Fumetti/Cartoni americani > My Little Pony
Segui la storia  |       
Autore: Alvin Miller    25/11/2014    2 recensioni
Sembrava un compito così facile, vero? In fondo si trattava soltanto di badare alla Carousel Boutique per un pomeriggio e una notte. Fare le pulizie, annaffiare le piante, nutrire quel dispotico esempio felino di Opalescence.
Unica raccomandazione: stare alla larga da quella gemma recapitata stamani a casa Rarity; pena, il disastro!
Tutto sommato un giochetto da puledrini, eh Spike...?
Genere: Azione, Comico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Pinkie Pie, Rarity, Spike, Twilight Sparkle
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

2: A Strange Evening


Le quiete giornata come tante altre si era ormai avviata verso la sera, e Spike, proprio in quel momento, terminava il penultimo punto della “Lista delle cose da fare dopo la lista delle cose da fare”.

Finì di allineare in perfette parallele le tende alle finestre, servendosi di una squadra per avere la certezza che la linea fosse precisa. Questo, insieme ad altre attività stimolanti, quali ad esempio “Ordina i rotoli da cucito in base alla scala cromatica e al volume del filo”, avevano animato la sua giornata lungo tutto il pomeriggio, ed ora, tirata una riga sulla voce, non gli restava che passare all’ultimo punto in programma.

La fame di gioielli non gli dava tregua, e trovarsi letteralmente circondato in una boutique piena di pietre preziose non aiutava certo il suo appetito a quietarsi. Per sua fortuna, in frigo c’era uno squisito parfait di gemme ad attendere le sue fauci, servito in un mare di panna alla polvere di quarzi e con un rubino intagliato a forma di ciliegia sulla cima.

Da leccarsi le squame fino a sbiancarle!

Doveva solo completare l’ultima voce e poi poteva gustarsi la sua ricompensa in compagnia del nuovo numero dei Power Ponies, fresco di stampa.

Il suo sorriso si spense quando lesse l’incarico: “Dai da mangiare a Opal.”

«ANCORA?!?» Ed esternò il suo disappunto ad alta voce. Era infatti la sesta volta che gli cascava lo stesso comando.

Le prime tre volte lo aveva completato senza emettere fiato, la quarta invece aveva cominciato a notarne la ridondanza, e alla quinta sperava solamente di non doverlo rivedere mai più.

Spazientito, si disse solamente che doveva tener duro. Quello era l’ultimo compito prima della cena, e a quel punto sarebbe toccato a lui.

In cucina prese una nuova ciotola da uno dei vani (fosse mai che la gatta si azzardasse a mangiare su un piatto sporco) e ripeté quelle operazioni che oramai erano diventate per lui una routine: prima di tutto, tenere la ciotola in ammollo nell’acqua calda per qualche minuto, dopo di che scaldare metà del cibo a 35° (le abilità sputafuoco draconiche tornavano utili in queste circostanze) e l’altra metà a 30°, mantenendo così l’omogeneità termica delle due porzioni. A quel punto, maledire con colorite espressioni nella lingua natia dei draghi la gatta e servirle il cibo allontanandosi da lei seduta stante (perché osservare una “signora” nell’atto di pasteggiare era una scortese violazione del galateo felino).

Oltretutto, quel gatto mangiava come un bisonte della prateria e aveva la pretesa di mantenere le linee aggraziate di un colibrì. Se mai un giorno Rarity gli avesse chiesto di prendersene cura per un tempo superiore alle 24 ore, sapeva già quale risposta le avrebbe dato.

Quando il suo pasto fu pronto, prese a chiamarla ad alta voce sgolandosi per tutto il pianterreno. «Opal!... Ehi, è pronta la ceena!... Ma dove ti sei nascosta?!» Ma la gatta non si trovava, e per di più, il cibo gli si stava raffreddando tra le mani. Era facile immaginare le conseguenze di un tale misfatto.

La cercò in lungo e in largo, perlustrando le stanze dove sperava di trovarla raggomitolata nelle cuccette (ed erano molte), ma niente da fare: di lei nessuna traccia.

