Film > Frozen - Il Regno di Ghiaccio
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Autore: Alexiel Mihawk    27/11/2014    6 recensioni
Hans ha imparato che le due grandi certezze della sua vita sono la morte e l’amore (e a volte anche la morte dell’amore, ma a questo preferisce non pensare). Ha imparato anche che Anna prima o poi ricorda sempre ogni cosa, e che, forse, questa volta sarà quella giusta, questa volta forse lo perdonerà.
[...]
«Ti amo, Anna. Ogni vita precedente l’ho vissuta con la consapevolezza che prima o poi ti avrei trovata, ti ho cercata sempre e a volte non ti ho trovata mai. Ma non era importante, perché sapevo che per quanto lontana tu fossi, per quanto distante, magari legata ad un altro, sapevo che ti avrei trovata e sapevo che avresti scelto me. Ma ora, ora non sono sicuro di volerti imporre questa scelta, perché è sinonimo di morte».

[Hans/Anna, Reincarnation!ModernAU, in cui Hans ha finalmente una seconda possibilità, ma più Anna si innamora di lui, più si ricorda del ciclo di reincarnazione e morte che li ha condotti a quel punto]
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anna, Hans
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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ATTENZIONE:
le note sono tutte a fando pagina, vi rimando già da subito al link su Livejournal con le note complete, è un post molto lungo e quindi ho preferito evitare di postarlo assieme al capitolo.
Come preannunciato questo è un capitolo tutto incentrato sulle vite passate di Anna e Hans. Avete i fazzoletti? Bene, allora si comincia.
Edit: Mi hanno fatto notare che potrebbe esserci un po' di confusione coi nomi usati, se avete problemi nelle note di fondo c'è un elenco con tutti i nomi usati per i vari personaggi in ordine di apparizione


4. Death is only a door
 


I believe death is only a door, when it closes, another opens. If I care to imagine heaven. I would imagine a door opening. And behind it, I would find him there, waiting for me.

Sonmi 451 – Cloud Atlas
 


11 a.C. – Roma Augustea, corte di Livia

Lucilla le sistema i capelli mentre Germana le aggiusta la veste; Liviana chiude gli occhi, pregando silenziosamente che il suo futuro marito sia gentile. È sicura che la sua protettrice, la divina Augusta, in onore della quale è stato scelto il suo nome, abbia compiuto una scelta saggia e ben ponderata, riflettendo a lungo su cosa fosse meglio per lei, tuttavia non riesce a fare a meno di essere nervosa.
«Non preoccuparti, ’Ana, andrà tutto bene» la rassicura Germana con voce ferma, accarezzandole il volto.
«Ci siamo noi con te» aggiunge Lucilla «Saremo sempre con te».
Liviana ha visto Nero solo tre volte prima di quel momento e, per quanto sia rimasta affascinata dal suo bell’aspetto e per nulla intimorita dalla differenza d’età (e non è raro a Roma vedere uomini di trent’anni sposare fanciulle di quindici), non sa niente di lui, se non che il suo cursus honorum farebbe invidia a chiunque. Si sistema la collana di spesso metallo al collo, mentre le ancelle controllano che il mantello color zafferano sia ordinatamente fissato sopra la tunica recta; i suoi capelli, raccolti da sei cercini posticci, riprendono il colore del velo arancione fiammeggiante che le copre la parte superiore del viso e la corona intrecciata di maggiorana e verbena rilascia al suo passaggio un profumo lieve.
Quando il suo promesso sposo arriva, assieme a tutta la sua famiglia e ai suoi amici, la giovane sente i suoi muscoli irrigidirsi, mentre suo padre la invita gentilmente a farsi avanti e a iniziare con la cerimonia.
Per tutta la durata dei sacrifici non si parlano mai, se non per un breve istante, quando, dopo che l’aspex ha annunciato con somma gioia che questo matrimonio, secondo i presagi, è gradito agli dei come nessun altro dai tempi di Ottaviano e Livia, Nero si china lentamente al suo orecchio e le sussurra: «Il mio nome è Iannus».
Lei annuisce compita e quando procedono con la formula di rito evita così di fare l’ennesima figura imbarazzante della sua esistenza dicendo il cognomen invece del nomen.
«Ubi tu Iannus, ego Ianna».
Tra le urla di Feliciter e Talasius inizia così il banchetto e finalmente suo marito le rivolge la parola.
«Sono contento di rivederti Hagn– Liviana».
Lei dovrebbe offendersi perché l’ha già chiamata col nome sbagliato e non è esattamente il miglior modo per iniziare un matrimonio, ma qualcosa le dice che non si è sbagliato, che quello è davvero il suo nome o, almeno, lo è stato.
«Lo sono anch’io» risponde e si accorge, mentre lo dice, che è vero.
Quando Nero la bacia, davanti a tutti gli invitati al banchetto, Liviana capisce che non avrebbe potuto sposare nessun altro.
 
