Crossover
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Autore: Bookmaker    22/11/2014    3 recensioni
– Lo so, – disse improvvisamente, anticipando una notizia che sapeva gli sarebbe stata riferita di lì a breve. – Il ragazzo laggiù si è svegliato, ed è appena entrato nella fase di sintesi, giusto?
– Il ragazzo? Di che cosa stai parlando?
Si girò con una certa sorpresa scoprendo di non essere solo, nel mare lunare macchiato di un sangue troppo antico per essere ricordato: un altro essere lo stava fissando.
Non era certamente umano: sembrava un gatto col pelo bianchissimo, con grandi ciuffi che sbucavano dalle orecchie e un anello sospeso attorno ad ognuno di essi.
Genere: Drammatico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai
Note: Cross-over, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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VIII
Intermezzo, terzo momento: Liquid breath
 
– Okay, abbiamo finito. Ottimo lavoro, tutti quanti.
Shinji riaprì gli occhi. Il mare di liquido giallo-arancio che lo circondava ondeggiava lentamente intorno a lui, riempiendogli i polmoni al punto da non permettere al diaframma di contrarsi.
Era una strana sensazione, quella dell’LCL. La prima volta che quel liquido viscoso e maleodorante aveva riempito l’entry plug dell’Eva zero-uno, Shinji si era sentito soffocare. Quando poi aveva riempito i suoi polmoni, il ragazzo era stato preso da una paura terribile, evocata dal pensiero di morire lì, annegato nell’abitacolo di un gigantesco robot.
Solo qualche secondo più tardi la dottoressa Akagi gli aveva spiegato che l’LCL era stato pensato apposta per il rifornimento intrapolmonare di ossigeno, in modo tale da consentire al corpo dei piloti di sostenere le violente sensazioni di uno scontro contro un Angelo.
Il ragazzo rimase in attesa dell’estrazione dell’entry plug dal circuito spinale di simulazione, pensando fra sé e sé agli eventi delle ultime settimane.
Sin da quando erano arrivate Madoka, Sayaka e le altre, la sua routine giornaliera era stata stravolta. In realtà, non si poteva più nemmeno dire che lui avesse una routine: le giornate a scuola erano diventate una giostra impazzita, in cui Shinji si sforzava di divincolarsi da Kyoko e puntualmente non ci riusciva. Una volta Touji e Kensuke avevano cercato di infiltrarsi nel gruppo delle maghe sfruttando Shinji come cavallo di Troia, e ci erano riusciti. Tuttavia, quel giorno stesso, i due avevano finito con l’essere intimiditi dall’angelica bellezza della senpai Tomoe, e non si erano mai più fatti rivedere.
L’impatto di Asuka sulla sua vita, poi, era stato devastante: la convivenza con un colonnello dell’aeronutica quattordicenne si era rivelata più complessa del previsto. In particolare, i turni al bagno, le faccende domestiche e la condivisione degli spazi erano stati argomento di lunghe dispute, che si erano concluse con la libera decisione da parte di Shinji di rinunciare ad ogni diritto sulla propria esistenza.
“In conclusione,” pensò Shinji, “credo di essere almeno in parte felice.”
L’LCL si muoveva lentamente, lambendo dolcemente il suo corpo avvolto nella plug suit e facendo ondeggiare i suoi capelli castani come ciuffi di alghe marine. Il ragazzo respirò, sorpreso dalla piacevolezza del contatto con quel fluido tiepido e denso.
Con una lieve accelerazione verso l’alto, l’entry plug modificato risalì verso la superficie. Il liquido aranciato fu espulso in quattro sottili fiotti, e Shinji si ritrovò di nuovo all’asciutto.
Uscì dalla struttura, rivolgendo un ultimo sguardo al bizzarro cranio di acciaio e cavi elettrici che costituiva il simulatore. Era una figura mostruosa, eppure stranamente umana, e comunicava a Shinji un misto di ansia e sicurezza.
– Buongiorno, Shinji.
Il ragazzo si voltò. – Ciao, Kyuubey, – esclamò. – Che ci fai, qui?
– Niente di particolare, – disse Kyuubey avvicinandosi a Shinji. I lunghi ciuffi che fuoriuscivano dalle sue orecchie fluttuavano nell’aria, seguendo il suo movimento in leggere volute. – Facevo una passeggiata e mi sono trovato a passare di qui.
