Anime & Manga > Dragon Ball
Ricorda la storia  |      
Autore: MV_Raven    15/11/2014    1 recensioni
Quando ripenso alla mia vita prima di quel periodo, mi rendo conto di quanto, sia io che Vegeta, fossimo stati due sciocchi: avevamo la felicità a portata di mano, eppure nessuno dei due si era deciso prima a compiere un qualsiasi passo verso il contatto.
Sarebbe bastato solamente parlare, invece di tacere sempre, aspettando che la manna cadesse dal cielo e, d'altra parte, sarebbe bastato solo un piccolo sforzo per abbattere un muro fatto d'orgoglio, costruito mattone dopo mattone serbando verso gli altri solo odio e rancore. Avremmo potuto vivere i nostri anni d’oro felici, insieme, ma avevamo solamente perso del tempo prezioso sprecando la nostra vita.

Dal diario di una quarantenne che scrive per non dimenticare.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Proprio per il riciclo di vecchie storie, ho trovato nell’hard disk questa one shot AU.
Forse è un po’ (tanto) superficiale, a livello di trama, ed è trattata piuttosto grossolanamente… forse avrebbe funzionato meglio come long, fatto sta che ho deciso di ripostarla perché ricordo di averla dedicata al mio compagno, fan sfegatato degli Iron Maiden (da cui viene il titolo), che alle superiori mi ha tramandato la sua passione per la musica Metal che ancora non stavamo insieme!
Ha suscitato in me vecchi ricordi ed una strana nostalgia… perché un po’ rappresenta anche gli errori che io per prima ho fatto col mio compagno ed ogni tanto mi chiedo se non ho “perso degli anni”, sprecandoli quando la felicità era a portata di mano… ma il Destino ha i suoi piani, che è un po’ il fulcro di questa shot.
Boh… ho finito di annoiarvi, spero solo vi piaccia la storia, nel suo piccolo :)
Buona lettura.


WASTED YEARS”


Ricordi.
Ecco tutto ciò che rimane della mia giovinezza.
Ferite nel mio cuore che hanno saputo farmi crescere e cancellare ogni odio, ogni rancore portato, ma anche i momenti felici, i giorni spensierati, le uscite con gli amici e la scuola.
Ho passato l'inferno nella mia adolescenza, un inferno fatato e dorato. Soffrire, a volte, non è solo bastato su ferite mortali, su battaglie combattute a perder sangue, a sudare per vincere qualcosa: nella vita di tutti i giorni ogni ragazzino che entra nel mondo degli adulti si sente perso, depresso, bisognoso di quel qualcosa che, spesso, un genitore non può concepire.
E' tutto così dannatamente difficile e, più cresci, più ti rendi conto che vivere è complicato, che non si può essere sempre egoisti e non si può solo pensare a sé stessi, perché molte persone si trovano in situazioni ben peggiori della propria.
Ed ora rimango seduta davanti al computer, con i miei quarant'anni alle spalle ed altrettanti dinnanzi... e questa donna, che perde tempo a scrivere, non può far altro perché ha paura.
Paura che i suoi ricordi vengano spazzati via dal fiorire dell'età che avanza; smacco inaccettabile.
Io, che sono così vanesia, non posso dimenticare i miei anni persi, gli anni in cui potevo avere ai piedi chiunque desiderassi, ma in cui mi sono costruita un muro di cemento armato davanti, e tutto per colpa di un amore che io stessa non riuscivo a comprendere.
Dicono che la vita di una donna inizia alla mia età, ed è vero, poiché solo ora ho trovato l'equilibrio che cercavo insistentemente, quella routine un po’ movimentata, quel tenersi occupata con mille e più cose da fare. Quello che volevo e che ho ottenuto.
Ma chi poteva saperlo allora? In quel tempo in cui le mie uniche preoccupazioni si limitavano al compito in classe o alla scelta del vestito per il sabato sera passato in discoteca con le amiche? O i problemi per colpa degli ragazzi, anzi, di un Ragazzo!
Sarà divertente mettere per iscritto la mia vita, una sorta di personale autobiografia, un po’ come un album di fotografie, ma scritto, e chissà… forse qualcuno leggerà anche la mia storia, un giorno.

***

Tutto iniziò quando entrai alle superiori.
Frequentavo l'Istituto Tecnico Industriale di West Town, la mia città, per una pura scelta dettata dal DNA. Ero l’unica figlia dell'industriale e scienziato Dr. Brief e non potevo avere che un unico futuro: succedere a mio padre nella ditta di famiglia, la Brief Corporation.
Sicuramente una scelta azzeccata, date le mie innumerevoli doti per l'ingegneria e la meccanica, argomenti che avrei poi trattato all'università della Capitale, una volta superato l'esame di maturità.
La prima volta che entrai in quella classe, la I^C del corso informatica dell'I.T.I.S., capii subito che avrei avuto parecchi problemi.
In una classe di venticinque alunni, di cui soltanto quattro erano esponenti del gentil stesso -me compresa-, seppi che la vita sarebbe stata molto dura. Non è facile per una ragazzina ritrovarsi al centro delle attenzioni di tanti coetanei maschi, protagonista di quella che era la crescita durante la pubertà.
Subito pensai alle altre tre ragazze, dirigendo la mia attenzione altrove, magari per fare amicizia; Chichi divenne mia amica subito, anche se viaggiavamo su due lunghezze d’onda differenti; al contrario, Marion e Lunch, due ragazze un tantino frivole e facili -a cui non rivolsi nemmeno la parola-, divennero mie nemiche giurate, soprattutto la prima delle due.
Dei miei compagni di classe notai subito il clown di turno, un certo Son Goku, un ragazzino di montagna che chiamammo “Il Montanaro”, seguito da colui che doveva essere il suo amico di una vita: Crilin, un “pelato” basso e timido. C'erano poi il “nano” Riff e i due “taciturni musoni”, ovvero Al Satan Piccolo, uno straniero, e Tenshinhan.
Gli altri erano semplici comparse, persone di cui avrei presto perso ogni contatto.
Una persona che non dimenticherò mai, invece, era il professore di matematica! Si chiamava Muten, ma amava farsi chiamare Genio per la sua peculiarità di “Mentore dell’Aritmetica” ed era un vecchietto simpatico, anche se un tantino pervertito. La cosa che più mi divertiva durante le sue lezioni era quando doveva interrogare Goku: quante risate ci facevamo, tra le battute del ragazzo e i rimproveri del professore!
Il Montanaro era gentile, simpatico e anche carino -nonostante fosse un po’ tonto-, ma vidi subito a chi aveva rubato il cuore e non osai mettermi contro Chichi, perché sapeva essere una vera iena quando la si faceva arrabbiare.
Ogni giorno che passava le due “oche” si dimostravano sempre più tali, e molti maschietti non esitarono al richiamo di quelle gonnelline inguinali: come Crilin, che si innamorò perdutamente di Marion.
Che dire di lei?
Credo di non aver visto una ragazza più cretina! Era patetica e stupida! Ok... a dire il vero il nostro conflitto nasceva da un puro atto di fatto: tutte e due volevamo essere “la prima donna” della classe.
Era del tutto normale! Io ero ricca, intelligente, avevo ogni vestito firmato e mi ritenevo una bella ragazza, ma lei, nonostante fosse una stupida gallina, si comportava da civetta e questo le faceva guadagnare punti con i ragazzi; cosa che mi dava nettamente sui nervi.
Più i mesi passavano, più noi “primini” -così ci chiamavano i più grandi-, iniziammo ad uscire in corridoio durante la ricreazione, meno spaventati dalla nuova scuola e desiderosi di conoscere altra gente… persone simpatiche, come Yamcha, il più carino della scuola e meta ambita di ogni ragazza: alto, moro, sportivo e con un fare da ‘figo’ che faceva sciogliere chiunque… me compresa! Ovviamente mi innamorai di lui! Chi non sarebbe caduta in quella ragnatela ben tessuta da chi ne sapeva una più del diavolo!?
Eppure conoscemmo anche persone cattive, come Cell e i suoi scagnozzi o come Freezer: i classici bulli da evitare bellamente per non essere pestati o derubati.
Ricordo anche la nostra Sempai, la bella C18, una ragazza bionda che frequentava la V^C del nostro corso ed era stata incaricata di “badare” a noi primini, per la gioia di Crilin e di molti altri maschi e, cosa strana, anche di Goku che aveva mostrato interesse per lei…
«La odio!» mi disse un giorno Chichi, con luce omicida negli occhi, guardando la bionda sorridere circondata dai nostri compagni, come fosse il Signore sceso in terra: sembrava quasi che il suo corpo emanasse un alone di luce paradisiaca!
Io risi e le risposi che non doveva preoccuparsi, in fondo il Montanaro era un tale idiota che nemmeno sapeva il “perché” era attratto da C18, ma questo lo tenni per me.

