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Autore: Smaugslayer    15/11/2014    3 recensioni
[seguito di Quidditch con delitto, http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2540840&i=1]
I (doppi)giochi sono aperti, e questa volta condurranno Sherlock Holmes e John Watson dal 221B di Baker Street al numero 12 di Grimmauld Place, Londra.
Se a Hogwarts i due eroi erano al centro delle vicende, ora saranno trasportati dalla storia del Ragazzo Sopravvissuto fino al cuore della Seconda Guerra Magica. E per tenere fede alle proprie convinzioni dovranno tradirle...
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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L’atrio del Ministero della Magia era immerso nella frenesia del primo mattino, quando i dipendenti ancora rasentano l’iperattività e cercano di dare l’impressione di essere molto occupati.
 
Un mago con la divisa da Auror urtò la spalla di John, si voltò per scusarsi e restò piuttosto perplesso nel vedere che non c’era nessuno: John, infatti, era sotto l’effetto di un Incantesimo di Disillusione che lo rendeva invisibile.
 
Sherlock, accanto a lui, si stava aggiustando la cravatta e squadrava tutti con aria di superiorità. Era appena uscito da uno dei camini dorati posti ai lati della lunga Sala d’Ingresso del Ministero, adibiti all’uso della Metropolvere. Esattamente al centro dell’atrio c’era una fontana che presentava un complesso di statue dorate: un mago e una strega in posizione sopraelevata, guardati con adorazione da un centauro, un folletto e un elfo domestico. L’espressione superba del mago era nulla paragonata a quella di Sherlock, che stava facendo di tutto per somigliare il più possibile al fratello Mycroft.
 
Soprattutto perché, per l’occasione, aveva assunto il suo aspetto.
 
Per darsi un’aria di maggiore rispettabilità, aveva optato per tenere sottobraccio una copia arrotolata della Gazzetta del Profeta. John notò che molti maghi e streghe la stavano leggendo mentre camminavano, e sembravano tutti decisamente sconvolti. Lui ne conosceva bene il motivo: “Albus Silente licenziato, Dolores Umbridge Preside di Hogwarts”.
 
“Di qua” bisbigliò Sherlock al compagno, camuffando le parole con un colpetto di tosse. Superò la fontana a passo sostenuto e si diresse verso gli ascensori. Per fortuna di John, l’aura emanata da Mycroft Holmes era tanto minacciosa che le persone di mantenevano ad almeno un metro di distanza da lui, cosicché John poteva restargli accanto senza essere percepito. Quando si infilarono in uno degli stridenti ascensori dorati, decisamente troppo pieno perché John potesse passare inosservato, Sherlock agitò distrattamente la bacchetta e lo sollevò in aria, lasciandolo penzolare a due metri e mezzo da terra insieme ai promemoria interuffici a forma di aereoplanini color lilla.
 
John si accorse che accanto a Sherlock aveva preso posto un volto familiare: Greg Lestrade, di Tassorosso; si era tagliato i capelli e indossava una divisa da Auror. Continuava a fissare Mycroft Holmes con un’espressione riassumibile nel termine “timore reverenziale”, e a sussultare ogni volta che l’altro lo sfiorava. Sherlock, ovviamente, non poteva dare segno di conoscerlo, così si limitò ad osservarlo per un paio di secondi con un sopracciglio inarcato prima di distogliere lo sguardo.
 
Furono costretti ad attendere che l’ascensore salisse fino al primo livello e poi riscendesse al nono piano sotterraneo. Oltre a Sherlock e John, solo un altro mago rimase con loro per tutto il tragitto: un uomo magro, quasi scheletrico, con la mascella squadrata e sporgenti occhi grigi.
 
“Lei è un Indicibile” constatò Sherlock una volta che tutti e tre ebbero superato l’ottavo livello.
John –che era sceso a terra quando l’ascensore si era svuotato- gli si avvicinò con cautela. Il mago lo superava in altezza di almeno trenta centimetri, era vestito con ricercatezza ed emanava un penetrante odore di dopobarba.
 
“Corretto. Lei è Mycroft Holmes.”
 
Nessuno dei due ebbe la cortesia di tendere la mano all’altro.
 