60/61 d.C – Isola di Môn, Gallia settentrionale
Sono riuscite a scappare dall’isola per miracolo, mentre i soldati del proconsole Svetonio si davano allo sterminio dei druidi; Cadeyrn si è armato di scudo e spada e ha guidato l’esercito, dietro le fila di soldati armati i sacerdoti della dea si sono sistemati in una lunga fila di tuniche scure e braccia rivolte al cielo, invocando, in un lamento ritmico, giustizia divina.
Sono morti tutti.
Eirwen e Gráinne la stringono tra le braccia mentre le lacrime scendono copiose lungo i visi di tutte e tre: la loro casa è stata distrutta. Ma qualcuno pagherà per questo, andranno da Budicca, la avviseranno di ciò che i la Legione sta facendo e sangue sarà versato.
«Ynys Dywyll divorerà le vostre anime. Non resterà nulla di voi invasori» mormora Elian con rabbia mentre i suoi occhi si perdono a fissare i bagliori del fuoco che sta distruggendo l’isola.
«Venite, Sorelle» le invita Eirwen, che dopo tutto è pur sempre una Sacerdotessa, con voce materna «Un lungo cammino ci aspetta».
Ma il loro tragitto è presto interrotto da un legionario che spunta dalla foresta con un gladius in una mano e il pilum nell’altra, intimando loro di fermarsi.
Gráinne si frappone tra l’uomo e le amiche, invitandole a fuggire, ma non possono abbandonarla ed Elain le si attacca ad un braccio urlandole di non fare follie. Nell’udire la sua voce il soldato si blocca e lascia cadere le armi, sfilatosi l’elmo le si avvicina e la prende tra le braccia strappandole un grido di sdegno.
«’Ana!» esclama stringendola «Ti ho cercata così a lungo».
La giovane adepta al culto della dea barcolla e sente il capo girare, mentre un flusso di ricordi le invade la testa, con un gesto tremante ferma la mano di Eirwen, che lesta ha raccolto da terra il gladius e sembra intenzionata ad usarlo.
«Nero?» domanda incerta.
«Sono Iohannes adesso, e tu sei bellissima».
 
Novembre 866 – York, Northumbria
I vichinghi hanno attaccato la città.
Eadwig sprona il cavallo ammirando la distruzione, il sangue ribolle nelle sue vene e la furia della battaglia lo pervade; erano secoli che non si sentiva così vivo, e non sa bene come possa parlare di secoli visto che ha a malapena ventitré estati.
Säde e Hjördís lo seguono in silenzio, entrando in ogni casa e controllando ogni anfratto. Tutti e tre cercano qualcuno, sono dieci anni che la cercano, ma non sono ancora riusciti a trovarla e lei potrebbe anche essere già morta.
Quando raggiungono il centro della città Ívarr, Hálfdan e Ubbe sono già lì a spartirsi il bottino: ori, schiave, terreni. Ignorano le urla delle donne che vengono assalite dai loro uomini, ignorano le fiamme che si levano da alcuni edifici ed ignorano anche il guerriero con il ventre squarciato che cerca malamente di raccogliere le sue budella.
«Hai trovato quello che cercavi Eadwig?» domanda il Disossato avvicinandosi zoppicando.
Chiunque dica che i Vichinghi non sanno cosa sia il rispetto, la civiltà o l’onore semplicemente non ne ha mai incontrato uno: il sangue che scorre nelle loro vene è ustionante come un fiume di lava e la loro furia è cieca e travolge ogni cosa. Ma sono cresciuti in una terra di povertà e gelo e il loro spirito e i loro legami sono stati rinsaldati dal tempo; quelli che ancora seguono il figlio di Ragnarr Loðbrók nelle sue invasioni in Anglia, sono disposti a dare la vita per lui e si sono guadagnati il suo rispetto e la sua stima. Eadwig è uno di questi e lo sono anche Säde e Hjördís, le due guerriere che lo seguono fedelmente.
«Non ancora».
«Puoi consolarti con la figlia di Ælle e il suo seguito se la cosa ti fa piacere, nessuno le ha ancora toccate per ora. Io ho una vendetta di cui occuparmi».
Il giovane si volta appena nell’udire Säde sussultare, tra tutti è quella meno abituata a quello spettacolo di morte ed è, forse, quella che avrebbe preferito aspettare a casa; quando lo chiama col suo nome, cosa che non fa mai, perché di solito sbaglia sempre, Eadwig si gira e si accorge che sta esaminando il corteo della principessa di York.
«Che c’è?» domanda avvicinandosi seccato.
Senza farci caso va a sbattere contro una delle ragazze, quando la sposta, con un gesto brusco, un brivido gli passa lungo la schiena.
«Toglimi le mani di dosso, schifoso vichingo. Io sono Jannah, figlia di Ælle e –»
Senza esitare il ragazzo le tappa la bocca con una mano e fa un cenno veloce a Hjördís; la donna estrae la spada e, senza alcun rimorso, infilza una delle damigelle della principessa, una ragazza di altezza e aspetto simili. Mentre si allontana trascinandola con sé, urla che la principessa è morta e che la progenie del tiranno si è estinta; Eadwig passa un braccio sporco di sangue sul viso della ragazza ed estraendo un pugnale sottile le taglia le lunghe trecce.
Lei non osa parlare, gelata sul posto da quanto appena accaduto.
«Da questo momento in poi il tuo nome è Annika, sei figlia di un contadino e non hai alcun legame con questa città».
Per il resto a proteggerla ci penserà lui, pensa mentre Jannah annuisce debolmente e lascia che Säde la conduca verso l’accampamento.
 
1356 – Poitiers, Francia
Yannik indossa l’armatura e si dirige verso la morte.
Ha venticinque anni, la testa pieni di sogni e il volto di una donna stampato nel cuore.
Non riuscirà mai a trovarla.
 
1430 – Rouen, Francia
Jeanne d’Arc vede le fiamme alzarsi e il inizia a sentire il calore del fuoco.
Ai suoi piedi, oltre i confini del rogo, la folla divisa tra esaltazione ed orrore la guarda morire. Tra di loro due volti rigati di lacrime.
Jeanne si concentra sui capelli biondi di Lucette e sulle lentiggini sul viso di Ninon.
Prima di perdere i sensi pensa che avrebbe voluto vederla felice anche in questa vita, non sa che Sean è oltre la manica e che in questa vita non riusciranno a incontrarsi.
 