Quella che doveva preoccuparsi ero io! Da bella ingenua qual ero, scrissi una bellissima letterina d'amore per il mio bel imbusto, ma quando -dopo circa un mese di incitamenti da parte della mia unica amica- riuscii a farmi coraggio per consegnargliela, ecco che lo vidi bello bello mentre si sbaciucchiava con foga -quasi animale- con Marion, in una zona della scuola poco frequentata.
Subito mi nascosi dietro al muro del corridoio perpendicolare a quello incriminato, ma non potei non sbirciare. Anche se avevo il sangue nelle vene che ribolliva e mi veniva da piangere, non riuscivo ad andarmene. Aveva vinto lei: io non sarei mai riuscita nemmeno a baciarlo, non senza almeno conoscerlo meglio… e figuriamoci in quel modo poi. Proprio quando sentii gli occhi bruciare dalle lacrime, una voce alquanto irritata mi destò dai miei pensieri.
«Che diavolo ci fai fuori? Fila in classe mocciosa!» ringhiò una voce maschile.
Mi voltai di scatto colta in fallo!
Vidi un ragazzo poco più alto di me: muscoloso, con capelli ed occhi neri come la notte e lo sguardo torvo.
Era vestito di nero, con una felpa che recava una grossa scritta rossa e bianca che citava "Iron Maiden" e sotto una specie di essere –decisamente- orribile ed inquietante che sembrava un corpo in putrefazione; aveva i pantaloni di jeans e degli anfibi simili a quelli di un soldato. Un metallaro, dunque?
«Che cavolo hai da fissarmi?» mi chiese brusco dopo il mio sguardo indagatore che lo scrutò apertamente dalla testa ai piedi.
Io mi ricordai dov'ero -e cosa stavo facendo- e subito mi assicurai che quei due idioti appartati non avessero sentito nulla.
«Zitto! Ti prego...» lo implorai alzando una mano e sporgendo la testa verso il punto in cui Yamcha e Marion avevano iniziato un film porno di quinta categoria.
«Ehi, razza di scema, che cavolo...?» proseguì il ragazzo per contestare la mia irriverenza, ma sporgendosi a vedere ciò che stavo “spiando”, si zittì da solo «Piccola pervertita!» sussurrò ghignando maligno, guardandomi dal basso verso l'alto, dato che era piegato in ginocchio accanto a me per sbirciare.
«Come ti permetti...» bisbigliai irritata, arrossendo. Che razza di stronzo! E io che soffrivo le pene d'amore!!!
«Mi permetto, “primina”! Io sono della V^E e quindi sono un tuo Sempai» proseguì, zittendomi.
Già era inquietante di per sé, vestito da poco normale poi!
«Eddie non è di tuo gusto?» chiese mentre mi ero letteralmente incantata sulla sua felpa, persa nello sguardo diabolico dell’essere putrefatto stampato sopra.
«Chi?!» gli chiesi.
«Naaaah, lascia perdere. Primo: nome. Secondo: che diavolo fai fuori di classe?».
«Razza di...» mi bloccai, e mi dissi che quello non era il modo migliore per ingraziarselo, così, tutta carina e sorridente –e falsissima come uno spot della Mulino Bianco- risposi alle sue domande «Mi chiamo Bulma Brief e frequento la I^C, sono fuori perché...» tentennai guardando istintivamente verso il lato in cui, al di là del muro, i due continuavano a palparsi avidamente.
«Perché ti piace quel donnaiolo da quattro soldi! Tsk» finì la mia frase con scherno.
Mi sentii una stupida: presa in giro due volte, avevo ormai le lacrime agli occhi ed ero piena di rabbia.
Stavo per scoppiare!
«Oh cazzo… Non credevo di essere all'asilo!» mi beffeggiò infierendo, ma qualcosa -o meglio- qualcuno, attirò la sua attenzione: il professor Genio stava salendo le scale che erano di fronte a noi. Merda!
Il ragazzo istintivamente mi prese per un braccio e mi trascinò nel bagno lì vicino.
Rimasi attonita per qualche minuto e lui mi guardò come per farmi capire che se avessi anche solo fiatato, mi avrebbe uccisa.
Zitti, ascoltammo la solenne ramanzina -che per mio sommo gusto- si dovettero sorbire i due “amanti” e mi misi a sghignazzare malefica attaccata alla porta del bagno, mentre il mio rapitore/salvatore guardava il cielo in cerca di risposte sulla mia stramba persona.
«Non mi hai detto come ti chiami...» gli chiesi voltandomi.
«Che ti frega?!» mi ruggì di rimando.
«Sempre gentile mi raccomando!» gli risposi sfoderando uno di quei sorrisi a cui mai -e dico Mai- nessuno aveva saputo resistere!
«Vegeta...» rispose schivo, guardando di lato come se d’un tratto fosse in imbarazzo.
Soddisfatta gli sorrisi, ma la tristezza mi invase nuovamente: la rassegnazione dalla sconfitta subita contro Marion era un piatto freddo da ingoiare. Ma che potevo fare? Per quanto ancora dovevo struggermi e crogiolarmi nella ricerca di una vendetta contro quella maledetta sgualdrina?!
Proprio il fatto che lei riusciva sempre dove io fallivo, mi dava sui nervi: tutte ma non Marion, non la mia nemica numero uno per eccellenza! Che smacco…
«Da quando ti apparti nei bagni con le bambine?» una voce maligna provenne, sibilando, da uno dei bagni chiusi.
«Cell. Cazzo vuoi?!» rispose a tono Vegeta, mentre in quel momento si che mi sarei messa a piangere come una mocciosa che vuole la mamma: Cell, colui che era il più temuto fra tutti a scuola, persino di Freezer, si trovava in quel bagno ed io me la stavo facendo sotto dalla paura!
Istintivamente mi aggrappai alla schiena di Vegeta, stringendo la sua felpa e lui non si mosse.
Il farabutto uscì dal bagno, accendendosi una sigaretta e fregandosene dei divieti impartiti dalla legge: era alto, molto alto, ed incuteva terrore con quel suo sguardo malandato, quasi da drogato, con delle enormi borse scure sotto agli occhi.
«Ehi. Fatti un po’ vedere, bella bambina!» , strafottente, Cell mi invitò ad avvicinarmi a lui con fare ambiguo.
Come diavolo si permetteva? Io ero Bulma Brief! Si... e facevo bene a tenerlo per me se non volevo altri guai! Rispose Vegeta al mio posto.
«Non ti abbasserai a questo spero!» lo derise Vegeta.
«Tsk!» Cell lo squadrò con un ghigno e spense la sigaretta per terra, uscendo «’Sta volta lascio passare, ma ti consiglio vivamente di guardarti le spalle, Pride!» pronunciò il suo cognome con disprezzo, mentre ormai scendeva le scale fuori dal bagno.
Tirai un sospiro di sollievo, ma notai i pugni serrati del mio salvatore «Tutto bene?» chiesi prendendogli la mano, che strattonò via in malo modo, fulminandomi con lo sguardo.
«Vattene via. E non farti più vedere!» sibilò.

