Anime & Manga > Capitan Harlock
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Autore: lovespace    07/11/2014    8 recensioni
- Dopo un duro combattimento Harlock si ritrova a dover portare sull’Arcadia un ufficiale medico. Una donna alla quale si sente misteriosamente legato. Perchè? Tra colpi di scena ed avventure il tempo svelerà la sua verità. - Come le onde del mare nel loro immutabile fluttuare a volte rendono ciò che hanno sottratto alla terra, in egual maniera le onde del destino, nel loro divenire dal passato al presente, talora restituiscono quello che un tempo ci hanno portato via. –
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harlock, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Come le onde del mare nel loro immutabile fluttuare a volte rendono ciò che hanno sottratto alla Terra, in egual maniera le onde del destino nel loro divenire dal passato al presente, talora restituiscono quello che un tempo ci hanno portato via.

 

 

10

 

 

 

LA SOTTILE MEMBRANA TRA LA VITA E LA MORTE

 

 

Harlock incatenato, dopo una aver perso i sensi, si ritrovò a fluttuare nell’immenso spazio nero dell’Universo.

Aveva le mani saldamente legate dietro alle spalle, torso nudo e nessun punto di riferimento. Non vi erano stelle o pianeti guardando i quali si sarebbe potuto orientare.

Nero abissale ovunque, lo spazio siderale era fuori e dentro di lui.

Per un certo tempo restò così, ad assaporare quello stato di nulla che gli era sconosciuto. Galleggiando mollemente, i capelli debolmente scomposti. Il silenzio nell’anima ed il vuoto nel cuore. Niente ricordi, niente lotte, niente moti dell’animo, niente dolore. Niente. Solo il rumore regolare e lento del suo cuore. Finalmente.  

Ad un tratto da lontano scorse piccoli punti di luce. Meteore. La polvere dell’Universo. Piccoli corpi celesti che come proiettili di ogni dimensione iniziarono a colpirlo procurandogli lancinanti dolori  squarciando la sua carne. Stringeva i denti provava ad evitarli ma gli era impossibile, i movimenti gli erano negati. Sputò del sangue e sorrise amaramente. La morte non sarebbe arrivata tanto presto.

Ad ogni colpo una stilettata gli provocava un dolore acuto, non poteva far nulla per evitarlo, continuava a lottare cercando di slegarsi non riuscendovi. Ancora colpi e ferite lancinanti, quanto sarebbe durata? Poi non sentì più nulla.

Aveva iniziato a fluttuare. Ora era in un’altra dimensione, vedeva se stesso, il suo corpo libero, galleggiare. Si sentiva leggero, in pace, finalmente, come se la guerra fosse finita, come se ogni battaglia fosse ormai inutile.

Da lontano scorse un meraviglioso Pianeta Azzurro, ve ne era solo uno così in tutto l’Universo. La Terra. Sorrise, il suo viaggio era finito.

Solo il ricordo di una strano sentimento lo tratteneva. Rimpianto. Ma per cosa? Qualcosa di lasciato in sospeso. Di incompiuto. La sua mente era stanca non voleva indagare, tornare indietro avrebbe voluto dire soffrire e lottare. Sentiva una sensazione di buono, di dolce, qualcuno ora leniva le piaghe del suo corpo e toccava il suo viso. Si lasciò cullare da quella sensazione, dimentico di tutto. D’improvviso udì lontano il pianto di una donna. Chi era? Poi ancora il nulla.

La sua mente ebbe pietà di lui e lo accontentò. Il mare scuro dell’Universo ora era l’azzurro e meraviglioso mare della Terra.

Harlock vi era completamente immerso, cullato in esso. Vedeva i raggi del sole, il suo sole,  fendere la superficie azzurra facendo brillare le lievi increspature dell’acqua come fosse striato d’argento. Udiva il dolce suono dello sciabordio delle onde.

Presto però quelle stesse onde lo portarono ad urtare violentemente contro gli scogli aguzzi, senza possibilità alcuna di evitarli. Ancora dolore. Lottò con le forze che gli restavano, poi si disse che era finalmente a casa, allora perché lottare? Chiuse gli occhi ‘sono qui’ sussurrò abbandonandosi all’oblio.