Shinji indicò con un gesto il corridoio che portava agli spogliatoi. – Stavo andando a cambiarmi, – disse. – Vieni con me?
– Certo, – rispose la creatura, e si mosse in avanti anticipando Shinji e facendogli strada lungo la passerella sospesa sul grande bacino di LCL.
– Ehm… scusami, Kyuubey, – esitò Shinji, – come fai a conoscere la strada?
– L’altro giorno ho stabilito un contatto con te, ricordi? – replicò l’alieno voltandosi verso Shinji e rivolgendogli il suo solito sguardo inespressivo. – Da quel momento, io sono capace di comunicare telepaticamente con te. In questo momento, mi sto solo rifacendo ai tuoi ricordi sul percorso. Ovviamente, tu puoi fare lo stesso con me.
– Ah… capisco.
– E non solo, – continuò Kyuubey. – Puoi comunicare telepaticamente con chiunque abbia avuto un contatto con me.
Shinji guardò l’alieno con aria interrogativa. – Quindi sono connesso anche con Mami e le altre?
– Precisamente.
– Esatto, Shin-chan, quindi bada bene a ciò che pensi prima di andare a dormire!
Il commento di Kyoko risuonò nella testa di Shinji come uno sparo di fucile, facendo arrossire il ragazzo e portandolo a guardarsi attorno. – Kyoko? – chiamò timidamente.
– Ehilà! Sono quassù!
Shinji alzò lo sguardo verso la grande vetrata che si affacciava sul ponte di sperimentazione. La maga rossa lo stava salutando sbracciandosi, sotto lo sguardo divertito di Misato e Mami. – Buongiorno, Shinji, – lo salutò quest’ultima facendo un lieve gesto con la mano. – Ho visto che il test è andato bene.
– Buongiorno a te, Mami, – rispose Shinji. Gli veniva abbastanza difficile parlare in quel modo, immaginando non solo le parole ma anche il tono con cui avrebbe voluto pronunciarle. – E anche a lei, signorina Misato.
– Eravamo qui per alcuni controlli, – spiegò Mami. – Abbiamo pensato di farti una visita. La signorina Misato è stata tanto gentile da invitarci a cena.
– Sbrigati a salire, Shinji! – pensò Misato incrociando le braccia e picchiettandosi nervosamente il gomito sinistro con le dita della mano destra. Sembrava essersi subito adattata a quel sistema di comunicazione, tanto da riuscire a far risuonare tutta la propria impazienza nella mente di Shinji. – Non sono andata nemmeno a pranzo, oggi!
Il ragazzo non indugiò oltre, e riprese a camminare verso gli spogliatoi. Kyuubey l’aveva aspettato, e subito tornò a precederlo lungo la passerella.
– Ad ogni modo, – disse l’alieno, – non devi preoccuparti. Se vuoi nascondere i tuoi pensieri, nessuno potrà conoscerli, nemmeno io.
Shinji fece una faccia sollevata, al pensiero che avrebbe potuto conservare almeno la privacy dei propri pensieri.
– Inoltre, – riprese Kyuubey mentre una porta automatica si apriva per lasciar passare lui e Shinji nel corridoio seguente, – la telepatia ha una portata limitata a qualche decina di metri. Persone come Mami possono estenderla fino a cento metri o poco più, ma non ho mai visto un essere umano che fosse capace di spingersi oltre questo limite.
Shinji continuò a seguire l’alieno. L’LCL aveva già cominciato a evaporare, lasciando una patina appiccicosa sui suoi capelli e sul suo volto. Era una sensazione strana, non del tutto sgradevole ma in qualche modo inquietante.
Percorsero il resto del corridoio in silenzio. Una volta raggiunti gli spogliatoi, Kyuubey si fermò dietro al grande telone di plastica che faceva da divisorio fra gli armadietti, in modo che Shinji potesse spogliarsi in privato.
– In realtà, – disse ad un tratto, – c’era una cosa che volevo chiederti.
Shinji si infilò la camicia dell’uniforme scolastica. Non gli piacevano le maniche corte, ma col caldo perenne che caratterizzava la sua epoca c’era poco da fare. – È per questo che mi hai seguito fino a qui? – chiese. – Perché nessuno ci sentisse?