Non lo rividi più.
Almeno per qualche settimana, dato che frequentavamo la stessa scuola, ma ogni volta che lo salutavo o cercavo di parlargli, mi evitava come la peste e non mi degnava di uno sguardo.
Scoprii, grazie al suo cognome, che era il figlio di un noto industriale ucciso anni prima da un’associazione di terroristi che la polizia non era ancora riuscita a smascherare: si pensava che dietro a certi omicidi misteriosi ci fossero dei pezzi grossi e non avevano tutti i torti nel ponderarlo, dato che persino mio padre sosteneva quella teoria, ed essendo il capo della Brief Corporation sicuramente ne sapeva più di tutti.
Seppi anche che Vegeta Pride, dopo l’omicidio del padre, aveva letteralmente perduto la retta via e aveva preso a frequentare delle compagnie sbagliate: tutti a scuola sapevano che lui era nella banda di Freezer; essi spacciavano, picchiavano e seminavano terrore a chi non obbediva ai loro ordini, minacciando anche di morte!
L’altra potente banda, sebbene meno numerosa ma decisamente d’élite, era quella capitanata da Cell, il figlio prediletto del Dott. Gero, noto scienziato conosciuto anche da mio padre, capo della Red Ribbon Chemical Industry.
Quando scoprii tutte quelle informazioni sulla vita di Vegeta, mi sentii triste per lui: era solo al mondo, abitava in uno squallido appartamento, privato di tutto ciò che era stato di suo padre, mentre sua madre era morta dandolo alla luce. Che vita infelice doveva aver avuto e potevo persino capire il perché aveva preso parte alla banda di Freezer, non lo biasimavo di certo…

Ciò nonostante -complice Vegeta stesso, che mi ignorava ed evitava ogni giorno di più-, ignorai i miei strani sentimenti nei confronti di Pride fino a quando egli si diplomò, sparendo dalla mia vita…
Pensai, con una nota di tristezza, che non lo avrei più rivisto e i miei interessi si spostarono inevitabilmente altrove; più precisamente verso Yamcha, il belloccio della scuola che rimase solo un capitolo della mia vita, che si chiuse quando compii diciotto anni.
Quando compii sedici anni, magicamente lui si accorse di me -o del mio seno cresciuto di due taglie-, ma poco importava il motivo, perché se Vegeta mi faceva compassione, Yamcha mi eccitava da morire.
Quando mi fece la corte, toccai il cielo con un dito e i due anni passati con lui, nonostante i tradimenti a mia insaputa, erano stati felici e divertenti; inoltre la mia prima volta avvenne proprio con lui, a casa sua.
Sentivo davvero di amarlo e qualche tempo dopo che ci eravamo messi insieme, mi aveva fatto capire che aveva certi bisogni da saziare quindi, senza nemmeno pensarci su troppo, acconsentii alla sua proposta per non venir lasciata… e fu tremendo. Cosa non si fa per amore…
Dolore e lacrime mi avevano accompagnata lungo tutto quel calvario della “prima volta”, che non durò più di dieci minuti, senza contare la fatica che accompagnò l’inizio. Imbarazzante e da dimenticare…
«Sei così stretta che sono venuto subito…» mi disse, come se dovesse giustificarsi, sedendosi dal suo lato del letto per sfilarsi il preservativo imbrattato di sangue.
Ancora sotto le coperte, restai nascosta -decisamente sconvolta- con gli occhi ancora lacrimanti: una volta entrato in me aveva spinto sempre più forte, più veloce, e sembrava addirittura fuori di sé, tanto era eccitato! Nemmeno si accorse della mia sofferenza… e se ne uscì pure con quella sciocca frase, aggiungendo poi uno squallido «E’ del tutto normale che faccia male, tesoro!» ed io mi rassegnai, nella speranza di non provare più una simile esperienza.
Fortunatamente le volte seguenti furono indiscutibilmente più appaganti, ed iniziai persino a prenderci gusto.
Tuttavia, ogni storia d’amore che inizia al liceo, prima o poi finisce, soprattutto quando si va all’università e si conosce un mondo nuovo, una città lontana da casa e tanti nuovi amici. Inoltre, l’aver scoperto i suoi tradimenti non aveva giovato alla nostra situazione già in crisi per via della distanza.
Dopo essermi diplomata col massimo dei voti, al contrario di Marion che prese il minimo per essere promossa, fui davvero soddisfatta di me stessa e decisi di proseguire gli studi nel campo che più era consono alle mie capacità; con baracche e burattini al seguito, mi trasferii nella Capitale ed andai a convivere con Goku e Crilin, che avevano trovato lavoro in quella città affollata.
Per loro non vi era ragione di “suicidarsi” continuando a studiare e nemmeno avevano tutti i torti, dato che a scuola avevano fatto pena ed erano usciti per miracolo!

