Fanfic su artisti musicali > McFly
Segui la storia  |       
Autore: RubyChubb    26/10/2008    10 recensioni
Aspettava da un’ora, seduta sulla sua valigia grigia e rigida, tutta graffiata. Intorno a lei migliaia di viaggiatori di ogni nazionalità, persone che esibivano cartelli con strani nomi neri di pennarello e famiglie che si ricongiungevano, tra baci ed abbracci.
Ma ancora nessuno per Joanna…
Seguito di "Four Guys in her Hair" - RubyChubb & McFly
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Four Guys in Her Hair & And That's How I Realize...'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
3. The Big Black Horse and the Cherry Tree
 
 


La cena stava andando perfettamente. La conversazione si era fatta lineare e piacevole ed aveva coinvolto anche Joanna, talvolta forzatamente, per evitare di farla stare nel classico angolino personale che si ritagliava quando si sentiva a disagio. Sua madre era stata come sempre bravissima ai fornelli e lei stessa lo aveva confermato con calore, facendole un piacere immenso.
“Sentirsi dire da un italiana che sono stata brava in cucina”, disse sua mamma, mentre toglieva gli ultimi piatti dal tavolo aiutata da Vicky, “è proprio una bella soddisfazione!”
“Beh... Glielo ripeto,  è stata bravissima.”, le fece ancora Joanna, facendola inorgoglire.
In brodo di giuggiole, sua madre lasciò la cucina pregando ancora di non voler essere aiutata da nessuno tranne che da sua figlia, che la seguì con una pila di stoviglie sporche tra le braccia.
Anche il dolce era andato, potevano quindi lasciare la sala da pranzo.
“Andiamo di là.”, disse Danny ad entrambe le due donna, Tamara e Little, che lo seguirono.
Era il caso di fare un po’ di sana conversazione e poi, al momento giusto, prendere Little in disparte e chiederle quello che più gli premeva. Voleva sapere cosa pensasse della sua fidanzata, il suo parere era tra i più importanti. Era comunque certo che le sarebbe piaciuta, così come era piaciuta a lui fin dal primo momento in cui l’aveva conosciuta, ad una festa per la premiere dell’ultimo film di Spielberg.
Si sedettero sui divani: Little vicino al bracciolo, loro due nell’altro sofà.
“Allora, Little, come mi trovi?”, le domandò scherzosamente, cercando lo sguardo divertito di Tamara, vicino a lui.
“Beh... Bene.”, disse lei, “Ti trovo... Bene!”
“Perfetto!”, esclamò, battendo le mani, “Adesso possiamo anche andare a letto.”
Risero tutti insieme.
“Come va in Italia, Joanna?”, le domandò Tamara, cordiale.
“Più o meno tutto a posto. Ci lamentiamo sempre, ma andiamo avanti.”, rispose Joanna.
La vedeva cambiata, anche se l’aspetto era più o meno il solito di Little Joanna. Sembrava più sicura di sé, meno timida del solito. L’essersi trasferita da Arianna, togliendosi quindi dalla campana di vetro in cui l’aveva rinchiusa il fratello, la stava facendo sbocciare. Era contento per lei, si vedeva che stava bene. O almeno così lo notava chi, come lui, la conosceva bene.
Si sentiva ancora in colpa per quello scherzo stupido, quel pacco regalo che le aveva spedito. A causa sua Joanna aveva rotto i rapporti con l’unico membro della sua famiglia a cui era ancora legata: così aveva letto in una delle mail che susseguirono il suo trasferimento, e non era andata oltre nel fornire nuovi dettagli sulla sua vita familiare. Era logico che non potesse scrivere tutto in una lettera virtuale, per lo stesso motivo lui non aveva approfondito la propria storia personale.
Avrebbero avuto il tempo di parlare apertamente di quelle cose, in fondo l’aveva voluta lì anche per quello: le doveva parlare di troppe cose, e di lei si poteva fidare ciecamente.
“Mi ha detto Danny che prima lavoravi nel locale dove ti hanno conosciuto.”, continuò Tamara.
“Sì, è vero.”, affermò Joanna.
Non era stato molto prolisso nel parlare di lei con Tamara, benché lei avesse sempre fatto tantissime domande al riguardo. Le aveva sempre detto: ‘La conoscerai e ti piacerà’.
“E adesso cosa fai?”, le chiese la sua ragazza.
“Lavoro in un cinema multisala.”, disse Joanna, “Non è molto appagante ma mi basta. Tu cosa fai?”
Era sicuro, le piaceva. Non era contento, era felicissimo.
“Io sono un’agente immobiliare.”, disse Tamara, che poi esitò nel continuare a parlare.
“Ci siamo conosciuti ad una festa.”, ne approfittò lui per dire la sua, “E’ stato Harry a presentarci.”
“Sì, è vero.”, confermò Tamara.
“Mi ci è voluto un po’ per convincerla a trasferirsi da me.”, continuò lui.
“Ero troppo attaccata alla mia casetta.”, sorrise Tamara.
“Però alla fine ce l’ho fatta!”, esclamò, “E siamo qui.”
“Già...”, disse Joanna, sorridendo ad entrambi.
La conversazione ebbe un momento di stasi, di imbarazzo. Lo notò soprattutto dagli occhi sfuggenti di Little, che sembravano non volersi stancare di volare altrove.
“Tamara!”, la chiamò Vicky dalla sala da pranzo, “Il tuo telefono sta squillando!”
Lei roteò gli occhi annoiata, si doveva essere dimenticata di spengerlo. Benedisse comunque quella chiamata, involontariamente gli aveva offerto l’occasione per parlare apertamente con Little. Infatti, non appena si allontanò le porse subito la prima domanda.
“Allora... cosa ne pensi di lei?”, le chiese, repentino, sedendosi accanto a lei per non essere costretto ad alzare troppo il tono della voce.
 

 
Deglutì con forza.
“E’... Molto bella.”, gli rispose, cercando di essere convincente, “State proprio bene insieme.”
“Dici sul serio?”, le domandò Danny, “Scusa se te lo chiedo, so che non mi mentiresti mai!”
Mai!
“Non lo farei.”, gli disse.
“Bene!”, esclamò Danny contento, “Non sai quanto il tuo parere sia importante per me.”
Ma quale film patetico stava vivendo? Era per caso ‘Il matrimonio del mio migliore amico’? Sperò di no, le commediole di quel tipo non le erano mai piaciute, e comunque loro due non si dovevano sposare.  Lo sperò con tutto il cuore.
Certo che sei proprio masochista!
“Sei stanca, Little, vero?”, le domandò Danny, cogliendola in quel momento di sconforto.
Aveva cercato di mascherare i suoi pensieri il più possibile ma lui, nonostante quell’anno lontani, era sempre capace di coglierli sulla sua faccia. Addirittura era stato in grado di leggerlo nelle parole scritte sullo schermo del pc.
“Beh... Un po’ lo sono davvero.”, gli disse.
Non mentiva, stava iniziando a sentire il torpore salire lungo le gambe.
“E’ proprio ora di andare a letto, altrimenti domattina non ti sveglierai!”, disse lui, scattando in piedi con entusiasmo.
“Buonanotte.”, gli fece, con un sorriso.
“Buonanotte cosa?”, sbuffò lui, “Fatti accompagnare.”
Assolutamente no, rimani qua che è meglio.
“Va bene.”, rispose, con esitazione.
Cretina!
Lui le indicò di precederlo e, un passo dopo l’altro, arrivarono davanti alla porta della sua camera.
“Ecco, qui posso darti davvero la buonanotte!”, le fece.
Si avvicinò e le dette un bacio sulla fronte.
Chiese a chi di dovere, lassù un cielo, di far durare quel momento per l’eternità, ma nessuno la accontentò, ed ebbe l’ennesima dimostrazione pratica che non esisteva alcun Dio caritatevole, nell’alto dell’universo.
“Notte Little!”, disse Danny.
Rispondi, idiota.
“… Notte...”
Lui le sorrise e, velocemente, tornò al piano di sotto. Esalò un profondo respiro, trattenuto dall’attimo in cui aveva compreso che lui stava per darle il bacio della buonanotte. Chiuse la porta, e si buttò sul letto.
Poteva andare peggio di così? Si.
Il giorno seguente lo avrebbe passato con i due piccioncini ed Harry, ne era così entusiasta che avrebbe voluto prendersi a coltellate con un inutile lama di plastica. Per di più sarebbe stata su un cavallo, cosa che non le andava per niente a genio; non aveva paura di quegli animali, ma di certo non ci andava d’accordo.
Si alzò da quella tomba morbida ed andò in bagno a prepararsi per la notte. Era l’ora di dormire il più a lungo possibile, magari non sentire nemmeno la sveglia. Ma che ora si sarebbe dovuta svegliare?
Lo avrebbe chiesto a Danny, ma solo dopo essersi lavata i...
Tre battiti alla sua porta la colsero con lo spazzolino tra i denti.
“Little, sono io!”, disse Danny, al di là di essa, “Volevo dirti che domattina la sveglia è alle sette e quindici, va bene?”
Come  la volete chiamare? Coincidenza, telepatia, tempismo perfetto?  Oppure semplicemente fottuta fortuna.
“Perfetto!”, gli rispose, con la bocca impastata dal dentifricio.
“Ti stai lavando i denti vero?”, le chiese lui, mettendosi poi a ridere.
Si sciacquò la bocca.
“Esattamente!”
“Buonanotte ancora!”, ripeté lui.
“Notte...”
Tra uno sbadiglio e l’altro si infilò il pigiama e si pettinò i capelli, togliendo un po’ del ricciolo che la spuma aveva dato loro. Tra lei e Tamara ci correva un abisso stratosferico, una distanza tale da renderle impossibili da comparare. Adesso capiva perché non c’era stato niente tra di loro, perché se quelle come Tamara erano ‘il suo tipo’, lei era tutt’altro.
Si stese sul letto, sospirando di rassegnazione.
Una settimana ancora davanti...
Da spararsi.
 