– Non volevo che qualcuno influenzasse la tua decisione, – si giustificò Kyuubey. – E se ti avessi detto chiaramente di volerti dire qualcosa in privato, Kyoko ci avrebbe sicuramente seguiti.
– Già, – ammise Shinji finendo di abbottonare la camicia e infilandosela nei pantaloni. – Non credo che avrebbe resistito alla tentazione di farsi i fatti miei. Comunque, cosa c’è di tanto importante? E quale decisione dovrei prendere?
Kyuubey rimase per qualche istante in silenzio. La sua sagoma era chiaramente visibile al di là del telone di plastica, la sua coda continuava a fluttuare con un movimento vaporoso. – Allora? – lo incalzò Shinji tirando via la tenda. – Cosa c’è?
Kyuubey lo guardò. I suoi piccoli occhi rossi furono attraversati da un bagliore appena percepibile. – Shinji Ikari, – scandì in tono solenne. – Vuoi stipulare un contratto con me, e diventare un mago?
***
La Renault Alpine di Misato era ormai piuttosto silenziosa. Kyoko stava mangiando come suo solito, cercando senza troppo impegno di non spargere briciole sui sedili posteriori della macchina. Asuka, ovviamente seduta al posto davanti, continuava a tamburellare impazientemente le dita sul bracciolo della portiera, studiando con aria distratta le nuvole che veleggiavano nel cielo limpido del tardo pomeriggio. Mami e Misato erano rimaste fuori, e aspettavano Shinji chiacchierando di qualcosa che ad Asuka non interessava sapere. Quanto a Rei, lei aveva rifiutato l’invito a cena affermando di avere qualcosa da fare. Una volta terminati i suoi test, aveva salutato col suo tono distaccato ed era andata da qualche parte nel quartier generale.
– Ehi, Asuka, – esclamò Kyoko porgendo alla Second uno dei soliti stecchini. – Ti va?
– No, grazie, – rispose Asuka senza spostare lo sguardo da una grande nuvola a forma di dirigibile.
– Sicura? – insistette la maga, facendo ticchettare i biscotti nella confezione. – Non hai messo niente sotto i denti, dall’ora di pranzo. Non si ammazzano gli Angeli, a stomaco vuoto.
Asuka si voltò appena verso la mano di Kyoko. Stavolta, lo stecchino era ricoperto di rosa. Fragola, senza dubbio.
– Se proprio insisti… – disse, ed estrasse uno stecchino per poi addentarlo. Doveva ammetterlo, il cibo era più invitante quando era Kyoko a offrirlo. – Grazie.
– Un grazie dall’impenetrabile Asuka Shikinami Langley! – la schernì Kyoko con un sorriso beffardo. – Che rarità!
– Non ti preoccupare, – rispose Asuka spezzando lo stecco fra i denti. – Non ne sentirai altri per un bel po’.
– Scusa, scusa. Ad ogni modo, prego.
La conversazione sembrò terminata, ma il silenzio che seguì lasciò Asuka con l’amaro in bocca, nonostante il biscotto. – Quello stupido di Shinji… – borbottò, abbastanza forte da poter essere udita da Kyoko. – Ma quanto diavolo ci mette?
La maga sghignazzò, cercando di trattenere una fragorosa risata. – Che c’è? – chiese Asuka, domandandosi il perché di quella reazione.
– Niente, niente, – glissò Kyoko cercando di ricomporsi. – È che stavo pensando al soprannome con cui l’hai chiamato l’altro giorno.
– Stupi-Shinji, intendi? – sorrise Asuka.
La maga rossa esplose in una risata incontrollabile. Bastava davvero poco, per farla divertire.  – Sì, sì! Ma come ti è venuto?
– Beh, lui è un po’ Stupi-Shinji, dai! Potrei cominciare a chiamarlo sempre così.
– Povero Shin-chan, lo maltratti sempre.
 Le due si fecero una risata. Asuka fu nuovamente meravigliata dall’effetto che la vicinanza delle maghe aveva su di lei. Lei, l’asso indiscusso dell’aviazione europea, poteva nonostante tutto sorridere e sparlare con una sua coetanea. Comportarsi come una ragazza normale, contrariamente a tutto ciò che aveva sempre pensato, dava una sensazione piacevole.