Quello che non sapevo, però era che il mio “prediletto” Pride si era giusto trasferito nella Capitale per sfuggire alla tirannia di Cold, il padre di Freezer, morto in un presunto incidente stradale: in realtà -ma venni a conoscenza di ciò solo molto tempo dopo- era stato Cell ad ordinare l’omicidio del capo di Pride; quel viscido essere poteva quello ed altro.
La situazione dei giovani di West era dunque degenerata a tal punto che Vegeta decise ad andarsene per non rischiare la pelle: era certo che Cell li volesse tutti morti, e a lui non importava nulla di Freezer o di quelle sciocche bande di quartiere, che nascondevano qualcosa di più grande, qualcosa che sapeva di mafioso, di setta ambigua e di cui facevano parte persino gli adulti, i padri dei membri stessi… forse le medesime persone che avevano ucciso il suo: Vegeta Pride Senior.
Ciò che importava realmente a Vegeta, era far soldi per cercare di divenire potente; raggiungere la notorietà del padre e recuperare il prestigio e le ricchezze perse, erano divenuti i suoi scopi primari –e la sua vera ossessione- da molti anni a quella parte.
A scuola era stato uno dei migliori, ma nonostante questo non si era potuto permettere l’università e quindi doveva guadagnare grana un po’ come capitava.
Dato che il suo capo morì -anche se lui odiava definirlo così poiché era orgoglioso e padre delle sue scelte-, Vegeta aveva dovuto dire addio allo spaccio e ai pestaggi di strada… e quindi addio anche a quel poco denaro che racimolava: Pride era di nuovo solo e nessuno della vecchia banda si era più fatto vivo -sempre che qualcuno lo fosse ancora- ed il suo cambio di città passò pressoché inosservato, permettendogli di respirare un po’.
Fu Goku ad incontrarlo e scoprì che Vegeta viveva facendo il pugile nelle gare clandestine, nella periferia. Goku e Vegeta passarono molto tempo insieme e, anche se erano due persone completamente diverse fra loro, posso dire –senza certezza- che quei due erano divenuti amici, forse proprio grazie alla caparbietà del Montanaro. Non conoscevo i dettagli, fatto sta che quei due uscivano spesso insieme e proprio da Goku partì l’idea della convivenza insieme a noi, prendendo il suo posto, dato che il ragazzo di montagna si era fidanzato con Chichi e pensavano di sposarsi per via dell’imminente gravidanza… e quindi l’appartamento dove risiedevamo io e Crilin avrebbe avuto un letto vuoto con lo stesso affitto da dividere per due invece di tre.
Riluttante, Pride dovette praticamente accettare la proposta… per mia somma gioia.

Fui gentile e premurosa con lui, attenta e disponibile per ogni suo bisogno; cucinavo e gli comprai dei vestiti, lo curavo quando rientrava da una gara, di cui spesso ne era il vincitore, e facevo di tutto per avvicinarmi a lui, complice quell’ossessione da crocerossina che mi portavo fin dal liceo, quando conobbi la sua storia.
Da Vegeta, tuttavia, ottenevo solo risposte monosillabiche, parolacce ed imprecazioni colorite, oppure venivo semplicemente ignorata.
Crilin non esisteva nemmeno! Non era mai in casa, timoroso nei confronti di Vegeta e perché, negli ultimi tempi, era riuscito a riallacciare i rapporti con C18, con cui aveva avuto una tresca qualche tempo prima. Incredibile come quel “tappo” aveva successo con le donne… fra le sue conquiste vi era pure quell’oca di Marion! Forse forse, ero più sfigata io di lui… che tristezza.
Tuttavia, delle tresche di Crilin e dei suoi amori, non mi importava un accidente.
Io sbirciavo Pride mentre dormiva, sdraiato a qualche maniera sul divano; io andavo a vederlo combattere per pochi dollari, sbavando letteralmente dietro al suo corpo scolpito negli anni, muscoloso ed esotico. Io ero persa nel suo sguardo bieco, innamorata silenziosamente di quel suo fare da duro e dalla sua misantropia. Ne ero ossessionata e anche se vivevo al suo fianco ero comunque considerata come un fantasma; le uniche volte che m’interpellava era per dei vestiti puliti o per del cibo. Nulla più.
Una delle tante cose che mi colpirono di Vegeta, era che amava la musica e passava tutta la notte con lo stereo basso, ma perennemente acceso su quel gruppo che tanto amava sin dalle superiori e anch’io mi appassionai a quel gruppo, che amavo ascoltare in camera di Pride quando lui non c’era.
Nel frattempo che i mesi passavano, i miei studi proseguivano ed io non avevo nemmeno il coraggio di dirgli quello che provavo per lui veramente. Litigavamo quando cercavo di ribellarmi ai suoi ordini, a cui non mi dispiaceva certo obbedire, ma odiavo non essere ricambiata quando mi bastava solamente una parola carina oppure un sorriso.
No. Lui non sorrideva mai, lui viveva nell’odio contro il mondo, col rancore nelle vene! Ai suoi occhi ero solo una patetica femmina buona solo a rompere le scatole!
Quanti anni avevo sciupato nella paura di rovinare tutto?
Potevo perderlo da un giorno all’altro, ma non riuscii mai a fare niente, se non rovinarmi i miei anni migliori.
Una sera però, dopo ore ed ore passate chiusa in bagno a piangere, trovai il coraggio di dirgli quello che provavo, ed iniziò la fine…