 
Era la seconda volta che le bussava. Sapendo del suo sonno pesante prevedeva quasi di svegliarla di persona, scuotendola bene, ma preferiva evitare per non disturbare la sua intimità.
“Little! Svegliati!”, la chiamava, “Little!”
La sentì bofonchiare qualcosa.
“Little Joanna? Ci sei?”, insistette.
“Sì...”, gli rispose stancamente, “Scendo subito.”
“Fai con calma, siamo in anticipo!”, la informò.
Personalmente era già pronto, sveglio e scattante, ma le due donne presenti in quella casa sembravano su una diversa frequenza d’onda. Tamara stava addirittura ancora dormendo.
“Vado a preparare la colazione!”, le disse e la lasciò a prepararsi.
Nella sua cucina, sulle note di una musichetta simpatica che suonava nella sua testa da quando si era svegliato, con mano esperta aprì i giusti cassetti, afferrò i giusti contenitori e, in pochi minuti, la tavola fu imbandita. Si sedette e, con una fetta di pane tostato che sgranocchiava tra i denti, si mise in attesa.
Sperò che Little avesse dormito bene, quel letto non era stato usato molte volte e doveva essere duro come un sasso. Lui non ci avrebbe mai passato una sola notte, ma vista la capacità di Joanna di  addormentarsi ovunque senza problemi non si fece troppi pensieri.
Guardò l’orologio al polso, segnava le sette e ventitre.
Quando lo guardò di nuovo erano le sette e quaranta, nessuna si era ancora presentata. Lui aveva finito tutte i biscotti ripieni di confettura di mele, il suo indice era tutto impiastricciato di marmellata di albicocche e il burro si era totalmente sciolto.
Stava per tornare a chiamarle, quando il rumore di passi lo fece desistere. Tamara si affacciò alla cucina assonnata, ancora in pigiama. Qualche secondo dopo di lei spuntò Little, già vestita, pronta per uscire.
“Buongiorno.”, disse lei sorridendo. Poi guardò la tavola apparecchiata. “Dove posso sedermi?”
“Dove vuoi!”, le rispose.
Scelse il lato opposto della tavola.
“Dormito bene?”, le domandò. Se non fosse stato così, l’avrebbe fatta spostare nell’altra camera, più vicina alla sua.
“Sì... anche se il risveglio è stato abbastanza traumatico...”, scherzò sorridendo.
“A chi lo dici...”, aggiunse Tamara, sempre stravolta alla mattina. Non sembrava nemmeno lei, di solito sempre perfettamente a posto. Ma l’amava così com’era, non ci poteva fare niente. Si sedette accanto a lui e si versò del caffè.
“Mi dispiace, ho visto l’ora e siamo in ritardo.”, disse Joanna, spalmando sulla sua fetta tostata un po’ di burro.
“Figurati!”, le rivelò, “Sapevo che non avremmo mai rispettato la tabella di marcia e, per questo, ho anticipato tutto di mezzora.”
“Ah!”, esclamò Tamara, “Lo sapevo!”
Non sembrava tanto contenta.
“Abbiamo preso un appuntamento con quelli del maneggio per le dieci, ci vuole almeno un’ora e mezza per arrivarci e non volevo passare per ritardatario.”, le spiegò con calma.
Era sempre un po’ scorbutica di prima mattina ma ormai ci aveva fatto l’abitudine. Bastava solo prenderla con le pinzette, sarebbe presto tornata ad essere la solita Tamara.
Terminarono la loro colazione in silenzio e notò con piacere la notevole quantità di cibo che Little si era mangiata. Come poteva un corpicino così esile contenere tutte quelle fette biscottate con la marmellata?
“Che c’è?”, chiese lei, sentendosi osservata sia da lui che da Tamara.
Lei non faceva mai una colazione abbondante, lui aveva già mangiato: Joanna era rimasta quindi l’unica intorno a quella tavola a continuare a riempirsi il piatto.
“Ma quanto mangi!”, le fece, ridendo, “Fai concorrenza a Poynter!”
Quella battuta gli sfuggì di bocca e se ne pentì. Infatti Little, forse per quel nome o forse per la scherzosa esclamazione, arrossì e lasciò la sua fetta mangiucchiata sul piatto.
“Dougie fa impressione quando mangia!”, continuò Tamara, “Mi domando se abbia l’intestino che si rigenera dopo ogni pasto...”
Non le aveva parlato di quello che era successo tra Little e Dougie e cercò, con gesto della testa, di farle capire che era meglio lasciar cadere la questione.
Il campanello si intromise e pose fine all’imbarazzo.
“E’ Harry.”, disse, alzandosi per andare ad accoglierlo.
 
 
 
Seduta sul sedile posteriore della macchina di Danny, una comoda utilitaria d’alta classe grigia metallizzata, guardava fuori dal finestrino. Dall’altra parte Tamara, parallela a lei e nella sua solita posizione. Davanti a loro i due uomini, che chiacchieravano sommessamente delle previsioni sportive di quella domenica di inizio estate. Tipiche discussioni maschili e lei, che non ne capiva una mazza, preferiva rinchiudersi in una bolla di silenzio, dalla quale osservava con occhi rapiti il paesaggio intorno a lei.
Era come aveva detto Danny, la campagna inglese non aveva niente da invidiare a quella italiana...  E le tornò il paragone fatto tra se stessa e Tamara, prima di addormentarsi su quel letto un po’ scomodo. Sia loro due che i paesaggi erano così differenti che risultava perfettamente inutile mettersi lì ad elencarne i pro ed i contro. Ovviamente Joanna amava troppo la sua patria per farsi piacere l’english country, ma quello che vedeva comunque era delizioso e caratteristico.
“Hey, Jojo, tu sai andare a cavallo?”, le chiese Harry, voltandosi verso di lei, e rompendo la bolla in cui si era rinchiusa.
“A dire il vero no...”, rispose, “Ci sono salita una volta sola.”
“Non preoccuparti.”, le fece Danny, con tono rassicurante, “Non dovremo cavalcare, solo seguire lentamente la guida.”
“Ah bene.”, rispose.
“Ti piacciono i cavalli?”, le domandò Tamara.
Ancora non era riuscita a comprendere quale fosse l’atteggiamento della ragazza nei suoi confronti. Era un po’ fredda, questo l’aveva capito fin dal primo momento, ma non c’era stato nessun segno di ostilità nei suoi confronti. Meglio così, si disse, non voleva creare confusione. Non voleva essere di nuovo responsabile di situazioni critiche in cui era stata trascinata contro la sua volontà.
“Sì... Abbastanza.”, le disse, “Sono... Molto belli.”
“Non sembri convincente.”, la colse lei in fallo.
“E’ che non so cosa aspettarmi, tutto qui.”, disse Joanna, tacendo la brutta caduta che aveva fatto, molti anni addietro.
“Te l’ho detto”, le ripeté Danny, “basterà solo seguire il capofila, che ci condurrà per sentieri. Non ci saranno problemi.”
Lo spero... Non voglio morire!
“E torneremo a casa per le cinque del pomeriggio. Stasera ho da fare con Tom.”, disse ancora lui
“Cos’hai in programma?”, gli domandò, tacendo la preoccupazione di rimanere sola con Tamara.
 “Devo andare ad una noiosa trasmissione serale... Fare la solita comparsata, suonare due pezzi in acustica con lui e tornare a casa.”, le spiegò Danny.
La macchina svoltò a sinistra e, dopo qualche centinaio di metri, la strada divenne sterrata. La percorsero dritta verso ovest finché non raggiunsero il suo termine. Il maneggio era lì davanti a loro, in pietra e legno. Doveva essere una costruzione molto vecchia, forse apparteneva alla grande casa che vedeva in lontananza alla sua destra. L’aspetto era infatti antico, tutte quelle pietre regolari della facciata le facevano pensare ai vecchi castelli medievali che popolavano i libri di storia: Lancillotto e Re Artù, entrambi innamorati di Ginevra, sembravano aver vissuto lì i loro giorni di gloria.
Seguirono Danny, che sembrava conoscere tutto come le sue tasche, e continuava ad osservare il posto. Era popolato da stallieri che spazzolavano bellissimi cavalli dal pelo lucido, persone che ridevano aristocraticamente nei loro pantaloni bianchi attillati e giardinieri che si occupavano di fare barba e capelli alle siepi geometriche.
“Siamo di poco in anticipo”, li informò Danny, con soddisfazione, “possiamo cambiarci con calma.”
“Cambiarci? E per quale motivo?”, sbuffò Harry.
Tra tutti loro era quello meno entusiasta della gita, sicuramente anche meno di lei. Nascosto dietro ad un paio di occhiali da sole, raramente sorrideva e si lasciava andare solo a conversazioni tenui, condotte a voce bassa e roca. Dormiva ancora in piedi.
 