Restava da provare il piano superiore, che lui raggiunse con cautela, nel timore di rovesciare  parte del cibo sui gradini.

Vi era una sola stanza in cui, per logica, poteva augurarsi di trovarla, ed era la camera da letto della padrona di casa.

Spike vi entrò con un misto d’inquietudine reverenziale e senso di vergogna, nel violare senza i dovuti permessi quel sacro angolo della vita privata dell’amica.

Nella camera c’erano il letto a baldacchino e vari ripiani pieni di stoffe e utensili da sarta, non mancavano neppure i numerosi manichini per l’esposizione dei completi, che lei era solita utilizzare per il suo caos organizzato, ma niente gatta.

Non aveva altra opzione se non di provare nelle altre stanze, nell’augurio di ritrovarla dovunque essa si fosse cacciata, anche se una nuova paura stava cominciando a prendere zoccolo al posto della vergogna nel ritrovarsi lì: quella scomparsa, così improvvisa e inattesa, non era normale per lei. Non per una gatta con una tale, malcelata voracità.

Fece per voltarsi, quando un’ombra si dilungò dalle sue spalle, estendendosi sul pavimento. Seguì un ringhio infernale, che gli fece paralizzare i muscoli.

Allora Spike girò la testa, con cautela, trovandosi a confronto proprio con Opal; aveva ben poco da gioirne tuttavia, perché quella felina non era la gatta che era abituato a conoscere.

I suoi occhi erano di un rosso carnoso e oscuro, con una macchia nera circolare nel centro a formarne la pupilla.

Gli artigli erano esageratamente lunghi e si estendevano dalle zampe con brama insaziabile di affondare nelle carni del prossimo.

Lo stava fissando intensamente, con quell’atteggiamento tipico dell’animale da preda, alternando soffi di sfida ad altri versi intimidatori, non facendo sconto a esibire l’acuminata dentatura delle zanne.

«Opal… v-va tutto bene… ?» Tartagliò Spike incerto sul come prenderla. Ma sapete, al mondo sono poche le domande sensate che un drago potrebbe rivolgere a un gatto durante una conversazione, tipo “dove hai nascosto il mio tesoro?”, o “sei sicuro che i cani Stana-Diamanti non ti abbiano seguito?” e quella che Spike chiese in quel momento alla gatta di Rarity, non rientrava di certo tra queste.

Di risposta, la felina gli balzò addosso sguainando gli artigli.

Spike riuscì a schivarla all’ultimo momento, dopo aver lasciato cadere per terra la ciotola col cibo (che diavolo, adesso era lui la cena!) e si lanciò fuori dalla stanza con le ali ai piedi.

«Ma che ti prende?! Opal… sono io, Spike… SPIKE!!» Ma era inutile tentare di ragionarci, la gatta non lo riconosceva (o forse lo riconosceva fin troppo bene) e continuò a inseguirlo con l’ovvio obbiettivo di avventarsi su di lui.

Per sua fortuna, era una cacciatrice grassa e impacciata, cosa che gli diede il tempo necessario per raggiungere la rampa delle scale e montare sul corrimano con un agile balzo. Coprì così in breve tempo lo spazio che divideva i due piani scivolandovi sopra sulle natiche, quindi si guardò ansiosamente intorno, in cerca di un modo per difendersi dal predatore. La gatta, infatti, era ancora convinta di fare di lui il suo banchetto.

Spike corse verso un’altra stanza, mentre Opal inciampava su alcuni gradini e completava la discesa rotolando su se stessa.

Mentre fuggiva, il drago notò che sopra di lui qualcosa si stava muovendo: un soprabito maschile – probabilmente qualche progetto rimasto invenduto di Rarity, dal momento che non lo si poteva certo corroborare tra i suoi lavori più riusciti – ma perché stava… volando? Era un’allucinazione? Il frutto della stanchezza e della paura che gli stavano tirando un brutto scherzo suggerendogli cose che in realtà non esistevano?

