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Autore: Hugin BenMar    20/11/2014    2 recensioni
Tutto e Forma compresero ciò che gli uomini volevano e crearono la Lingua.
Lingua entrò con la forza in quella battaglia vinta in partenza dal Drago. Alduin non era capace di mangiare Lingua come faceva con ogni cosa perché lei era troppo veloce, serpeggiava e fuggiva, entrava in ogni dove, si nascondeva e proprio quando Alduin si distraeva lo colpiva.

La storia è una what if: come sarebbe andata la storia se il protagonista non avesse saputo di esserlo?
Questa storia partecipa al contest "Io e te alla fine del mondo" indetto da hiromi_chan sul forum di EFP.
Genere: Angst, Avventura, Guerra, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Capitolo III: Lo è Sempre Stato

 

Con il suo vegliare, Steinbjorn tenne lontani Nulla e Tutto dal mortale che dormiva, i suoi occhi, ogni giorno più stanchi, erano una barriera insormontabile per quelle due forze che facevano la guerra attorno all'uomo addormentato.
L'uno gli dava speranza di un futuro per ogni essere e l'altro gli mostrava il buio del Niente, ma quando i due piccoli sassi negli occhi del moro guardavano il Nord i due non riuscivano ad avvicinasi e l'altro dormiva senza timore di essere preso mentre non poteva guardare.
Per mesi, durante la notte, Tutto e Nulla ruggivano nel cielo urli senza fine che rimbombavano in ogni valle, ma nessuno si accorse perché per tutti erano solo tuoni di un temporale senza fine che avrebbe, invece, portato alla morte del Tempo.
Per mesi i due mortali camminarono verso la meta, i passi coperti e soffocati dai boati del temporale, per mesi si guardarono, si parlarono e risero insieme fingendo che tutto non sarebbe mai finito.
Per mesi si illusero ma Tempo tolse loro la possibilità di fingere facendoli giungere all'alta montagna su cui dimorava il drago.
L'avevano trovata un po' grazie alle mille leggende del drago addormentato nel tumulo della montagna, un po' sentendo persone narrare, forse inventando, forse no e un po' seguendo le urla spaventate degli uomini che avevano visto la belva.
Avevano impiegato poi tre giorni a raggiungerne la cima, era così alta che pareva infinita: il sentiero si vedeva appena e, tutt'intorno vi erano Tutto e Nulla che lottavano creando una fitta nebbia che non era altro che materia esistente senza forma simbolo di morte e disfacimento.
Le mani dei due mortali si strinsero, Steinbjorn teneva salda quella di Koll e lo guidava mentre l'altro a vedere la nebbia si spaventava ricordando i sogni che non l'avevano fatto dormire.
Il tortuoso sentiero diveniva sempre più difficile da percorrere a ogni passo che facevano: l'aria era pesante, la nebbia più fitta, la montagna chiamata Gola del Mondo, era tanto spaventosa quanto lugubre.
Salendo i due riuscivano a sentire urla.
Urla di morto e urla di vivo.
Si scontravano nell'aria creando gelo, terrore e orrore e ghiacciando i cuori e la pelle di entrambi i mortali visitatori.
I due quasi riuscivano a vedere gli occhi spenti delle anime che vagavano intrappolate nella nebbia, ne sentivano il respiro, sì, quel vento non poteva che essere fiato di povere anime distrutte e costrette a nutrire il Divoratore di Mondi in quel Limbo terrestre. In quel perenne campo di battaglia tra Tutto e Niente.
Koll, il quale era più abituato a resistere al freddo, teneva stretto Steinbjorn il cui corpo era abituato a climi più caldi: il braccio destro gli cingeva le spalle coperte già dal mantello mentre la mano sinistra era ferma sulla sua testa a scaldargli la punta gelata delle orecchie.
I due camminavano così e continuarono fino a quando il sentiero non finì.
In quel punto, quando il fiato dei morti era l'unica cosa respirabile, quando solo i loro occhi erano visibili e quando solo le loro grida e null'altro poteva essere udite, lì il vento gelido del Nulla era così forte da non permettere di camminare oltre e spingeva indietro i corpi di coloro i quali tentavano di più.

Oppure li inghiottiva.