 
Nuda. Si sentiva come nuda. Quei pantaloni stretti e bianchi sembravano una calzamaglia fastidiosa che invitava i suoi slip ad infilarsi nei posti più reconditi del suo corpo. I piedi ciottolavano negli stivali larghi: nonostante fossero esattamente del suo numero la circonferenza del cuoio intorno al suo polpaccio era esageratamente grande. Inoltre, le suole facevano un casino tremendo quando camminava. La giacca nera copriva un lupetto del medesimo colore ed era l’unica cosa che sembrava starle bene indosso, senza darle troppi problemi. Con i guanti ed il casco in mano, i capelli legati in una coda, uscì dagli spogliatoi lievemente imbarazzata.
“Guarda che gambe che hai!”, esclamò subito Harry, già pronto per partire, seduto su una panca a qualche passo da lei.
“Sempre troppo gentile.”, gli sibilò.
“Mi sembravi più grassa.”, insistette lui.
“Oh grazie, sono commossa.”
“Vieni qua!”, le fece, “Siediti accanto allo Zio McHot!”
“Nemmeno se mi paghi.”, lo zittì, uscendo fuori all’aria aperta.
Era già nervosa, si stava avvicinando il momento in cui sarebbe stata costretta a salire di nuovo su un cavallo, con la paura di cadere di nuovo. Se ci si metteva anche Harry, con le sue prese di culo, avrebbe finito per nascondersi a piangere in uno dei bagni.
Il sole era alto nel cielo, stranamente nessuna nuvola in vista. Faceva abbastanza caldo e quella giacca di stoffa pesante la stava asfissiando. In processione davanti a lei passò una lunga di fila di persone, in sella ai loro animali, che ridevano e scherzavano. Forse stavano tornando da un gita come quella che stavano per fare.
“Little!”, la chiamò Danny, “Dobbiamo andare da questa parte!”
Insieme a Tamara li attendeva vicino all’entrata degli spogliatoi, alle sue spalle. Lo raggiunsero e si incamminarono insieme verso le stalle dove un ragazzo biondo li aspettava sorridente.
Dopo aver salutato con una stretta di mano ognuno di loro, li introdusse ai loro cavalli. Atterrita dalla stazza di quel maschio nero, Joanna ebbe un lungo momento di esitazione. Gli altri erano già saliti, aspettavano solo lei e sembravano entrati perfettamente in intimità con i loro animali. Il suo invece la squadrava continuamente, di sbieco, e scuoteva la testa nervosamente.
“Vuoi una mano a salire?”, le domandò il biondo, Jack, che li avrebbe condotti nella passeggiata campestre.
“No! No!”, esclamò ritraendosi, “Faccio da sola!”
“Va bene.”, disse il ragazzo, “Allora metti il piede sinistro sulla staffa, afferra la sella e tirati su.”
E’ facile, lo ha fatto quella grassona laggiù, puoi farcela anche tu.
Fece come le aveva detto Jack e, al primo tentativo, il cavallo sbuffò e nitrì, azzerando le sue capacità motorie. Tornò con i piedi per terra e Jack fu pronto per calmare il cavallo.
“Sente che hai paura.”, le disse lo stalliere, “E si innervosisce.”
Ti hanno anche dato il cavallo empatico, che fortunata che sei!
“Little, se avevi paura dei cavalli potevi dirlo.”, le disse Danny, “Avremmo potuto fare altro.”
“Dormire.”, concluse Harry, facendo ridere Tamara.
“Non ho paura!”, esclamò con sicurezza.
Infilò il piede sulla staffa e, rinnovata la sua forza, salì con un balzo sul cavallo.
Se osi farmi un brutto scherzo, giuro che ti castro!
Jack prese il cavallo per le briglie e lo fece avvicinare agli altri tre; poi impartì loro brevi istruzioni per non far innervosire la bestia e condurla senza troppi intoppi. Una volta montato sul suo cavallo si pose alla testa del gruppetto e, lentamente, partirono per la scampagnata.
 
 
 
Aveva perso di vista il confine del bosco dove si stavano addentando e, all’ombra di quei vecchi alberi ricoperti di muschio, un brivido corse lungo la sua schiena. L’aria era fredda, in certi punti quasi gelida: il sole, infatti, era sempre troppo giovane per riuscire a riscaldarla fino in fondo e, mentre alla luce si moriva di caldo, lì all’ombra si rabbrividiva.
Inizialmente sulle loro spalle, poi appesi ad alcuni ganci metallici delle selle, stavano le sacche con dentro il pranzo. Sembrava filare tutto liscio: Spencer, il suo cavallo nero, si era rivelato essere un animale abbastanza docile e quieto, nonostante la diffidenza iniziale e qualche episodio sbuffo. L’unica cosa che la preoccupava era la sella sotto di lei: sembrava si muovesse troppo.
L’animale borbottò qualcosa e sembrò annuire con la testa
“Calmo, va tutto bene, va tutto bene…”, gli sussurrò, pregando che il terrore che le stava stringendo lo stomaco non venisse percepito.
“Come dici, scusa?”, le domandò Harry, dietro di lei, che la seguiva a pochi metri di distanza. Era lui che chiudeva il gruppo ed aveva il compito di tenerla d’occhio.
“Niente.”, gli disse, con un sorriso conciliante.
Sistemò la fibbia del casco sotto il mento e tornò a cavalcare, immersa nei suoi pensieri. Davanti a lei viaggiava Tamara con il suo cavallo marrone, preceduta da Danny che chiacchierava di gusto con Jack. Sempre di calcio, ovviamente, in quella giornata non l’aveva mai sentito dire una parola al di là di quell’argomento.
 “Hey Jack!”, sentì Harry esclamare alle sue spalle.
La comitiva si fermò.
“E’ normale che dalla sella di Jojo penzoli quella cosa?”, domandò Harry, indicandola con una mano.
Lo stalliere osservò la situazione delle parti basse del suo cavallo.
“Oh cavolo!”, esclamò poi, avvicinandosi a passo svelto, “Le hanno montato una sella rotta!”
Ti pareva che mi non dessero, oltre al cavallo sensitivo, anche la sella rotta… E il frustino moscio?
“Sei fortunata a non essere ancora caduta.”, le disse Jack, esaminando lo stato della sella sotto la pancia dell’animale, “Si è rotto proprio uno del lacci portanti, saresti potuta finire a terra da un momento all’altro.”
Solo il pensiero di aver corso un rischio del genere la stava spaventando fino all’osso.
“E… Cosa devo fare?”, domandò, tremante.
 “Beh, dobbiamo riportare il cavallo alla stalla e cambiare la sella...”, disse Jack, non trovando altra soluzione, “Ti aiuto a scendere.”, e lasciò il suo cavallo, “Ma non mettere i piedi nelle staffe o cadrai.”
Era l’ultima cosa che voleva far accadere. Lo stalliere le si avvicinò e le disse di appoggiarsi con le mani alle sue spalle. La prese per i fianchi e, nello stesso momento in cui i suoi piedi toccarono terra, la sella scivolò via dalla schiena di Spencer e cadde a terra.
“Adesso sali dietro di me e torniamo alla stalla.”, le disse Jack.
“Non posso portarcela io?”, si propose Danny, “Così voi continuate la gita e noi risolviamo la questione della sella. Se Jack se ne va, non saprete dove andare.”
Al solo pensiero di quello, il cuore le balzò in gola.
“Meglio se vado io.”, si intromise prontamente Harry, “La accompagnerò e troveremo il modo di tornare da voi.”
“Potrebbe essere una buona idea.”, disse Jack, “Così non sarete costretti a concludere qua il programma. Basta solo che chiediate di Steven, troverà lui una sella in sostituzione per Spencer.”
Ed io di chi devo chiedere per imporvi di farvi i cazzi vostri?
“Ma poi come faremo a ritrovare la strada?”, domandò lei, “Ci perderemo di sicuro!”
“E’ facile, dovete solo seguire i cartelli rossi.”, disse Jack, “Tutti i sentieri sono segnalati. Ricordatevi però che al dodicesimo segnale dovete svoltare per il sentiero di sinistra…”, lei ed Harry annuirono, “Quindi tenete a mente, dodicesimo cartello rosso a sinistra!”, ripeté Jack ancora, “Ci dovremmo incontrare in una radura, sotto una grande quercia, a un centinaio di metri dalla fine del bosco.”
“Memorizzato!”, esclamò Harry, “Adesso sali dietro di me, Jojo, portiamo questo centauro a riparare la sua gomma!”
Sospirò, accettando il gesto cavalleresco di Jack di aiutarla nel montare in groppa al cavallo biancastro del batterista, che le sorrideva beffardo come sempre.
“Reggiti forte, bellezza!”, scherzò lui ancora, prendendole le mani e costringendole a cingergli l’addome.
Lanciò uno sguardo a Danny.
E poi partirono.
 