Quella sera Crilin non era in casa come al solito, e Pride rientrò alle due di notte com’era sua abitudine.
Ero semi stesa sul divano e lo salutai gentilmente quando varcò la soglia, senza essere degnata di uno sguardo, come di routine. Vegeta si prese una birra dal frigo della piccola cucina a vista e si sedette accanto a me, strappandomi il telecomando dalle mani.
I canali si susseguirono frenetici, ma nulla pareva attirare l’attenzione dell’uomo seduto accanto me, perché si, ormai il liceo era finito da un pezzo ed eravamo cresciuti: mi sarei laureata entro breve e la mia vita era incasinata da lui. Oppure ero io stessa che mi crogiolavo in futili pensieri che mai avevo esposto, ma mi ero finalmente decisa a dirgli tutto quello che pensavo e provato! Tutto quanto…
«Vegeta…» cercai di attirare la sua attenzione, senza successo. Comunque le orecchie le aveva, quindi continuai a parlare. «Mi sono innamorata da te. Da anni.» dissi secca, senza troppi preamboli o giri di parole.
Ebbene si, dissi una delle mie cose più importanti al mondo… nel modo più patetico del mondo, e mi sentii davvero scema per aver proferito una simile cavolata! Avevo aspettato anni per cosa? Per fare una figura di emme… semplice.  
Lui si voltò verso di me con un sopracciglio alzato ed il perenne cipiglio bieco.
«Guarda. Non me n’ero accorto!» esordì con tutto il sarcasmo che riuscì a gettar fuori!
«Che stronzo! Un po’ di tatto no, vero?» imprecai alzandomi; già mi sentivo una scema di mio, non c’era alcun bisogno di infierire così, ma lui mi strattonò per un braccio e mi ritrovai a terra fra le sue gambe.
«Se ti piaccio tanto puoi sempre renderti utile» ghignò mentre slacciandosi i pantaloni, con gli occhi di brace fissi nei miei.
«Vuoi violentarmi?!» il mio tono era però di sfida, non di rassegnazione; né tantomeno di paura.
«Per beccarmi una bella denuncia? No! Assolutamente no!» se la rise beffardo.
«E cosa vuoi fare allora?» domandai confusa.
«La domanda è… cosa vuoi fare tu…» pronunciò lentamente quella frase, sorridendo ambiguo mentre la sua parte più intima era davanti ai miei occhi, senza più alcun ostacolo: mi stava umiliando nella maniera più crudele del mondo! Voleva… voleva un pompino e tanti saluti?
Passai qualche minuto in silenzio; l‘aria era carica nella stanza e dalla televisione provenivano voci isteriche che blateravano al vuoto, solo una lampada da comò ad illuminare la sala semi oscura.
«Nulla» mormorai alzandomi, seguita dai suoi occhi d’ebano che non osavo incrociare.
La verità era che, per un solo istante, Vegeta riuscì a farmi sentire una puttana; e non per il gesto in sé, ma perché per un attimo avevo davvero pensato di fare qualcosa di cui mi sarei poi pentita.
Assurdo… ero assurda io ed era assurdo anche lui e tutta quella situazione di merda, ma quando ormai le mie guance erano bagnate dalle lacrime, mi ritrovai attaccata al muro con due forti braccia che mi circondarono la vita. Vegeta accarezzò ogni centimetro del mio corpo, ma non delicatamente: i suoi baci sul collo, la sua lingua sulla mia pelle sensibile, e le sue mani sul mio seno eccitato, reclamavano soltanto possesso, passione e voglia di sesso; nient’altro.
Lo lasciai fare e ben presto risposi involontariamente ai suoi gesti con gemiti di piacere, strusciandomi contro di lui, contro il suo membro indurito dandogli  la schiena e, con le mani poggiate sul muro, gli permisi di entrare in me: quella notte lo facemmo così, in quel salotto impregnato di gemiti e squallore.
Nulla più del piatto sesso, come specificò Vegeta stesso poco dopo essersi preso un’altra birra e le cose continuarono ad essere così per molto, molto tempo.
Usata come un’amica di letto, come una femmina atta solamente a soddisfare dei bisogni fisici di un uomo tormentato da sé stesso, dal suo passato e dal suo presente.
Sperai nel profondo mio cuore che un giorno lui mi vedesse con occhi diversi, con gli occhi di un amante e non di un aguzzino approfittatore, eppure lo lasciavo fare ogni volta che voleva, spesso ricambiando e donandogli piacere per poi chiudermi in bagno a piangere per ore.
Delle volte esagerava e mi faceva del male, ma non facevo niente, non dicevo nulla: io lo amavo con tutta me stessa ed ero disposta a qualunque cosa per lui, persino a farmi umiliare a quel modo.
Ero diventata succube di un amore impossibile.

***

Qualche anno più tardi, il boss della Mafia dell’ovest, Cell, riuscì a conquistare persino il dominio della Capitale… e dettò legge!
Nessuno poteva fermarlo e, con maschere ipocrite, si era stabilito al governo: apparve come un grande scienziato degno del padre, da premio Nobel, ed era un magnate dell’industria chimica molto in voga in quegli anni.
La cosa fu riluttante di per sé, ma per Vegeta era pura eresia!
Non poteva vedere quel figlio di puttana sovrastare tutti; avrebbe dovuto essere lui a dominare ed essere dov’era arrivato quel coglione di Cell… fu uno smacco al suo orgoglio. Ancora una volta…
Abitavamo soli ormai da qualche tempo. Io mi ero laureata da un paio di anni, lavorando per la filiale della Brief Corp. nella Capitale, facendo le veci di mio padre; non ero voluta tornare a West Town perché il mio posto era accanto a Pride, nonostante tutto il male, senza di lui mi sarei sentita morire… inolte, non avrei mai potuto lasciarlo solo a sé stesso. Il mio folle amore me lo impediva ogni giorno, anche in quelli più cupi, dove la fuga sembrava l’unica soluzione al mio tormento.

Un giorno, mentre stavamo guardando un notiziario riguardante perlopiù le “magnifiche” imprese di Cell, mi venne un’idea malsana.
«Perché… non vieni a lavorare con me! Torniamo da mio padre e vieni alla Briefs Corporation!» esclamai eccitata, inginocchiandomi sul divano verso di lui, sovraeccitata per quella pazza idea venuta dal nulla.
«Ma che diamine ti prende! Ma sei scema? Che ti scoppia!» ruggì lui, spaventato da quel mio strano scatto euforico.
Risi e gli presi le mani, spiegandogli come, con me, avrebbe potuto essere felice; essere ricco e famoso, raggiungendo i livelli di quel farabutto, la cui faccia compariva ormai ovunque; e di come avrebbe potuto laurearsi accettando i miei soldi in prestito e… avere una famiglia con me, se lo avesse desiderato. Ma questo ultimo pensiero non lo dissi a voce alta. Dopotutto non c’era nulla di serio fra noi.
«Mia madre cucina veramente bene! E poi tu eri bravissimo a scuola, sono sicura che non ci metteresti molto a laurearti e…».
«Piantala.» mi frenò serio, tornando a guardare la tivù.
«Ma perché? Scusa tu potresti…».
«Ho detto di finirla, Bulma.» disse calmo di rimando. Raramente mi chiamava per nome.
«Non capisco il motivo di tanta ostinazione! Non ti sto mica chiedendo di amarmi! Ti sto solo offrendo l’opportunità della vendetta!» sbraitai furente.
«Credimi, sarebbe più semplice amarti che accettare la tua carità!» sbottò infastidito.
«Amami allora!» dissi gesticolando scocciata.
«’Fanculo Bulma.» il suo tono era piatto, annoiato.
Sbuffai: perché doveva sempre esser tutto così complicato?! Perché Goku e Chichi vivevano felici con Gohan, il loro figlioletto, mentre Crilin e C18 si erano appena felicemente sposati ed io e Vegeta eravamo ancora fermi al post-liceo?! Perché io non potevo avere una vita normale?
Blaterai qualcosa come un “vado a letto” o roba simile, e mi misi sotto le coperte.
Non avevo nessuna speranza. Il mio destino era quello di essere infelice, sentimentalmente parlando.
Poco dopo, forse colpito da qualche raro senso di colpa, Vegeta venne nel letto e finimmo per farlo, così come capitava spesso fra noi. Attimi di pura passione e desiderio…
«Voglio solo che tu sia felice… ma tu mi impedisci anche quello… è… frustrante…» bisbigliai una volta in procinto di dormire, ognuno dal suo lato, entrambi semi seduti nel letto.
«Vieni qui…» mi disse piano Vegeta e di primo acch9ito sgranai gli occhi, sinceramente sorpresa, e prima che cambiasse idea, lo abbracciai posando la testa sul suo petto.
Se solo fosse riuscito a capire quanto era grande l’amore che sentivo per lui…
Se solo avesse capito che avrei dato la vita per renderlo felice, per vederlo sorridere almeno una volta.
No. Non riuscivo nemmeno in quello. Una vita da fallita sul piano sentimentale e nei confronti delle persone che mi stavano accanto. Mi sentii inutile… fottutamente inutile.
Piansi, stringendolo mentre lui guardava freddo il soffitto; la mano che mi cingeva un fianco scivolava sulla pelle nuda delicatamente. Lui sapeva, non era stupido, ma ignorava semplicemente il tutto; in fondo, era più comodo così.
«Smettila di frignare.» mi rimproverò a bassa voce.
«Ti amo… non ho mai smesso…» fu l’unica cosa che riuscii a pronunciare, sebbene in modo quasi impercettibile.
«Uhm…» borbottò, stanco di sentire quelle due parole che non riusciva ad ammettere a sé stesso di saper provare, perché si, anche se nessuno dei due se ne rendeva pienamente conto, Vegeta si era affezionato a me ed ero l’unica persona vicino a lui, l’unica cui, in un modo un po’ bizzarro, lo aveva permesso: non aveva nessun altro oltre.
E a me, che importava del resto? Avevo lui, mi bastava e, forse, non ero più del tutto ignorata; qualcosa iniziava ad arrivare anche da parte sua, qualcosa di molto, molto, piccolo.
Ero ricambiata senza saperlo, senza accorgermene e, lentamente, in un processo organico che durava da anni ormai, da parte di entrambi era nato qualcosa di più di una semplice cotta, un sentimento profondo e vero, anche se celato dietro a un muro d’orgoglio.
Quella notte, passata a piangere abbracciata a lui, fu la più lunga e bella di tutta la mia vita e, cosa più importante, fu la notte in cui concepimmo nostro figlio.