Poi un occhio si aprì.
Grande, iniettato di sangue, la pupilla serpentina e le iridi le cui tinte riprendevano quelle dell'alito di fuoco del drago.
La creatura uscì dall'ombra facendo tremare il terreno e facendo sbilanciare i due uomini che si erano posti di fronte a lei.
Un passo.
Due passi.
Koll e Steinbjorn caddero a terra e furono costretti a separarsi trovandosi ciascuno a fissare con i propri occhi quelli grandi del drago che vedevano per la seconda volta.
Il serpente alato mosse di scatto la testa guardando l'uno e l'altro. Il suo sonno era stato disturbato da una presenza diversa dalle altre.
Tuttavia non era l'odore di vita ad essere di disturbo, no, era qualcosa di diverso.
Era lo stesso odore che lo aveva portato a volare sulle città che aveva distrutto, era lo stesso odore che lo aveva convinto a dare fuoco a case e persone.
La sua lingua passò sull'interno dei denti prima che aprisse la bocca.
- Chi osa disturbare il mio sonno? -
La sua voce era sussurro, la sua voce era così antica e così forte che la terra tremò sotto di essa e Koll, in un momento di paura, si nascose mentre invece Steinbjorn rimase in piedi a lato della bestia.
Il drago vide con l'occhio rosso il soldato e girò la testa verso di lui compiendo altri lenti passi nella sua direzione e annusandolo con le sue enormi narici.
Ma no.
No.
Non era l'odore di quel mortale a disturbarlo, non era la sua carne a infastidirlo, non era la sua voce a portargli ansia né, tantomeno, la sua spada poteva arrecargli danno e questo Alduin lo sapeva.
Così prese fiato e la sua gola si riempì di caldo fuoco: quel figlio del Nulla lasciò crescere in sé l'alito infuocato facendolo risalire per la gola fino alla bocca dalla quale lo fece sgorgare nella direzione del soldato che si riparò in fretta dietro lo scudo che aveva al braccio.
Spaventato, Steinbjorn si tolse in fretta il mantello che aveva preso fuoco cercando di allontanare da sé il calore e la paura mentre si trovava costretto a lasciar cadere a terra lo scudo diventato bollente.
Il serpente, così, fece un altro passo avanti guardando il viso del mortale scottato dal suo alito.
Egli, ugualmente, non fuggiva.
Aprì la bocca deciso a finirlo con un morso e a nutrirsi delle sue carni, la spada di ferro non lo avrebbe protetto dalle sue fauci.
I denti si chiusero poco dopo rompendo l'armatura in ferro e lasciando tre grossi solchi sul petto del soldato.
Steinbjorn ricadde all'indietro.
La terra tremò di nuovo mentre il grosso drago nero si avvicinava sovrastando del tutto con la sua mole l'uomo a terra morente.
Piegò la testa annusando di nuovo il corpo quasi senza vita. Eppure un odore gli dava fastidio ma non veniva dal mortale davanti a lui.
Quindi da dove poteva arrivare?
Da dove poteva arrivare quell'odore che in tanti avevano chiamato forza di volontà?
Improvvisamente il grande Alduin sentì un dolore alla coda ricoperta di scaglie e girò il lungo collo notando che qualcuno l'aveva trafitta da parte a parte con una spada lunga ma quel qualcuno non c'era più.
Scosse la coda in preda alla rabbia scagliando lontano, forse addirittura giù dalla montagna ricoperta di nebbia, l'arma che un mortale aveva usato contro di lui.

Che il portatore dell'odore aveva usato contro di lui.