1573 – Venezia, Italia
Anna riesce a allontanarsi di nuovo da casa senza farsi notare, oramai è diventato un gioco il suo e, per quanto la servitù si impegni, nessuno riesce a impedirle di uscire. Il doge non ha mai troppo tempo per la sua famiglia e in quei giorni la città è in fermento, si dice che il Maestro sia stato male e che il giovane Veronese abbia finalmente la possibilità di calcare le scene come una prima donna.
Anna storce il naso ogni volta che sente quelle voci, Paolo non farebbe mai nulla di simile e lei lo sa bene, visto che ultimamente trascorre le sue giornate tra il suo studio e la sua casa, incantata dai suoi lavori.
«Come procede il telero?» domanda osservando il gigantesco dipinto raffigurante l’ultima cena «Oh, ma è sempre più bello! È così originale!»
«Se non fosse una richiesta dei Domenicani ti avrei usato come modella, Anna» le risponde facendola arrossire di piacere «Vieni, avviso Elena che sei arrivata».
La ragazza annuisce, seguendolo su per le scale, e mentre attende l’amica si affaccia alle finestre del piano nobile, osservando l’esterno; nel cortile della casa di fronte un giovane dall’aspetto affascinante e l’aria gentile si esercita nell’uso della spada con il suo maestro d’armi.
«Finirai con il consumarlo se continui a guardarlo a quel modo» le dice una voce squillante alle sue spalle e Anna sobbalza involontariamente.
Elena Badile Caliari si accarezza il ventre rigonfio mentre ride della ragazza, è una novità vederla così tanto più giovane di lei, già in attesa del terzo figlio.
«Non lo stavo guardando» mormora piano la rossa.
«Ah no? Peccato, perché sapendo che oggi saresti venuta (come da due mesi a questa parte) ho inviato qualcuno a invitarlo a pranzo».
Il viso di Anna cambia colore, assumendo diverse sfumature di rosso, mentre torna ad affacciarsi alla finestra, giusto in tempo per vedere Isabella, la dama di compagnia dell’amica, inchinarsi di fronte al giovane, il quale, proprio in quel momento, alza il viso e incrocia lo sguardo con quello della fanciulla, sorridendole.
L’attesa del pranzo è snervante e Anna deve ripetersi più volte che lei è una Mocenigo, figlia del Doge, è non ha motivo di allarmarsi per un pranzo con un esponente di una casata di così basso rilievo. In fondo i Ruzier non sono nemmeno veri veneziani e non sono che una delle innumerevoli case nuove e cooptate.
Per distrarsi inizia a parlare a raffica, mentre le mani giocano con uno dei pennelli di Paolo, che ha avuto la disgraziata idea di portarsene qualcuno al piano di sopra – dove Elena gli ha tassativamente proibito di lasciare il materiale da lavoro.
Quando il valletto annuncia il giovane, il Veronese ringrazia tutti i santi del paradiso, perché crede di avere perso l’udito a furia di ascoltare le chiacchiere della ragazza; Isabella ride di lei e prendendola da parte le sistema i capelli, rassicurandola sul fatto che è bellissima e non ha niente di cui preoccuparsi, quindi la spinge gentilmente oltre la porta e Anna si trova nel mezzo del salone.
«Venite, Giovanni, lasciate che vi presenti» esclama Elena con voce squillante lanciando un’occhiata al marito, come a dire levati di torno «Anna Mocenico, figlia del nostro stimatissimo Doge Alvise I Mocenigo, Elena questo è Giovanni Ruzier».
Il ragazzo si inchina leggermente e le bacia la mano, pensando che non ha mai visto niente di più bello.
Da quel giorno al pranzo a casa Caliari si aggiunge una persona in più: Paolo ne è solo felice perché lui ama essere circondato da persone, soprattutto quando queste persone sono disposte ad ascoltare le sue disquisizioni artistiche; Elena si diverte a giocare a Cupido assieme a Isabella, mentre presto il Doge inizia a farsi delle domande sulle continue assenze della figlia.
È luglio quando, dopo avere ultimato il telero, Paolo viene convocato davanti al Tribunale del Sant’Uffizio per via del quadro che ha finito di dipingere; lo obbligano a cambiare il nome in Cena a casa di Levi e lo lasciano andare. Alvise Mocenigo però non è soddisfatto perché sospetta che il Veronese stia dando asilo alla tresca di sua figlia, decide quindi che deve farla sposare e inizia a prendere accordi con i Gritti, che hanno un figlio che farebbe proprio a caso suo.
Quando Anna lo scopre scappa dal palazzo Ducale e si rifugia a palazzo Ruzier, in lacrime; Giovanni la stringe tra le braccia e improvvisamente ricorda di averle già viste, quelle lacrime, di averle già asciugate da quel volto più volte.
Anna viene rinchiusa in casa e solo grazie alle insistenze di sua madre, Loredana Marcello, riescono a posporre il matrimonio fino al giugno seguente, mentre Elena, Paolo, Isabella e Giovanni iniziano a ordire un piano di fuga.
L’11 maggio 1574 un incendio distrugge Palazzo Ducale e Anna scappa, raggiungendo Giovanni al porto dove li attende un’imbarcazione che li conduce a Candia, isola in cui i Ruzier hanno ancora numerosi contatti che possano aiutarli.
In due mesi Anna e Giovanni sono spariti e nessuno a Venezia riuscirà più a trovarli.
 