– Però, sul serio, – disse ad un tratto Kyoko. – Dov’è finito?
***
Homura sussultò leggermente. Le era parso di sentire qualcosa, ma forse era stata solo la sua immaginazione. Aprì gli occhi, rimanendo supina sul letto della sua cella di contenimento, e fissò il soffitto con aria assorta. Si accorse che la camicia dell’uniforme scolastica le dava fastidio. Cercò di sistemarla con un movimento delle spalle, ma senza riuscirci del tutto.
Non aveva mai dismesso l’abito da maga, da quando era arrivata in quel mondo, e non aveva avuto modo di cambiarsi: erano stati giorni troppo pieni per poter pensare all’abbigliamento. Solo adesso si rendeva conto di quanto fosse scomoda la sua camicetta bianca. Si slacciò il grande fiocco rosso fissato al collo della camicia, abbandonandolo distrattamente sul pavimento accanto al suo maglione color crema e alle scarpe.
“Per quanto tempo dovrò rimanere qui?” pensò, sollevando una mano e indugiando con lo sguardo sulle pieghe che ne segnavano il palmo. – Dottoressa Akagi?
Non ci fu risposta. Il grande altoparlante appeso in un angolo della stanza rimase muto. Homura si alzò in piedi e si infilò le scarpe, raccogliendo i vestiti sparsi al suolo e riponendoli poi sul letto quasi intatto. Dopodiché si avvicinò alla porta, verificando che non ci fossero serrature. Sembrava un qualche tipo di porta automatizzata, e di certo non si sarebbe aperta anche sparandoci contro.
“È sempre una prigione, dopotutto.”
In effetti, era difficile pensare a quel posto come ad una cella. Era un ambiente luminoso, pur trovandosi nel Geo Front sotterraneo, e aveva almeno un minimo di arredamento a rallegrarlo. Tuttavia, era una stanza fin troppo silenziosa. Una delle pareti, inoltre, era completamente priva di mobili; Homura sospettava che celasse un qualche sistema di sorveglianza, ma aveva preferito comportarsi normalmente e non dare nell’occhio.
– Dottoressa Akagi, posso parlarle?
Dall’altoparlante scaturì un leggero crepitio, seguito da un rumore sordo. – Dimmi, Homura, – disse la dottoressa Akagi. – Ti ascolto.
– Vorrei sapere se le misure contentive nei miei confronti possono cessare.
– Mi dispiace, è ancora presto.
– Quanto ci vorrà?
– Non molto, ormai. Dobbiamo finire di analizzare i tuoi pattern psicologici, dopodiché potrai andare.
– Capisco, – mormorò Homura. – Immagino che la mia aggressione contro Kyuubey non abbia deposto a mio favore.
– Non posso dire il contrario.
La maga sospirò, sedendosi pesantemente sul letto e passandosi una mano fra i lunghi capelli neri. Non poteva alienarsi la fiducia della Nerv, ma rimanere lì avrebbe voluto dire dare altro tempo a Kyuubey.
E perfino lei non aveva più tempo.
***
Shinji arrivò in silenzio, portandosi dietro la cartella scolastica. Kyuubey zampettava a fianco a lui, la coda che sventolava lentamente.
– Finalmente! – esclamò Misato. – Ti stiamo aspettando da quasi un’ora, cos’hai fatto per tutto questo tempo?
Shinji distolse lo sguardo, passandosi una mano dietro la nuca con aria distratta. – La dottoressa Akagi mi ha chiamato per dirmi che domani avevamo la giornata libera.
– Ma non te l’avevo già detto io? – incalzò la donna.
– Sì… ma lei pensava che io non sapessi nulla, e ha voluto riferirmelo personalmente.
– Quella Ritsuko! – esclamò Misato avvampando di rabbia. – Mi crede sempre irresponsabile! La prossima volta che la vedo…
– No! – esclamò Shinji. Misato gli rivolse uno sguardo perplesso, e lui si corresse subito con un tono più pacato. – Volevo dire… che anche la dottoressa Akagi si è scusata. Non voleva essere sgarbata nei suoi confronti.
– Ah… meglio così, – disse la donna. Sul suo volto comparve un sorriso rassicurante. – E adesso, ti dispiacerebbe salire in macchina?
