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Autore: Koa__    19/11/2014    7 recensioni
John Watson, scrittore di successo, è un ex militare che si porta dietro un matrimonio fallito e una zoppia psicosomatica. Dopo quattro romanzi, tra cui spicca il best seller: "Blu come la neve", John è tormentato da un blocco che gli impedisce di scrivere. Dopo essersi concesso una vacanza di due settimane a Siviglia, sul treno che lo deve riportare a Londra, incontra uno strano tizio. Un violinista con la passione per le investigazioni, un certo Sherlock Holmes.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Blu come la neve'
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Note: Urbandictionary dà al termine “baching” QUESTO significato e non c’entra niente con ciò che intendo. Il termine è, diciamo, inventato e sarebbe “Bachando Bach” in italiano, ma inglesizzato ha un suono più dolce e adatto al mio modo di scrivere. Starebbe ad indicare una personale interpretazione della musica di Bach.
Quello della libera interpretazione di un’opera è un concetto che mi è venuto in mente leggendo la storia Other side of me di BlueSkied 




Baching Bach



Crab amava viaggiare, viaggiare sui treni. Lo faceva da tutta la vita perché voleva, anzi no, doveva incontrare gente e narrar loro delle storie. Raccontava di persone che aveva incontrato, di avventure che aveva vissuto, di fatti che gli erano accaduti, ma più di tutto, Crab raccontava dei suoi sogni. Ed anche se non faceva niente di più che rattoppare insieme alla bell’è meglio delle semplici tracce oniriche, Crab gliene parlava come fossero peripezie avvenute in un tempo lontano. Quasi fossero storie di pirati o di esploratori. Quel giorno stava viaggiando verso nord. Su di un treno sgangherato, in una linea praticamente morta e molto poco frequentata, abitata più da mucche e cavalli che da treni veri e propri. Non aveva una meta, né il nome di un luogo in cui andare. Non lo aveva mai, in effetti, perché ciò che contava non era dove arrivava, ma il cammino che faceva.