1693 – da qualche parte vicino a Tortuga, Mar dei Caraibi
Quando Laurens Cornelis Boudewijn de Graaf incontra Anne lei lo sfida a duello e gli punta una pistola alla fronte. I suoi uomini lo guardano con occhi sgranati, in attesa di una reazione che non arriva, Laurens getta la spada per terra e, ignorando l’arma premuta contro di lui, si avvicina alla sua avversaria.
«Io non combatto contro le donne».
Lei rotea gli occhi verso il cielo, e gli tira un calcio negli stinchi, irritata.
Il pirata sorride e si inginocchia di fronte a lei, prendendole la mano libera tra le sue.
«Tuttavia, Anne, se voi voleste fare l’onore, a questo vecchio quarantenne, di sposarlo, lo rendereste il più Capitano più felice di tutto il Mar dei Caraibi».
La donna lo fissa per qualche istante, quindi scoppia a ridere a sua volta.
«Jan» si attacca la pistola alla cinta e con entrambe le mani cerca di rimetterlo in piedi «Certo che ce ne hai messo di tempo per trovarmi».
«Non ti ho trovata io, Amor mio, questa volta è tutto merito tuo».
È il 6 maggio 1693 e Anne sposa un pirata, diventando nota in tutto il mondo come Anne Dieu-Le-Veut. Avranno due figli.
 
5 Ottobre 1789 – Parigi, Francia
Jean tiene stretta nella sua la mano di Anais, la stringe con forza, consapevole che se la lascia andare rischia di non vederla mai più; il corteo di donne si è trasformato in una moltitudine armata, una folla che procede come un fiume verso il palazzo di Versailles.
«Merda! Ci spareranno addosso» esclama il giovane stringendo a sé la ragazza.
«Non ho paura, se devo morire, morirò al tuo fianco» risponde la fanciulla baciandolo.
«Ti amo, Anne, e ti ritroverò ancora».
Nessuno dei due muore e quella sera, a casa di Jean, le sue sorelle, Claire ed Erza, festeggiano il loro ritorno cucinando quel poco di cibo che gli è rimasto.
 
1840 – Arendelle, Norvegia
Hans è stufo marcio di sentirsi ripetere che non è nessuno. Il tredicesimo principe non ha diritti, a quanto pare. Beh, vuole proprio vedere se una volta conquistato il trono di Arendelle i suoi fratelli lo considereranno ancora indegno di essere uno di loro.  Dentro di sé sa che forse questo non è l’obiettivo migliore che potrebbe prefiggersi, ma non ha importanza, perché dopo ventitré anni di soprusi, dopo ventitré anni trascorsi ad essere ignorato e deriso, ora Hans vuole giustizia.
Ci sono notti in cui sogna una ragazza dai capelli aranciati e il viso sparso di efelidi, alle volte la ragazza è una donna e lo guarda con occhi colmi d’amore e lui sa che lei lo accetterà sempre. Quando incontra Anna la prima volta capisce subito che è lei la ragazza che lo perseguita e si chiede come sia possibile che si trovi proprio lì, si chiede se forse non sia destino. Quando le chiede di sposarlo e lei accetta, Hans sente uno strano calore all’altezza dello sterno, non sa bene cosa sia, non l’ha mai provato prima. È felicità.
Anna parte alla ricerca di sua sorella, è così inquieta che il viso si contrae in una smorfia corrucciata e Hans pensa che sia adorabile, quando la vede andare via si scopre seriamente preoccupato e la cosa lo infastidisce perché interferisce con il suo piano. Rimane a palazzo a crogiolarsi nelle sue elucubrazioni mentali, interrotto solo una volta da una coppia di dignitari di Corona, la ragazza lo guarda e gli ride in faccia dicendogli: «Tu non cambi mai, nemmeno di una virgola». Si chiede cosa voglia dire, considerato che lui non l’hai mai vista prima, ma sceglie di ignorarla e quando il cavallo della principessa torna senza di lei decide di procedere col piano.
Anna torna da lui dopo quarantotto ore e Hans si scopre sollevato nel vederla, ma il sollievo non dura a lungo, perché dopo secoli che non accadeva più Hans viene nuovamente posto di fronte a una scelta.
Baciala, gli dice una voce nella testa.
Baciala perché funzionerà, perché sei il suo vero amore e lei è il tuo, e se lo farai tutti i tuoi sogni si avvereranno, la tua infelicità si tramuterà in gioia e non solo avrai un regno, ma anche una regina che ti accetta incondizionatamente, avrai una famiglia.
Hans sceglie la strada più sicura, sceglie di non correre rischi.
«Oh, Anna, se solo qualcuno ti amasse davvero»
Nessuno dei due se ne accorge, ma in quel momento qualcosa si spezza.
E mentre la nave salpa, dalle inferriate della sua cella, Hans riesce a vedere Anna che bacia un giovane dalle spalle larghe e i capelli biondi.
Capisce di avere perso tutto.
 
1840 – Altrove
«Non posso credere che l’abbia fatto. Non posso credere che l’abbia fatto!» una donna sta urlando, è furiosa «Sei stato tu, vero?»
«Era solo questione di tempo prima che accadesse, lo sai, no?» risponde una voce maschile.
«Per piacere» interviene una terza persona, un’altra donna «È dai tempi del mito che vuoi vendicarti, e sono millenni che ci provi!»
«E ora ci sono riuscito. Lo sapete benissimo anche voi, il sangue ribolle al richiamo della battaglia, al richiamo del potere, il sangue dei guerrieri che –»
«Oh, stai zitto. Ora sai cosa succederà?» domanda la prima voce preoccupata.
«Certo, continueranno a incontrarsi e a morire, come è giusto che sia!»
«Tu dovresti essere rinchiuso in un ospedale psichiatrico» interviene la seconda donna «Ora ci toccherà lavorare il doppio per aiutarli».
«Ma io pensavo che non voleste più aiutarli» risponde l’uomo.
«Infatti, quella sarebbe dovuta essere l’ultima volta. Il loro per sempre, ti rendi conto di cosa hai fatto ora? Di quanto dovremo lavorare di nuovo per spingerli a fidarsi l’una dell’altro?» la prima voce è isterica oramai.
«Consolati, dopotutto sei tu che dici sempre che il vero amore trova sempre un modo, no?» la incoraggia la seconda donna «E con il tuo amore e la mia astuzia non dovrebbe essere difficile trovare una soluzione».

