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Autore: GirlWithChakram    16/11/2014    3 recensioni
Raccolta di OS legate alla fanfiction "Your Spanish Lullaby", che vedrà il ritorno di Brittany, Santana e la loro variegata compagnia, in diversi Missing moments, alle prese con le avventure non raccontate nell'opera originale.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Brittany Pierce, Santana Lopez | Coppie: Brittany/Santana
Note: AU, OOC, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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THE ECHO OF YOUR SPANISH LULLABY
 
Avvertimento: si consiglia di aver letto prima la fanfiction a cui questa raccolta fa riferimento. QUI il link diretto al primo capitolo.

V for…
 
«Maschio, sono certa che sarà un maschio, un piccolo diablo scalmanato» andavo avanti a ripetere, percorrendo su e giù la sala d’attesa del ginecologo. Britt doveva essere alla quindicesima settimana secondo i nostri calcoli, quindi quello sarebbe stato il momento della verità, il momento in cui avremmo scoperto il sesso del nascituro.
Ashley era con noi, aveva insistito tantissimo per poter essere presente.
«Tesoro, smettila di andare avanti e indietro, non servirà certo a farci passare prima» mi rimproverò Brittany, afferrandomi la mano per cercare di calmarmi.
«Ma io voglio vedere mio figlio! Siamo qui da un’ora!» protestai.
«Siamo qui solo da venti minuti, Santana» mi fece notare Ash.
«È comunque troppo» borbottai, accasciandomi sulla sedia tra le due sorelle «Io voglio vedere il mio giovanotto» continuai, poggiando amorevolmente una mano sulla pancia della mia bionda. Cercavo di stare il più possibile a contatto con il bambino, il poterlo immaginare a pochi centimetri di distanza dalle mie dita rendeva tutto più reale.
«Pierce» annunciò il dottor Stewart, dopo aver lasciato uscire la paziente precedente.
Scattai in piedi e lui, tranquillo, mi afferrò per un braccio e mi trascinò dentro lo studio.
«Ehi, guardi che non sono io quella da sondare!» protestai.
Lui mi squadrò rapido. «In effetti è decisamente troppo in forma… Allora posso sapere chi è lei se non è la signora Pierce?»
«Sono la moglie» replicai, divincolandomi «E la ragazzina con noi è la futura zia.»
«Oh!» esclamò «Mi dispiace per l’errore… Allora faccia pure accomodare sua moglie, io vado a prendere la cartella.»
Dieci minuti dopo tutto era pronto per la grande rivelazione.
«Su, non ci tenga sulle spine» lo incalzai «È maschio o femmina?»
«Sicure di volerlo sapere?» ci punzecchiò.
«Sì!» gridai esasperata.
«Bene, è…»
«È una femmina, vero?» lo anticipò Brittany.
Lui parve sorpreso per essere stato interrotto, poi annuì.
Io mi sentii confusa. Non poteva averlo saputo in anticipo perché non me lo avrebbe tenuto nascosto.
«Ma hai ereditato i superpoteri della mamma!?» Ash mi rubò le parole di bocca «Da cosa lo hai capito?»
«Da niente. Avevo il cinquanta per cento di possibilità di avere ragione, ma, se devo essere onesta, ho sempre sperato che fosse una bambina» rispose con un sorriso.
A quelle parole, i miei occhi si riempirono di lacrime di gioia. In quell’istante l’idea di avere una figlia femmina fu mille volte migliore di quella di avere un maschio, perché Britt voleva così e io volevo solamente ciò che la rendeva felice.
Piantai gli occhi sul monitor e mi beai della visione di quella massa bitorzoluta, che a fatica riuscivo a sovrapporre all’idea di un paffuto bebè. Eppure quella, nel giro di pochi mesi, sarebbe stata la nostra bambina. Le avrei insegnato a parlare, a camminare, a surfare, le avrei raccontato le favole e cantato per lei ad ogni occasione.
«Sei bellissima, San» commentò Brittany, riportandomi con i piedi per terra.
«Come, tesoro?»
«Quando fai quella faccia» mi spiegò «Quando cominci a fare un ragionamento e ti ci perdi, ti rilassi e sorridi in un modo unico. Diventi più bella del solito.»
«Sono d’accordo» si intromise il dottor Stewart.
«Tenga per sé questo genere di commenti» sibilai «Non ha il diritto di guardare le mogli delle sue pazienti. Anzi» continuai «Copriti, Britt. Chissà cosa passa per la testa di questo qui.»