La scoperta di diventare padre lasciò Vegeta scioccato.
Aveva sempre preso le dovute precauzioni e per anni avevano fatto il loro sporco lavoro, rendendolo libero di sfogare i suoi istinti senza preoccuparsi di ricevere notizie seccanti come quella che aveva appena sentito: evidentemente qualcosa era andato storto. Forse un preservativo bucato, ma il problema era un altro, dato che la frittata era già stata fatta: avrebbe avuto un figlio! Cazzo, un figlio!
Non che la cosa lo disgustasse particolarmente, ma riusciva a stento a mantenersi da solo, figuriamoci con un moccioso e l’idea che io potessi abortire -ne sono certa- gli passò nella mente almeno un centinaio di volte; ciò nonostante non me lo chiese mai, anzi, mi aveva dato il libero arbitrio ed io risposi che a trent’anni suonati potevo permettermi di avere un figlio dalla persona che amavo, anche se non ero ricambiata.
Eravamo a tavola durante il pranzo mentre discutemmo dell’accaduto; il mio ritardo aveva costretto il mio lato più timido a farsi coraggio, entrando in una benedetta farmacia per comprare un fottuto test. Il risultato positivo lo lessi proprio qualche ora prima, insieme a lacrime di gioia e preoccupazione, di confusione e risoluzione. Se il destino aveva voluto che avessi un figlio, lo avrei cresciuto anche da sola.
Ciò che non scorderò mai fu lo sguardo rassegnato di Vegeta.
Sapevo che stava ripensando alla mia proposta del prestito, e sapevo anche che per colpa di un imprevisto, quale nostro figlio, avrebbe dovuto fottere il suo dannatissimo orgoglio. Tuttavia agevolai il corso dei suoi pensieri, chiedendogli nuovamente se voleva tornare a West, a casa mia.
«Mi tocca… non sono un irresponsabile e quel “coso”… è anche mio.» rispose guardando il tavolo mentre con un cenno della testa si riferì alla creatura nel mio grembo. Tralasciai la sua arroganza…
«Non te ne pentirai. Te lo giuro.» esclamai mentre nel mio cuore sperai proprio di non sbagliarmi.
Così, dopo aver rigirato la faccenda ai miei genitori, che accolsero la notizia di diventare nonni con molta più gioia di quanto mi aspettassi, andammo a vivere a West Town.

Qualche anno dopo anche Pride si laureò in ingegneria e diventò socio di mio padre al cinquanta percento, in cambio di un matrimonio di facciata: il nostro.
Nonostante fosse atto solo alle apparenze, io sapevo che era l’unico modo che avevo per ufficializzare la nostra coppia; non si poteva certo dire che non lo fossimo, dato che ci frequentavamo da anni senza andare con nessun altro e senza tradirci, per quanto poteva contare tra due persone non fidanzate e, comunque, Vegeta negli anni si era ammorbidito nei miei confronti, trattandomi con rispetto, aiutandomi nel bisogno e standomi vicino sempre, nonostante egli cercasse di apparire freddo e cinico nei confronti della sua famiglia.
Amava nostro figlio, anche se preferiva non darlo a vedere ed era molto orgoglioso di lui.
I miei genitori adoravano e viziavano Trunks -così si chiama il mio bambino- ed insieme vivevamo felici con un azienda leader nel suo campo e con i giornalisti alle costole, desiderosi di conoscere per filo e per segno come il figlio di Pride Senior era riuscito a tornare alla ribalta, sebbene egli fosse sempre schivo e ben lungi dal parlare dei fatti suoi con gli altri.

***

Quando ripenso alla mia vita prima di quel periodo, mi rendo conto di quanto, sia io che Vegeta, fossimo stati due sciocchi: avevamo la felicità a portata di mano, eppure nessuno dei due si era deciso prima a compiere un qualsiasi passo verso il contatto.
Sarebbe bastato solamente parlare, invece di tacere sempre, aspettando che la manna cadesse dal cielo e, d'altra parte, sarebbe bastato solo un piccolo sforzo per abbattere un muro fatto d'orgoglio, costruito mattone dopo mattone serbando verso gli altri solo odio e rancore.
Avremmo potuto vivere i nostri anni d’oro felici, insieme, ma avevamo solamente perso del tempo prezioso sprecando la nostra vita.
Nessuno è incapace d'amare e chiunque merita di essere ricambiato: ci vuole accanto solo la persona giusta.
Tuttavia, nel nostro caso specifico la cosa era stata molto più problematica, dato che Vegeta era molto più testardo di me. Ci volle un figlio per fargli capire quanto aver di nuovo una famiglia fosse importante, e quanto questa possa riuscire a rendere felice una persona, anche la più bieca scontrosa.
Vegeta non era più solo al mondo, perché se non mi avesse voluta, non poteva certo cancellare metà del corredo genetico di suo figlio, che porta con sé gli stessi tratti paterni.
Potevamo svegliarci prima, questo è vero, ma sono sicura che, in un modo un po’ subdolo, il Destino aveva previsto il nostro cammino, passo dopo passo, prevedendo ogni situazione: tutto doveva essere vissuto a quel modo, e persino quelli che noi definiamo i nostri “anni persi”, come dal titolo di una canzone del nostro gruppo preferito, erano in realtà utili e fondamentali per la nostra crescita. Come coppia e come persone.
Niente è per niente. Tutto serve ad arrivare a un dunque, ed ogni cosa va vissuta, anche quando ci sembra di sprecare solo del tempo prezioso. Da giovani si compiono errori, si scelgono strade sbagliate, ma è altrettanto vero che errando s'impara.
Io e Vegeta abbiamo imparato ad amarci, ad occuparci della nostra famiglia, della nostra azienda e a convivere nello stesso letto con lealtà e passione. Abbiamo scoperto quanto i sentimenti mutano, ma non nel momento in cui giuri amore eterno davanti a Dio, mentre ti sposi, ma quando vivi e condividi faccende di vita quotidiana; quando affronti i problemi appoggiandoti a qualcun altro. Quando litighi e abbassi il capo per fare pace, perché due adulti devono pensare a ciò a cui hanno dato la vita, prima che al proprio orgoglio.
Ed anche un uomo cinico e orgoglioso come Vegeta può provare amore per i suoi cari, può avere una famiglia che lo ama, ed essere in pace con sé stesso.
Insomma, eravamo felici, ma c’era ancora un faccenda in sospeso…