“Altrettanto corretto. Se è un Indicibile, potrà esaudire le mie richieste: ho bisogno di prelevare una Giratempo.”
 
Crini.”
 
Unicorno.”
 
“Vedremo.”
 
John quasi si soffocò nel trattenere uno scoppio di risa. I due si erano evidentemente appena scambiati una parola d’ordine, ma era comunque tremendamente divertente vedere due uomini adulti dire quel genere di cose con la massima serietà nel bel mezzo di tutt’altra conversazione.
 
Quando l’ascensore si fermò, una gelida voce femminile annunciò “Ufficio Misteri”, e la grata mobile mostrò loro un corridoio deserto.
 
Davanti a loro si apriva un’unica porta nera e lucida, l’unico accesso all’Ufficio. L’Indicibile invitò Mycroft a seguirlo con un cenno della testa.
 
Oltrepassando la soglia, si ritrovarono in una grande stanza circolare. Tutto era nero, pavimenti e soffitto compresi; nelle pareti neri si susseguivano a intervalli regolari porte nere tutte uguali, prive di contrassegni o maniglie, e fra l’una e l’altra ardevano grappoli di candele dalle fiammelle azzurrine.
 
“Chiuda la porta, signor Holmes” ordinò l’impiegato.
 
Non appena egli ebbe obbedito –non senza aver lanciato un’occhiata sdegnosa all’Indicibile- la stanza ruggì e le pareti cominciarono a ruotare sempre più velocemente, tanto che per un istante tutte le fiammelle si fusero in un’unica striatura azzurra. Di colpo com’era iniziato, il rombo si spense e il movimento si fermò.
 
Durante quei pochi secondi l’Indicibile si era portato vicino a Sherlock e John aveva estratto la bacchetta, per prepararsi in caso di guai.
 
L’uomo si allontanò di scatto dal suo ospite e fissò proprio John, che raggelò dalla sorpresa e dalla paura.
 
“Questo” disse l’Indicibile con voce gelida “è il momento in cui controllo che i visitatori non abbiano cattive intenzioni. Portarsi dietro un amico su cui è stata praticata la Disillusione implica cattive intenzioni da parte del visitatore.”
 
John si guardò freneticamente intorno: era impossibile capire da quale porta erano venuti, quindi non potevano semplicemente scappare via. La Smaterializzazione era un’opzione altrettanto impraticabile, così l’unica soluzione era combattere; anche se l’Indicibile fosse riuscito a colpire uno di loro, l’altro avrebbe comunque potuto sopraffarlo.
 
Si sentì improvvisamente molto sciocco. Era tutta colpa sua se adesso Sherlock era nei guai! Avrebbe potuto andare lì da solo, dire la sua parolina d’ordine e spacciarsi per suo fratello, ma John aveva voluto accompagnarlo, ed ecco il risultato!
 
“Se il visitatore ha cattive intenzioni, è la prassi che venga arrestato e condotto alla sede degli Auror per essere interrogato. L’Ufficio Misteri protegge molti segreti, e chiunque lo violi deve scontare una pena molto cara. Ogni tentativo da parte del visitatore di usare la magia contro di me sarà rilevato e segnalato immediatamente.”
 
Lo stomaco di John sprofondò oltre il lucido pavimento nero. Lanciò un’occhiata disperata a Sherlock, sperando che lui gli comunicasse in qualche modo cosa fare; l’ultima cosa che si aspettava era di vederlo sorridere.
 
“Già, è proprio così” disse Sherlock ammiccando.
 
“Be’, allora direi proprio che possiamo proseguire. Ci saranno parecchi moduli da compilare” disse l’Indicibile con una scrollata di spalle. Levò la bacchetta verso l’alto ed esclamò: “Cursum!”, e dalla bacchetta fuoriuscì del fumo violaceo che serpeggiò per l’intera stanza prima di addensarsi davanti a una delle tante porte. “Da questa parte.”
 
John non osava accostarsi a Sherlock per chiedergli spiegazioni. Dopo un attimo di smarrimento, seguì i due in una sala illuminata da una luce bianca e accecante. Orologi luccicarono da ogni parte, grandi e piccoli, appesi o posati su ripiani paralleli. Un ticchettio costante riempiva la stanza. La luce, fredda e scintillante come pietre preziose, proveniva da una gigantesca campana di vetro posta su un tavolo.
 