Queste ultime parole furono pronunciate con un tono particolarmente significativo, che spinse Shinji ad affrettarsi ad aprire la portiera posteriore della macchina. – Prego, Tomoe… – mormorò con un leggero rossore sulle guance.
La ragazza gli sorrise dolcemente ed entrò in macchina, mentre Misato chiudeva la propria portiera e accendeva il motore. – Grazie. Ma prego, chiamami Mami.
– E tu… – rispose Shinji salendo impacciatamente in auto e chiudendo la porta. – Tu puoi chiamarmi Shinji. Voglio dire, se ti fa piacere…
– Sì, Shinji, – disse Mami. – Mi piacerebbe molto.
Ci fu un attimo di silenzio, durante il quale Shinji fissò intensamente il volto di Mami.
– Ehi, piccioncino! – proruppe Kyoko interrompendo l’idillio. – Si può sapere che fine avevi fatto? Guarda qui, – disse porgendogli il pacchetto di biscotti. – Ho finito un’intera scatola di dolci!
– Ma è ancora piena a metà, – obiettò Shinji.
– Questa è la seconda scatola, cosa credi? Mi porto sempre dietro una scorta di emergenza.
Asuka intervenne a sua volta, voltandosi dal posto del passeggero e rivolgendo un’occhiataccia a Shinji. – Potremmo tornare alla domanda principale? Perché ci hai messo tanto?
– Sono stato trattenuto dalla dottoressa Akagi, tutto qui. Scusatemi se vi ho fatto aspettare così tanto.
– E lui? – esclamò Asuka indicando Shinji. – Che ci fa, qui?
Shinji fissò Asuka senza capire a cosa si riferisse, ma poi seguì il suo dito. Kyuubey era entrato di straforo in macchina, accoccolandosi sul grembo di Shinji in attesa che qualcuno si accorgesse di lui. – Salve, Asuka, – disse l’alieno. – Ho pensato di seguirvi, per incontrare Madoka e Sayaka. È dal giorno dell’incidente con Homura che non ho più parlato con loro.
– Oh, ciao, Kyuubey, – lo salutò Misato rivolgendogli uno sguardo di sfuggita e tornando poi a guardare la strada davanti a sé. – Se vuoi venire con noi fai pure, ma non ho mangime per animali a casa mia. Ho del pesce, ma Pen Pen ne è molto geloso.
– Non ti preoccupare, Misato, – disse Kyuubey. – Io non mangio semplice cibo per animali. A tal proposito…
Lo sguardo dell’alieno si posò su Mami. – Hai finito di utilizzarlo?
La maga prese a frugare in una tasca dell’uniforme. – Sì, certo. Scusa se non te l’ho dato già prima, ma la dottoressa Akagi voleva analizzarlo. Me l’ha ridato solo poco prima che uscissimo dal quartier generale.
Mami estrasse dalla tasca un piccolo oggetto, una pietra annerita e opaca incastonata in una cuspide di metallo rugginoso. Asuka e Shinji o guardarono con curiosità. – Cos’è? – chiese la Second.
– È un Grief Seed, – spiegò Mami mostrando la pietra ai Children. Anche Misato rivolse una rapida occhiata a quell’oggetto, catturata dal suo aspetto. – Le Streghe li lasciano cadere quando vengono sconfitte.
Asuka rimase a fissare il Grief Seed per qualche secondo. C’era qualcosa di strano, in quella specie di pendente, qualcosa di corrotto. – Ne so quanto prima. Potresti spiegarlo in maniera meno criptica?
– Detto in parole povere, – intervenne Kyoko, – il Grief Seed è l’essenza della maledizione della Strega. Contiene il suo potere, e noi maghe lo utilizziamo per purificare le nostre Soul Gem. Basta avvicinarlo alla pietra e funziona come una spugna, assorbendo le impurità accumulate con l’utilizzo.
– Sembra la pubblicità di un detersivo per piatti, – la schernì Asuka. – Ad ogni modo, quell’affare mi sembra bello pieno.
– È per questo che ho chiesto a Mami di darmelo, – disse Kyuubey volgendosi verso la maga dai capelli biondi. – Anzi, se permetti…
Mami lanciò l’oggetto a Kyuubey. L’alieno abbassò la testa, protendendo la schiena verso il Grief Seed. L’area ricoperta dalla losanga fucsia si sollevò di scatto, rivelando l’interno cavo del corpo dell’alieno, e il pendente scomparve in quella specie di bocca.