Di qualunque cosa si trattasse, Opal era reale, e quella distrazione aveva dimezzato le distanze che separavano la preda dal cacciatore.

Il gioco del gatto col drago continuò fino a che Spike non si trovò con la schiena rivolta alla porta dello sgabuzzino. Opal era di fronte a lui, affamata e posseduta da chissà quale forza maligna.

La vide piegare le zampe anteriori e sollevare il bacino, preparandosi all’assalto. Spike aveva davvero pochi istanti per escogitare qualcosa prima che l’animale si gettasse su di lui.

La gatta soffiò un’altra volta, esponendo i denti affilati, e a quel punto…

«Aspetta!» Spike si portò in avanti le braccia.

Opal si arrestò di colpo e lo osservò con aria interrogativa.

Per il drago era la miglior occasione per mettere in moto il cervello.

«Ehm… sì… » iniziò a farfugliare in modo sconnesso «quindi tu… ahm… »

“Forza, Spike! Pensa a qualcosa…”

«È nuovo quel fiocco?»

Pessima giocata.

Opal ringhiò e si fece più che mai decisa a sbranarlo. Gli piombò addosso con un balzo impreciso.

Per fortuna Spike si rivelò molto più bravo a improvvisare che non a pensare: in meno di un istante riuscì ad afferrare il pomello della porta e a imprimere il movimento che la fece spalancare, abbastanza in fretta da consentirgli di evitare l’aggressione e chiudere la gatta all’interno.

Opal cominciò a strillare e ribellarsi.

Spike si oppose spingendo dalla parte opposta.

Udì lo scatto della chiusura e finalmente poté tirare un sospiro di sollievo.

Si accasciò contro di essa, ansimando esausto. La corsa lo aveva sfibrato, e oltretutto stava ancora morendo di fame.

“Per fortuna i gatti non possono aprire i pomelli…” si disse per consolarsi, ma come il pensiero abbandonò l’anticamera della sua testa, quattro artigli affilati perforarono il legno della porta, molto vicini a dove la sua guancia destra si adagiava.

Il messaggio fu forte e chiaro: si alzò in piedi e subito prese le distanze dallo sgabuzzino.


Ora che Opal non era più un suo problema, ma delle scope nello stanzino, Spike aveva finalmente del tempo per riordinare le idee e fare i punti della situazione.

Punto 1: la gatta indemoniata era… indemoniata. Ma perché? Era stato qualcosa che le aveva dato da mangiare? Oppure, al contrario, qualcosa che NON le aveva dato? Per quanto il dubbio esitasse ad abbandonarlo, era abbastanza sicuro di aver rispettato gli ordini delle liste con minuziosa attenzione.

Punto 2: era davvero un soprabito quello che aveva visto volteggiare sopra la sua testa mentre scappava? E se così fosse, che senso aveva la cosa?! Perché di colpo stava cominciando a diventando tutto così strano?!?

Punto 3: lo stomaco brontolava, e la fame malgrado tutto restava ancora la più impellente delle priorità. Quindi per prima cosa avrebbe mangiato, e poi, mentre digeriva, avrebbe aspettato l’arrivo di Twilight con la quale avrebbe cercato di venire a monte del problema.

Il suo pellegrinaggio lo riportò nell’atrio, dove una notte priva di sicurezze, con solo un tenue bagliore lunare filtrato dalle finestre che ne sfidava l’autorità opprimente, aveva preso dominio del negozio e di tutte le sue merci.

Strani rumori, simili a scricchiolii, si elevavano dall’arredamento. Cose che strisciavano e oscure presenze che battevano sulle pareti aggredivano le orecchie del drago gelandogli il sangue nelle vene.

Anche queste erano solo allucinazioni? Burle della fantasia che si stava divertendo alle sue spalle?

Di colpo la fame smise di essere un problema. C’era qualcosa che si muoveva lì intorno, e lui lo poteva ascoltare con estrema chiarezza. Strisciava al liminare tra l’immaginazione e il vero, celandosi negli anfratti della stanza, mentre sibilava tetre minacce a danno dei suoi sensi.