Si ritrovò sulla terra ferma: la spiaggia. Camminava, i piedi affondavano piano nella sabbia molle e dolce, la bianca spuma delle onde gli lambiva i piedi nudi bagnando l’orlo dei pantaloni. Tutto intorno solo il rumore del mare e l’odore intenso ed acre della salsedine. Se ne riempì le narici. Doveva essere morto pensò guardando quella distesa d’acqua senza confini.

Chiuse gli occhi e lentamente si voltò alla ricerca di qualcosa. Si ritrovò in uno sterminato campo di grano. Sorrise, guardò a destra e a sinistra come un bimbo felice che cerca gli occhi della mamma in attesa di un cenno d’assenso. Iniziò a correre, le mani aperte sfioravano le spighe che si piegavano a quel tocco gentile. Harlock correva veloce, sempre più veloce e sorrideva, se era morto, non gli importava, sentiva solo la carezza del vento sul viso e tra i capelli. Correndo gridò con quanto fiato aveva in gola, un urlo liberatorio, possente, il cui eco giunse lontano.

 La Terra rispose. Un lampo squarciò il cielo.

Iniziò a piovere, una pioggia chiara e leggera. Si fermò. Volse il viso ed i palmi delle mani al cielo. Chiuse gli occhi raccogliendo su di sé ed in sé quella meravigliosa sensazione di acqua, cielo e terra erano un tutt’uno. L’acqua scivolava via lenta dalle sue mani aperte, sui suoi capelli e sulla pelle del suo corpo formando mille rivoletti.

In un istante quella medesima acqua divenne sabbia. Guardò il cielo e poi le sue mani, dalle quali la sabbia scivolava via, veloce come il tempo... Ora tutto era diventato deserto, intorno solo terra arida e sole accecante. Stinse i pugni per impedire alla sabbia di scivolare via. Ai suoi piedi il suolo arso ed assetato si spaccava creando fenditure dalle quali si poteva udire la richiesta d’aiuto di madre Terra.

Comprese.

La mascella serrata, lo sguardo si fece cupo, si guardò intorno lentamente, aspettando.

Il viso teso, lo sguardo attento. Un vento fortissimo iniziò a spirare, un vento denso e rosso, rosso come il sangue che creando immensi vortici d’aria portava via tutto. Cercò di proteggere gli occhi con le braccia tenendo sempre nei pugni serrati la sabbia che vi era rimasta, quasi come fosse un ultimo baluardo di speranza. 

‘PLINK, PLINK’ Riprese coscienza.

Udiva uno sgocciolio sommesso ma il solo cercare di aprire gli occhi faceva male, il dolore fisico che provava era talmente forte da percepirlo ormai quasi come non fosse il suo. Intorno silenzio ovattato, solo un netto : ‘Plink…plink…’ un suono di gocce che cadono e si infrangono a terra. Aprì con dolorosa lentezza gli occhi, vide ciò che c’era sotto di sé.

Realizzò.

Un ghigno amaro gli si dipinse sul viso sofferente. Era il suo sangue che cadendo produceva quel suono. Era dove lo avevano legato. Richiuse gli occhi.

La pioggia ora era diventata sangue e ricopriva ogni cosa. 

Helèn gli stava sempre accanto ma decise, prima di effettuare la medicazione di fare una doccia. La sua stanza era tra quelle senza ossigeno ed energia, quindi presi alcuni indumenti decise di utilizzare la doccia nella cabina di Harlock. Posò trasmettitore e candelabro sul lavandino. Era strano essere lì, nel suo bagno. C’era un’ampia doccia ed anche una enorme vasca da bagno un po’ retrò, che però si sposava però perfettamente con il resto dell’arredamento.

Entrò nella doccia, concedendosi un momento solo per se stessa, un momento per raccogliere le idee. L’acqua scorreva veloce, fresca e benefica, dalla testa carezzandole il corpo. Helèn si lavò delicatamente, non aveva più dolore. Stava cambiando derma, uno strato leggero di pelle si stava staccando, come dopo una scottatura, era l’esito della sua avventura sul pianeta Arctic. Lasciò che insieme all’acqua defluissero via anche i pensieri, le angosce, le paure. Harlock non poteva morire, non lui. Non lo avrebbe permesso. Aveva voglia di raccontargli tante cose della Terra, chissà se con la vita solitaria che conduceva sapeva dei tanti movimenti di ribellione contro la Gaia Sanction che a lui si ispiravano e di cui lei sapeva perché era stata mandata a reprimerli.