John fissa incredulo le parole digitate di fretta sugli appunti dello smartphone, che ancora tiene tra le dita. Se in parte si sente stordito dal non dover più utilizzare il bastone, adesso è a dir poco ammutolito. Incredulo. Ha l’orribile sensazione che gli occhi lo stiano in qualche modo tradendo, come se avesse un’allucinazione. Eppure non lo è affatto, è tutto reale a cominciare dal movimento lievemente ondulatorio del treno sul quale viaggia, fino ad arrivare al chiacchiericcio degli altri passeggeri che gli siedono accanto. Dopo un primo momento di sbigottimento, infatti, John si ritrova a sorridere come un idiota perché è felice, felice davvero. Va bene, lo confessa: quelle poche righe non sono di certo perfette e tutto è decisamente da rivedere, ad iniziare da Crab che è il peggior nome mai concepito, però al momento non gliene importa proprio niente delle revisioni che dovrà fare. Ed è vero che sono solo parole, piccole, messe l’una di fila all’altra e insignificanti all’apparenza, senza importanza per chiunque d’altro, ma per John no, per lui contano tantissimo. Per fare un esempio, a quel biondino dall’aria snob che se ne sta seduto di fronte leggendo un libro scritto in francese, non interessa niente del fatto che per la prima volta dopo mesi di buio, è riuscito a scrivere qualcosa. Forse non riuscirà neanche a costruirci un romanzo, ciononostante non riesce ad essere negativo e per un istante, uno breve e piccolo, abbandona ogni tristezza e sorride. Perché è avvenuto un miracolo, un altro, un ennesimo e non può che esultarne. Non sono solo frasi messe lì un po’ a caso, sono la fine di un vero e proprio incubo e di un periodo della sua vita che è vuole soltanto dimenticare. E ancora no, non riesce a capire come abbia fatto per superarlo. Nei deliri euforici della notte appena trascorsa ha attribuito la sua fulminea guarigione a Sherlock, convincendosi del fatto che avesse compiuto una sorta di missione impossibile, ma ora, John si rende conto che non è esclusivamente merito di quello sconosciuto. Non è perché un tizio un po’ pazzo ha messo in fila un paio di insulti che sta guarendo dalla sue psicosi, in realtà c’è ben altro. Sherlock ha avuto senza dubbio il merito di tirarlo fuori dal guscio di pietra che si era cucito addosso, da quel nido fatto di ritualità che dopo l’Afghanistan aveva eretto attorno a sé. Quel violinista che va in giro con un teschio e che ha una parlantina molto svelta, ha abbattuto tutte le sue difese in modo decisamente rapido, ma è stato John a lasciarsi trascinare. Ha sentito parlare di mistero, ha odorato il pericolo e non è riuscito a resistere alla tentazione. Per quanto si sia sempre considerato un uomo buono e mite, John sa di essere affascinato dall’azione, altrimenti non avrebbe fatto il militare quanto piuttosto il medico, ecco. Si è sempre visto nei panni di dottore di campagna, e forse in un’altra vita avrebbe anche potuto avallare certi desideri. Se così fosse stato, forse non avrebbe divorziato da Mary, chissà con un ideale da seguire (tipo avere uno studio e dei pazienti) il loro matrimonio sarebbe riuscito a restare in piedi. No, sono solo idee stupide: ormai ha compiuto le sue scelte e lo ha fatto già tanto tempo fa, quando ha optato per l’accademia militare invece che per la facoltà di medicina. Non è il caso di rimpiangere la vita che avrebbe potuto avere, ora deve solo distrarsi. Vuole distrarsi. E non pensare più al passato, ma ad un futuro sereno in cui non è uno zoppo patetico, ma un uomo felice e uno scrittore di successo. Per anni non ha fatto altro che piangersi addosso e domandarsi come avrebbe potuto salvare la sua relazione con Mary, ma adesso è decisamente giunto il momento di accettare il fatto che si sono lasciati. Lo deve a sé stesso innanzitutto, ma un po’ anche all’amore che hanno nutrito l’uno per l’altra. Quindi decide che è meglio pensare ad altro e per questo porta lo sguardo fuori dal finestrino. Prende ad osservare il paesaggio e sospira, appoggiando la tempia contro al vetro freddo. Non sa che cosa riesca a renderlo dimentico di tutto in pochissimi istanti, ma probabilmente è la soporifera rilassatezza della campagna inglese, che scorre lenta e pacata e non gli fa