavamo. Sapevo che loro non ci avrebbero perdonato. Tu hai smesso di sperare, hai smesso di sognare per quel giorno odiato. Ma cosa potrebbero aver fatto molte altre? Alcune mi hanno scritto, le loro parole ancora mi ossessionano… ‘Ti amo, Bill, ma ho capito che non c’è speranza, allora è meglio andarsene’’Bill, mi spiace, non posso più vivere con questo dolore.’… Capisci? -

Bill mi fissava con occhi spalancati. Una lacrima scese sulla linea perfetta del suo viso bianco.

- Io… -

Io… Io cosa? Non c’era niente da dire. Non ero stata stupida, ero stata cieca. Avevo pensato al mio dolore, solo e soltanto al mio, senza pensare che potevano esserci altre ragazze che condividevano la mia pena, o una peggiore. Ero stata egoista, persino il dolore avevo voluto tenerlo solo per me, come avevo sempre voluto fare con Bill. Molte avevano perso la vita, quella notte, mentre io mi ero separata da loro, quando forse avrei potuto aiutarle.

- Alcune – riprese Bill, la voce più calma, ma con una terribile nota di rassegnazione – mi scrissero che avevano rinunciato ai genitori, alla loro protezione, che avevano perso degli amici, per me. Solo per me. E che adesso che io non le avrei nemmeno guardate, non avevano più niente. Lo sai cosa vuol dire? – alzò improvvisamente la voce – Sai cosa significa il peso di venti vite sulla coscienza? -

Io lo guardavo, impotente e attonita.

Il silenzio piombò di nuovo tra noi.

Un sospiro da parte sua, uno da parte mia. In fondo avevamo tutti e due qualcosa di sbagliato alle spalle.

- Quella sera, anzi, quella notte, si registrò il più alto tasso di suicidi dell’anno, a Oberhausen. E sembra stupido pensare che sia a causa nostra… Gente che muore per noi! Ma, purtroppo, venti persone su quaranta che quella notte posero fine alla loro esistenza, lo fecero a causa dei Tokio Hotel. A causa nostra! Solo e solamente per noi! Nessuno in tutta la Germania ci volle credere e per un anno si discusse di questo caso. Alla fine dovettero ammettere che era così. Fu solo il primo passo verso la fine.

- Cominciai a guardare le fan con apprensione e a non sopportare più i loro pianti ai concerti. Non riuscivo a non ricordare quelle parole delle ultime lettere ricevute… Non so perché lo feci, forse fu per disperazione, ma decisi di trovarmi una ragazza tra loro. Probabilmente ero confuso, non trovavo una via d’uscita ai sensi di colpa, forse volevo donare ad una di loro l’amore che avevo negato a tutte. Scelsi Julia, una sera d’ottobre. Ma fu un errore. Non riuscii, per quanto mi sforzassi, ad amarla. Feci soffrire anche lei, come tutte. E la persi: se ne andò una notte di febbraio del 2009. Rimasi solo, ma era giusto così. –

Il mio respiro era accelerato, il cuore non contava i battiti.

Perché? Perché Bill si era rovinato così?

- Non avevo capito che ero troppo sensibile per essere una star del rock. Avrei dovuto guardare con distacco le sofferenze delle fan. Ma come avrei potuto? -

Chiuse gli occhi un'altra volta e appoggiò la testa al muro dietro di lui.

- Sono felice. – dissi, spontaneamente.

Lui grugnì la sua confusione, in risposta.

- Infondo sei sempre stato quello che immaginavo.  Solo senza peccati e… senza amore. -

Bill Kaulitz strinse i pugni.

Capii che c’era ancora qualcosa del suo passato che non mi aveva detto.

 

No Love.

Senza Amore.

 

 

Note finali:

Allora… La storia comincia a prendere corpo.

Era questa la mia intenzione primaria: immaginare un futuro diverso per Bill, qualcosa che lo facesse riflettere e cambiare.

Spero che l’idea venga apprezzata!

Se vi è piaciuto lasciate un commentino! XD

Alla prossima!

 

Aki

 

   
 
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