 
Occasione perfetta, una manna dal cielo che aveva concluso i suoi vari e machiavellici piani mentali destinati ad isolarla da Danny. Non perché volesse rimanere solo con lei, anzi, l’idea non lo interessava minimamente.
Tempo addietro, appena aveva realizzato il vero motivo per cui era stata chiamata lì, tenutole debitamente nascosto da Danny che, stupido ed ingenuo, aveva voluto farle una sorpresa, se n’era accorto subito che cosa era passato per la mente di quella povera ragazza. Non solo il suo amico Jones non si era minimamente reso conto dell’inutilità del mantenere vivo il contatto con lei, vivendo un’assurda farsa in cui loro due erano diventati amici per la pelle. In aggiunta a questo, i suoi occhi erano del tutto ciechi nel realizzare che la sua deliziosa Little era completamente innamorata di lui.
La situazione era complicata, estremamente delicata.
Non biasimava Jojo, al cuore non si comandava mai. Anzi, gli dispiaceva per quello che lei stava vivendo: una settimana a casa di Danny, dove lui conviveva felicemente con Tamara. Se doveva avercela con qualcuno, era con Jones quello con cui arrabbiarsi.
Stessa situazione dell’anno precedente, solo che il cubo di Rubik aveva cambiato le sue facce: prima il baricentro della questione era Jojo, a metà tra Dougie e Danny. Adesso si era spostato su Danny, e Poynter era uscito di scena per fare posto a Tamara. Conoscendola, Jojo non avrebbe mai fatto né detto una sola parola per intaccare la relazione del suo amico più stupido del mondo. Il problema era far capire a Jones cosa lei provasse per lui.
Inoltre, si sentiva troppo intelligente per non sentire puzza di bruciato anche sul fronte di Danny.
 “Allora, Jojo… Sei contenta di essere così vicino a me?”, le disse, scherzando.
Lei se ne stava rigida alle sue spalle, con un braccio che gli cingeva addome, mentre con l’altra mano teneva le briglie di Spencer; l’animale passeggiava tranquillo al loro fianco, libero della sua cavallerizza. La sella era stata risistemata malamente sulla sua schiena.
“Sono felice come non mai.”, rispose lei.
“Non essere così entusiasta.”
“Vediamo di sbrigarci.”, concluse la ragazza.
“Come vuole, sua Maestà.”
Furono presto al maneggio, non erano molto distanti. Arrivati alle stalle chiesero di Steven, il quale cambiò in poco tempo la sella a Spencer. Dopo nemmeno un quarto d’ora erano di nuovo dentro la macchia, con il solito passo lento.
“Non vorrai mica startene zitta finché non ci ricongiungiamo agli altri!”, le disse.
Lei non rispose.
Ce l’aveva ancora con lui per l’essere sempre stato schietto e sincero, sebbene tra tutti, insieme Tom, fosse stato quello che le aveva causato meno dolori.
“Va bene, Jojo.”, le fece, dando dei colpetti al cavallo che, in risposta, aumentò la velocità, iniziando a distanziarla sensibilmente.
“Cosa stai facendo?”, domandò lei prontamente, vedendolo in rapido allontanamento.
“Visto che non mi vuoi parlare, io vado per fatti miei.”, le rispose.
“Fermati! Non puoi farmi questo, ho paura del cavallo!”, urlò Jojo in preda al terrore.
Si fermò, voltandosi verso di lei.
“Mi parli o non mi parli?”, le disse, come un ultimatum.
“E va bene!”, sbuffò lei, recuperando il distacco, “Cosa vuoi che ti dica?”
“Beh… Innanzitutto troviamo un buon punto di partenza per una conversazione civile ed ordinata.”, le fece, sorridendole.
Presero a cavalcare a passo più veloce. Teneva d’occhio i segnali rossi: erano sulla buona strada, forse nel giro di venti minuti avrebbero raggiunto gli altri.
“Parliamo della mezza stagione...”, disse lei, visibilmente scocciata.
“Ok…”, acconsentì con ironia, “Ma non è il mio argomento preferito.”
“E allora proponilo tu!”, gli passò la palla.
Perfetto, proprio quello che voleva lui.
“Dimmi, cara Jojo”, esordì, “come ti trovi quassù?”
Lei si fece attendere.
“Bene.”
“E’ bella la casa di Danny, non è vero?”
“Sì.”
“Sai che ha anche una piscina sul retro?”, le fece, “E’ l’unico di noi ad averla, per questo siamo sempre a tallonare la sua porta, soprattutto d’estate.”
“Molto interessante.”, rispose lei, sarcastica, “Cos’altro dovrebbe stupirmi?”
“Ah, questo non lo so. Anche se non credo che la piscina di casa Jones sia la cosa più sbalorditiva che tu abbia visto…”
“Lo so dove vuoi andare a parare!”, esclamò subito Jojo.
Mica scema la ragazzina, pensava, rinnovando la stima che aveva sempre avuto nei suoi confronti, ma che era stata celata.
“E stai tranquillo, sono contenta che quei due stiano insieme!”, continuò lei, automatica, “Credimi, è la cosa più bella di questo mondo che due innamorati vadano a vivere sotto lo stesso tetto. E’ fantastico e non ci vedo niente di male!”
“Senza dubbio.”, le fece.
“Quindi qual è il punto?”, lo esortò Jojo, “Dove vuoi arrivare? Vuoi insinuare qualcosa anche tu come ha già fatto sua sorella Vicky, oppure vuoi essere sincero e leale con me, come sei sempre stato, e dirmi le cose come stanno?”
E dire che tutta quella forza d’animo e di voce sembravano del tutto estranei alla piccola ed indifesa Jojo.
“Beh… Io non insinuo un bel niente.”
“Eh no, Harry, tu vuoi arrivare a farmi dire qualcosa che sai che non è vera!”, disse lei, sistemandosi sulla sella.
“E qual è questa cosa che io vorrei farti dire anche se già so che non è vera?”
“Non te la dico!”, concluse Jojo, “Perché se lo facessi sarebbe come dare una prova di quello che vuoi farmi confessare.”
Era più difficile di quanto aveva pensato. Era sicuro che sarebbe bastato un qualche giro di parole criptiche per farla crollare, invece lei si stava dimostrando un buon avversario.
“Scusa, Jojo, ti ricordi quanti cartelli rossi dovevamo passare prima di svoltare?”, le domandò, deviando.
Aveva avuto l’improvviso dubbio. Lei parve addirittura rincuorarsi per quel cambio di conversazione.
“Non lo so, me lo hai fatto passare di mente!”, esclamò lei,  “Tu quanti ne hai contati?”
“Tredici.”, fece con sicurezza, “Dobbiamo svoltare a destra al prossimo cartello.”
“Ecco, allora vediamo se riusciamo a raggiungere gli altri in silenzio.”
Detto quello, ormai sicura della sua cavalcatura, Jojo aumentò il passo.
La accontentò, non avrebbe saputo più niente da lei. Non la conosceva bene, ma si era fatto una precisa idea di Jojo: se non voleva parlare, non lo avrebbe mai fatto.
 