Di quante cose non avevano parlato, quanto tempo avevano sprecato.

Lo immaginò in quella doccia, aprì gli occhi, e la flebile luce del candelabro che si era portata dietro, le fece un regalo. Su una delle ante di cristallo della doccia vide chiaramente l’impronta del palmo di Harlock. Probabilmente vi si era poggiato a lungo mentre l’acqua scorreva veloce producendo vapore. Le sembrò quasi di vederlo lì, perso in chissà quali pensieri mentre poggiato lasciava quel segno a causa della condensa. Helèn sorrise debolmente poggiandovi delicatamente sopra la sua mano, tanto più piccola. Immaginò le onde del tempo sovrapporsi come se davvero potessero essere lì tutti e due, insieme, in quel momento, con le mani palmo contro palmo. Rabbrividì a quell’immagine forte ed intensa, uscì.

Aveva posato i suoi abiti sul letto, vestendosi rivide il maglione di Harlock e istintivamente lo indossò. Le stava grande, ma sapeva di lui, arrotolò i polsini, chiuse gli occhi, si cinse con le braccia, inspirò piano il suo odore immaginando che fosse lì ad abbracciarla.

Il suono del trasmettitore la riportò bruscamente dal suo sogno alla realtà. Corse da Harlock in preda all’ansia.

Il battito cardiaco era accelerato, troppo. La pupilla si muoveva veloce sotto la palpebra. Sognava? Riviveva la scena del tiro al bersaglio? Qualcosa non andava. Ad Helèn non piacque, erano ore cruciali se fosse entrato in coma ora non avrebbe potuto più fare molto. Anche il suo di cuore prese a battere all’impazzata. Come aiutarlo? Harlock aveva i pugni serrati a nulla valsero i suoi tentativi di riaprirli. Si lamentava ma non riusciva a capire quello che cercava di dirle.  

                                                                      ***

La bufera soffiava violenta. Al centro della tempesta di vento, dei vortici di morte, Harlock gridava, gridava forte  “Perdonami, perdonami! E’colpa miaaa! Perdonami Madre! Perdonami Madre Terra mia… non volevo. Non volevo madre mia! Prendi la mia vita in cambio…”. E cadde a terra, in ginocchio, guadando il cielo con i pugni chiusi.

Nello stesso istante una boccia in vetro cadde dalle mani di Helèn, il vetro esplose disperdendo il suo contenuto sul pavimento.

Il cuore di Harlock si era fermato!

La morte, spietata ed affascinante, languidamente le sorrise, beffarda, alzando un sopracciglio ‘era suo’!

Helèn volse lo sguardo impietrito sul monitor e terrorizzata prese una siringa di adrenalina, gliela iniettò dritta nel cuore, con forza. Solo la disperazione la sosteneva “no-no-no” Continuava a ripetere mentre controllava spasmodicamente il monitor. “Non lo avrai!” urlò.

E la Terra rispose. Harlock devi vivere’.

“Harlock devi vivere!” gridò Helèn con quanta forza la disperazione le dava.

Un’onda. Un’onda sullo schermo le disse che il cuore era ripartito. Crollò sulla sedia. Le mani le tremavano, la siringa vuota le cadde, iperventilava. Continuava a guardare il monitor ‘forza ,forza’ pensò, poi riuscì a spostare gli occhi verso il volto di Harlock ora disteso. Il labbro inferiore le tremava, anche le mani ora le tremavano. Le tenne una nell’altra per fermarle ripetendo ‘non lo avrai, non lo avrai’.

Trascorsero alcune ore, Helèn ci mise molto a calmarsi. Si stringeva nel maglione, guardando dalla vetrata l’abissale Universo spettatore eterno ed immoto. Cosa avrebbe fatto se lui fosse morto?