John si fermò a guardarla, rapito: al suo interno un uovo minuscolo era sospinto verso l’alto in un turbinio di luce; salendo, si dischiuse e ne emerse un colibrì dalle piume verdi e azzurre, che immediatamente ridiscese ridiventando un uovo. John osservò il curioso processo per tre o quattro volte prima di focalizzarsi su altri elementi della stanza.
 
Il ticchettio ritmico stava diventando fastidioso: ricordava quello di una bomba ad orologeria pronta ad esplodere. John si accorse di avere il cuore in gola: il battito incessante gli procurava un forte senso di inquietudine. Gli orologi ben allineati sui tavoli sembravano fissarlo con insistenza, come a ricordargli che il tempo trascorreva e presto o tardi sarebbe cessato, insieme alla sua vita.
 
Uno degli orologi, in particolare, attirò la sua attenzione: era una cipolla da taschino, bronzea, di piccolo diametro; il suo elemento distintivo stava nel fatto che segnava sempre le 11:00 e zero secondi. John allungò timorosamente la mano e lo afferrò con uno scatto fulmineo; se lo rigirò tra le dita con gesti febbrili, notando che l’involucro anteriore era decorato da un cameo, mentre sui bordi era incisa una scritta in rune a caratteri minuscoli. John non traduceva le rune da anni, ma fu comunque in grado di comprenderne il significato, almeno sommariamente: parlava di un orologio ticchettante che alla fine avrebbe scoccato l’ora; si poteva pensare che fosse bloccato, ma… qui John fu costretto a riflettere: la traduzione sembrava essere “ma semplicemente non è il suo tempo”, però non aveva molto senso.
 
Si guardò intorno: Sherlock e l’Indicibile stavano parlottando davanti a una vetrinetta, e nessuno dei due guardava nella sua direzione. Senza nemmeno pensarci, intascò l’orologio. Mentre in mano gli era sembrato leggero, ora lo sentì pesare nella tasca della giacca, tanto da costringerlo a tirarlo fuori per assicurarsi che fosse ancora lo stesso.
 
Non era mai stato colto da simili attacchi di cleptomania, e non capiva perché quel cipollotto lo attirasse così tanto, ma sentiva istintivamente di doverlo possedere. Era assolutamente certo che fosse così, anzi, era vitale. Era come se fosse stato lì per lui, non poteva essere altrimenti. Parte di lui si chiese se l’orologio fosse incantato, e decise immediatamente di sì. Nessun altro, dei tanti articoli esposti, lo attraeva in quel modo; John li passò in rassegna tutti, ma solo quella cipolla sembrava appartenergli.
 
Finalmente Sherlock e l’Indicibile si staccarono dalla vetrinetta e procedettero per ritornare all’ascensore. John si affrettò a seguirli, continuando a soppesare il suo bottino nella tasca.
 
Il silenzio dell’Ufficio Misteri come la confusione dell’atrio furono musica per le sue orecchie, dopo il ticchettio della stanza degli orologi.
 
Sherlock e John usarono la Metropolvere per tornare a Baker Street, dove Sherlock riprese il proprio aspetto abituale e John si liberò dell’Incantesimo di Disillusione.
 
“Mi spieghi chi diavolo era?” sbottò John non appena furono tornati alla normalità.
Sherlock controllò il proprio orologio da polso. “Le dieci e diciassette. Te lo spiego alle… dieci e diciotto. Dieci e diciannove, se sono in ritardo.”
 
Estrasse la nuova Giratempo da sotto la camicia e fece girare tre volte la clessidra con un sorrisetto, mentre spiegava brevemente: “è giunto il momento di collaudarlo. Sarò padrone del tempo, ma dal tempo sarò soggiogato. Devo sbrigarmi, o ci sarà un…” In quel momento, scomparve.
John tossicchiò, piuttosto confuso. Stava per andare a sedersi sulla sua poltrona preferita –quella rossa con gli arabeschi- quando il caminetto si accese di fiamme verdi e l’Indicibile dell’Ufficio Misteri ne fuoriuscì con la bacchetta puntata contro di lui. John emise un’esclamazione di sorpresa, affrettandosi ad alzare le mani al livello delle spalle, ma al posto di scagliare una maledizione o una minaccia l’indicibile scoppiò a ridere. I suoi lineamenti si fusero, e in pochi istanti tornarono ad essere quelli di Sherlock Holmes.
 