– Che schifo era? – urlò Asuka, ritraendosi verso il cruscotto con aria disgustata e facendo sobbalzare Misato. Shinji, dal canto suo, rimase impietrito da quella scena da film dell’orrore, specie perché si era verificata sulle sue gambe.
– È un po’ complicato da spiegare. Diciamo che è il mio modo di nutrirmi, – disse Kyuubey mentre la tasca si richiudeva sotto gli occhi stravolti di Shinji. – So che non è molto grazioso, ma una volta che il loto potere purificatore si esaurisce, i Grief Seed devono essere smaltiti. Questo è l’unico modo.
– Almeno avverti, la prossima volta! – protestò Asuka. – Mi hai fatto prendere un colpo!
Kyoko puntò uno stecchino contro la Second, sorridendole maliziosamente. – Che c’è, Asuka? Ti spaventi per così poco? Non me l’aspettavo, dal formidabile asso dell’aviazione europea.
– Perché a te sembra normale, quell’affare? Voglio dire, ha una fottuta bocca sulla schiena! È disgustoso!
– Che esagerata…
– In effetti anch’io sono rimasta impressionata, la prima volta che l’ho visto mangiare, – disse Mami. – Col tempo però ci si abitua.
– Intendi dire che lo rifarà? – chiese Shinji senza allontanare lo sguardo da Kyuubey, abbastanza preoccupato da quell’eventualità.
– Okay, – sbottò Misato. – La prossima volta, prendete tutti quanti l’autobus!
***
C’è silenzio.
Lo spazio si è fatto
strano,
vitale eppure spogliato
da ogni forma di vita. Come il cielo,
ma privo dell’angoscia nata dal vuoto,
privo di quella sensazione spiacevole
di essere troppo
troppo
lontana da casa.
È proprio mio, questo spazio,
dove il mio essere si cala nell’essere,
e la mia immagine si fa forma dell’Io.
Quante sono,
Io?
– Rei?
Rei aprì gli occhi, guardando placidamente il corridoio davanti a sé. Un uomo la stava fissando. Indossava una giacca con una mostrina triangolare verde, e un paio di guanti bianchi. I suoi occhiali ambrati riflettevano la luce del corridoio, rendendo impossibile distinguere i suoi occhi. – Forza, Rei, – disse l’uomo. – Dobbiamo andare.
***
– Comandante Ikari?
Gendo sollevò lo sguardo verso l’altro capo del tavolo, cercando di mettere a fuoco l’esile sagoma di Rei. La mensa ufficiali della Nerv era un ambiente raffinato, senza dubbio, ma la luce scarseggiava. – Sì, Rei?
La First Child era seduta di fronte a lui. Indossava un lungo abito bianco, con un fine ricamo di pizzo sull’orlo. Era stato Gendo a dirle di indossare quei vestiti, ovviamente: Rei non avrebbe mai dismesso l’uniforme scolastica.
– Stamattina mi è stato ordinato di trattenermi qui, – mormorò la ragazza. I suoi grandi occhi rossi scrutavano senza sforzo il volto di Gendo, nonostante il buio che avvolgeva l’ampio salone. – Posso saperne il perché?
Il comandante Ikari sfiorò il cibo nel suo piatto con la forchetta, ma depose la posata sul bordo del piatto con i rebbi rivolti verso il basso. – Rei, – disse alzandosi dal tavolo e pulendosi le labbra con un tovagliolo. Sembrava incerto delle sue parole, come se stesse cercando il coraggio di dirle. – Vieni con me.
Camminarono a lungo, fino a raggiungere l’ascensore principale del Geo Front. Qui, Gendo estrasse da un taschino una tessera magnetica rettangolare. Se la rigirò fra le mani per qualche secondo, per poi inserirla in una fessura nella pulsantiera dell’ascensore. L’ascensore partì con un’intensa accelerazione, e una tenue luce verde si accese sul pannello metallico.