realizzare appieno l’assurdità della situazione in cui si sta andando a ficcare. Il treno su cui viaggia è diretto a Parigi; alla fine lo ha preso per davvero e dimentico di ogni cosa, soprattutto del bastone ed incurante del motivo per cui ha deciso di correre dietro a Sherlock. Ha scelto di inseguirlo e lo ha fatto senza pensarci. È corso via con entusiasmo portandosi dietro una valigia troppo pesante ed un teschio che ha tenuto per tutto il tempo stretto in una mano, assieme al biglietto che era riuscito ad incastrare di nuovo in uno dei bulbi oculari. Lo confessa, toccarlo gli fa ancora un certo effetto ed è proprio orrido a guardarsi, specie con quel lungo cartoncino arrotolato in un occhio, che ha appoggiato alla mensola accanto al finestrino. Uno scrittore malandato con un teschio in mano che viaggia verso una città francese che conosce a malapena, per inseguire un violinista che voleva fare il pirata e che va a caccia di ladri. Dio benedica il giorno in cui ha conosciuto Sherlock, si dice proprio mentre con la punta delle dita accarezza i denti di Billy ritraendo però immediatamente la mano, ridendo sguaiatamente.
«Oh, per carità!» sbotta uno dei presenti. È allora che si rende conto di non essere solo, il suo scompartimento è pieno di gente; perlopiù sono francesi che lo fissano di sbieco e parlottano indicandolo. Sa che se lo togliesse dalla vista, probabilmente farebbe star meglio molti di loro, ma per la prima volta in vita sua, John Watson non si preoccupa di ciò che pensano gli altri. Quindi non si attiva per far sì che non si sentano eccessivamente a disagio. Non ha alcuna intenzione di metterlo via e di nasconderlo in valigia, perché averlo lì è come avere vicino lui e per niente al mondo ci rinuncerebbe. Lui, Sherlock. Colui che nelle ultime ore ha rinominato: lo stupido idiota con il violino che ha pensato sul serio che lo lasciasse andare via come se nulla fosse successo. Arrabbiato? Diavolo se lo è! È furioso perché non l’ha salutato e se n’è andato così, praticamente alla chetichella. Nonostante questi sentimenti, però, non ce l’ha davvero con lui. Non potrebbe mai. Il loro incontro è stato emotivamente violento e tuttora, John si ritrova stordito e confuso come dopo che è esplosa una bomba, la sensazione è più o meno la stessa. Quindi no, non lo odia, non potrebbe mai e si dice che ha neanche bisogno di nutrirsi di ira, ciò di cui necessita adesso è di assecondare l’aspettativa. L’idea di rivederlo lo emoziona, gli ingarbuglia lo stomaco e incasina il cervello e mentre ci pensa, John si sente leggero. Sa che cosa può significare e che lo scombussolamento di sentimenti che prova adesso potrebbe avere un certo significato, ma al momento si rifiuta di dire quella parola e, anzi, si convince che non ha neanche idea del perché gli stia correndo appresso. Tutto ciò che riesce ad ammettere, è che ha un milione di domande da porgli, tante da non avere idea da quale cominciare. Come mai gli abbia lasciato il suo unico amico Billy, ad esempio, è la prima cosa che gradirebbe sapere. Non che sia fondamentale conoscerne i motivi, ma più osserva quell’orrido teschio e più il tarlo che si è insinuato nella sua mente, va a fondo. Dal modo in cui ne parlava sembrava che Sherlock ci fosse affezionato, eppure se n’è separato senza battere ciglio. E lo ha dato a lui. Anche non volendo andare a cercare dei significati nascosti, un paio di domande se le pone ugualmente. Forse sperava che si sarebbero rivisti o magari voleva dirgli che lo considerava amico tanto quanto lo è Billy. Potrebbe essere? No, non vuole illudersi d’essergli caro o di avergli fatto un effetto tanto prepotente e non perché non lo ritenga plausibile, ma perché non vuole che le proprie speranze di una possibile vita felice, lo ingannino troppo. Per ora pensa solo che lo deve rivedere, quantomeno per ringraziarlo, al resto baderà successivamente. Sospira di nuovo, John mentre riporta lo sguardo allo schermo del cellulare. Ci passa sopra il pollice, illuminandolo, prima di rilegge ciò che ha scritto. Ed è incredibile, ma le parole sono ancora tutte lì e quindi sorride, lo fa ancora, perché è sempre più felice. Si sente così libero, leggero e proprio per questo ride ancora e ancora.