 
Il quattordicesimo segnale rosso arrivò di lì a poco. Innervosita, dolorante per le scosse del cavallo e con lo stomaco in subbuglio per la fame, appena vide il sentiero a destra lo imboccò. A qualche passo da lei Harry, rispettoso del silenzio che aveva richiesto.
Poco dopo la svolta, però, le venne da riflettere. Fermò il cavallo.
“Harry… Siamo sicuri di aver preso la strada giusta?”, gli chiese.
“Beh… Quattordicesimo segnale rosso a destra.”, disse lui con calma, “Quindi sì, siamo sulla strada giusta.”
“E perché non abbiamo trovato gli altri?”, domandò.
“Magari non abbiamo recuperato abbastanza terreno per incontrarli.”, le disse.
Già, poteva essere vero, eppure in cuor suo sentiva di aver sbagliato qualcosa.
“Potremmo anche chiamarli, ma non credo ci sia linea per il cellulare.”, disse lui, che si frugò nella tasca del giubbino nero, simile al suo, e trovò conferma per la sua ipotesi, “Nemmeno una sola tacca.”
“Cosa facciamo?”
La paura stava salendo. Fin da piccola uno dei suoi peggiori incubi era stato il perdersi, rimanere da sola, non ritrovare la sua compagnia. Non doveva provare alcuno spavento, era con Harry, non completamente sola… Ma non era sufficiente. Voleva essere con Danny e lui sembrava ancora troppo lontano.
“Continuiamo, la via è questa.”, disse Harry, “Prima o poi saremo alla radura di cui ci ha parlato Jack e li troveremo. Sicuramente staranno già mangiando.”
“Non dirmelo”, gli fece, “ho una fame!”
“Anche io!”, esclamò lui, passandosi una mano sullo stomaco.
Le venne da ridere.
Si rimisero in cammino, l’uno di fianco all’altro.
“E tu, Harry, cosa trovi di interessante nella casa di Jones, oltre alla piscina?”, gli fece, con ironia.
Ancora non gli perdonava il suo atteggiamento ostile, figuriamoci se chiudeva un occhio per la discussione di prima. Ma visto che la paura stava salendo sempre di più, era meglio trovare un diversivo chiacchierando con lui.
“Solo quello!”, disse lui, quasi subito, “Per il resto è tutto da buttare!”
La fece ridere e rilassare, anche se solo per una briciola di tempo.
Le venne in mente di poter chiedere a lui informazioni su Tamara…
“A me piace molto Tamara.”, gli disse, “E a te?”
Lui tardò nella risposta, lanciandole un’occhiata d’indagine. Non avrebbe trovato segno di cedimento: si odiava per quello, ma aveva scoperto quel lato ipocrita di sé, ereditato da sua madre, e si era decisa a vestirlo finché non fosse salita sull’aereo diretto a casa.
“Solo per il fatto che non pretende cose impossibili da Danny, quella ragazza mi piace.”, disse lui, passandosi tra le mani le briglie del cavallo.
“Perché dici così?”, gli fece.
Danny non le aveva mai parlato di cose del genere, né aveva mai rammentato il nome di una sua ex, tanto da farle pensare che non ci fossero state persone così importanti nella sua vita. Il coraggio di spulciare su internet alla ricerca di informazioni sul suo conto non lo aveva mai avuto, ed oltretutto gli sembrava una grossa presa di culo nei confronti di Danny.
“Beh… So che non te ne ha mai parlato, lo capisco da questa tua domanda”, disse Harry, con intelligenza, “quindi non vedo perché dovrei farlo io.”
“Hai ragione, scusa.”, gli fece.
Era corretto.
“Comunque sappi che non è mai stato granché fortunato con le donne.”, aggiunse lui, con tono malizioso.
“La fortuna sembra aver girato a suo favore.”
“Sì… Direi di sì.”, rispose Harry, “Ma chi lo sa…”
Poi lo vide distrarsi, guardare dritto davanti a sé.
“Siamo arrivati.”, le disse.
La sua faccia si distese: anche lui doveva aver avuto paura di perdersi come lei. Di fatti, non appena uscirono dal bosco si trovarono davanti ad una piatta pianura, colorata di ogni tonalità di verde, dalla più scura alla più intensa.
Subito, però, la preoccupazione piombò di nuovo.
“Ma dove sono gli altri?”, fece Harry, mirando il paesaggio piatto davanti a loro con una mano sugli occhi.
“E dov’è la quercia?”, disse a quel punto lei.
L’unico albero che si presentava ai loro occhi, ad una discreta distanza da loro, non aveva proprio le sembianze di una quercia.
Si guardarono intorno spaesati.
“Io tornerei indietro.”, disse lei, sempre più spaventata.
Harry se ne accorse subito.
“Tranquilla, Jojo, non ci siamo persi, sappiamo benissimo tornare indietro.”, la tranquillizzò, “Il sentiero dopo la svolta è praticamente privo di intersezioni con altre strade, non ci perderemo ancora. La cosa più saggia da fare ora è riposarci, mangiare, e tornare indietro.”
Sembrava abbastanza convincente, ma la paura era sempre lì.
“Fidati di me, Jojo.”, insistette Harry.
 
 
Al posto della quercia, quella radura pianeggiante ospitava un solitario albero di ciliegie, carico di piccoli frutti rossi.
“Adoro le ciliegie”, disse, legando il cavallo ad uno dei rami più bassi della pianta, “mi sa che farò indigestione.”
Gli erano sempre piaciuti quei frutti ed aveva scordato il numero delle volte in cui ne aveva mangiate così tante da rischiare di finire in ospedale.
“A chi lo dici, piacciono molto anche a me!”, si aggiunse Jojo, imitandolo nella legatura delle briglie.
Presero i loro sacchi e, seduti all’ombra macchiata qua e là di sole, scartarono i sandwich. Ormai si erano persi, o meglio, non erano riusciti a prendere il giusto sentiero e si erano trovati da tutt’altra parte, forse molto lontani dagli altri. L’unica cosa che potevano fare era accomodarsi, riposarsi e riprendere la strada del maneggio appena possibile.
Sperò che non si stessero preoccupando tanto per loro... In fin dei conti stavano bene.
“Ma che schifo!”, esclamò Harry, osservando il contenuto dei panini, “Io odio i cetriolini!”
Jojo osservò il ripieno dei suoi panini.
“Io ho solo prosciutto e formaggio, vuoi i miei?”, gli propose.
“Se non ti dispiace…”, le disse, felice.
“Figurati, a me i cetriolini piacciono.”
E si scambiarono i panini.
Il silenzio regnò per tutto il pranzo, entrambi erano troppo affamati per impegnare la loro bocca in discussioni. Brindarono alla salute dell’altro, facendo schioccare il collo delle bottigliette d’acqua e bevvero. Sebbene i loro stomaci non si fossero ancora saziati del tutto, il pranzo finì in pochi minuti.
Prima di alzarsi per prendere una manciata di ciliegie, Harry attese educatamente che Joanna finisse il suo sandwich. Era anche abbastanza impaziente, lei se ne accorse e, ridendo, gli disse che poteva mangiare tranquillamente la frutta sopra le loro teste, avrebbe finito con calma.
“E via con l’indigestione!”, esclamò, alzandosi ed allungandosi per prenderne un po’.
Ne colse più che poté, sistemandoli nel lembo della maglietta come aveva fatto migliaia di volte da piccolo. Quando anche Jojo volle fare altrettanto, sembrava che ormai i frutti più maturi e più bassi fossero già stati colti da lui.
“Ti do una mano.”, le disse Harry, vedendola in difficoltà.
Non che fosse così piccola, si aggirava ad occhio e croce attorno al metro e sessantacinque, ma comunque non arrivava a prendere una ciliegia nemmeno saltando. La afferrò per le gambe e, con estrema facilità, la sollevò da terra. Le ciliegie divennero finalmente alla sua portata e, velocemente, ne prese una buona manciata.
Una ventata più fredda li colse, ma non vi fece caso. Aveva sopportato un caldo infame chiuso dentro a quella giacca nera da equitazione e ora, che stava beatamente in maglietta, un venticello fresco come quello non era altro che una benedizione divina.
Seduti di nuovo, mangiarono il loro raccolto.
“Stavamo dicendo”, disse a Jojo, recuperando le fila dell’interessante conversazione interrotta dall’arrivo nella radura e dal pranzo, “il tuo amico Danny sembra aver trovato la persona che faccia per lui.”
“Sì, si vede.”, disse lei, “Mi hanno detto che si sono conosciuti ad una festa, poco dopo Natale.”
Sembrava perfettamente neutrale, anzi, mascherava completamente la verità con un’abilità straordinaria. Era sicuro di quello che provava per Danny, più sicuro dello stesso fatto di trovarsi lì con lei, seduta a gambe incrociate, che non si era nemmeno tolta il casco. Forse aveva capito che non c’era niente da fare e, quindi, reagiva di conseguenza in quel modo.
“Proprio così”, le rispose, “Tamara è una brava ragazza.”
Lo pensava davvero. Non che fosse la dea dell’amore scesa in Terra, sicuramente aveva i suoi difetti belli e buoni, ma non aveva mai passato abbastanza tempo in sua compagnia per coglierli. Per adesso quello che aveva visto era semplicemente il fatto che era una ragazza a posto, senza pretese, non la classica arrampicatrice in cerca di fama.
“Ne ha proprio l’aspetto.”, confermò anche lei, “E sembra anche una persona a posto, sono contenta per lui.”
“Già…”, disse.
Non andavano avanti, né indietro. E le ciliegie stavano finendo, martoriate ad una velocità supersonica da entrambi. Di nuovo il vento freddo lo investì, stavolta con più forza di prima. Alzò gli occhi al cielo: velocemente, il sereno era stato sostituito da una marea di nuvole grigie.
“Sembra che stia per arrivare un temporale.”, disse Jojo.
“Non credo.”, la tranquillizzò, “Il vento sta spostando le nuvole più pesanti laggiù, non ci sfiorerà nemmeno.”
Ma stava iniziando a fargli freddo e, velocemente, indossò di nuovo la giacca nera.
“Ti stai divertendo?”, le domandò sorridendole.
“Guarda, ti dirò la verità.”, rispose lei, mangiando la sua ultima ciliegia e liberandosi del nocciolo, “Stai iniziando a starmi simpatico, Harry.”
“Oddio, sono lusingato!”, le fece con ironia, “Davvero, non mi sarei mai aspettato un onore del genere!”
“Smettila!”, lo rimproverò lei, “Lo sto dicendo seriamente!”
Le sorrise, era imbarazzata.
Un tuono in lontananza li interruppe.
“Tranquilla, non si metterà a piovere.”, le ripeté.
“Se lo dici tu...”, disse Jojo, alzando gli occhi al cielo.
“Tutto fumo e niente arrosto!”, esclamò di nuovo lui, stendendosi sull’erba, con le mani dietro la testa, “Can che abbaia, non morde!”
 