Ashley mi trascinò fuori a viva forza, mentre la mia bionda cercava di recuperare la fiducia del medico, giustificando il mio nervosismo con lo stress dovuto alla gravidanza. In certi momenti sembravo io quella in pieno squilibrio ormonale.
«Devi darti una regolata» mi rimproverò Ash «Non puoi continuare a fare la pazza per altri sei mesi!»
«Ormai dovrebbero essere più cinque che sei… O almeno spero» borbottai.
«Comunque vedi di calmarti» riprese la ragazza. Iniziò a farmi una lunga paternale sul fatto che dovevo essere forte anche per sua sorella e restare lucida perché lei e la bambina avrebbero fatto affidamento su di me. Mi sembrava strano venire redarguita da una diciottenne, ma, ad onor del vero, era una diciottenne molto matura.
Terminati tutti i controlli, tornammo a casa, scaricando Ashley all’atelier in cui ormai trascorreva la maggior parte dei pomeriggi.
«Sai che cosa dobbiamo fare adesso, vero?» mi chiese Brittany non appena fummo comodamente stravaccate sul divano.
Feci una smorfia e mi alzai per recuperare il foglio che avevamo appeso accanto al calendario.
«Addio colonna di destra» annunciai, depennando la lista di nomi maschili «Abbiamo fatto fuori metà delle possibilità.»
«Su» disse la bionda, stringendosi a me «Rileggi quelli rimasti.»
Cominciai a sciorinare la sequela infinita di nomi che, elencati in ordine alfabetico, occupavano il lato sinistro del foglio. Da Ashley, inserito più per rispetto a mia cognata che per altro, a Quinn, perché ovviamente la Fabray pretendeva che lo prendessimo in considerazione, passando per nomi come Hermione, Minerva, Nymphadora e molti altri che Britt aveva insistito per aggiungere alle possibili opzioni.
Dal canto mio, c’era un solo nome che averi voluto dare alla mia bambina e stavo già elaborando il piano che mi avrebbe aiutato a convincere Brittany.
Nei giorni seguenti cercai di tenere mia moglie lontana da casa, organizzandole incontri con Quinn e Rachel, che straordinariamente si era presa una pausa da New York per tornare a Lima. Arrivai ad offrire al trio un pomeriggio di totale relax al centro benessere più costoso della zona, pur di tenere impegnate le signore Puckerman e Hudson mentre schiavizzavo i loro mariti per completare il mio geniale progetto in tutte le sue parti.
Trascorsa una settimana dalla grande rivelazione, decisi di agire. Attesi che Britt si addormentasse sul divano, come suo solito, e appena mi fui assicurata che fosse coperta a dovere e profondamente immersa nel sonno, mi alzai e cominciai ad orchestrare il tutto. Mi precipitai nella futura camera di nostra figlia e controllai che Noah avesse fatto il proprio lavoro a dovere. Aveva fissato ad una parete alcuni resistenti gancetti di metallo a cui avrei assicurato il tocco finale.
Ghignai soddisfatta, poi mi fiondai in garage, dove avevo preparato uno scatolone con tutto l’occorrente. Ovviamente lo avevo etichettato in modo da dissuadere qualsiasi impulso della curiosità di Brittany: la scritta “Scartoffie legali”, sottolineata per assicurarmi che non si presentasse alcun tipo di tentazione, risaltava nel suo rosso brillante sul color ocra del contenitore. Ero stata talmente maniacale da accumulare effettivamente pile di fogli d’ufficio a camuffare quanto realmente celato nella scatola.
Mi liberai in fretta delle pratiche fasulle e trasferii tutto nella stanza della bambina.
Ci impiegai la bellezza di quaranta minuti per capire come collegare tra loro i vari apparecchi che avevo deciso di utilizzare. Il proiettore non ne voleva sapere di collaborare con il mio computer di ultima generazione, il quale si rifiutava di connettersi agli amplificatori. Ero demoralizzata a tal punto che per un momento fui tentata di mandare tutto al diavolo, ma poi mi feci coraggio, pensando che lo stavo facendo per lei.
Dopo un’altra ora di lavoro, tutto fu pronto.
«Amore» mormorai scuotendo dolcemente la bionda «Amore, svegliati, forza.»
«Ancora cinque minuti, San…» borbottò, nascondendo la faccia sotto la coperta che le avevo poggiato sulle spalle.