Harlock non si era arreso ed aveva deciso di continuare a combattere la sua battaglia. Helèn iniziò a medicargli le ferite rimuovendo le bende, posizionando un’altra sacchetta di sangue. Le garze erano piene di siero e sangue ma si stupì nel vedere com’erano le lesioni. Apparivano quasi completamente prive di ematomi, lontane dall’essere rimarginate ma in condizioni eccellenti visto il tempo trascorso e l’evento traumatico che le aveva prodotte. Il colore, i bordi, la quasi assenza di turgore, tutto le parlò di guarigione. La Dark Matter pensò. Per la prima volta si sentì leggera, dette uno sguardo alle altre cicatrici di Harlock, quelle che lui già aveva. Sembravano molto, molto vecchie e soprattutto strane rispetto ai moderni sistemi di cicatrizzazione. Era come se fossero state curate nel passato, anche quelle alla ‘vecchia maniera’. Si meravigliò, questo non era assolutamente possibile se Harlock era figlio di quel tempo. La testa le doleva. Decise di lasciarlo riposare.

Messo un respiratore. Uscì. Si accorse subito che Tochiro aveva stabilizzato i generatori supplementari di gravità. Si recò nella mensa e poi decise di ritornare nella sala degli allenamenti, dopo il macabro ritrovamento non vi era più entrata. Ma doveva farlo. Vi giunse ed il cuore le si strinse al ricordo di lui e di come lo aveva ritrovato. Decise che avrebbe pulito e rimosso ogni cosa. Intanto la sua testa continuava a formulare ipotesi su cosa fosse realmente accaduto, su chi fosse stato. Aveva scartato la Gaia Sanction loro non si sarebbero mai comportati così, non avrebbero perso l’occasione d’oro di processare e giustiziare Harlock pubblicamente. Sorrise amara.

Raccolse da terra i cinturoni, le armi ed il mantello di Harlock. Qualcosa di luminoso attirò la sua attenzione, lo raccolse.

Era la decorazione venuta via dall’elsa di una spada. Era un’immagine del Jolly Roger con una bandana sul cranio, lo strinse forte in pugno con rabbia, conosceva quel simbolo maledetto. Mercenari. Pirati-mercenari che vagavano per l’Universo assoldando le peggiori canaglie e vendendo i loro servigi al miglior offerente. Il ‘Branco’ si facevano chiamare e proprio come un branco erano spietati e famelici. Ma poco avevano dei lupi erano solo delle iene. A volte anche la Gaia Fleet, in maniera assolutamente ufficiosa, se ne era servita per i lavori sporchi. Lei lo sapeva. Erano stati loro, ma chi, come e perché li aveva assoldati? Ebbe la consolazione della quasi certezza che il resto dell’equipaggio potesse essere vivo, perché usavano fare prigionieri per poi rivenderli. A lei ed a Harlock non restava moltissimo tempo. Le vendite degli schiavi erano cadenzate da un calendario molto preciso di cui tutti, informalmente, erano a conoscenza.

Tornò da lui, mangiò e trascorse la sera a sistemare amorevolmente il mantello, le sue armi: il Gravity Saber  e la Cosmo Gun. Era un onore maneggiare le armi più potenti dell’Universo, le armi che avevano contribuito a rendere Harlock leggenda. Con gli occhi della mente lo rivide elegante e sicuro volteggiare tra i nemici colpendoli con forza inaudita. Poi, nuovamente richiamata dai più reconditi recessi ancestrali della galassia, arrivò la Dark Matter. 

Ancora una volta, intorno ad Harlock, si creò un’aura di luce mista a scariche elettriche. Stavolta Helèn non si mosse, voleva capire quello che non osava chiedere. Osservò la danza della materia oscura intorno e dentro il corpo di Harlock. Non si chiese se fosse un male o un bene, da dove venisse né perché tutto questo accadesse. Quella cosa, quella forza lo guariva e questo le bastava. Restò come di guardia fin tanto che non scomparve.

Nei momenti di tranquillità Helèn si aggirava per l’appartamento di Harlock, affascinata, sfiorando avida gli oggetti. Quasi che essi avrebbero potuto narrarle qualcosa del loro misterioso proprietario.

Preso il candelabro si recò nell’unica stanza sempre al buio. Quella dove era il grande pianoforte. Sedette sullo sgabello, guardando a lungo lo strumento, carezzandone indecisa la superficie con la mano, poi sollevò con lentezza il coperchio e dopo una rapida occhiata ai tasti iniziò a percorrerli con la punta delle dita. Il pianoforte, muto da tanti anni, inizialmente scricchiolò poi emise suoni melodiosi e benché fosse scordato, la sua voce era flautata e magica. Avrebbe raggiunto Harlock ovunque fosse pensò Helèn.