 
 
Non si ricordava un temporale più furioso di quello, da diverso tempo a quella parte. Era iniziato quando ormai loro - Tamara, Jack e lui -  erano alle porte del maneggio e non si erano bagnati molto.
Avevano sperato che Little e Harry si fossero trattenuti nella struttura: Jack aveva detto che per quel giorno c’erano state molte prenotazioni e che, probabilmente, erano rimasti sprovvisti di selle di ricambio. Erano arrivati al maneggio e loro non c’erano.
Si era detto che forse si potevano trovare nei paraggi e li avevano cercati, fatti chiamare più volte dagli altoparlanti. Niente.
Ebbe una certezza quando lo stalliere Steven, che aveva cambiato la sella del cavallo di Little, disse loro che erano ripartiti per il bosco. Quindi dovevano essere là fuori, da qualche parte.
Tra i due non correva buon sangue da sempre, lo sapeva, però non gli sarebbe dispiaciuto affatto che le cose fossero cambiate, che fossero diventati amici. Forse per quel po’ di tempo passato insieme, da soli, avrebbero anche potuto conoscersi meglio e le incomprensioni iniziali sarebbero state superate.
Ebbe un prurito allo stomaco, un formicolio al naso.
Li stava attendendo con impazienza, mentre Tamara cercava di calmarlo con dolci e rassicuranti parole. Si chiedeva cosa fosse successo: il cellulare di Harry sembrava spento e quello di Little suonava a vuoto: lo avevano poi scoperto rinchiuso nell’armadietto a lei destinato.
E se fosse successo qualcosa? Se si stessero trovando in pericolo e non sapessero come fare a tornare indietro? Gli avevano sconsigliato di tornare nel bosco finché l’acqua non avesse smesso di cadere così copiosa. E se fosse stato troppo tardi?
Dietro ad un vetro ormai opaco per il suo respiro caldo e pesante, e lucido per le gocce d’acqua all’esterno, si poneva quelle domande a raffica, senza un attimo di sosta. Tamara aveva provato più volte a distoglierlo da quella posizione, braccia incrociate sul petto, il peso del corpo sulla sua gamba sinistra, occhi statici verso il bosco, ma non era stata capace di raggiungere efficacemente il suo scopo. Al che si era rassegnata, sedendosi nelle sue vicinanze con un giornale tra le mani.
Si trovavano nel  bar del maneggio, intorno a loro solo persone in attesa della fine del temporale che aveva guastato la loro domenica a cavallo.
“Stanno bene, se la caveranno.”, disse ancora Tamara, “Magari hanno trovato un rifugio di fortuna ed attendono la fine del temporale.”
“Lo spero...”, le rispose.
Stava iniziando a dargli sui nervi.
Due dei suoi migliori amici si trovavano là fuori, tra lampi e fulmini, in un bosco sconosciuto e forse in pericolo, e lui non doveva preoccuparsi? Doveva starsene tranquillo come lei con Vanity Fair tra le dita a leggere del nuovo figlio di Heidi Klum?
Cambiò finestra e si allontanò da Tamara, che sbuffò infastidita. Da quella aveva solo una visuale parziale del bosco ma gli sembrò comunque sufficiente.
Una macchia scura sbiadita, lontana, colse il suo sguardo. Appoggiò le mani al vetro.
Erano loro.
Si avvicinò alla porta che, premuta dal vento che soffiava pesante all’esterno, ebbe difficoltà ad aprirsi. Uscì all’aperto e si bagnò all’istante mentre le altre persone, incuriosite, si affacciarono per osservarlo.
Uomini coperti da pesanti incerate impermeabili si preoccuparono di andare incontro al cavallo, che galoppava veloce lungo la lieve collina alla cui cima si trovava il boschetto. Corse verso la tettoia della stalla, lì vicino, ed attese che i suoi due incoscienti amici si avvicinassero. Li vide scendere dal cavallo tremanti, zuppi d’acqua, e venire verso di lui accompagnati da due degli stallieri con le casacche impermeabili.
Si stupì di ciò che vide, o meglio, di ciò che sentì.
Little ed Harry stavano ridendo, indicandosi a vicenda, come se in tutta quella storia ci fosse stato qualcosa di divertente.
“Ma dove cazzo siete stati!”, li accolse Danny, infuriato.
“Tranquillo, Dan!”, gli fece prontamente Little, completamente fradicia, i suoi abiti gocciolavano copiosamente, “Siamo a posto, andiamo subito a cambiarci prima di prenderci una polmonite.”
“Sì!”, fece Harry, “Direi che sia proprio il caso! L’altro cavallo è...”
“Ma cosa cazzo state ridendo!”, protestò lui, sempre più fuori di sé, “Ho pensato che vi fossero capitate le peggio cose... E voi state ridendo!”
“E dai, Jones.”, provò a calmarlo Harry, “Guarda che ce la siamo fatta veramente sotto e stavamo ridendo solo perché non volevamo piangere dalla paura.”
“Siete due cretini!”, gli gridò contro, perso ormai il controllo, “Sono stato male per voi!”
“Ma adesso siamo tornati... Stiamo bene.”, gli disse Little. Il suo tono era rammaricato, stette quasi per sciogliersi ma non doveva, la situazione era gravissima.
“Andate a cambiarvi, poi torniamo subito a casa.”, tuonò la sua voce, in coppia con quella di una saetta che cadde in lontananza.
E li lasciò a guardarsi, colpevoli.
Il ritorno in macchina fu tremendo. Non volle sentire una sola mosca volare dalle bocche di quei due, per i quali aveva perso la pazienza e le unghie, completamente rosicchiate dai denti e dall’ansia.
Se ne stettero zitti per un’ora e mezza. Alle sue spalle, ogni tanto Tamara sbuffava annoiata. Little, dall’altra parte del sedile, se ne stava a testa bassa. Harry, vicino a lui, appoggiava il braccio sul rivestimento della portiera e tamburellava ritmicamente le dita.
Si fermò prima a casa sua, dove venne salutato da un freddo ciao di gruppo, a cui lui non partecipò. Poi posteggiò la macchina davanti alla propria abitazione e scesero, sempre muti. Appena entrato in casa si chiuse nella doccia, si preparò per la comparsata televisiva e lasciò le due donne da sole.
 