John Watson è un uomo fondamentalmente romantico. Ha vissuto il proprio matrimonio con Mary come una stupenda favola, ha idealizzato entrambi fino a che non si è rivelato necessario per loro, rendersi conto che non era per niente una bella favola. Tuttavia, non ha smesso di credere che l’anima gemella esista ed anche se si è lasciato andare a più di un’avventura il cui unico scopo era ottenere del sesso, sa perfettamente che il suo amore, quello vero e totalizzante, è da qualche parte là fuori. John la vuole di nuovo, una storia romantica. Desidera tutto ciò che ha perduto dopo il divorzio e mai, mai ha smesso di pensare che fosse possibile riavere ogni cosa indietro. Non con sua moglie, ovviamente. Ma in effetti può dire che è stata la speranza di poter incontrare di nuovo la persona giusta, che lo ha fatto andare avanti giorno dopo giorno. La sola cosa rilevante che è cambiata dai tempi di Mary, è il suo concedersi anche a degli uomini. Forse è eccessivamente idealista, o più semplicemente un illuso, ma è sicuro che i distributori di anime gemelle, coloro che le assegnano ecco, non facciano distinzioni di sesso o di razza. Quindi ha cercato di incontrare più gente che potesse, perché nel suo essere infinitamente sdolcinato, è certo che molto spesso a due individui sia sufficiente un’occhiata perché scocchi la scintilla. Quello per Sherlock non è stato amore a prima vista, nulla di istantaneo è nato e quando è stato assalito dalla fiumana di parole che quel tizio è stato in grado di pronunciare tutte in una volta, non c’è stata alcuna prepotente passione. Non che crede che con Sherlock… cavolo che casino! Certo che gli piace, ma da lì a pensare che sia l’uomo della sua vita ce ne passa parecchio. Ciò di cui è convinto è che prova una forte attrazione, crede che ci sia un feeling ed un’intesa del tutto particolare e anche molto forte. Indubbiamente, quell’uomo gli piace e questo ormai se l’è confessato. D’altra parte, Sherlock è un perfetto esempio di essere umano, a cui madre natura ha donato dei tratti ruvidi e spigolosi, ma incredibilmente armonici. Un uomo con un bel paio di zigomi, si dice sorridendo mentre accarezza con fare distratto lo schermo del cellulare ormai oscurato. Voleva scrivere, ma adesso la sua mente è persa, impegnata a figurarsi un paio di splendidi, ed incredibilmente espressivi, occhi azzurri. Uno sguardo vivace, intelligente e furbo che ha su di lui un effetto magnetico e che si amplifica nel momento in cui Sherlock decide di parlare, allora anche la sua voce contribuisce a fargli tremare le ginocchia. È calda, baritonale, ancestrale, carica di sfumature sempre diverse e di continuo inafferrabili, toni scuri che farebbero vacillare anche il più solido degli eterosessuali. Figurarsi John, che ha da tempo accettato la propria bisessualità e che in una notte si è ritrovato completamente in balia di un magnifico violinista. Si sono addirittura baciati ed anche se non sa se accadrà di nuovo (perché ciò che ha in mano circa l’interesse di Sherlock nei suoi confronti, è solo un teschio e un post-it consunto), è più che certo che di baci vorrebbe dargliene altri. Tocchi fugaci e morbidi o anche più profondi ed appassionati, tutto ciò che la sua mente può concepire pur di farlo suo. Quelle labbra sono un invito scritto ad essere baciate. Carnose e morbide, a forma di cuore. E per non parlare dei capelli ricci nei quali sarebbe bellissimo affondare le dita mentre è… Oddio! John si riscuote prepotentemente non appena i suoi pensieri iniziano a vertere anche su altro. Per quanto se ne stia fregando del parere degli altri, il che gli dà un enorme senso di libertà, non è certo di voler commettere atti osceni di fronte ad estranei. Quindi tenta di calmarsi, di pensare a qualcosa di noioso come la campagna inglese ed accavalla le gambe mentre porta lo sguardo nuovamente al di fuori. Intravede in lontananza le acque del canale della manica e pensa che tra qualche ora sarà a Parigi. In parte gli è d’aiuto perché infonde in lui una qual certa preoccupazione. Parigi è una città in cui è già stato per via di taluni convegni letterari, ma nella quale non si è mai mosso da solo. Ha sempre avuto con sé un accompagnatore, una guida che lo aiutava con la lingua. Ora però sarà solo. Per sua fortuna si ricorda il nome dell’albergo in cui è stato l’ultima volta e dove è certo che verrà assistito nel migliore dei modi. Su come trovare Sherlock, però, John no... È in quel momento che ha un’idea, forse non propriamente brillante e per questo si chiede come è possibile non averla avuta prima. Con il cellulare ancora tra le mani, capisce che forse ciò che deve fare è semplicemente cercarlo su google. Dice di essere un violinista e che doveva andare a suonare ad un concerto, magari da qualche parte nell’infinito cyberspazio ci sarà notizia di un concerto a Parigi nel quale suona anche un tale Sherlock. Sì, sa di avere ben poche possibilità di azzeccare il sito giusto, ma meglio tentare in questo modo piuttosto che cercare di spiegare ad un tassista francese che deve trovare uno con due begli zigomi. Naturalmente, ci impiega un po’ di tempo, ma verso la terza pagina gli appare un sito francese di cui non capisce una parola. C’è un lungo articolo che parla del famoso Opèra e che il traduttore automatico rende praticamente illeggibile, ma capisce che ha trovato ciò che cercava grazie alla locandina. Sullo sfondo dell’immagine, infatti, vede proprio Sherlock che imbraccia un violino. La scritta “Baching Bach” che capeggia in cima a cui segue un elenco di brani di musica classica che gli sono sconosciuti, al momento però non è ciò che attira la sua attenzione. Perché è indissolubilmente distratto dalla foto di Sherlock. Sherlock Holmes, a quanto sembra che compare in tutta la sua splendida bellezza e sì, la mente del povero John Watson adesso è completamente in balia di quell’uomo. Accarezza la fotografia con la punta delle dita, gustandosi quella sfacciata perfezione. E sente di volerne di più. Adesso però non è sul sesso che fantastica o sulle sue labbra carnose, ora vuole sentirlo suonare. Ma c’è da aspettare e deve, deve, deve, santo cielo deve scrivere o rischia di impazzire. E dopo che chiude quella pagina internet ed apre gli appunti, riprende quel testo da dove lo ha lasciato e lo fa con frenesia. John scrive ed è come un fiume in piena. Finalmente.