 
Belief, like fear or love, is a force to be understood as we understand the Theory of Relativity and Principles of Uncertainty: phenomenon that determine the course of our lives. Yesterday, my life was headed in one direction. Today, it is headed in another. Yesterday I believed that I would never have done what I did today. These forces that often remake time and space, that can shape and alter who we imagine ourselves to be, begin long before we are born and continue after we perish. Our lives and our choices, like quantum trajectories, are understood moment to moment. At each point of intersection, each encounter suggests a new potential direction.
Isaac Sachs – Cloud Atlas
 

1917 – Londra, Inghilterra

Anne rimpiange di essere uscita di casa, ma come le dice sempre sua madre non è giusto comportarsi come se fossero già morti solo perché la fuori c’è una guerra.
Il vestito verde la stringe in vita e scende fino ad arrivare alle caviglie, la seta le circonda morbidamente le braccia e Anne si sente bella; le bollicine dello champagne la fanno ridere, mentre il suo accompagnatore le racconta una storia divertente accaduta ai cavalli dell’ippodromo.
Non vuole pensare alla guerra, vuole solo divertirsi e accetta di danzare con chiunque glielo chieda.
Quando una mano guantata circonda la sua lei si lascia trascinare di nuovo in mezzo alla sala, senza fare troppa attenzione al suo accompagnatore, tanto l’indomani partirà per il Devon, là dove le bombe non cadono come pioggia.
Solleva il viso e il suo sguardo si perde in due profondi occhi verdi, occhi che lei ha già visto; quando il ragazzo la fa girare Anne sente che anche la tua testa sta vorticando, sebbene solo in senso figurato e lo ferma per riprendere fiato.
«Stai bene, ti porto qualcosa da bere?»
«Hans?» la domanda della ragazza è un sussurro roco e lui distoglie gli occhi imbarazzato.
«Mi chiamo Seán» risponde piano «Anna ti prego –»
Oh, Anna, se solo qualcuno ti amasse davvero.
La ragazza indietreggia come se si fosse scottata e lo guarda con occhi pieni di dolore e delusione.
«Non toccarmi».
Seán la osserva, ferito, ma non osa fare una mossa; questa volta i ricordi stanno tornando nell’ordine inverso, dal più recente al più antico, e il più recente… Beh, quello è qualcosa che nessuno vorrebbe rammentare.
Tu avevi una tale sete d’amore da sposarmi senza che io facessi niente.
Anna solleva lo sguardo e ci sono delle lacrime che brillano e minacciano di cadere.
«Non era sete d’amore».
«Lo so, ti prego, Anna, perdonami».
Ora non resta che uccidere Elsa e far tornare l’estate.
«Ti avrei dato tutto» la ragazza fa un passo indietro, mentre le lacrime iniziano a scorrere lungo le sue guance».
«Ti prego, Anna» Seán le afferra una mano con le proprie e se lei non fosse così sconvolta si accorgerebbe che anche lui sta piangendo.
No, tu non sei all’altezza di Elsa, io, al contrario, sono l’eroe…
Anna si libera con uno scatto e corre fuori dalla sala, fuori dall’edificio, in mezzo alla strada; non vede bene dove sta andando, ma sa che l’ha seguita e la sta chiamando a gran voce.
Quando si gira verso di lui urla, le sue parole sono incrinate dal pianto, tremanti dall’ira.
«Hai scelto il potere a me. Hai scelto il potere a me!»
Seán l’afferra per le spalle e l’abbraccia, ignorando i pugni che la ragazza gli sbatte sul petto, ignorando gli insulti. Nessuno dei due si accorge che le prime bombe hanno iniziato a cadere.
«Anna, ti prego, ti prego, perdonami. Ho sbagliato, perdonami».
«Io ti odio, ti odio, e non ti perdonerò mai, hai capito? Mai».
E lui sa bene cosa vuol dire: non ti perdono ora, in questa vita, e in nessuna delle vite a venire. Tra noi è finita, ti sei trovato di fronte a un bivio e hai scelto male.
Quando si accorge che sono sotto tiro è oramai troppo tardi per raggiungere i rifugi antiaerei, la prende per un braccio e la trascina verso una porta, cercando di farle scudo con il suo corpo.
Nessuno dei due si rialza dal cratere della bomba.
 