 
Quella maledetta doccia l’aveva freddata per tre volte con getti improvvisi di acqua gelata e i brividi non terminarono, almeno finché l’aria calda del suo asciugacapelli da viaggio non ebbe completamente disidratato le sue ciocche.
Si vestì con qualcosa di comodo e, davanti allo stesso specchio si dette la giusta carica per affrontare la serata.
“Ce la puoi fare.”, si diceva, “Ce la puoi fare.”
Ce la posso fare.
“Adesso vai al piano di sotto e ti comporti come sempre.”, continuò.
La voce tremò. Si dette una scossa, recuperò le forze e riprese a infondersi coraggio.
“Non rompere bicchieri, non far volare forchette, non pulirti la bocca alla tovaglia, non balbettare, non sputacchiare, non arrossire quando parlerete di Danny... Anzi, evitare assolutamente ogni discorso che lo riguarda.”, elencò uno dopo l’altro tutte le accortezze che avrebbe dovuto seguire per passare una piacevole serata insieme alla donna con la quale la persona di cui era innamorata conviveva felicemente.
“E ricordati anche di non mangiare niente di vegetale... Niente insalata, niente foglie verdi... Non vogliamo nessun baobab tra i denti. Non dare a quella un pretesto per ridere di te!”
Era pronta per scendere.
La cena sarebbe andata benissimo, avrebbero parlato del più e del meno, si sarebbero conosciute e lei avrebbe avuto l’ennesima conferma che non avrebbe mai potuto vincere su di lei.
Anche perché hai già perso in partenza, quindi... Rassegnati.
Si affacciò alla cucina dove una tranquilla Tamara si gingillava, seduta su una sedia con gli occhi fissi alla tv che trasmetteva un telegiornale qualsiasi. Erano le sei e mezza e, dato l’esiguo pranzo, aveva una discreta fame.
Tamara si accorse di lei e le sorrise.
“Siediti pure, fa’ come se fossi a casa tua.”, la rassicurò lei, “Per cena ho ordinato una pizza, spero non ti dispiaccia, ma non ho molta voglia di cucinare dopo la giornataccia di oggi. Non sapendo i tuoi gusti ti ho preso una semplice.”
“Sì, ti capisco. La tua scelta va benissimo.”, le disse.
“Tra l’altro dovrebbe arrivare tra poco.”, continuò Tamara, “Mi daresti una mano a tirare fuori dalla cucina due bicchieri e quattro forchette?”
“Certo, molto volentieri!”, le rispose.
Seguì le indicazioni di Tamara e, casualmente, dopo aver sistemato l’ultima stoviglia sulla tavola il campanello suonò. Ritirarono le pizze e, accompagnate dalla nenia della tv a basso volume, cenarono.
“Dimmi, cosa avete fatto oggi tu ed Harry, prima del temporale?”, le domandò.
Bell’inizio di conversazione.
“Ci siamo persi.”, le disse, mentre cercava di non far colare tutta quella strana mozzarella dalla fetta appena tagliata. Quella pizza era orrida solo a vedersi.
“Lo avevo immaginato.”, rispose l’altra, “E dove siete andati a finire?”
“Sotto ad un albero di ciliege.”
Tamara strabuzzò gli occhi.
“Come scusa?”, le chiese.
Lasciò perdere lo spicchio, del quale ormai era rimasto solo l’impasto: tutto il condimento era scivolato via sul piatto. Le spiegò che avevano passato il quattordicesimo segnale rosso per poi svoltare a destra e che, quindi, dovevano aver sbagliato strada.
“Decisamente!”, rispose l’altra, ridendo, “Dovevate svoltare a sinistra dopo il dodicesimo segnale!”
Ah ecco...
“Comunque”, riprese il suo racconto, dopo che lei ebbe terminato di rompersi la mascella dalle risate, “ci siamo poi fermati a mangiare, pensando di ritornare dopo pranzo con calma. Ed abbiamo trovato questo albero di ciliegie.”
“Ne avete mangiate?”, le fece.
“Sì, abbastanza.”, rispose.
Aveva una fame cane, il suo stomaco borbottava come una locomotiva che necessitava carbone, doveva assolutamente mangiare quella cavolo di pizza viscida. Bastava solo chiudere gli occhi, tappare il naso e infilarsela in bocca. Si munì di coltello e forchetta e, un triangolo per volta, iniziò ad intaccare quella specie di frittata gigantesca. Era da film dell’horror, come potevano chiamarla pizza...
Ma soprattutto, perché Tamara non era in difficoltà come lei? Si mangiava i suoi spicchi senza che una minima goccia di olio, di pomodoro o di formaggio cadesse via.
“A me non piacciono le ciliegie... Ne sono allergica.”, disse Tamara, dopo essersi pulita gli angoli della bocca, con educazione.
“Peccato, quelle erano proprio buone.”, le fece.
“Ed avete parlato, tu ed Harry?”
Ci siamo amorevolmente spulciati come le  due scimmie che vivono nella testa di Homer Simpson.
Il solo pensiero di quell’immagine la fece sogghignare.
“Certamente.”, le rispose con naturalezza.
“Harry è molto simpatico.”, affermò Tamara, “Ma non mi va molto a genio.”
“Beh... Devo dirti che anche io, prima di oggi, pensavo esattamente la stessa cosa.”, la informò.
“Ah sì?”, le fece lei, con interesse, “Cos’è che ti ha fatto cambiare idea?”
Ci rifletté.
 “Non è lo stronzo che ho conosciuto.”, le disse.
Tamara ridacchiò.
“Era questa l’impressione che avevi di lui?”, continuò l’altra ad approfondire il discorso, “Perché è la solita che ho tuttora.”
“Fidati.”, la consigliò, “La sua è solo apparenza, è un agnello travestito da lupo.”
“Secondo me vuole dominare gli altri, con il suo modo di fare e di comportarsi.”, si riprese Tamara con ancora più vigore, “Si sente il maschio del gruppo. Impone le sue decisioni.”
“Non è così.”, le spiegò, “Penso che si comporti un po’ da... Papà del gruppo solo perché tiene a loro e non vuole che facciano cazzate... Tutto qua.”
Era meglio terminare lì quella discussione, non voleva che Tamara aggiungesse altra carne al fuoco. Si sentiva terribilmente a disagio di fronte alla sincerità di lei, non sapeva come prenderla, come gestire quelle cose che le stava dicendo. Ma soprattutto, non sapeva a che pro Tamara gliele stesse riferendo.
 “Che pensi alle sue di cazzate!”, esclamò prontamente Tamara, “Ed ha fatto star male Danny... oggi.”
“Mi dispiace davvero tanto.”, le disse, veramente risentita per l’accaduto, “Ma il temporale ci ha colti di sorpresa.”
Annotare da qualche parte che Drummer McHot come meteorologo fa schifo.
“Lo capisco... Ma potevate avvertirci!”, si sfogò la ragazza, “Ha passato un’ora a preoccuparsi per voi!”
E tu non ti preoccupavi?
“Il cellulare... Non funzionava.”, accampò la prima scusa che le venne in mente, anche se era la pura verità, “E non è stato facile orientarsi per il bosco... Con tutta quella pioggia.”
Spaventata a morte per i fulmini che avevano illuminato il cielo nero sopra di loro si era letteralmente avvinghiata ad Harry: era salita sul suo cavallo, Spencer era fuggito via al secondo tuono. Una volta nel bosco, avevano dovuto tentare più volte la fortuna nel ritrovare la giusta strada, senza una luce. Anche lui si era sentito totalmente atterrito dalla situazione, Joanna lo aveva percepito a fior di pelle, ma Harry aveva cercato comunque di sdrammatizzare raccontandole di tutte le volte in cui aveva stupidamente rischiato la vita, solo per emulare quei pazzi di Jackass su Mtv. Si erano ritrovati a tremare per il rombo assordante di un fulmine e, due secondi dopo, a ridere come pazzi senza la minima coerenza. Ma ne erano usciti indenni, se non per un lieve raffreddore che stava nascendo.
Aveva compreso perfettamente la preoccupazione di Danny, anche lei al suo posto avrebbe avuto la stessa identica reazione, ma non giustificava affatto l’essersi arrabbiato con loro in quel modo. Glielo avevano detto: erano arrivati ridendo perché, se non avessero sdrammatizzato il fatto, si sarebbero spaventati a tal punto da non ritrovare la via del maneggio.
Non gli era bastato. Affari suoi.
“Va bene.”, concluse Tamara, accontentandosi ben poco della sua giustificazione.
Terminarono la cena in silenzio.
Cara mia, quella che ti trovi davanti è all’opposto di Harry. Un lupo travestito da agnello.
Una volta riposte le stoviglie dentro al lavandino, lasciate immerse in un po’ d’acqua, si spostarono nel salotto. Per la prima vera volta ebbe il tempo di osservarlo: era abbastanza semplice, in stile classico, le ricordava qualche stanza casa sua –di Arianna- e si sentì subito a suo agio. I mobili erano di una fattura molto semplice, niente di forzatamente troppo antico o moderno, un giusto equilibrio tra presente e passato. 
“Ti piace com’è arredato il salotto?”, le domandò prontamente Tamara, vedendola con lo sguardo iperattivo sui particolari che componevano il soggiorno.
“Sì, abbastanza.”, le rispose.
Unica pecca: la moquette verdastra. Sebbene fosse uno tra i suoi colori preferiti, non le piaceva in quella tonalità. Oltretutto stonava con il divano rosso scuro, di pelle. “L’ho arredato io.”, fece lei, con un sorriso soddisfatto, “Nella mia agenzia immobiliare abbiamo anche uno studio di design per interni.”
Ecco, come non detto.
“Molto carino... Delizioso.”, le rispose.
Si sedette sul divano, sperando che Tamara volesse dedicarsi all’ascolto passivo di qualche palinsesto televisivo serale. Magari, che sintonizzasse proprio lo schermo sul programma a cui partecipava Danny.
Non dovevi parlare di lui, né tanto meno pensarlo!
Subito arrossì e si voltò, per non farsi vedere in quello stato pietoso.
“Dimmi, spiegami come li hai conosciuti veramente...”, le domandò Tamara, ignorando il tubo catodico davanti a loro, “Danny non me ne ha mai parlato veramente.”
Ma me lo hai già chiesto...
“Beh... Al locale dove lavoravo.”, le rispose.
“Sì, questo lo so.”, insistette Tamara, “Ma cosa è successo davvero?”
Da quale storia doveva partire? C’erano moltissimi punti che si ponevano ottimali a quello scopo: l’essere rotolata per terra davanti ai McFly al completo dopo averli riconosciuti; la giornata passata a fare la spesa con Danny; il suo invito ad uscire di nuovo con loro; la partita di pallone... il bacio.
Il bacio...
I baci.
I baci...
“Loro sono entrati e io li ho salutati.”, disse, tutto d’un fiato, come se fosse stata la risposta giusta ad un quiz milionario.
“Ah... Interessante.”, fece Tamara, approfondendo la sua seduta sul divano, “Quindi eri già una loro fan.”
“Sì, li conoscevo già da diverso tempo.”, le rispose, con naturalezza, “Pensa che pochi giorni prima del loro arrivo avevo acquistato un loro poster su internet per appenderlo in camera.”
“Che coincidenza!”, esclamò Tamara, “E’ sbalorditivo!”
“Abbastanza.”, le fece.
Non comprendeva quanta ironia ci fosse nella parole dell’altra.
“E chi di loro è il tuo preferito?”, infiascò subito una domanda a tranello.
Beh, per lei non lo era affatto e la risposta fu cristallina.
“Nessuno di loro.”
Tamara non la bevve affatto.
“Non ci credo!”, esclamò infatti.
“A dire la verità non mi sono mai posta il problema di scegliere tra nessuno dei due...”, disse.
Che cazzo, Joanna!
“Tra nessuno di loro.”, si corresse all’istante, “Li ho... Sempre considerati in generale, come gruppo... Non come singoli.”
“E come mai Harry ti stava antipatico?”, chiese di rimando, “Che cosa è successo tra di voi?”
Ha cercato di mettersi in mezzo come un vigile e dirigere il traffico nella mia direzione.
“Mi prendeva sempre in giro.”
Buona scusa.
“E con Tom, invece, sembra che i rapporti siano tranquilli.”
“Sì”, le disse, “è un bravissimo ragazzo e mi dispiace non aver avuto modo di approfondire l’amicizia con lui.”
Era vero, si era sempre rammaricata per quello, ma non aveva potuto farci molto. C’erano stati gli altri tre a renderle la vita praticamente impossibile, in un modo o nell’altro.
“Dougie? Cosa mi dici di lui?”, pose il nuovo quesito.
Si concentrò su quella risposta.
Bella magagna.
“Con Dougie tutto ok.”, disse, senza inflessioni alcune nel suo tono di voce.
“Non è stato carino da parte sua non presentarsi, ieri.”, disse Tamara.
“Beh... Magari aveva degli impegni improrogabili.”
“Starsene davanti alla tv? Questo è un impegno improrogabile per te?”, insinuò l’altra, concludendo con una risata ed uno sguardo ammiccante.
Si unì al suo personale momento di ilarità, sfoderando un sorriso a quarantamila denti che pensava di aver dimenticato in qualche cassetto della memoria.
Tamara stava per porle la fatidica domanda, quella a cui lei non avrebbe dovuto rispondere con alcuna incertezza, né nella sua espressione facciale, né nelle parole che avrebbe usato.
 “E Danny? Cosa pensi di  lui?”
Le soluzioni erano possibilmente due: rispondere con semplicità, mentendo profondamente, e raccontarle la balla del secolo oppure...
“Tamara, vuoi dirmi qualcosa?”, le fece.
Ormai non sopportava più quel giocare a nascondino, quel guardie e ladri, quell’inseguirsi. Si era infastidita: troppe volte, ormai, si era sentita presa in giro, adesso pretendeva che le venisse parlato con onestà e sincerità. Aveva capito tutto e voleva cacciarla via? Che lo facesse! Avrebbe apprezzato di più una presa di posizione del genere piuttosto che un tacito lasciapassare per una settimana d’inferno fatta di mezze frasi, mezze intenzioni e mezze cazzate che le andavano di traverso.
“Oh no, non voglio dirti niente.”, rispose Tamara, senza alcuno shock, “Volevo solo capire un paio di cose.”
“Ah...”, disse Joanna, annuendo.
“Adesso devo andare a letto”, interruppe tutto Tamara, con un lungo sospiro ed uno sbadiglio finto, “domani ho una lunghissima giornata di lavoro.”
Oh no...
“Mentre Danny se ne starà tutto il giorno a casa.”, spiegò l’altra, “A meno che i suoi programmi non cambino da un momento all’altro.”
Oh cavolo no...
“Abbi rispetto per me.”, disse Tamara, con una decisione ed una serietà che la pietrificarono.
La donna si alzò e salì al piano superiore, lasciandola lì con un palmo di naso. Fissò la sua immagine riflessa sullo schermo piatto e lucido del televisore al plasma, ammutolita. Aveva voluto la verità? Eccola servita su un piatto d’argento, con una bella mela rossa tra i denti.
Andò in camera cercando di non fare il minimo rumore.
Prepariamo la valigia e andiamocene col primo aereo per l’Italia.
Prima di radunare le sue cose avrebbe chiamato Arianna per riferirle di tutto. Per quello afferrò il cellulare in borsa e compose il suo numero, distesa sul letto.
Pensavo che fosti stata rapita da degli alieni festaioli.”, sbottò Arianna, “Adorano facili prede come te.”
Joanna sospirò.
“Addirittura peggio.”, le disse, mentre affondava la mano nella faccia, togliendo via un po’ di stanchezza.
Gli alieni  hanno messo un palo per la lap dance accanto a te e non hanno visto alcuna  differenza tra di voi?”, ipotizzò con ironia la donna.
“Molto peggio.”, le ripeté.
Ti hanno usato come palo per la lap dance.”
“Arianna, non fai assolutamente ridere.”, le disse Joanna, infastidita.
Allora parla pure, figlia mia prodiga.”, la invitò, lasciandole il timone della barca.
Si fece coraggio.
“Sai chi abita in questa casa, oltre a Danny?”, le domandò, retoricamente.
Tu?”, azzardò a rispondere l’altra.
“E poi?”
Sua madre!”, esclamò prontamente Arianna.
Joanna si lasciò cadere all’indietro e rimbalzò sul materasso, sconfitta dall’impossibilità di poter parlare seriamente con la sua amica.
Allora, chi è quest’altra donna? Sua sorella lesbica?”, tornò all’attacco la donna.
“No... E per quello che ne so Vicky è completamente etero.”
Ormai era senza speranza.
“Parlavo della sua fidanzata.”, le rivelò, “Quella con cui convive da almeno tre mesi a questa parte... o giù di lì.”
Ci fu qualche secondo di silenzio, interrotto solo da una fragorosa quanto caustica risata di Arianna.
Ma senti un po’!”, esclamò lei, “Sperando di vincere una bella dichiarazione d’amore, hai giocato ben 150 euro sulla ruota di Londra... E ti ritrovi con un ambo secco non richiesto...
 “Arianna, per favore...”
Quanto dista la tua camera da letto dalla loro?”, domandò di botto l’altra.
“Perché?”
Era per sapere se li sentivi anche fare sesso alla notte.
Ormai Arianna era completamente persa.
“Ok, ho capito... Ti richiamo domani, va bene?”, le fece, completamente stizzita.
Lo farai per dirmi che sei atterrata in un qualche aeroporto toscano vero?”, le chiese Arianna, che non era quindi totalmente fuori di sè.
“Penso proprio di sì.”, fece, annegando la risposta in un sospiro rassegnato.
Come hai fatto a sopportare tutto questo finora?
“Sono portatrice sana del gene dell’ipocrisia e me la sto cavando bene, nonostante Tamara non ci sia cascata e mi abbia fatto capire, appena cinque minuti fa, che non gradisce la mia presenza in casa.”
E chi ha capito tutto, oltre a lei?
Bella domanda.
“Vicky, Harry... forse anche Tom e la sua fidanzata.”
Non mancava nessuno, uno escluso.
Tranne il diretto interessato, ovviamente.”, sottolineò automaticamente Arianna, “Stai vivendo una pessima sceneggiatura holliwoodiana. Sparisci in fretta o mi vedrò costretta a venderne i diritti a qualche regista affamato.
“Sì...”, le rispose, affranta.
E Dougie?
“Mai visto.”
Almeno lui ha un po’ di buon senso.”
“Già...”
“Ti lascio.”, le disse.
Ciao, Jo.