Scossi la testa, certa che, se le avessi permesso di riaddormentarsi, i “cinque minuti” si sarebbero almeno decuplicati. «Britt, alzati, non farti pregare.»
«Non puoi lasciarmi al mio placido letargo?» si lamentò «Devo dormire per due, ti ricordo.»
«Primo: l’inverno è finito da un pezzo» osservai «Secondo: devi fare l’abitudine alle sveglie improvvise, lo sanno tutti che la prima cosa che viene a mancare con l’arrivo di un neonato è la dose quotidiana di sonno.»
«Appunto» replicò lei «Lasciami riposare, ora che posso.»
«Mi spiace, ma non questa volta» risposi, aiutandola ad alzarsi «C’è un emergenza di cui ci dobbiamo occupare.»
La parola “emergenza” sembrò preoccuparla abbastanza da infonderle un po’ di forza vitale. Tenendola per mano, la condussi su per le scale, fino al luogo che avevo appositamente preparato.
«Per tutti gli Anelli del Potere!» si lasciò sfuggire, notando cosa avessi combinato.
Alla parete di destra avevo appeso pagine riprese dal mio fumetto preferito, “V for Vendetta”, precisamente dal capitolo undici del libro due. Erano le parti che riportavano la commovente storia di un personaggio secondario, una coraggiosa donna che aveva osato, nel proprio piccolo, sollevarsi contro il sistema.
Mentre Brittany continuava a boccheggiare, io feci partire il proiettore, che, con un ronzio, iniziò a far comparire sulla parete opposta alla porta le immagini dell’omonimo film. Avevo già selezionato la scena con Natalie Portman, nei panni di Evey Hammond, e il ritrovamento della lettera, con la voce fuori campo di Natasha Wightman che avrebbe narrato la storia. Il toccante monologo cominciò non appena io premetti Play.
“So che non posso in nessun modo convincerti che questo non è uno dei loro trucchi, ma non mi interessa. Io sono io. Non credo che vivrò ancora a lungo e volevo raccontare a qualcuno la mia vita. Questa è l’unica autobiografia che scriverò e, Dio, mi tocca scriverla sulla carta igienica.”
«Oh, San… Tutto questo è…»
“Sono nata a Nottingham nel 1985. Non ricordo molto dei miei primi anni, ma ricordo la pioggia. Mia nonna aveva una fattoria a Tottle Brook e mi diceva sempre che Dio è nella pioggia.”
Restammo in silenzio a guardare lo spezzone.
“Superai l’esame di terza media ed entrai al liceo femminile. Fu a scuola che incontrai la mia prima ragazza, si chiamava Sarah. Furono i suoi polsi, erano bellissimi. Pensavo che ci saremmo amate per sempre. Ricordo che il nostro insegnante ci disse che era una fase adolescenziale, che sarebbe passata crescendo. Per Sarah fu così. Per me no.”
La mano di Britt si intrecciò salda con la mia.
“Nel 2002 mi innamorai di Christina. Quell’anno confessai la verità ai miei genitori. Non avrei potuto farlo senza Chris che mi teneva la mano. Mio padre ascoltava, ma non mi guardava. Mi disse di andarmene e non tornare mai più. Mia madre non disse niente. Ma io avevo detto solo la verità. Ero stata così egoista? Noi svendiamo la nostra onestà molto facilmente, ma in realtà è l’unica cosa che abbiamo. È il nostro ultimo piccolo spazio, ma all’interno di quel centimetro siamo liberi.”
«“Avevo sempre saputo cosa fare nella vita”» bisbigliai, recitando a memoria le battute.
“E nel 2015 recitai nel mio primo film: ‘Le pianure di sale’. Fu il ruolo più importante della mia vita. Non per la mia carriera, ma perché fu lì che incontrai Ruth. La prima volta che ci baciammo capii che non avrei mai più voluto baciare altre labbra al di fuori delle sue.”
Lasciai la mano di mia moglie per recuperare ciò che avevo nascosto dietro la porta.
“Andammo a vivere insieme in un appartamentino a Londra. Lei coltivava le Scarlet Carson, per me, nel vaso sulla finestra e la nostra casa profumava sempre di rose. Furono gli anni più belli della mia vita.”
Non avevo potuto ricreare la specie citata nella pellicola, in quanto prodotto di fantasia, ma avevo costretto il fioraio dall’altra parte di Lima a procurarmi il più colossale, bellissimo e freschissimo mazzo di rose rosse possibile.