Purtroppo, non è sempre facile ingoiare un boccone amaro come Cell, soprattutto quando si è costretti a vederlo in ogni momento alla tivù; e quando sai per certo che per colpa di quel bastardo -e di quel cane di suo padre- tu hai perso un genitore e tutto ciò che ti apparteneva, il boccone diventa sempre più grande da mandar giù; ti soffoca, letteralmente, ed il pensiero ti tormenta la notte, ti inasprisce i sogni che tramutano in incubi atroci, caricandoti di un odio ancor più profondo di quello che già covavi prima.
Vegeta dormiva sempre male: lo sentivo muoversi, sudare e svegliarsi di continuo.
Non passava notte in cui non si alzava almeno due o tre volte ed io non potevo fare nulla, se non confortarlo con il calore del mio corpo… ma non era sufficiente. La questione Cell rodeva le sue interiora sempre di più e sapevo che meditava la sua vendetta da una vita, sapevo che avrebbe voluto il suo sangue…
Sono certa che bramasse la sua testa, ed ero fermamente convinta che sarebbe stato capace di ucciderlo a sangue freddo, se solo gli fosse stata data la possibilità.
In una parola?! Vegeta era pericoloso; ma forse lo era sempre stato, non era di certo una novità e la cosa non mi stupiva, anzi… desideravo aiutarlo, solo che non sapevo come.
Fu la “possibilità” a trovare noi.
Come grandi imprenditori mondiali, anche Vegeta ed io -dopo aver preso il posto di mio padre come socia di Pride al cinquanta- acquisimmo una fama internazionale succulenta, come soci e coppia nella vita di tutti i giorni, suscitando interessi pubblici, rendendoci famosi… e ciò era proprio il requisito fondamentale  che contraddistingueva i grandi uomini di dominio, imprenditoriale e non, facenti parte della “Loggia”.
Chiunque facesse parte di questa associazione segreta internazionale, era un élite.
Solo i prescelti erano ufficiosamente invitati, e questo capitò a me e mio marito in una tranquilla giornata d’Aprile: in silenzio ci fissammo, dopo aver letto la lettera marchiata da un sigillo rosso di cera, ponderando entrambi la stessa cosa…
Facendo parte della Loggia, avremmo potuto conoscere tutti i segreti di Cell e, nel caso di Vegeta, avere buone probabilità di potersi vendicare oppure -meglio ancora- di ucciderlo.
Un pensiero folle il nostro: uccidere è sempre un reato, ed inoltre ti macchia la coscienza, ma agevolare le indagini della polizia, magari trovando documenti incriminati, era una chance verso il successo e la giustizia.
Prendendo parte alle riunioni ed avvicinandoci a quello che era il mondo dominato da Cell, ci ritrovammo dinnanzi ad uno spettacolo pazzesco: tutto era controllato, tutto veniva calcolato al dettaglio; niente era lasciato al caso, persino le guerra fra i paesi erano ben studiate e meditate nei dettagli.
Nonostante ci spettasse una bella fetta di potere, io e Vegeta non cademmo mai nel baratro della tentazione, e prima di cedere alle fauci del potere -cosa che allettava Vegeta e non poco-, dovevamo restare fedeli ai nostri principi, ma soprattutto scoprire più cose possibili sul conto di Cell, di Gero e della Red Ribbon Chemical Industry.

Ci riuscimmo solo un paio di anni più tardi, con e l’aiuto di alcuni politici e degli imprenditori che, come noi, non volevano più quel figlio di puttana al potere.
Finalmente trovammo le prove incriminanti e non solo sull’omicidio di Vegeta Senior Pride, ma anche di Freezer, di Cold Ice -morto un anno dopo il figlio-, di molti altri uomini di successo e di complotti, spacci di droga, contatti con la mafia della Capitale e, cosa che più ci colpì, l’imminente ordine di farci fuori durante uno dei nostri viaggi all’estero.
«Bastardo! Questa me la paga!» ringhiò Vegeta a pugni serrati.
Eravamo a casa, insieme ai tanti detective che seguivano il caso “President”, mentre stavamo leggendo le varie scartoffie rubate al farabutto.
«Scommetto che sospettava di noi da tanto! Ecco il perché vuole farci uccidere… mi chiedo solo perché abbia aspettato tanto. In fondo sono due anni che lavoriamo a questo caso e sicuramente qualcuno avrà fatto la spia per salvarsi la pelle!» riflettei a voce alta.
«Forse eravate troppo in vista, in fondo i giornalisti hanno smesso da poco di starvi alle calcagna. È più probabile che abbia aspettato il momento propizio per non destare nell’occhio, in fondo è sempre il presidente più bellicoso di tutta la storia degli ultimi tempi e qualcuno sospetta di lui di sicuro! Senza contare che ha molti nemici.» mi rispose uno degli uomini di legge.
«Che vada a farsi fottere! Sono stufo di lui! Ha tutto, cazzo! Che vuole ancora dalla mia vita?! Deve morire!» sbottò arrabbiato e frustrato Vegeta, camminando qua e là per la stanza.
Ormai tutti sapevano quanto mio marito odiasse il presidente e nessuno lo biasimava, dato che tutti conoscevano il suo triste passato.
«Signore. Questa notte inizieremo l’operazione, stia tranquillo. Presto finirà tutto.» cercò di rincuorarlo una poliziotta, decisamente carina -forse un po’ troppo- ma non era né il momento, né il caso, di fare la moglie gelosa.
«Rimanderete il viaggio, sarete coperti dai nostri agenti ventiquattro ore su ventiquattro; vi garantiamo la massima protezione, l’importante, però, è che al processo che si terrà una volta incriminato il presidente, sia voi che tutti coloro che vi hanno aiutato sarete disposti a testimoniare contro di lui! Altrimenti tutto sarà vano e tornerà a fare il bello ed il cattivo tempo!».
Annuimmo, e quella notte pregammo che tutto finisse.