La donna non conosceva le note né leggeva la musica, ripeteva a memoria melodie imparate da bambina. Chiuse gli occhi e quelle note le portarono alla mente ricordi lontani e che credeva perduti.

Harlock immerso nel suo nulla, nell’immenso nero udì indistinto un suono, un suono lontano. Poi una musica come portata dalla brezza cosmica. Si voltò, cos’era? Chi era? Abbandonandosi a quelle dolci note riuscì a visualizzare tanti bellissimi colori. Ricordò il verde cangiante degli alberi, il giallo delle foglie in autunno, il rosso dei fiori, il rosa abbozzato delle nuvole dopo la pioggia, l'arancio acceso del sole che muore all’orizzonte tramontando e poi la luce di un sorriso. Un sorriso di donna, un sorriso accennato e caldo che sapeva rivolto a lui ed a lui solo. Ma per quanto si sforzasse non ne vedeva il volto.

I sensi erano alterati ma la udì chiamare il suo nome, risuonò chiaro in quell’oscurità senza fine tutta  intorno a lui “Harlock, Harlock dove sei? Torna da me”. Chi era? Si portò inconsapevolmente le dita sulle labbra. Helèn accanto al suo corpo lo sollecitava chiamandolo e bagnandogli le labbra secche con acqua ed olio profumato. Harlock si voltò verso la voce, era dalla parte opposta rispetto alla Terra, era nel buio.

La voce era luminosa ma lì vi era solo oscurità e dolore fisico. Sentì che vi era qualcosa di sospeso oltre quel velo nero. Guardò ancora la Terra. Qualcosa di interrotto che lui e lui solo doveva portare a termine. Non si era mai tirato indietro in vita sua, aveva sempre lottato per ciò che credeva giusto, fino in fondo.

Tornò indietro seguendo un dolce profumo ed il ricordo sbiadito di un sorriso. Mentre camminava allontanandosi dalla Terra, senza più voltarsi altre immagini corsero ad affacciarsi alla sua mente, non avevano senso ma le sentiva importanti. Un grande cappello marrone dalle larghe falde, dei grossi occhiali. Alzò lo sguardo e dall’alto dondolando piano nell’aria scese una lunga piuma nera.

Helèn si addormentò ancora una volta con la fronte appoggiata sulla mano di lui.

Nel cuore della notte si svegliò di colpo, alzò la testa, qualcosa l’aveva svegliata. Un suono? No, una parola.

 “A-c-q-u-a” Harlock chiedeva acqua. Le si riempirono gli occhi di lacrime. Non poteva crederci. “Sono qui, ma non puoi bere” gli sussurrò carezzandogli le tempie. Sapeva che, come dopo ogni intervento chirurgico, il paziente ha la gola arsa ma non può assolutamente assumere liquidi. Provò a dargli una irrisoria quantità d’acqua, solo per rinfrescargli la bocca, ma non era in grado di deglutire, il liquido colava via dagli angoli. Helèn allora ne prese un sorso e poi poggiando le labbra sulle sue cercò di dargliene un po’. Aggiunse alla flebo dell’altra soluzione fisiologica che avrebbe contribuito all’idratazione. Poi felice, senza pensarci, corse veloce per i corridoi diretta al computer centrale. Entrata nella grande stanza l’abbracciò come fosse una persona. Due cerchi concentrici si accesero per lei che pianse, ma stavolta le sue, erano lacrime di gioia.

 

 

NOTE

In questo capitolo ho provato a spiegare cosa potesse sentire e provare Harlock nello stato di incoscienza nel quale attualmente si trova. Come i dolori del corpo, e tutto ciò che gli arriva dall’esterno potesse esser rielaborato a livello conscio ed inconscio mescolandosi  con desideri, sogni e rimpianti.

Avendo io citato e descritto il meraviglioso mare della terra una menzione speciale va alle bellissime sirene del fandom.

Grazie sempre alla B-Beta. ‘Gli amici sono gli angeli della vita’ t.v.b.

Questo capitolo è dedicato all’uomo della mia vita, mio marito e compagno M. che come dico io ‘mi sopporta e mi supporta’ da sempre ed anche in questa bella avventura. Grazie per le ‘consulenze’.  I love you

 

  
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