Muovendosi contro la parete, Spike tastò il buio alla ricerca dell’interruttore che lo restituisse alla confortevole certezza della luce.

Era quasi sicuro che la “cosa”, qualunque essa fosse, lo stava attendendo da qualche parte, pronta ad afferrarlo non appena si fosse distratto.

Premuto l’interruttore, scoprì con orrore che la luce mancava, che qualcuno aveva troncato la corrente.

Provare a insistere fu inutile, era condannato a restare nel buio.

Man mano che la sua vista si abituava all’oscurità, qualcosa d’impreciso iniziò a delimitarsi al centro della stanza.

Si trattava di un malconcio foulard marroncino maculato di nero (così gli sembrava), che insieme a un berretto di lana bianca, chissà come, erano finito nel bel mezzo del pavimento.

Spike non ricordò se i due capi si trovassero lì anche prima, ma era certo che Rarity non fosse la pony da lasciare nello sporco qualcuno dei suoi preziosi indumenti.

Tra mille domande, la fantasia lasciò il porto.

“E se quella fosse stata davvero opera di qualcun altro?” Pensò. Significava che un intruso si era davvero intrufolato all’interno della boutique approfittando della porta aperta e dell’assenza della padrona!

Questo fantomatico “qualcuno” potrebbe aver drogato la gatta per tenerla a bada mentre operava.

In seguito lei sarebbe impazzita – colpa dell’intruglio – sino a spingersi ad attaccare Spike senza un apparente motivo.

E per quanto riguardava il soprabito svolazzante di poco prima? Chissà, magari alla fin fine si era davvero trattato di un miraggio prodotto dal panico.

Posto così, il ragionamento filava senza una grinza, considerato anche il gran numero di gemme conservate nella boutique.

Il che significava che quel qualcuno poteva essere ancora lì! Magari adesso si nascondeva, in attesa del momento propizio per sgusciare fuori! O forse non si era ancora accorto di niente, impegnato com’era a svaligiare i portagioie della stilista!

Spike spalancò gli occhi, colto dal panico. “Lo scrigno!”

Sia Rarity che Twilight avevano palesemente fatto intendere che la gemma al suo interno era molto più importante di quanto non apparisse; forse conscio di questo, il ladro era entrato per prenderla!

La situazione era più grave del previsto!

Nuovi rumori riempirono la stanza, in aggiunta agli altri.

L’impressione di non essere solo, ora si fece più forte.

Spike si guardò intorno, cercando di capirne la provenienza prima di essere localizzato a sua volta. Ma un dubbio lo prese in contropiede: erano davvero fruscii quelli che sentiva vicino a sé?!  Che genere di ladro si mette a strisciare in quel modo mentre si sposta?

Si sarebbe aspettato di udire dei deboli clopettii di zoccoli, quando invece era più come se che degli stracci stessero scorrendo sul pavimento.

Spike sollevò la testa e non seppe a cosa pensare quando vide il foulard di poco prima inarcarsi verso di lui come vitalizzato da un burattinaio invisibile.

Le sue movenze erano quelle di uno strano serpente, che aveva nell’estremità corrispondente alla testa il berretto di lana con un batuffolo rosso sulla punta, il quale shakerava in tutte le direzione come una lingua biforcuta.

L’essere si mostrò fin da subito ostile a Spike, che senza avere il tempo di collegare i neuroni, si vide di nuovo costretto a scappare  verso la prima direzione che riuscì a prendere.

Dietro di lui, il serpente di foulard lo inseguì con la stessa – e forse superiore – aggressività di Opal.

La sua reazione era forse stata estrema, in fondo che pericolo poteva mai sussistere da un ofide fatto di sciarpe e cappellini invernali? Ma era un esperimento al quale non intendeva prendere parte.