Non riuscii proprio a prendere sonno, quella notte, e continuavo a girarmi nel letto nervosamente; Vegeta si era appisolato da poco, in preda al nervosismo e alla rabbia latente, ma siccome non avrebbe potuto fare nulla, si costrinse a chiudere occhio almeno per qualche ora.
Mi convinsi a calmarmi e, quando scesi in cucina per prepararmi una camomilla, mi sentii strattonare e sbattere a terra. Erano lì. Ed ero sola.
Mi presero e mi legarono ad una sedia della mia stessa cucina; tra i miei denti un lurido pezzo di stoffa per zittirmi: sarei morta, lo sapevo!
Come quella volta a scuola, quando nel bagno del primo piano sentii una viscida voce sibilare nell’aria, la scena si ripeté anni dopo: non ci potevo credere! Cell era lì, ma come diavolo lo sapeva? Ed i poliziotti? Dov’erano andati tutti? Guardai verso la porta.
«Ehi. Fatti un po’ vedere, bella bambina!» mi salutò esattamente come allora «Credevi forse che mi sarei dimenticato di te e di quel bastardo di Vegeta?! Credevi forse che fossi così fesso da non rendermi conto di quello che stavate tramando?! Illusi. Entrambi. Ma sai che ti dico piccola?» proseguì, gustandosi quel solenne momento.
Dentro di me chiamai Vegeta. Lo supplicai di alzarsi da quel maledetto letto, di notare la mia assenza, di venire da me! Avevo bisogno di lui…
«Questa notte vincerò ancora io!» sibilò maligno.
Guardai Cell con sguardo fiero: meglio morire con onore che piangersi addosso, ma dentro di me pregavo il mio Dio di aiutarmi, di salvarmi. Avevo ancora troppe cose da fare. Cosa avrebbe fatto a mio figlio, avrebbe ucciso anche lui? E se Vegeta fosse già morto?
Quando quelle due domande mi invasero la testa, piansi. Non resistetti alla paura di perdere coloro che amavo ed ero impotente, paralizzata e legata nella mia stessa casa…
«SI BRAVA! Inutile essere, PIANGI! Non hai speranze contro di me, io sono ONNIPOTENTE! Ed ora ti farò pentire di essere nata!» urlò ridendo, mentre le sue mani mi strapparono parte della camicia da notte, scoprendo le gambe e parte della mia biancheria.
Qualcuno, però, attaccato alla porta che dava sul corridoio, sbirciava la scena con una pistola fra le mani, ora più ferme che mai.
Puntava la sua preda: aveva già ucciso, e non si sarebbe fermato nel continuare a strappare vite a lui insignificanti, pur di avere la sua vendetta. Ma prima… fece un cenno ad una creatura più piccola, rannicchiata sotto ad un mobile del salotto, che si racchiuse ancor più a sé stessa, tappandosi le orecchie.
«CELL!!!» gridò Vegeta uscendo allo scoperto.
Il suo sguardo era fiero, potente e deciso come quello di un falco pronto all’attacco.
Lo guardai confusa, mentre la scena scorreva veloce sotto ai miei occhi azzurri, pregni di lacrime.
Il farabutto non fece in tempo a proferire parola alcuna, che un proiettile si conficcò giusto fra i suoi occhi scuri, facendo schizzare il suo sangue rosso scuro ovunque nella stanza, mentre il suo corpo cadeva come a rallentatore, privo di vita, sulle fredde mattonelle della mia cucina.
Il Giustiziere, però, non aveva ancora compiuto la sua opera poiché finì, uno dopo l’altro, tutti coloro che erano di troppo, tutti coloro che meritavano di morire, freddandoli velocemente con la mano di un chirurgo e la mira infallibile, fermo, cinico, fino a quando tutto fu finito.
Sconvolta, fui liberata da “un” uomo che mi stordì con mille e più domande, strattonandomi e cercando di farmi riacquisire il controllo di me stessa.
«Stai bene? Ti hanno fatto del male?! Bulma mi senti?» mi chiamò Vegeta seriamente preoccupato.
Ero sporca di sangue ovunque, e tremavo di paura, scioccata da una vista tanto brutale, con un forte fischio che mi tappava le orecchie… solo quanto tornai in me stessa, vidi che l’uomo che mi aveva salvata, era lo stesso che avevo invocato: mio marito. Il mio Vegeta…
«T-Trunks…» mugugnai in lacrime, mentre mi guardai attorno spaesata.
«Tranquilla… non appena ho capito che stavano per aggredirmi ho preso la pistola e sono corso subito da lui.» mi rassicurò Vegeta, chiamando il piccolo rimasto sotto al mobile del salotto, per sapere se stava bene, ma proibendogli di entrare nella cucina.
Aveva accuratamente omesso il modo in cui si era sbarazzato di tre uomini, uccidendoli a sangue freddo, per non crearmi ulteriori sconvolgimenti psicologici.
Vegeta portò fuori me e Trunks, mentre la polizia, capito il piano di Cell, aveva fatto ritorno nella nostra dimora, sebbene con spaventoso ritardo, accompagnata da delle ambulanze a sirene spiegate.
Tremai ancora, fuori da quelle mura a me care, sostenuta dal braccio forte di mio marito che con l’altro teneva per mano il piccolo Trunks. Lui aveva sicuramente reagito meglio di me: egli, infatti, era molto più forte; evidentemente aveva ereditato la forza e il carattere di Vegeta…
Lo fissai ancora interdetta, ma ciò che vidi fu la cura più grande a tutti i miei dolori…
«È tutto finito…» mi disse Vegeta sorridendo, per la prima volta, finalmente libero.

***

Questo è quanto è successo fino ad oggi.
Ho quarant’anni, e da uno sono diventata madre di nuovo; la mia piccola si chiama Bra e la mia famiglia si è felicemente allargata a quattro elementi.
Dopo quel giorno il rapporto fra me e mio marito migliorò notevolmente, poiché Vegeta aveva raggiunto il suo scopo e nessun fantasma del passato tormentava più le sue notti, e non solo: Pride capì che aveva raggiunto la sua agognata vendetta solo perché il suo scopo primario, quella notte, fu quello di proteggere me e Trunks, sua moglie e suo figlio.
Non uccidere Cell, ma proteggerci…
Mai come quel giorno egli capì quanto la Sua Famiglia fosse realmente la cosa più importante che avesse.
Non desiderava altro che non essere più solo: amava ed era ricambiato.
Gli avevano ucciso il padre e si era vendicato.
Il Potere non gli interessava più, non più.
Nel frattempo, gestiamo ancora insieme la nostra azienda, nell’attesa di vedere i nostri figli crescere e farsi una vita tutta loro…
Tutto il resto è ancora da vedere… e chi lo sa, forse fra qualche anno la storia avrà un seguito.
La cosa più importante di un ricordo, tuttavia, è l’averlo vissuto per portarlo nel cuore, anche se la memoria ti abbandona, perché nessun anno della nostra vita è sprecato o perso veramente, tutto ha un suo scopo… ed il nostro era quello di far pace con il mondo, godendoci l’amore.

Fine.


   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Dragon Ball / Vai alla pagina dell'autore: MV_Raven