 
 
***



Il teatro in cui si terrà il concerto non è uno qualunque, ma il più celebre dell’intera Francia. Nonostante John sia già stato a Parigi diverse volte, non è mai andato a sentire concerti di musica classica e lì dentro non c’è mai stato. In compenso ricorda tutto sulla città e anche se non è bella quanto Londra, almeno ammette che è carica di un’atmosfera particolare, un po’ bohémien, che gli fa apprezzare persino i saccenti francesi. In fondo, Parigi non è tanto diversa dall’ultima volta che l’ha visitata: il paesaggio che scorge dalla finestra della sua camera d’albergo, è sempre il medesimo. Ad un occhio disattendo, John parrebbe davvero assorto in contemplazione dei monumenti. Il punto è che non sta affatto guardando la Tour Eiffel o l’Arc de Triomphe, la verità è che si sente nervoso. È teso e non perché ha piovuto tutto il giorno o per via del vento fastidioso, è l’idea di rivedere Sherlock ad agitarlo più del limite consentito. Nonostante la tensione, la giornata che ha trascorso è stata infinitamente piacevole: ha pranzato in albergo e nel pomeriggio si è riposato in un bel letto comodo. Poi un bagno rilassante, una cena molto veloce ed è uscito. Agitato lo è di certo, ma è anche carico d’aspettativa e impregnato del desiderio di rivederlo e adesso che si sta avvicinando il momento, si sente ancora più nervoso. E dopo che il taxi frena, in maniera tanto brusca da farlo impattare contro lo schienale del sedile anteriore, capisce che il momento è finalmente giunto.
«Pardonnez-moi, monsieur» borbotta il tassista, spiandolo dallo specchietto retrovisore. John però non risponde, anche se ha capito benissimo, si limita a pagare e a scendere. Senza che se ne renda conto viene catapultato in mezzo ad una miriade di gente imbellettata, persone vestite eleganti e donne ingioiellate che se non fosse estate avrebbero tutte la pelliccia. Sarà per il suo starsene fermo e immobile sul ciglio della strada che dopo un po’ inizia sentirsi osservato, tossicchia d’imbarazzo allacciandosi i bottoni dell’abito da sera, prima di lisciarsi la giacca e raddrizzarsi il farfallino di certo storto. Non è abituato a vestirsi per una serata di quel genere, ma sa d’aver fatto bene ad affittare uno smoking perché con i jeans sfatti che tanto ama portare, correva il rischio che non lo facessero neanche entrare. Ok, può farcela. Prende un bel respiro dopodiché si guarda attorno, mentre il taxi alle sue spalle riparte con una sgommata rumorosa, il chiacchiericcio è davvero molto intenso e i suoni della città sono prepotenti tutt’attorno a lui e pare vogliano confonderlo più di quanto non sia già. Non conosce nessuno dei presenti e a dire il vero neanche capisce che stanno dicendo, dato che la maggior parte di loro parla francese. Essendo solo e non avendo qualcuno che lo accompagni è libero di fare come vuole. Pertanto si fa largo tra la folla dirigendosi verso il portico, cammina con le mani in tasca e il passo agile mentre occhieggia i giornalisti assembrati da un lato, oltre le transenne. Li osserva per brevi attimi, dando loro il modo di riconoscerlo. Non lo fa apposta, non è un esibizionista e in tutta sincerità odia i ficcanaso, eppure per la prima volta in vita sua non prova disagio all’idea di parlare dei suoi racconti piuttosto che di sé stesso. Ovviamente non parlerà con loro, il suo editore è sempre stato primo a dirgli di esser oculato, di scegliere le parole giuste quando fa dichiarazioni ai media. Perché a rivoltare un concetto, ci mettono davvero meno di niente.
«John Watson, anche lei è qui per sentir suonare il celebre Sherlock Holmes? Non trova la sua interpretazione di Bach sia eccessiva e provocatoria?» gli domanda uno di loro, spezzando il corso dei suoi pensieri e puntandogli sul viso un registratore di piccole dimensioni. Indeciso, John rimane fermo dove si trova mentre, ovviamente, già altre domande piovono su di lui.
«John, può dirci perché cammina senza bastone?»
«John, è venuto da solo? Non ha nessuno che l’accompagna?»
«John, è stato visto a Siviglia negli ultimi giorni proprio dove Sherlock Holmes ha tenuto il suo ultimo concerto, è un suo ammiratore? Siete amici per caso? Siete inglesi tutti e due, vi siete mai incontrati?»
«Signor Watson, non la si vede mai partecipare ad eventi di questo genere è qui perché l’interprete è Sherlock Holmes?» Le domande sono tante, troppe, alcune sono insistenti e insinuano. Ma John, incredibilmente, viene da ridere perché fino a ieri non aveva idea di chi fosse Sherlock Holmes, è addirittura stato a Siviglia e nemmeno sapeva che in città c’era un concerto di un violinista che, a quanto pare, è di fama internazionale. Non sa spiegarsi il motivo per cui, invece d’imboccare l’entrata e sparire dal raggio di telecamere e microfoni, si ferma con l’intenzione di rispondere. È uno che ha sempre evitato gli eventi mondani, non hanno mai fatto per lui e ora invece è lì e soltanto perché è corso dietro a Sherlock, senza pensare a dove sarebbe potuto finire. Di sicuro quando gli ha parlato di “concerto” e di “suono il violino” non credeva che facesse tutto quello, che potesse essere tanto bravo o addirittura famoso. In ogni caso, e nonostante la sua ben nota reticenza, è deciso a dire qualche cosa di sensato. D’altra parte fa parte della nuova immagine che vuole dare  a sé stesso, ovvero un John Watson che non ha più paura. Non spiegherà come mai cammina senza il bastone, perché non sono affari loro, e non dirà neanche se apprezza o meno l’interpretazione di Sherlock Holmes, perché non ha davvero idea di come possa essere, ma quella domanda lo ha stuzzicato e senza quasi rendersene conto, si ritrova a rispondere.
«Questa è la prima volta che assisto ad un concerto del signor Holmes» esordisce, sicuro di sé e sorridente. «Ammiro il suo lavoro, ma non ci conosciamo personalmente, anche se spero un giorno d’avere il piacere d’incontrarlo. Oggi sono qui soltanto per sentire della buona musica. Ho trascorso dieci giorni a Siviglia per scrivere in tranquillità, mi serviva un luogo che avesse l’atmosfera adatta al mio romanzo e già che c’ero ne ho approfittato per fare una breve vacanza. Non sapevo che Sherlock Holmes sarebbe stato a Siviglia, mi hanno informato soltanto ieri quando ormai era troppo tardi, per questo ho pensato di fermarmi a Parigi» dice, annuendo e stirando un sorriso. Se solo sapessero quante balle ha raccontato. Non si compiace di sé questa volta, odia dire bugie, ma con la stampa è necessario. Se sapessero che lui e Sherlock hanno trascorso una notte insieme in un treno notturno, la vita di entrambi sarebbe finita e sarebbero di continuo bersagliati dai paparazzi.
«Quindi le voci che girano sono vere: sta lavorando ad un nuovo romanzo?» urla, un altro giornalista. «Fra quanto uscirà?» prosegue poi questi.
«Sì, è vero» annuisce. «Non posso dirvi nulla, ma sto scrivendo e spero di riuscire a pubblicare al più presto. Grazie a tutti» conclude e questa volta è definitivo e non dà loro modo di porre loro altre domande, che vortica su sé stesso e si dirige verso l’ingresso del teatro. Certamente è una stupidata, ma anche parlare con i giornalisti ha avuto un effetto positivo sul suo umore. Ovviamente loro interpreteranno i fatti a modo loro e gonfieranno le notizie affermando chissà che, ma è felice d’essere riuscito ad affrontare anche quello nel modo migliore. Sì, sta proprio cambiando.