Si rifugiò nella cucina, pensando in principio di nascondersi sotto la tovaglia del tavolino sulla destra, ma non lo reputò un rifugio sicuro. Invece, quel vano sotto il lavello, le cui fessure sulle ante tracciavano i contorni di un cuore nel legno, gli sembrò già una proposta più saggia; certo avrebbe anche potuto salire le scale che davano al piano di sopra, non fosse che il serpentone lo avrebbe certamente inseguito fin lassù.

Vi s’insinuò dentro spingendosi tra i numerosi prodotti per l’igiene della cucina che Rarity era solita stiparvi, acquattandosi tra uno sgrassatore per i fornelli e un detergente per le stoviglie.

All’esterno, il serpente di foulard fece capolino perlustrando con attenzione la cucina.

Spike cercò di trattenersi dal fare qualunque rumore, ma il buio in cui si era immerso accentuava ancora di più il senso di claustrofobia che avvertiva da ogni sua squama.

Cercò di allontanarsi più che poteva dalla fessura sulle ante, e questo lo portò a commettere un errore madornale, quando con un piede urtò contro qualcosa che si rovesciò per terra, provocando un forte baccano.

La creatura guizzò subito verso la fonte del suono.

Spike si schiacciò in un angolo, trattenendo il fiato e tappandosi la bocca con entrambe le mani.

La fessura gli forniva una discreta visuale dell’esterno, e poteva vedere chiaramente il suo assalitore mentre “annusava” con il batuffolo di lana l’aria a pochi centimetri dal nascondiglio.

Il drago calò la testa tra le gambe e pregò Celestia che la creatura non si facesse venire l’idea di esplorare più attentamente l’interno.

Si dimenticò perfino di respirare, mentre il serpente voltava il “collo” dirigendolo da un’altra parte.

Dopo qualche secondo decise di rinunciare, pensando che forse il drago si era infilato in un’altra stanza, e imboccò l’uscita per proseguire la ricerca.

Prima di svanire, Spike ebbe tempo di vederlo infilare la “testa” sotto la tovaglia per verificare se si fosse nascosto lì.

Avrebbe voluto sospirare per l’intuizione che lo aveva salvato, non fosse che questo lo avrebbe sicuramente tradito.

Rimase nascosto ancora per un po’ mentre fuori tutto taceva. Nel frattempo aveva ripreso a respirare, ma con lentezza, cercando di limitare al minimo l’afflusso dei suoni.

Decise di uscire solo quando ebbe la certezza assodata che l’ofide non era più nei paraggi.

Qualcosa in lui lo spingeva a rientrare nel nascondiglio, dove avrebbe potuto aspettare il ritorno di Twilight in completa sicurezza, ma chi gli dava la garanzia che l’amica avrebbe risolto la situazione una volta rientrata?

Un serpente fatto di vestiti era cosa da poco per un alicorno esperto di magia come la Principessa dell’Amicizia, ma che ne sapevano se in quella casa non si nascondesse qualcosa di ancora più pericoloso? Qualcosa che nemmeno lei avrebbe saputo affrontare?

Forse Spike si preoccupava troppo, restava il fatto che stavano succedendo delle cose troppo inspiegabili quella sera, e lui doveva assolutamente avvisarla prima che il tempo scadesse.

Quindi doveva uscire da lì, avviarsi per la porta e correre con quanta più velocità poteva verso il Castello dell’Amicizia!

“Ma prima ho bisogno di un’arma…”

Aprì il primo cassetto scelto a caso dalla cucina e vi frugò all’interno cercando di fare meno fracasso possibile (come se fosse stato facile).

Non aveva idea di cosa potesse reperire in quegli scomparti. Il massimo sarebbe stato un coltello per la verdura, o qualcosa di abbastanza affilato da usare come oggetto contundente.

Vi trovò invece mestoli e vari utensili di legno ma nulla che potesse considerarsi offensivo.

Un’altra disattenzione, dettata dalla sua sbadataggine, e uno dei mestoli si schiantò sul pavimento, echeggiando un’impressionante cacofonia di suoni metallici per tutta la casa.

A quel punto si affrettò, decidendo che si sarebbe fatto bastare la prima cosa che avesse trovato.