1941/45 – San Pietroburgo, Russia
Quando, nel giugno del 1941, le forze dell’esercito Tedesco invadono la Russia nessuno pensa che possano arrivare fino a Leningrado, ma l’evacuazione viene cominciata in ogni caso.
Anya percorre il Campo di Marte in direzione della Neva, ha vent’anni, un vestito nuovo e una manciata di efelidi sul viso. Quel giorno non le interessa se non ha famiglia, se deve dividere la casa con altre undici persone o se dovrà passare dieci ore in fabbrica, quel giorno ha deciso di essere felice.
Ivan la vede da lontano e per un attimo pensa di essere di nuovo a Londra e vorrebbe attraversare la strada e chiamarla, ma poi si ricorda cosa è successo l’ultima volta, quindi finge di non vederla e continua a camminare.
Il 19 settembre le truppe tedesche si fermano a 10 chilometri dalla città e gli abitanti sono nel panico perché il processo di evacuazione viene bloccato; Ivan si trova a dover difendere una città impreparata da un assedio, ma durerà poco, dicono dai vertici, nessuno può piegare la Russia.
Il 20 settembre Anya incontra Ivan di nuovo, questa volta si accorge di lui, ma non lo riconosce; il ragazzo è così sollevato che la invita ad uscire senza pensarci e lei accetta, onorata che un Capitano dell’Armata Rossa abbia anche solo preso in considerazione di uscire con lei.
«Costruisco fucili» gli dice con voce allegra, come se fosse la cosa più bella del mondo «Prima facevamo carri armati, ora siamo passati ai fucili, sembra che ne avremo bisogno».
Ivan la porta a pranzo fuori e la guarda mangiare, mentre alla ragazza brillano gli occhi di fronte a quello che per lei è un pasto luculliano, lui vorrebbe fare di più. Dopo averla presa per mano la fa salire su un autobus e arrivati in centro la porta a passeggiare nel Giardino d’Estate, non ha importanza che in quel momento le fontane non funzionino né che i fiori e gli archi siano palesemente trascurati: è il più bell’appuntamento che Anya abbia mai avuto.
Ancora non si ricorda di lui.
Due giorni dopo Hitler ordina che San Pietroburgo sia cancellata dalla faccia della terra, non abbiamo alcun interesse nel salvare le vite dei civili, dichiara.
In ottobre la città inizia a soffrire la fame.
Ivan si presenta spesso a casa di Anya e le regala del cibo, si assicura che mangi e stringe una specie di patto con una delle ragazze che vivono con lei perché la tenga sotto controllo, la ragazza si chiama Elizaveta e vive assieme a sua sorella, Irina. Forse per colpa della fame, forse per paura della guerra, Anya inizia a fare strani sogni, nello stesso periodo abbandona il lavoro alla fabbrica e decide di fare la volontaria in ospedale.
È novembre e Anya ha raggiunto Ivan lungo la Neva, assieme a lui osserva il fiume e pensa a quando la guerra non c’era, il ragazzo le racconta di come sia entrato nell’esercito e di come sperasse di non vederla mai una guerra; in quel momento iniziano a cadere le prime bombe. Questa volta però è diverso dall’ultima volta a Lodra, il Capitano la prende per mano e insieme a lei corre disperatamente verso il rifugio, quando arrivano hanno il volto scomposto dal sudore e dalla paura e Anya ha iniziato a mettere ordine nei suoi ricordi.
«Dio» è tutto quello che riesce a dire passando una mano sul volto di Ivan che distoglie lo sguardo, capendo a cosa lei stia pensando.
«Anya, mi dispiace».
Lei chiude gli occhi e si appoggia al muro, in mezzo a tutta quella devastazione l’unica cosa che riesce a pensare è che l’ultima volta Seán è morto stringendola tra le braccia. Non ricorda perché stessero litigando.
A dicembre Ivan riesce a fare in modo che Anya se ne vada, chiede favori a tutta l’armata e, infine, trova un modo per farle attraversare la strada della vita. Anya lo ringrazia e cede il suo posto a Irina che, nonostante le proteste, attraversa il lago Ladoga e scompare oltre, là dove c’è ancora speranza. Il giorno di Natale muoiono cinquemila persone, Ivan piange guardando la schiena di Anya mentre medica i feriti, lei non se ne accorge.
Il 1942 è l’anno in cui le bombe sostituiscono la pioggia ed è l’anno in cui Anya ricorda ogni cosa. Ivan ha due giorni di congedo, la raggiunge nella sua stanza, nel suo appartamento condiviso con altre undici persone (che oramai sono sei, perché Irina è scappata e gli altri sono morti) e lei lo riceve con uno schiaffo in pieno volto. Non dice niente, ma entra lo stesso in camera e chiude la tenda che divide il suo piccolo spazio da quello degli altri.
«Non voglio vederti mai più».
«Anya, morirai se continui così».
«Vattene, Hans».
Il Capitano scuote il capo e in quel momento le bombe riprendono a cadere; la ragazza sbarra lo sguardo e senza pensarci si getta tra le sue braccia. Quella notte rimane con lei e fanno l’amore, come ogni volta quando possono, il calore dei loro corpi è tutto quello che hanno in una città dove la gente muore di freddo (e c’è dell’ironia in tutto questo, con tutto quello che hanno passato, con tutta la città che va a fuoco a causa delle bombe). Anya non lo guarda mai in faccia, non lo chiama mai con il suo nome, ma sempre Hans, per dimostrargli che ricorda; trattiene i gemiti cercando di dimostrargli quanto lo sta odiando, e lo sta odiando perché, nonostante tutto, continua ad amarlo.
Ivan pensa che in fondo Anya sia come Leningrado, sta morendo poco a poco, ed è colpa sua.
Il secondo giorno la ragazza smette di torturarlo e inizia a fingere che lui non ci sia, ma il Capitano non se ne va e quando le bombe riprendono a cadere e Anya va nel panico, Ivan inizia a leggerle Puškin.
Di qui minacceremo lo svedese. Qui una città sarà fondata, del superbo vicino in onta e danno.
Anya si stringe al suo petto e le lacrime iniziano a scorrerle sulle guance mentre si domanda che cosa abbiano fatto per meritarsi tanta morte.
La Neva s’è vestita di granito; ponti si son curvati sopra l’acque; di verdicupi giardini le sue isole si sono coperte.
Ivan la tiene stretta e continua a leggere, mentre la città viene distrutta, mentre la gente muore.
Ogni volta che ne ha la possibilità, quando non è intento a sparare ai tedeschi sul fronte, quando non è intento a ordinare ai suoi uomini di andare a morire, Ivan va da Anya e trascorre le sue ore con lei.
Lei che non gli parla, ma si aggrappa a lui come a un’ancora.
Quando fanno l’amore gli affonda le unghie nelle spalle fino a fargli male, fino a farlo sanguinare e lo chiama Hans; forse quella guerra li sta uccidendo davvero.
Ad aprile Ivan riesce a trovarle nuovamente un passaggio lungo il lago Ladoga, questa volta Anya costringe Elizaveta a partire al suo posto, questa volta l’uomo le fa una scenata.
«Ho paura, ma se devo morire, morirò al tuo fianco» risponde Anya e le sue parole suonano come l’eco distorto di una vita passata.
T’amo creatura di Pietro, amo il tuo grave ed armonioso aspetto, il regale corso della Neva, delle sue rive il granito, delle sue cinte il rabesco di ghisa.
Tra marzo e maggio si registra un’epidemia di colera, la città riesce a contenerla, ma tra la malattia e le bombe che cadono su tutta la città e sugli ospedali, dei  trentamila dottori e delle centomila infermiere ne rimangono solo la metà.
Anya sopravvive.
Il 4 di aprile i bombardieri della Luftwaffe sganciano sulla città una serie di bombe incendiarie, Ivan sopravvive, ma il suo braccio sinistro non sarà mai più lo stesso.
Quella notte fa l’amore con Anya, la ragazza piange, lo chiama col suo vero nome e gli dice che lo ama.
Ivan pensa che la guerra possa finire presto, ma arriva la fine dell’anno e i tedeschi sono ancora lì. Leningrado è una città fantasma e l’uomo sente che entrambi stanno morendo dentro, più di prima.
E, illuminato da pallida luna, teso nell’alto il braccio, dietro a lui corre il bronzeo Cavaliere sul cavallo sonorogaloppante.
Né Ivan né Anya sanno come facciano a sopravvivere durante il 1943. La città è stata decimata e oramai non è più possibile fuggire; epidemie di tifo e febbre paratifoide si diffondo per la città, aumentando le vittime, in qualche modo vengono contenute, ma nessuno sa bene come.
Anya è lo spettro di sé stessa, è magra come un chiodo e pallida, le lentiggini sono quasi invisibili e i capelli rovinati e recisi; Ivan è dimagrito e l’uniforme gli va grande, è stato promosso a Maggiore, e mai come in quel momento sente l’inutilità di una cosa simile. Anya si rifiuta ostinatamente di perdonarlo, ma allo stesso tempo non vuole andarsene e lui è costretto a guardarla sfiorire.
Continua a leggere per lei, continuano a fare l’amore, anche se oramai è quasi troppo difficile, perché nessuno dei due ha più le forze per muoversi; le razioni di cibo sono così misere che i pochi sopravvissuti hanno iniziato a darsi al cannibalismo e il gelo è così intenso che hanno iniziato a bruciare i cadaveri.
I tedeschi hanno più pietà dei russi, pensa Ivan in quelle notti senza speranza, i tedeschi lasciano che le loro città si arrendano.
È dicembre quando sente la voce di Anya per l’ultima volta.
«Ti amo, nonostante tutto, ti amo ancora».
E Ivan non sa cosa voglia dire, se sia un nonostante tutto quello che hai fatto ti amo ancora o un nonostante tutto quello che questa guerra mi ha sottratto ho ancora il mio amore per te. Non può chiederglielo, perché Anya non si sveglia più e lui perde la volontà di andare avanti.
Gli sparano due giorni dopo, è 17 dicembre 1943.
Il 27 gennaio 1944 l’assedio finisce, Leningrado è morta, sia dentro che fuori, dei suoi tre milioni e mezzo di abitanti, un milione e quattrocentomila riesce a fuggire, dei restanti ne sopravvivono settecentomila.
 