Rei non disse niente. Si limitò a fissare il panorama dei livelli più profondi del Geo Front, un bizzarro susseguirsi di strutture che ricordavano un gigantesco organismo sotterraneo. Ad un tratto, però, l’ascensore sprofondò in un pozzo buio. I faretti al led della cabina si accesero dopo pochi istanti, diffondendo una debole luce bianca sulle pareti di vetro antiproiettile. Gendo percorse con lo sguardo i simboli incisi sulla superficie nera del pozzo. – I vecchi della Seele hanno raggiunto un nuovo livello di insensatezza, – commentò Gendo sottovoce. Rei si voltò appena, forse incuriosita dalle sue parole. Ancora una volta, però, la ragazza rimase in silenzio.
L’ascensore si fermò. Le porte scorrevoli di vetro si aprirono su una parete nera. Sembrava una lavagna, nonostante la sua superficie fosse evidentemente quella di una roccia ruvida e irregolare. Grossolani segni impressi da gesso bianco si componevano in disegni di facce devastate dalla paura, con occhi vuoti e stravolti.
“Gli spauracchi della Seele.”
Gendo estrasse la carta magnetica dalla fessura del pannello, e la parete davanti a lui scomparì nel pavimento. L’uomo uscì dall’ascensore, subito seguito da Rei, e insieme si incamminarono nell’ultimo corridoio.
Raggiunsero una stanza completamente buia. Quando vi entrarono la fioca luce del corridoio filtrò attraverso la porta aperta, ma subito dopo tornò a regnare l’oscurità.
– Sono qui, – annunciò Gendo. Un ronzio elettrico permeò l’aria, e un fascio di luce mostrò l’enorme immagine di un monolito nero contrassegnato dal numero uno.
– Ti stavamo aspettando, – sospirò una voce, apparentemente proveniente dall’enorme stele. – Siediti, Ikari.
– Rei è con me, – disse l’uomo, poggiando un braccio sulla spalla sinistra della ragazza. – È il momento di illustrarle i progetti della Seele.
***
La serata stava andando bene. Asuka, Sayaka e Kyoko battibeccavano allegramente dall’inizio della cena, mentre Shinji, Mami e Madoka facevano da silenzioso contorno alla scena. Misato, invece, si era costruita un fortino di lattine di birra vuote, e lo fissava pigramente rigirando gli spaghetti di soba nella sua ciotola.
Shinji guardò la donna per qualche istante, senza però soffermarcisi realmente. La sua mente era impegnata in un altro pensiero, che lo tormentava da diverse ore senza dargli tregua. La coda fioccosa di Kyuubey, acciambellato placidamente sul pavimento, non fece che peggiorare quella sensazione.
– Scusami, Shinji…
La voce di Madoka riportò Shinji alla realtà. – Sì, Madoka?
– Homura… – esitò la ragazza. – Homura è ancora sotto custodia della Nerv, vero?
– Credo di sì, – rispose Shinji rigirandosi le bacchette di legno fra le dita. – Non mi hanno detto gran che, in realtà.
– Ah… capisco.
La ragazza rivolse lo sguardo da un’altra parte. Shinji rimase attonito, fissando mortificato l’espressione di Madoka. – Però, – esclamò alla fine, – la signorina Misato mi ha detto che sta bene. La stanno solo sottoponendo alle stesse analisi di Mami e Kyoko.
– Shinji ha ragione, – intervenne Mami. – Vedrai che tra pochi giorni verrà a cena insieme a noi.
Madoka sorrise, un po’ consolata dalle parole di Shinji e Mami. All’improvviso, un trillo riempì la piccola cucina di casa Katsuragi. Misato afferrò svogliatamente il cellulare, portandoselo all’orecchio e rispondendo mugugnando. – Pronto?
Shinji e le ragazze non riuscirono a sentire il resto della conversazione. Videro solo l’espressione sul volto del maggiore cambiare repentinamente in una smorfia rabbiosa. – Ho capito. Arriviamo subito.
Misato chiuse il telefono con uno scatto, alzandosi in piedi e afferrando la giacca dallo schienale della sedia. – Shinji, Asuka, venite con me. Mami, Kyoko, preparatevi a raggiungerci al Geo Front.
– Ehi, Misato! – protestò Asuka. – Cos’è successo? Sembra che abbia visto un fantasma.
– Signorina Misato… – disse Mami con aria preoccupata. – Va tutto bene?
– No, Mami, – sospirò la donna. – La città è sotto attacco.
   
 
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