Giunto all’ingresso, si rovista nelle tasche della giacca e porge il biglietto per il concerto al ragazzo vestito come se fosse il maitre di un hotel, il quale gli dà anche il programma della serata. Non ha idea di come quelli della reception siano riusciti a procurargli un’entrata ad un concerto con così tanta affluenza, ma ipotizza che essendo lui uno scrittore famoso sia stato sufficiente fare il suo nome. Per una volta, John non può non bearsi del fatto di avere dei vantaggi. In genere non sfrutta la notorietà, si ritrae e fugge anche sapendo che potrebbe ottenere dei favori. Per quest’occasione ha fatto uno strappo alla regola. Per Sherlock, si dice. E quando entra nella hall dell’enorme teatro, riccamente abbellito e sovraffollato di persone decisamente senza alcuna importanza, sorride, perché lo incontrerà di nuovo e basta questo a renderlo contento.

Il posto che gli hanno assegnato è ottimo. È situato in platea in una posizione centrale, dalla quale può vedere perfettamente il palco. John controlla più volte che il numero sia corrispondente a quello del biglietto, dopodiché si siede sulla poltroncina di velluto rosso ed accavalla elegantemente le gambe. Gli sembra incredibile che lo stesso Sherlock con il quale ha scassinato la cambusa di un treno, ora suoni in uno dei teatri più famosi al mondo. Un luogo con un storia lunga e celebre, in cui hanno cantato e ballato i più grandi artisti internazionali. E dopo di loro c’è Sherlock, Sherlock Holmes. Quel tizio che se ne va in giro con un teschio e che ama fare il detective, proprio quello stesso bellissimo esemplare d’uomo che ha baciato e che se n’è andato nel bel mezzo della notte senza neanche salutarlo. Aveva intuito quanto fosse intelligente e geniale, ma il fatto che ora tutte quelle persone siano lì per sentire lui, è a dir poco assurdo. Ed è con incredulità che porta lo sguardo al programma, leggendo l’elenco dei brani. D’accordo, lo deve proprio dire: lui di musica classica non ci capisce un accidenti di niente. Conosce le cose base, però. Il che vuol dire che ha sentito un qualcosa di Mozart e forse un qualcos’altro di Beethoven, ma non saprebbe in alcun modo distinguerne le differenze. Perché dovrebbe? Visto che non è mai stato particolarmente interessato alla musica, neanche a quella pop o rock, canticchia certi brani dei Beatles esclusivamente perché sua sorella glieli propinava quando erano ragazzi. Tra l’altro, e si vergogna ad ammetterlo, era convinto che Bach fossero dei fiori. Si è sentito terribilmente ignorante quando, sfogliando l’enciclopedia, ha scoperto che si trattava di un celebre compositore tedesco. Stando a quanto ha letto riguardo Sherlock Holmes, è riuscito a capire che dà un’interpretazione del tutto personale e diversa ai brani di questo tizio. Ma John non è così tanto acculturato sull’argomento da conoscere i brani, o da poterne distinguere le sfumature tra l’una e l’altra versione. Su Sherlock, al contrario, ha trovato tante cose interessanti. In mezzo alla miriade di articoli che raccontano del geniale musicista, spicca l’opinione dei più che lo ritengano un vero e proprio stronzo. Geniale certo, tecnicamente più che perfetto, ovvio, ma lo stesso un bastardo. La stragrande maggioranza del pubblico che lo segue abitualmente, è però convinta che non avendo affatto delle buone maniere, allora anche la sua bravura risulti del tutto vanificata. John non è d’accordo, perché un genio è un genio indipendentemente dal carattere che ha, ma concorda con coloro che sostengono che non salutare il pubblico ai concerti o infischiarsene di direttore ed orchestrali, sia quantomeno irrispettoso. I forum che ha consultato, inoltre, lo descrivono come un perfezionista. Un bastardo dall’orecchio assoluto che contesta ogni più piccolo dettaglio, e inveisce contro dei poveri orchestrali per dei semplici decimi di tono calanti. Che non ha idea di che cosa questo possa significare, ma ipotizza che non debba essere piacevole. Insomma, ha consultato sufficienti siti internet da capire che Sherlock è un geniale bastardo, il che, tra l’altro, è più o meno ciò che ha dedotto di lui standoci un paio d’ore insieme.
«Quello le servirà a poco.» John sobbalza per lo spavento, poi solleva lo sguardo e per qualche istante si sofferma a fissare l’uomo. Non è tipo da fare certe cose, ma è come se il conoscere Sherlock e il vedere ciò che riesce a capire, gli avesse concesso un’ottica differente sul resto del mondo. Quello che ha di fronte, per esempio, è un individuo minuto e che porta dei grandi occhiali spessi, è vestito in uno smoking dalla giacca bianca e con un papillon nero che pare eccessivamente grande per la sua fisionomia. Il che significa che… diavolo, non ha idea di cosa voglia dire. Chissà cosa direbbe il detective violinista! Cosa potrebbe mai dedurre da un uomo del genere?
«Mi scusi non volevo spaventarla» prosegue questi, sollevando le mani in segno di resa prima di lasciarsi cadere sulla poltroncina accanto alla sua.
«Sta parlando con me?»
«Mi perdoni, non volevo essere invadente. Notavo che stava leggendo il programma e volevo dirle che non credo che Holmes eseguirà tutto ciò che è scritto lì sopra, anzi, penso proprio che stravolgerà ogni cosa come è solito fare.»
«Stravolgerà?»
«Certo, certo» annuisce l’omino, voltandosi parzialmente verso di lui. «Due giorni fa a Siviglia ha esordito con la Suite inglese numero tre in sol minore, ha presente, no? Quella per clavicembalo. Pensi che lo ha suonato a memoria, ma di certo lo saprà, perché Sherlock Holmes non legge uno spartito che è uno. Naturalmente ha dato al brano un’interpretazione mai sentita prima, è stato eccezionale. E non solo non era in programma, ma non era neanche pensabile che la eseguisse, le assicuro che ha lasciato tutti quanti allibiti. Lei lo ha mai sentito dal vivo?» Per un frangente, John si chiede se lo ha sentito a fare che cosa, ma si trattiene dal domandarglielo perché di certo, quell’uomo non è alla maniera che Sherlock ha di sorseggiare il tè, piuttosto che di snocciolare deduzioni alla velocità della luce, a cui si sta riferendo.
«Questa è la prima volta» ammette e sì, sì sente di nuovo un bel po’ ignorante. Specie perché colui che ha di fronte, al contrario suo, sembra conoscere molto bene il lavoro di Sherlock.
«Un neofita, straordinario!» esclama questi, felice e battendo la mani l’una contro l’altra regalandogli un sorriso gentile. «Sa cosa le dico? Chiuda gli occhi se lo gusti, perché Holmes è il più grande violinista al mondo. In tanti lo criticano: sostengono che molte delle rivisitazioni che fa siano irrispettose, ma io dico: balle. E mi scusi per il linguaggio, ma per un genio al pari di Sherlock Holmes si dovrebbe avere un po’ più di rispetto. Non nascono uomini del genere tutti i giorni.» E ha drammaticamente ragione. Ha assolutamente detto il vero, non si trovano delle persone come Sherlock agli angoli di ogni strada.
«Quindi lei dice che non eseguirà i brani che sono scritti qui» afferma John, riavendosi dell’immagine di tanti sosia di Sherlock che gironzolano per le strade di Londra e che lo fa tremare appena.
«Difficilmente» borbotta il vicino, pensieroso e portandosi una mano al mento che prende a sfregare con vigore. «Di solito improvvisa, dicono che decida qualche istante prima di uscire in scena, ma solo con brani di Johann Sebastian Bach ovviamente, dato che è l’unico autore che esegue. Mentre ero nella hall girava voce che voleva aprire con concerto in la minore e sono quasi sicuro che sia così, perché me l’ha riferito una donna lui molto vicina.»
«Una donna?» balbetta John, incespicando appena, dopo aver drizzato le orecchie.
«Mh» annuisce questi. «Oh, ma ecco che comincia.»