Tirò quindi fuori un lungo forchettone a due punte, che si sarebbe distorto non appena lo avesse puntato contro qualcosa di più solido di un budino alla frutta, ma che forse poteva bastare contro una creatura fatta di lana e cotone.

Presto avrebbe avuto occasione di scoprirlo, perché il serpente di foulard fece subito il suo rientro in scena per chiudere i conti con lui.

Tentò più volte di “morderlo” proiettandosi con foga crescente.

Spike provò a ferirlo con le punte del forchettone, ma come da previsto l’attrezzo non sortì alcuna efficacia.

Il serpente usò la sua testa-di-berretto come martello per cercare di disarmare il draghetto.

Spike per poco non si vide privato del suo unico strumento di difesa.

Ulteriori tentativi di bucherellare la creatura ebbero risultati ancora più deludenti.

“Se soltanto avessi un’arma più potente…” pensò Spike, mentre si stava convincendo di avere bisogno di un piano di riserva.

Improvvisamente successe qualcosa, e dalla punta biforcuta dell’utensile partì una saetta di elettricità ad alta tensione che prima fulminò l’ofide e poi tramutò il tessuto in una pila di stracci carbonizzati, che fumavano emanando un acre odore di bruciato.

Spike gettò a terra il forchettone, confuso ed esasperato dopo aver realizzato cosa fosse successo; non voleva nemmeno provare a fare supposizioni su quest’ennesimo fatto.

Si lanciò verso l’uscita, incurante di quali orrori si celassero ancora in quel luogo.

Evadere divenne la sua priorità, e non aveva importanza se per riuscirci avrebbe dovuto sgattaiolare tra legioni di strane creature possedute da chissà quale entità. Nessuno lo avrebbe trattenuto un secondo di più!

Per sua fortuna, l’atrio era rimasto vuoto, nessun mostro all’orizzonte, benché sentisse ancora lucidamente i tonfi di passi attraverso le pareti e la presenza di ogni genere di spauracchio scaturiti dall’immaginazione.

Si tuffò verso la porta, non curante del rumore che produceva o del rischio che qualcosa potesse sbucare da dietro i tendaggi, ma apprese con terrore che il suo incubo era destinato soltanto a dilungarsi. La porta d’entrata aveva due accessi, quello inferiore era abitualmente usato dalla gatta oppure dalla sorellina di Rarity, mentre lei si serviva di quella più grande. Spike provò con la più piccola, ma questa non aveva alcuna intenzione di aprirsi.

Non c’era la chiave nella toppa, e inoltre sembrava che la mandata non fosse neppure scattata, eppure per qualche ragione non c’era modo di aprirla.

Allora Spike provò con l’altra.

Riuscì ad afferrarne la maniglia aggrappandosi con un balzo, ma anch’essa, con panico incalzante, rimase testardamente saldata nella sua posizione.

Capì di essere in trappola, come un topo chiuso in gabbia, e un abissale senso di sconforto prese ad assediarlo permeandogli i pensieri delle immagini più tetre.

“Non sarebbe mai più uscito da lì”, e “Twilight lo avrebbe abbandonato a sé dimenticandosi di lui”. “Sarebbe scomparso, e nessuno avrebbe più avuto sue notizie, né interesse a cercarlo”.

“No, Spike! Niente panico! Concentrati!”

Si scagliò un potente schiaffo sulla guancia.

«Ahi!» Con troppa foga, forse.

La sua sola possibilità per uscire dal negozio era di sgusciare attraverso una delle finestre poste ad un metro e mezzo dal suolo, ma per farlo doveva trovare qualcosa di abbastanza solido da poter utilizzare come una palla da cannone.

Probabilmente Rarity non lo avrebbe mai perdonato per quanto si apprestava a compiere, ma rispetto alla prospettiva di rimanere intrappolato chissà per quanto lì dentro, era un rischio che era disposto a correre.