- Chi osa sfidarmi? - la sua voce fece tremare forte gli alberi ma nulla accadde, nessuno si fece vedere, pareva davvero che l'unico intruso Alduin lo avesse già sistemato.
Un altro colpo, questa volta alla schiena.
Il drago si girò trovandosi così faccia a faccia con Koll.
Koll stava in piedi e al grande figlio del Nulla venne da ridere nel vedere con quanta sicurezza quel mortale osasse sfidarlo.
Tutto, però, stava al fianco di Koll rendendolo forte e coraggioso.
Alduin annusò l'aria con un ampio movimento della testa e sì, l'odore antico che sentiva giungeva proprio da lui.
Era un odore tanto famigliare quando totalmente estraneo, come se ciò che lui conosceva fosse stato mascherato da altro.
Koll non attese, non era né un uomo d'onore né il combattente più scaltro, tuttavia voleva difendere il compagno ferito e sapeva bene che attaccare il mostro distratto gli avrebbe certo portato un grande vantaggio.
Così si scagliò contro la bestia accompagnato dalle anime che giacevano nella nebbia, anime che combattevano ma non potevano ferire e si scontravano tra di loro come se in corso fosse una grande battaglia.
Anime nere accompagnavano Koll, anime di uomini che avevano peccato e che giuste non sarebbero mai potute essere, come non lo sarebbe stata la sua. Alduin era, invece, accompagnato da anime impalpabili che lo circondavano senza essere visibili, che esaltavano la sua mole e di cui lui si nutriva per avere forza.
Tutto quello Koll non poteva vederlo essendovi in mezzo ma gli occhi stanchi di vegliare di Steinbjorn potevano vedere la grande battaglia della fine dei tempi.
Nulla e Tutto si fronteggiavano e lui che era da parte si chiedeva come Nulla avrebbe potuto esistere senza Tutto su cui appoggiarsi e come Tutto avrebbe potuto regnare senza Nulla da governare.
Alduin colpiva il mortale e Koll colpiva il drago, entrambi con una rabbia che non veniva da loro perché a renderli nemici non era la loro natura ma ciò per cui combattevano.
Una zampata si abbatté sull'uomo che barcollò crollando all'indietro e le anime che gli stavano accanto presero a girargli intorno e curare le sue ferite.
Chissà perché, si chiedeva Steinbjorn, nessuno si preoccupava delle ferite che aveva lui.
Un colpo di spada ne seguì un altro, entrambi i contendenti parevano intoccabili, uno immateriale e l'altro fatto di così tanta materia da averne tanta da sprecare.
I movimenti lenti del drago erano però potenti e forti e sbalzavano via il ragazzo che gli si opponevano che per evitarli era costretto a muoversi in fretta e a nascondersi quando possibile.
Poi, un'altra zampata segnò la fine del conflitto.
Koll si trovò intrappolato tra gli artigli della bestia, le sue vesti trafitte dalle unghie e il suo petto schiacciato sollo il palmo di quello.
Si agitava sentendosi soffocare e anche le anime tentavano, ma non riuscivano, di spostare la zampa dell'essere e liberare il loro campione.
Alduin si chinò su di lui inspirando ancora l'odore che la sua pelle emanava e parlando con il fiato che puzzava di zolfo: - Ho un ricordo di te. -
Koll pensò all'omicidio dell'imperatore ma i ricordi del drago andarono molto più indietro nel tempo e si fermarono a quando ancora Nulla esisteva e Tutto stava solo cominciando a prendere Forma con se per diventare Mondo.
Koll vide Nulla invidioso nascondersi a Tutto e tenere bassa la sua testa inesistente: accudiva qualcosa, Nulla, lo teneva nella sua morsa e lo cullava piano cantandogli le canzoni più belle del Silenzio, insegnando così al suo piccolo quali parole antiche dire.
Erano canzoni di Silenzio e di Vendetta che fecero crescere quella massa di fumo pallido tra le braccia di Niente e gli donarono così tanto Odio che ne nacque il figlio più bello che Nulla poteva sperare.
Il figlio del Nulla e Silenzio, cresciuto da Vendetta e Odio non aveva un nome perché solo Nessuno lo aveva visto e Nessuno, per definizione, non sapeva cosa fosse Parola.
Nulla lasciò dunque che suo figlio e le sue fauci minacciassero il mondo di Tutto.
E le grandi ali nere fatte di Niente fendevano l'aria come se fossero qualcosa così come il suo fiato di fuoco che non poteva esistere distruggeva e bruciava ogni cosa.
Koll vide i suoi antenati spaventarsi e fuggire, alcuni combattere, ma tutti morire.
Alduin diceva “Fuoco” e fuoco usciva dalla sua bocca, Alduin diceva “Ghiaccio” e un vento, così gelido da ghiacciare chiunque, veniva sputato dalle sue fauci nere e gli uomini che non sapevano parlare non dissero mai né “Fuoco” né “Ghiaccio” e sperarono di uccidere la parola con la spada.
Uno tra tutti però si era levato ed era diverso, aveva ascoltato Alduin e la sua lingua e l'aveva capita ed imparata inventando gli altri termini che nessuno dei due, né lui né il drago potevano conoscere e aveva parlato anche lui.
Aveva detto “Fuoco” e la sua voce era diventata, in aria, fuoco e aveva detto “Ghiaccio” ed era diventata ghiaccio.
Così era stato sconfitto all'inizio dei tempi: un uomo era diventato con l'anima di drago imparando da lui a parlare e rendendosi suo pari.
Per la prima volta un uomo aveva puzzato di Volontà.
Ma cosa centrava, si chiedeva Koll, lui con tutto quello? Lui non era niente di diverso da un uomo senza dono della Voce. Parlava ma non aveva Voce.
Le sue parole non erano Forza, non erano Fuoco e non erano Ghiaccio, erano solo parole senza alcun potere perché lui non conosceva il nome che quegli elementi avevano per Alduin o per il primo uomo che aveva usato la Voce.
Non era un dono fatto a lui.
Se Koll non capiva Alduin vedeva: vedeva gli occhi dell'uomo che stava schiacciando sotto di se e ricordava gli occhi dell'uomo che aveva parlato per la prima volta.
Erano uguali.
Non di colore, non di forma, non avevano niente di fisicamente identico ma avevano lo stesso identico sguardo, la stessa identica inconsapevolezza.
Erano anche quelli gli occhi di un uomo senza alcun potere la cui forza di volontà poteva essere molto più pericolosa di qualsiasi altra cosa.
Alduin ricordava tutti i tentativi fatti da quell'uomo per pronunciare la parola fuoco, “yol” aveva detto imitando la Voce del drago, ma essendo quella del drago non aveva ubbidito.
“Yol” aveva ripetuto più forte per farsi sentire dal cielo e dalla terra, pieno di rabbia e paura, ma niente, il fuoco non nasceva.
Così lo aveva ripetuto una terza, una quarta e una quinta volta, lo aveva ripetuto infinite volte fino a quando la Volontà e il Coraggio non erano diventati tali da dargli una Voce tutta sua.
E aveva detto Yol e il fuoco era nato, aveva detto Fo ed era stato freddo, aveva detto altre parole e ne aveva inventate tante, così tante da creare in una sola battaglia una lingua intera.
Fus era la forza che spingeva via il drago, Feim era lo spirito che gli permetteva di non essere toccato, Raan aveva richiamato un lupo e un orso e li aveva fatti gettare in battaglia al fianco del povero uomo che parlava.
Alduin pensava mentre schiacciava Koll e Koll lo sentiva pensare così forte che credette di essergli nella testa.
Sentiva ogni parola e ne capiva il significato ma dirla no, quello non avrebbe saputo farlo perché non era compito suo.
Sentiva la zampa farsi sempre più pesante e sentiva se stesso abbandonare il proprio corpo.
Ecco: poteva persino vedere la propria anima tra le altre.
Quell'anima che tirava più forte la zampa era la sua e ne era certo, era la sua ma non aveva la sua forma: aveva i capelli corti e pettinati, la barba tagliata corta per essere in ordine e gli occhi marroni, sì vedeva gli occhi anche se non avevano colore.
Quell'anima che sentiva sua era quella di Steinbjorn che giaceva senza vita e che, intrappolata in quel limbo, cercava almeno di salvare lui.
Forse fu paura, forse fu rabbia, forse fu amore, ma Koll parlò.
- Iiz Slen Nus! - La terra e la montagna tremarono mentre la voce dell'uomo si mescolava a quella del drago che gridava “Tiid Klo Ud”.
L'uno aveva ordinato al mondo di ghiacciarli e l'altro aveva chiesto che il tempo si fermasse imprigionandoli per l'eternità
Le scaglie del drago divennero piano piano di ghiaccio mentre toglieva la zampa dal mortale che afferrò la spada e fece per colpirlo di nuovo.
Si gelarono così.
L'uno con la zampa alzata e l'altro con la spada puntata al petto del mostro.