E dopo che le luci della sala iniziano a calare e si accendono quelle verso il palco, John decide di fare come gli è stato suggerito e si rilassa contro lo schienale della poltroncina. Seda le voci nella sua testa che, come un allarme, hanno preso ad strillare a squarciagola quando ha sentito la parola: donna. Si dice che sarà un’assistente, in fondo lui che fa un lavoro simile sa quanto sia prezioso averne una. Non vuol dire assolutamente niente il fatto che anche Sherlock ne sia provvisto. Quindi chiude gli occhi e si rilassa, perché tanto (ridacchia) lui non è geloso. Non lo è per niente. Le luci calano, il vociare si attenua fino a scomparire del tutto, il sipario di broccato rosso si apre lentamente e l’orchestra, già seduta, viene accolta da un fragoroso applauso che aumenta d’intensità quando anche il direttore fa il proprio ingresso. Questi s’inchina, poi saluta l’orchestra prima che alla sua sinistra entri il solista. John ha un mancamento quando vede Sherlock arrivare, il cuore perde un battito prima che non lo senta furioso. Si agita, nervoso e si torce insistentemente le dita delle mani mentre, stupidamente, si chiede se Sherlock non riesca a vederlo. Lo sa che è impossibile e che ci sono centinaia di persone in sala; ma ci se riuscisse?
“Oh, che idiota che sei, John Hamish Watson” pensa. Non sa neanche da dove nascano certe idee. Quindi tiene lo sguardo fisso su di lui senza smettere di torturare il cartoncino del programma, fino a ridurlo in tanti piccoli pezzettini che gli ricadono sulle gambe come coriandoli. Sherlock Holmes è bellissimo, etereo e divino. In ogni gesto che fa, lascia John senza parole. Indossa un abito molto simile a quello che gli ha visto addosso, solo che con quella camicia viola che si intravede al di sotto della giacca portata slacciata e senza cravatta, è proprio da mozzare il fiato. I ricci sono indomabili e ricadono un po’ ovunque, talvolta anche sugli occhi. Lo strumento di legno chiaro e dalle striature scure, che tiene saldamente tra le mani assieme all’archetto, rendono Sherlock vagamente familiare. Non sa il perché di simili pensieri, ma è come se per lui fosse naturale vederlo in ogni cosa che fa, anche con un violino tra le mani. John si riscuote solo dopo che lo vede avvicinarsi al proscenio, non saluta nessuno degli orchestrali, né si inchina al pubblico. Si limita semplicemente a portarsi lo strumento alla spalla dopodiché si volta verso il direttore attendendo, spazientito, che dia l’attacco.
«Come mi avevano detto» gli sussurra il suo vicino di posto, appena dopo che l’orchestra intona le prime battute. «Concerto in la minore. Strano che esordisca con qualcosa di tanto facile.» John non gli domanda come abbia fatto a riconoscere il brano dopo pochissime note, non lo vuole sapere e neanche gli interessa che glielo racconti assieme ad un altro divertente aneddoto. Tutto ciò di cui ha bisogno, che brama ardentemente, è gustarsi Sherlock Holmes. Guardarlo mentre suona, è tutto quel che gli serve. Osservare come si muove a ritmo della musica, ondeggiando appena con il bacino, è una sensazione fantastica anche se è tanto distante da dove si trova. Se fosse più a ridosso del palco noterebbe il mordere delle labbra, assieme all’agitarsi di uno dei piedi che Sherlock batte a terra. Lui non ci capisce niente, l’ha già detto, ma ne sa abbastanza da afferrarne la mostruosità. E non è solo la bravura o la bellezza a colpirlo, è eccezionale perché la melodia che risuona nel grande teatro, è ammaliante, è seducente, è splendida. È un concerto vivace e intenso, tecnicamente complicato. Mano a mano che prosegue poi, Sherlock si agita sempre di più e i capelli, scomposti, ricadono di continuo sulla fronte. Purtroppo, gli occhi chiusi precludono a John la possibilità di scorgere quelle iridi magnifiche, ma almeno si può beare del collo lungo ed esposto, che intravede grazie alla camicia sbottonata fino al petto. Pelle da baciare e da mordere, oh, sarebbe magnifico poterlo fare. Già, ma non è soltanto questo ad ammaliarlo, non è il ricordo del loro bacio a stordirlo, quanto l’intensità che Sherlock mette nell’esecuzione, la passione che straborda dalle note e che è incontrollata ed incalzante, fino a divenire insostenibile persino per lui che è un neofita. È un crescendo di tensione misto a piacere, che ha un non so che di erotico e orgasmico. Cristo, si dice John ad un certo punto guardando verso il palco con fare sconvolto, Sherlock sta facendo l’amore. Si sta scopando alla grande la musica di quel Bach e lo sta facendo di fronte a centinaia di persone. È più eccitante di un porno o di qualunque ragazzetta che si è fatto nell’ultima settimana. John è eccitato, al punto che appena il brano cessa, si ritrova col fiatone e il cuore che ancora corre davvero troppo rapidamente. Per un istante non si ode altro se non un silenzio di tomba, mentre le ultime note ancora riecheggiano. C’è un momento, in cui il direttore tiene le mani sollevate a mezz’aria e Sherlock se ne sta in piedi sul proscenio con sul viso un’espressione da post-sesso, in cui pubblico e musicisti sono uniti in una perfetta immobilità. Come se ognuno di loro fosse stato congelato da un incantesimo. Dura pochi attimi, perché subito uno scroscio di applausi fragorosi inonda il teatro. John non ci bada e ascolta solo il proprio cuore martellargli nel petto. Ed allora, sedare il desiderio di correre da lui e inginocchiarsi al suo cospetto come se si trattasse di una divinità da adorare, diventa praticamente impossibile da domare. Trattenersi è difficile.
«Mai sentita una cosa del genere» esclama, estasiato, il suo vicino di posto. «È la prima volta che lo sento suonare in questo modo, è magnifico.» Non sa cosa intenda di preciso, ma se si sta riferendo al fatto che tutto quello sviolinare ha fatto venire anche a lui una mezza erezione, allora anche John è d’accordo. Comunque, decide di soprassedere e non rispondergli, per prima cosa non garantirebbe sulla propria voce. Non è nemmeno tenuto a fare un paio di sorrisi di circostanza perché, per sua fortuna, immediatamente dopo attaccano con il secondo brano. Ed è vero che non capisce niente, ma tutta l’estasi che vede distintamente anche nei volti di coloro che gli stanno accanto, non c’entra poi molto con la particolarità interpretativa o con la bravura tecnica di Sherlock, quanto con la sensualità e la passione che dà al brano. E John, beh, lui si sente un idiota senza confini. Perché lo sta facendo sul serio, sta andando contro a tante promesse fatte illudendosi che stia suonando esclusivamente per lui, che con la sua esecuzione cerchi di comunicargli un qualche cosa. Sa che è impossibile, ma se Sherlock è riuscito ad abbattere il guscio di pietra che John si è costruito, non è poi tanto strano che abbia annientato un così tanto eroico stoicismo, con un pezzo di musica suonata in maniera divina. È debole, J. H. Watson, debole e stupido e lo sa benissimo. Ma nella sua immonda, quanto immensa, stupidità decide che ormai è fatta e pertanto ci si crogiola, nelle sue fantasie. Si gusta Sherlock Holmes, il geniale violinista che in un teatro ricolmo di gente estasiata, suona soltanto per lui, per uno scalcinato soldato che fa anche lo scrittore. Ciò che John non sa, è di non essere andato poi tanto lontano dalla realtà.