Si mise in moto alla ricerca di un oggetto da lanciare; un pettine, per esempio, se scagliato con forza, sarebbe bastato per rompere il vetro, ma lì intorno incredibilmente, a parte camerini, specchi e palchetti per la prova degli abiti, non c’era niente di simile a quello che gli serviva.

Maledisse la stilista per la sua ineguagliabile mania per l’ordine.

Poi si girò, e nel momento in cui lo fece, il suo muso sbatté violentemente contro una superficie solida e curvilinea… qualcosa che prima non c’era.

Mentre si rimetteva in sesto, stringendosi forte il naso e cercando di trattenere il formicolio di uno starnuto che alla fine ebbe la meglio detonandogli tra le mani, i suoi occhi esaminarono con inquieta lentezza le forme dell’ostacolo che aveva di fronte.

In esso vi assemblò le linee sinuose e familiari di un equino, cui manto era incredibilmente liscio e dalle uniformi livree bianco latte.

Quando però il suo sguardo si fermò sul volto inespressivo e statico della figura, si ritrovò a contemplare la sagoma plastica di un manichino per esposizioni, cui collo era minacciosamente chinato verso di lui.

La figura era stata rimossa dalla sua piantana (o forse lo aveva fatto da sé), al cui posto ora vi era un profondo foro nel ventre. Ma la cosa più inquietante fu si muoveva sulle sue zampe, come un lento e agiato stallone che sembrava godere di tutto il tempo del mondo per completare il suo cammino.

Spike aveva assistito a molte bizzarrie quella sera, ma anche così, accettare di buon grado di trovarsi dinanzi a un manichino per esposizioni che si animava di vita propria, era un’esperienza alla quale avrebbe annuito solo se qualcuno gli avesse detto che era colpa di un sogno che stava facendo.

Già se la vedeva una Rarity in forma angelica che scendeva dal cielo (in questo caso dal soffitto) per ammonirlo che era giunto il momento di svegliarsi.

Probabilmente avrebbe riaperto gli occhi sul faccione contrariato di Twilight, la quale lo avrebbe strigliato per benino per essersi addormentato durante le pulizie, per poi tornare ad occuparsi della faccenda della gemma.

Ma allora perché non riusciva svegliarsi? E perché più le stranezze s’accrescevano e più s’innalzava l’impressione che in verità quanto stava vivendo era reale almeno quanto la fame che stava sentendo?

A complicare le cose ci pensò la presenza del secondo manichino, che Spike notò solo in un secondo momento, tanto era impegnato a farsi fuoriuscire gli occhi dalle orbite nell’atto di fissarsi sul primo.

I due figuri di plastica si mossero con adagio quando il drago indietreggiò contro la porta.

I loro visi privi di viso, terrorizzavano ancora di più per l’incapacità di determinare quali fossero le loro intenzioni.

«V-voi… non siete qui per conservare la mia fiamma vitale(*), vero?»

I due sintetici non reagirono in alcun modo alla sua domanda, ma continuarono a incedere con quiete oppressiva.

«Immagino di no…»

Sapendo di non poter istaurare alcun dialogo con loro, si lanciò verso la sua destra, in fuga dal pericolo e dalle domande senza risposta.


Fuori era buio pesto.

Gli impegni al castello avevano trattenuto Twilight Sparkle più di quanto temesse.

Quando finalmente aveva terminato di riordinare gli scaffali e quindi di ritrovare la formula che Rarity le aveva richiesto, le prese un colpo nello scoprire che ora si era fatta.

Era uscita di corsa per raggiungere il prima possibile la Carousel Boutique e aveva incontrato per strada l’amica Pinkie Pie, la quale aveva deciso di unirsi a lei senza spiegare le ragioni del perché si trovasse all’aperto a quell’ora di sera.

Semplicemente, c’era.

«Grazie per la compagnia, Pinkie. Ma non credi sia il caso di tornare a casa adesso?  Che diranno i Signori Cake della tua assenza?»

«Ma che vai dicendo sciocchina?! Loro lo sanno che io ADORO accompagnare le amiche la sera al negozio di Rarity, è il mio duecento-ventiquattresimo passatempo preferito!»