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Dunque siamo giunti al termine di questa leggenda che volevo raccontavi.
C'è però un'ultima piccola confessione che io, Steinbjorn, ho da fare.
Ricordo che quando mi svegliai da quello che era parso davvero un brutto incubo, sulla cima di quella montagna la nebbia se n'era andata ed erano tornati a spuntare, là dove il sangue di Koll e il mio di erano posati, piccoli fiori di montagna.
Ricordo che io non ero l'unico ad essermi svegliato: altri uomini e donne si guardavano intorno non ricordandosi dove fossero stati.
Io però me lo ricordavo: eravamo morti e tornati in vita.
Tornati in vita grazie al mio Koll.
Mai piansi tanto quanto feci quel giorno nel vederlo congelato. Rimasi ad abbracciarlo per giorni sperando che il ghiaccio si sciogliesse e di poterlo stringere di nuovo.
Ogni giorno per anni andai a vederlo, lì, fermo, immobile, sempre bello e immutabile.
Ormai, però, sono anni che non posso vederlo perchè la vecchiaia mi impedisce di salire la montagna ma so che presto, morendo, lo riabbraccerò.
Sono sicuro che la sua anima stia aspettando impaziente il giorno in cui il suo corpo si scioglierà e lui sarà abbastanza forte per salvarci tutti di nuovo.

Probabilmente nessuno lo riconoscerà mai come un eroe, ma per me lo è sempre stato e forse questo basta a renderlo tale.

 

   
 
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