“Ma la guerra in America divorò quasi tutto e alla fine arrivò a Londra. A quel punto non ci furono più rose. Per nessuno.”
Notai le lacrime agli occhi di Britt, non sapevo dire se per la sorpresa o se per la tristezza suscitata dalla scena.
Le immagini si susseguirono in fretta.
“Sembra strano che la mia vita debba finire in un posto così orribile, ma per tre anni ho avuto le rose e non ho chiesto scusa a nessuno.”
Lasciai i fiori tra le braccia di Brittany.
“Morirò qui. Tutto di me finirà. Tutto, tranne quell’ultimo centimetro. Un centimetro. È piccolo ed è fragile, ma è l’unica cosa al mondo che valga la pena di avere. Non dobbiamo perderlo o svenderlo, non dobbiamo permettere che ce lo rubino.”
Andai vicino alla parete con le pagine del fumetto e iniziai a staccarle per rivelare una delle mie personali aggiunte.
“Spero che, chiunque tu sia, almeno tu possa fuggire da questo posto. Spero che il mondo cambi e le cose vadano meglio. Ma quello che spero più di ogni altra cosa è che tu capisca cosa intendo quando dico che, se anche non ti conosco, anche se non ti conoscerò mai, anche se non riderò e non piangerò con te e non ti bacerò mai, io ti amo. Dal più profondo del cuore, io ti amo.”
«“Valerie”» disse la bionda, mentre spegnevo il video e con quel sonoro click si concludeva la storia di Valerie Page.
Sulla parete che avevo liberato era ora visibile la scritta, in caratteri blu come l’oceano, “Per te ci saranno sempre le rose”.
Lasciai che si meravigliasse per un solo istante, poi con un secondo telecomando diedi il via alla “fase due”. Dagli altoparlanti si diffuse una melodia ritmata, la base di una canzone di ormai molti anni prima, ma che io avevo sempre tenuto cara perché a Brittany piaceva ballarla.
Well, sometimes I go out by myself
And I look across the water
And I think of all the things, what you’re doing
And I in my head I paint a picture
‘Cause since I’ve come on home
Well, my body’s been a mess
And I’ve missed your ginger hair
And the way you like to dress
Won’t you come on over?
Stop making a fool out of me
Why don’t you come on over, Valerie?
Valerie, Valerie, Valerie
Andai avanti a cantare sotto il suo sguardo gioioso e la fine della mia performance fu accolta da un caloroso applauso.
«Non dovrebbe esserci bisogno di aggiungere altro» ridacchiai «Ma ho un ultimo tocco da dare a questo posto.»
Britt era stata distratta da tutto il resto e non ci aveva fatto caso, ma vicino ai suoi i piedi c’era il gran finale.
Sollevai la mia vecchia tavola da surf sopra la testa e la assicurai ai piccoli sostegni metallici, facendole occupare la parete di sinistra, fino ad allora rimasta spoglia.
«Stai forse cercando di dirmi qualcosa?» ironizzò la bionda.
«Oh, nulla in particolare» mormorai, tornando vicino a lei e passando amorevolmente una mano sul ventre pronunciato.
La risata cristallina di Brittany riempì lo spazio tra noi due.
«Allora aggiudicato?» domandai esaltata.
«Prima devi vedere la mia sorpresa» rispose enigmatica.
Io strabuzzai gli occhi e balbettai: «Quale sorpresa?»
Scendemmo in garage e da uno scatolone catalogato come “Proprietà di Peter” estrasse una tela arrotolata.
«Ho chiesto ad Ash di farlo il giorno in cui abbiamo saputo che sarebbe stata una femmina» mi spiegò «Volevo fartelo trovare appeso tra qualche giorno.»
Impaziente, spiegai il dipinto. Mi ci volle qualche istante per riconoscere il luogo ritratto: era Donostia, la parte della costa e la Isla de Santa Clara, illuminate dalle luci delle case, e l’oceano, in cui si riflettevano la luna e le stelle, dipinti come li ricordavo dalla cima del Monte Igueldo.
«Non noti nulla di strano?» mi stuzzicò Britt.
Aguzzai la vista.
Nel cielo una costellazione di sette puntini luminosi formava chiaramente una V, ma poteva pur sempre trattarsi di una coincidenza.
Sollevai gli occhi per farle intendere che potevo aver trovato la soluzione.
«Guarda meglio» disse con un sorriso.
Per poco non mi cadde la mandibola.
Nell’angolo in basso a destra la mano ferma di Ashley aveva lasciato scritto, vicino alla propria firma, il titolo del quadro: “V for Valerie”.