La pony dal manto rosa continuava a ballonzolare come una molla indemoniata, costringendo la Principessa a continui capogiri per costringersi a guardarla.

«Se lo dici te… » si arrese semplicemente l’alicorno.

Raggiunte le vicinanze della Boutique, Twilight da principio fu lieta di scoprire che in apparenza il negozio sembrava integro e al suo posto… ma un'altra sensazione prese subito zoccolo nei suoi pensieri: “Perché le luci sono spente?”

Spike sapeva che sarebbe arrivata, e a prescindere dal suo ritorno, non era il tipo di drago che si coricava a letto così presto.

Si sentì in forte disagio.

“E se qualcosa fosse andato storto con la gemma?”

Supplicò Pinkie di smettere di saltare e di fare silenzio, e con cautela si avvicinarono all’entrata.

Allungò la sua zampa per afferrare la maniglia, ma fu come se qualcuno avesse voluto precederla, e la porta si spalancò verso l’interno con un cigolio spettrale.

«Ahh i fantasmi!!!» Strillò la pony di terra saltandole tra le braccia.

«Dannazione Pinkie, ti avevo detto di fare silenzio!!» La sgridò a bassa voce allontanandola con la magia.

Dentro era il buio più pesto che mai, tanto che lo si poteva quasi cogliere tra gli zoccoli e spalarlo via, e il silenzio che aleggiava era assolutamente incompatibile con una casa in cui – in teoria – avrebbe dovuto trovarsi anche Spike.

Se pure stava dormendo, l’eco del suo russare avrebbe prodotto un rimbombo tale da spaventare un intero branco di lupi del legno, e invece nulla, come se la stessa casa avesse il controllo della rifrazione sonora assorbendo ogni più piccolo rumore.

A quel punto i dubbi erano pochi. Qualcosa era successo in sua assenza, e se davvero la forza che lei sperava di contenere si era scatenata nella Boutique, Spike in quel momento poteva trovarsi in grave pericolo.

«Pinkie, sentimi bene: qualunque cosa succeda, stammi sempre vicino! Non dobbiamo separarci per niente al mondo!» Sussurrò, e poi rimase in silenzio in attesa di una risposta. Che non ci fu.

«Pinkie Pie, mi hai sentito?» Si girò rapidamente, realizzando con orrore che la pony dal manto rosa era svanita.

Solo allora una caotica baraonda di suoni che sembravano provenire da una folla tutt’intorno esplose annegandole l’udito.

Con un semplice incantesimo di luce sul corno, Twilight illuminò la stanza, portando così allo scoperto le presenze che l’avevano attorniata.

Le sue pupille si restrinsero quando capì di essere caduta in un’imboscata bella e buona.


Mentre scappava disorientato dal buio, non sapendo se i manichini erano ancora sulle sue tracce, un urlo di terrore squarciò l’irregolare ritmo del suo fiato costringendo a fermarsi.

Ne riconobbe nella tonalità la voce dell’amica Twilight.

Significava che era arrivata, ma anche che le presenze l’avevano colta di sorpresa. Forse era stato un ingenuo a pensare che il suo intervento potesse magicamente risolvere la questione.

Era ovvio che si erano messe in gioco forze che nemmeno lei comprendeva.

Forze che adesso probabilmente erano libere di riversarsi su tutta Ponyville.

Fece per tornare da lei, ma qualcosa lo afferrò.

Non capì cosa fosse, tanto fu immediato l’assalto. Vide soltanto un’intensa luce accecante abbagliargli gli occhi impedendogli di difendersi, e avvertì una forte stretta di costrizione avvolgersi su tutto il corpo gettandolo a terra, ricoprendolo fino alla bocca.

La cosa lo trascinò poi con sé, verso recessi segreti, dai quali non sapeva dirsi se ne sarebbe mai più uscito…


(*)Citazione da “Inanimus”, di Lantheros.
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni americani > My Little Pony / Vai alla pagina dell'autore: Alvin Miller