John crollò sulla poltrona, come folgorato. “Non ho capito niente.”
 
“Elementare, Watson” lo prese in giro Sherlock, stravaccandosi sulla poltrona nera di fronte a lui. “Sapevo che avresti voluto venire con me, ma vero Indicibile ti avrebbe immediatamente smascherato, così alle dieci e diciassette di stamattina, dopo aver preso la Giratempo, sono tornato indietro nel tempo di tre ore per individuare un vero Indicibile e sostituirmi a lui. Mentre la stanza circolare ruotava, quando le luci si sono affievolite, mi sono avvicinato al me del passato, quello camuffato da mio fratello Mycroft, e gli ho rivelato la mia vera identità, perché non si spaventasse e non mi colpisse.”
 
“Aspetta, fammi capire bene questo significa che eri in due posti contemporaneamente? Una volta come Mycroft, e una come quell’uomo? E anche se io ti ho visto scomparire meno di trenta secondi fa, tu hai vissuto di nuovo le stesse tre ore?”
 
Sherlock sembrò soddisfatto. “Precisamente.”
 
“Ecco perché sapevi che c’ero anche io!”
 
“Lo so, avrei potuto rivelarmi, ma temevo di essere scoperto da qualcun altro degli impiegati.”
 
“Hai autorizzato te stesso a prendere una Giratempo.” John sogghignò.
 
“Incrociare se stessi è molto più facile quando si può assumere qualsiasi forma. Inizialmente avevo addirittura pensato che Silente, ieri sera, potessi essere io, ma non credo: in quel caso avrei fatto in modo di farmi riconoscere. I viaggi nel tempo sono complicati, possono causare continui paradossi.”
 
“Quindi tu, in questo momento, potresti essere anche in qualunque altro posto.”
Sherlock si sporse verso di lui, guardandolo negli occhi con espressione esaltata. “Non dirlo a nessuno” sussurrò in tono cospiratorio. “Ma Voldemort in realtà sono io.”
 
John si pose esattamente di fronte a lui, e con lo stesso tono di voce bisbigliò: “In realtà, io sono te.”
 
Sherlock sorrise. “Potresti esserlo per davvero. Per quanto ne so, potrei anche aver deciso di tornare indietro nel tempo fino a quando avevo dodici anni per crearmi un amico.”
 
John lo fissò aggrottando le sopracciglia, ma lui continuò come se fosse niente: “È questo il problema di essere un metamorfomagus che viaggia nel tempo, non sai mai se le persone che ti circondano sono delle tue versioni future.”
 
“Deve essere molto confondente.”
 
“Lo è.” Sherlock poteva anche essere confuso, ma in realtà sembrava trovare l’intera situazione davvero spassosa.
 
“Che cosa intendevi dire, prima, con: sarò padrone del tempo, ma dal tempo sarò soggiogato? L’hai detto almeno tre volte, questa mattina.”
 
“È una cosa che mi ha detto Silente ieri sera prima di andarsene. Non ho ancora capito a cosa si riferisca, ma ci sto lavorando.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Smaug’s cave
Avviso a chi shippa i Mystrade: questa sarà l’unica cosa che avrete da me di quei due.
Ecco, adesso che l’ho detto quei due si metteranno assieme nei primi quindici minuti della 4x01. Sono ovviamente disponibile a spiegare con più chiarezza il viaggio di Sherlock, ma se ci pensate bene non è molto diverso da quello di Harry e Hermione nel Prigioniero di Azkaban, soprattutto nel punto in cui Harry salva se stesso dai Dissennatori.
Dunque, Sherlock ora ha una Giratempo (buon per lui) e una frase bizzarra di cui vuole conoscere il significato. Questo capitolo è stato decisamente un punto di snodo, perché ha introdotto due elementi fondamentali della storia… ora mi fermo, se no finisco per dire troppo.
Alla prossima settimana gente!
  
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