 
***



Il concerto è finito da un decina di minuti quando si decide ad andare dietro le quinte. Ha Billy infilato a forza nella tasca della giacca, là dov’è rimasto per l’intera serata assieme al bigliettino che Sherlock gli ha scritto. Rapido, si infila dietro nel retro sperando che non intervenga qualcuno a fermarlo: non sa se è o meno lecito ciò che sta facendo. Ad un certo punto della sua esplorazione si sente sperduto ed è costretto a fermare uno che gli pare un addetto ai lavori per domandare informazioni.
«Il camerino del signor Holmes?» chiede, sperando che quel tizio parli la sua lingua.
«In fondo a quel corridoio, terza porta a sinistra» si sente rispondere, con un marcato accento francese. «Però la avverto che Monsieur Holmes non ama firmare autografi o veder gente. Solo Mademoiselle Adler può avvicinarlo oltre che suo fratello, naturellment, ma al momento Monsieur Mycroft non si trova qui.»
«Grazie» mormora John, proseguendo senza dargli retta, chi diavolo è questa Adler? Si chiede mentre finalmente imbocca il corridoio esatto percorrendolo a passo svelto. Più gli si avvicina, più si carica di tensione. E quando è finalmente arrivato, stringe la maniglia con forza tirando un gran sospiro mentre tenta di infondersi un coraggio che sta venendo meno. La porta è socchiusa si rende conto subito. Nonostante sia tentato, decide di non fare irruzione, di non entrare senza annunciarsi e quindi fa capolino sbucandovi dentro, sta per annunciarsi quando rimane congelato, allibito e confuso, dalla presenza di una donna. Lei ha con voce melliflua, dolce e parla con fare sensuale. Deve trattarsi della Adler che ha sentito nominare, però ha la strana sensazione che non sia una semplice assistente. Di certo è una donna bellissima, con capelli neri e lucenti che porta raccolti in un intricato chignon. Ha pelle bianca come il latte, ciglia lunghe ed è stretta in un aderente abito rosso fuoco che ha un’importante scollatura sul davanti. La donna circonda il collo di Sherlock con le braccia, gli sta aggrappata e gli parla a voce troppo bassa perché da lì riesca a sentire. Non stanno facendo nulla di strano, in effetti, ma l’atteggiamento di entrambi è sciolto e disinvolto e poi, Sherlock non fa nulla per allontanarla, né si mostra infastidito.
«Si può sapere che hai oggi?» sbotta Mademoiselle Adler, in un gesto che a John pare di stizza. Questi però non risponde, ma nemmeno la scosta ed anzi tiene lo sguardo sullo schermo del cellulare e pare non avere occhi che per quello. Sta per bussare quando, ancora, viene interrotto perché quella donna dalle carnose labbra pitturate di scarlatto, bacia Sherlock sulla bocca. Laddove John ha così tanto fantasticato. E sì, in quel momento sente il proprio cuore spezzarsi. Anche se si tratta di un bacio leggero e fugace, senza lingua, lui si sente ugualmente mancare il fiato. Quello è il bacio di due amanti, si rende conto. E lì, si sente decisamente di troppo. Ha una ragazza. Sherlock ha una donna. Ovvio che ce l’abbia. Lo sapeva. Certo che non è libero e come potrebbe esserlo un uomo simile? Una meraviglia di quella portata non potrebbe mai e poi mai essere solo. Illuso, illuso, illuso, illuso John Watson si maledice. E forse è perché batte involontariamente un piede a terra per la rabbia verso sé stesso, che i due lo sentono e si voltano verso la porta. Non ha tempo di richiudere la porta o di andarsene non visto, perché gli occhi del suo violinista detective già sono nei suoi e lo fissano con un’espressione che, per tutto l’arco di tempo che hanno vissuto assieme, non ha mai avuto modo di scorgere sul suo volto.
«John!» esclama e gli pare stupito o infastidito, non lo sa, non è mai stato bravo a leggerlo. Non come fa lui. In quel momento, però, anche volendo non riuscirebbe a farlo perché è così difficile ragionare lucidamente. È vero che stato un soldato, ma è accaduto tanto tempo fa e poi adesso ci sono in ballo dei sentimenti, come il fatto che si vergogna d’essere corso dietro ad un uomo etero ed impegnato. C’è il suo cuore spezzato, che si è premurato lui stesso di mettere su di un piatto d’argento, pensare con logica è quindi impossibile. Probabilmente è per questo che viene preso dal panico; come giustificherà la sua presenza? Che gli dirà? Che ha voluto andargli dietro perché gli piace al punto da fargli rivedere tutte quelle certezze che si è faticosamente costruito? Sì, potrebbe essere un inizio, suggerisce la parte razionale del suo cervello quella che, adesso, ha una voce troppo timida perché John riesca sentirla. Quindi non sapendo come reagire, corre via. Perché tra tutte le cose senza senso che ha fatto nell’arco delle ultime quarantottore, questa è senz’altro la peggiore. Anche se non dovrebbe, scappa e fugge lontano. Con ancora Billy in tasca, ricorda mordendosi la lingua. Corre verso un’uscita laterale che ha intravisto quando, minuti fa, tentava di capirci qualcosa in quel labirinto di corridoi. Corre il più rapidamente possibile perché… perché… Cristo santo si è innamorato di lui. E non ha alcun senso. È impossibile e si conoscono da troppo poco tempo. Come può essersi innamorato di Sherlock in sole ventiquattrore? Come può uno che ha tutta l'aria di essere sociopatico farsi amare da un poco fiducioso, e divorziato, ex maggiore dell'esercito inglese? Perché John lo ama e, purtroppo, ha superato abbondantemente il punto di non ritorno; oramai non può farci niente. Stupidi colpi di fulmine, inveisce. Stupide idee romantiche sull’anima gemella. Stupido idealismo del cazzo. Stupido tutto! Dannatissimo treno notturno e dannato lui il giorno in cui ha deciso di andare in vacanza. Si odia, John. Profondamente. Anche se non lo dovrebbe fare. Perché ha ancora una speranza. In tutto quel fuggire e imprecare, infatti, c’è qualcosa che ignora. Perché è troppo impegnato a correre via, per rendersi conto che un terrorizzato Sherlock Holmes, sta correndo con lui.



Continua



Note finali: Quelli che vi linko sono i due brani di Bach citati. Vi consiglio di ascoltarli se non li conoscete, ma vi chiedo in particolare, se potete, di soffermarvi sul concerto in la minore. Ve lo dico perché è ciò che ha ispirato l’intera storia. Vedete, io avevo un’immagine in mente: Sherlock che suona quel brano. Come ho fatto da quello arrivare a questa storia è, beh, inspiegabile!
-Concerto in la minore per violino e orchestra
-Suite inglese n. 3 in sol minore

 
   
 
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