1975 – Berlino, Germania
Quando Jon la vede di nuovo lei sta passeggiando con le sue sorelle.
Ha attraversato il muro con un permesso ottenuto per motivi di lavoro e improvvisamente desidera rimanere a Berlino Est per sempre. La rincorre chiamandola Anya, ma lei non lo riconosce.
«Hanne» gli dice sorridendo gentile e sul suo viso c’è così tanta carne, così tanto colore, ci sono così tante lentiggini che a Jon viene da piangere, senza capirne il motivo – rifiutandosi di capirne il motivo. La abbraccia, nonostante il suo sconcerto e le promette che tornerà.
Un mese dopo è di nuovo lì e non sa da dove iniziare a cercarla, ma dopo due ore che gira a vuoto lei gli va a sbattere addosso, tiene un mazzo di fiori in mano che cade per terra e viene pestato. Alla ragazza però non importa, perché questa volta, quando lo vede, cade in ginocchio e si mette a piangere.
Jon l’abbraccia e lei non sa se spingerlo via o stringerlo a sé consapevole di quello che ha fatto, ma anche di tutto quello che hanno vissuto assieme. Sa che dovrebbe perdonarlo, ma Arendelle è ancora troppo viva nei suoi ricordi, Londra è ancora troppo viva, e poi c’è Leningrado, Leningrado brucia il suo cuore e scorre nelle sue vene, avvelenando il suo sangue.
Lo odia ancora, ma allo stesso tempo non riesce a non amarlo.
La colpa, pensa ogni tanto, deve essere di Berlino, perché stare in Germania, sapersi tedesca nella Germania sovietica è troppo persino per una come Hanne, in grado di resistere a qualsiasi cosa. Continuano a vedersi una volta al mese, poi ogni settimana.
Jon questa volta non è troppo preoccupato, non ha conosciuto le sorelle della ragazza, ma sa che loro sono al suo fianco di nuovo, inoltre la guerra è finita: pensa che potrebbe chiedere un trasferimento a Berlino Est.
A novembre accade la tragedia e non c’è nulla nell’aria che possa presagirla.
Jon saluta Hanne, promettendole di tornare presto, lei non lo ha ancora perdonato, ma lui ha lo stesso intenzione di chiederle di sposarlo.
Hanne non ha ancora detto a Jon di averlo perdonato, ma ogni volta che viene a trovarla sente di stare guarendo un pochino.
Quel giorno nevica e la temperatura si è abbassata di almeno tre gradi, Jon le ha portato dei fiori e Hanne gli ha concesso di baciarla davanti a tutti, in mezzo alla piazza, e ha realizzato di non essersi mai sentita così viva.
Non in quella vita, in nessuna delle ultime vite.
Quando lo vede passare oltre il posto di blocco lo richiama, perché non può aspettare, deve dirglielo e deve dirglielo ora, perché non può lasciare che lui passi un altro giorno a macerarsi nel senso di colpa. Jon si volta a metà strada e la vede cercare di inseguirlo, le sorride e si incammina per tornare indietro; la guardia al posto di blocco non se ne accorge.
Vede solo una donna che cerca di attraversare il confine, da est a ovest, senza permesso; la ragazza sgomita e nella foga gli tira un pugno sul naso. Jon vede la scena a rallentatore, non capisce nemmeno cosa sia successo, ma si ritrova in ginocchio nella prima neve con il corpo di Hanne tra le braccia.
La ragazza piange e sputa sangue: erano così vicini.
«Ti amo» fa in tempo a dirgli, ma non lo sente rispondere, non lo sente promettere che la ritroverà ancora e non lo vede gettarsi contro la guardia e iniziare a colpirla finché questa estrae la pistola e spara anche a lui.
 