Ancora una volta ero stata battuta sul tempo.
«Tu… Tu avevi già deciso?» chiesi, incredula.
«San» rispose «Avevo deciso nell’istante in cui quel primo test è risultato positivo.»
«E tu mi hai comunque fatto stilare quell’infinita lista di nomi facendomi una testa quadra perché ogni volta ne trovavi uno migliore dell’altro!?» sbottai «Odio che mi si prenda in giro così, no me gusta
«Beh, quello era solo per divertirmi in effetti…» ammise «Però ci tornerà utile quando sarà il tuo turno.»
«Questo cosa vorrebbe dire!?» esclamai allarmata «Nessuno ha mai parlato di un secondo figlio e io non ho intenzione di tirare fuori l’argomento ora. Un solo marmocchio è più che sufficiente.»
«Ora la pensi così… Ma ho molte armi nel mio arsenale per farti cambiare idea» sogghignò.
«Oh, no» sibilai «Non oserai…»
«Ho già preso in ostaggio la tua preziosa copia da collezione del “Silmarillion” e ho messo sotto chiave i miei Harry Potter, nel caso ti venisse la malsana idea di un contro-ricatto.»
Con tutta la delicatezza che il mio impeto di passione permise, la strinsi forte a me e la baciai. Quella donna mi conosceva meglio di quanto potessi sperare. Nel bene e nel male… mi dissi, immaginando il mio amato “Silmarillon” chiuso chissà dove senza che io potessi spolverare la sua copertina e sfogliarne amorevolmente le pagine.
«Adesso non pensare di corrompermi con coccole o altre smancerie» mi ammonì quando ci staccammo «Conosco troppo bene i tuoi trucchetti.»
Non potei far altro che capitolare con un piccolo sbuffo.
«E adesso vai a sistemare il caos che hai lasciato in camera di Valerie» continuò «Mentre io me ne torno in letargo.»
Feci spallucce. «Adesso non sistemo proprio niente. Voglio andare in letargo anche io!»
Andai a recuperare la coperta abbandonata sul divano e raggiunsi Britt a letto. Ci stringemmo forte al caldo, come fosse pieno inverno, e mi lasciai coccolare senza proteste.
«Cosa succederebbe se gli altri sapessero quanto sei adorabile quando metti da parte il tuo atteggiamento da dura?» mi domandò.
«Chiederei il divorzio» replicai, facendole la linguaccia «E negli accordi specificherei di avere diritto a tutti i tuoi libri e film.»
«Prenditeli pure» rispose «Ma io e Val ci terremo la cosa più preziosa che hai.»
«Il mio tessssssssoro?» chiesi, pensando alla mia fedele tavola da surf.
«Quello e la ninnananna spagnola.»
«Non separiamoci mai» stabilii per chiudere il discorso «Amo troppo quella melodia.»
 
NdA: E ormai manca solo più una OS alla fine di questa mini parentesi su Valerie e vi prometto che non dovrete aspettare i secoli dei secoli per leggere il finale. Prima di passare alle solite cose, vorrei prendermi un piccolo spazietto per fare eventuale chiarezza sull'ampia parte che ho citato da "V for Vendetta". Su Wiki potete trovare tutte le informazioni che vi servono riguardo al fumetto e al film. Il pezzo a cui faccio riferimento è la storia di Valerie Page che viene trattata, appunto, nel libro secondo parte unidici ed è stata poi interpretata, nella versione cinematografica, da Natasha Wightman. In breve: la co-protagonista Evey Hammond (Natalie Portman) viene ad un certo punto, per varie ragioni che non vi spoilero, incarcerata e nella propria cella trova una lettera scritta sulla carta igienica che altro non è che l'autobiografia di Valerie, probabilmente intrappolata lì prima di lei. Altro non mi sembra necessario dire, se non avete ancora avuto il piacere di leggere/vedere "V for Vendetta" rimediate, perchè a parer mio merita molto. Dopo essermi dilungata oltre ogni umana sopportazione, passo ai ringraziamenti: ai quattro cavalieri recensori dell'Apocalisse wislava, WankyHastings, strapelot e MartaDelo, a tutti coloro che hanno aggiunto la storia tra le preferite/ricordate/seguite e un grazie a tutti gli altri lettori affezionati. Prima di sparire, vi lascio QUI il link della mia pagina Facebook se vi va di farci un salto. A presto, non temete.
   
 
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