 Ed eccomi quaaaaa!!!! Capitolo bello lungo e denso, eh???? Abituatevici, ve lo dico subito.
Mi è mancato lo spazio ringraziamenti, quello in cui non so mai come mostrarvi la mia riconoscenza e vi riempio di frasi fatte e idiote... Non so se questa volta farò del mio meglio, ma diciamo che mi ci impegnerò di più.
Dico a tutte che Dougie entrerà in gioco tra qualche capitolo, esattamente al quinto... Si fa attendere, ed entrerà in silenzio...
E Danny.... Mamma Saura, vorrei soffocarlo con le mie stesse mani.

Ringrazio quindi tutte voi che mi avete commentato, o anche solo letto.  
Ringrazio la Pazza Ciribiricoccola, e le chiedo gentilmente di non essere troppo drastica  con Tamara.  La mia Vicky è la grilla parlante, insieme a Harry, ma non sarà molto presente, sebbene quello che dice al fratello avrà una certa rilevanza... Più avanti nella storia.
Ringrazio Picchia. La mafia esiste ancora, ed è più forte di prima. Altro che la Piovra.... Qua si fa la Seppia.
Ringrazio x_blossom_x, promettendole che le dirò con largo anticipo il momento in cui pubblicherò i prossimi capitoli. XD La pregherei anche di tenersi cucita la bocca... So dove abita.
Ringrazio saracanfly. La citazione sta bene accoppiata ad una bella risata, spero l'abbia fatta ridere tanto quanto ho riso io quando l'ho scritta io. A volte quella scema di Little sa essere davvero comica.
Ringrazio _Princess_. Il fatto che abbia trovato il tempo per tre parole, quando io ho messo quasi un mese per lasciargliene quattro, mi ha veramente toccato il cuore *sigh*... Spero di sentirla presto... E le mano un bacione.
Ringrazio kit2007. Mi dispiace che la mia Vicky non le piaccia, ma purtroppo è una persona talmente tanto drastica che a volte la sopporto poco anche io!  Danny non è furbo, è cretino come solo un uomo sa esserlo...
Ringrazio CowgirlSara. Anche io spero che affoghi nella cacca di cavallo... Sebbene quelle di mucca siano più capienti! XD

Non sono stata molto brava con i commenti, vero?

Ok, faccio schifo XD I apologize.

Il titolo  è preso direttamente dalla canzone di KT Tunstall, che ci sta a pennello. No scopo di lucro.







   
 
Leggi le 10 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > McFly / Vai alla pagina dell'autore: RubyChubb