2014 – da qualche parte in Inghilterra
Hans ha imparato che le due grandi certezze della sua vita sono la morte e l’amore (e a volte anche la morte dell’amore, ma a questo preferisce non pensare).
Ha imparato anche che Anna prima o poi ricorda sempre ogni cosa, e che, forse, questa volta sarà quella giusta, questa volta forse lo perdonerà. Non ci sono guerre, non ci sono assedi, né bombardamenti e questo è già qualcosa, ma il ragazzo sa che è meglio non aspettarsi niente, non dare nulla per scontato perché nulla è certo.
Di una cosa, però, Hans è sicuro: questa volta non ha intenzione di morire, né, tantomeno, di vedere Anna morire di nuovo.
E sarebbe tutto più semplice se sapesse cosa diamine sta succedendo, perché non era questo il patto, non era questo che aveva promesso loro la dea. E il suo problema è capire come fare per interrompere quel ciclo di reincarnazione e di perdita costante, ma non ha nessuno a cui chiedere. Tuttavia è disposto a qualsiasi cosa, qualsiasi cosa purché tutto torni come prima, purché la morte smetta di perseguitarli, perché se tornare in vita vuol dire rivedere Anna è disposto a farlo ogni volta che sarà necessario, ma non accetta di verla spegnersi tra le sue braccia.
 
 


 








NOTE:

Eccomi con le note, prima di tutto vi avviso che qui inserirò solo le note relative ai nomi, per le note tecniche, ovvero quelle storiche, che servono a inquadrare le varie epoche da me prese in considerazione, vi rimando a questo link. Ci ho dedicato un post apposito su Livejournal, perché altrimenti venivano cinque pagine di note e mi sembrava eccessivo inserirle a fine capitolo (ma leggetele, vi prego, o di alcune cose non capirete una bega!).

» I nomi di Anna nelle varie epoche in ordine di apparizione: Hagne (capitolo 3), Liviana, Elian, Jannah/Annika, Ninon, Anna, Anne Dieu-Le-Veut, Anais, Anne, Anya.
» I nomi di Hans nelle varie epoche in ordine di apparizione: Iason (capitolo 3), Nero, Iohannes, Eadwig, Yannik, Giovanni, Laurens/Jan, Jean, Seán, Ivan.
» I nomi di Photine nelle varie epoche in ordine di apparizione: Photine (capitolo 3), Gráinne, Säde, Lucette, Elena, Claire, Irina.
» Inoltre, Elena di Troia (Capitolo 3), Germana, Eirwen, Hjördís, Jeanne, Isabella, Erza, Elizaveta è sempre la stessa persona.
Per comprenderne i significati leggete le note relative alle singole epoche. Le due ragazze che compaiono sempre al fianco di Anna sono presenti in ognuna delle sue vite, anche se non le ho fatte apparire in tutte; inoltre queste non sono tutte le vite di Hans ed Anna, ma solo alcune delle numerose che hanno vissuto.
Avrei voluto usare “Like quantum traiectories” come titolo del capitolo, ma poi mi sono resa conto che non avrei saputo spiegare a parole la teoria dei quanti e la loro traiettoria e quindi ho glissato, e glisso ancora salutandovi con un “Scusate, gente, avrò pure venticinque anni e una laurea, ma rimango bionda”.
 
La traduzione dei due quote è la seguente:
- A inizio capitolo:
Io credo che la morte sia solo una porta, quando essa si chiude, un’altra si apre. Se tenessi a immaginare un paradiso, io immaginerei una porta che si apre e dietro di essa, lo troverei lì, ad attendermi
- A metà capitolo:
La fede, come la paura o l’amore, è una forza che va compresa come noi comprendiamo la teoria della relatività, il principio di indeterminazione, fenomeni che stabiliscono il corso della nostra vita. Ieri la mia vita andava in una direzione, oggi va verso un’altra, ieri credevo che non avrei mai fatto quello che ho fatto oggi, queste forze che spesso ricreano tempo e spazio, che possono modellare e alterare chi immaginiamo di essere, cominciano molto prima che nasciamo e continuano dopo che spiriamo. Le nostre vite e le nostre scelte, come traiettorie dei quanti, sono comprese momento per momento, a ogni punto di intersezione, ogni incontro suggerisce una nuova potenziale direzione.





 
   
 
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