Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: lyssa    30/11/2014    2 recensioni
❝ Il bias di conferma (Confirmation Bias) è un fenomeno cognitivo al quale l'uomo è soggetto. È un processo mentale che consiste nel ricercare, selezionare e interpretare informazioni in modo da porre maggiore attenzione, e quindi attribuire maggiore credibilità, a quelle che confermano le proprie convinzioni o ipotesi, e viceversa, ignorare o sminuire informazioni che le contraddicono. Il fenomeno è più marcato nel contesto di argomenti che suscitano forti emozioni o che vanno a toccare credenze profondamente radicate. ❞
Sherlock Holmes, unico consulente investigativo al mondo, ha bisogno di un coinquilino. Dopo settimane intere di infruttuose ricerche e convivenze dalla durata massima di settantadue ore, James - brillante mente criminale ed ex professore di matematica - risponde all'annuncio, rivelandosi il coinquilino ideale.
[Ovviamente sheriarty || AU || il rating salirà man mano || possibili accenni a ship minori.]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jim Moriarty, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo due;



 

Ha trascorso gli ultimi vent’anni a seguire ogni suo più piccolo passo. 

Non importa quanto insignificante i movimenti potessero sembrare, Jim era lì, un’ombra silenziosa e onnipresente. Ha passato una vita intera dedita allo studio e all’osservazione costante di dell’unica persona in grado di capirlo, il suo potenziale uguale, quel ragazzino alto e dai riccioli scuri che, in modo del tutto inconsapevole, si è accorto di lui e ha così creato un legame indissolubile tra di loro. Il monitoraggio si è sempre svolto a distanza, solamente a volte – quando la tentazione sembrava letteralmente bruciare corpo e mente, rivelandosi troppo forte per essere ignorata – Jim si è permesso di far avvicinare le loro strade. Due clienti nello stesso negozio, due persone che passeggiano nella stessa via o due estranei seduti l’uno accanto all’altro sulla metropolitana: Jim si è fatto più vicino, ma non ha mai cercato di interferire, per quanto semplice sarebbe potuto essere. 

Ora invece vivono insieme. Sherlock è consapevole della sua esistenza, è lì ed è così reale che tutto ciò che Jim dovrebbe fare è allungarsi e porgergli la mano, in modo da potergli mostrare gli infiniti aspetti che li accomunano. Sono entrambi soli, annoiati, costretti a vivere in un mondo che si muove con una lentezza dolorosa e frustrante. 

Sono fatti l’uno per l’altro.

La paura di perdere tutto è tuttavia sempre presente, un pensiero soffocante concentrato in un piccolo spazio nella mente del criminale. Non importa quanto Jim cerchi di cancellarlo e sopprimerlo, quel terrore – perché la sensazione è talmente intensa da poter essere definita tale – non diminuisce e non si muove di un millimetro. Jim si sente come se stesse camminando su una sottilissima lastra di ghiaccio: un solo passo falso e tutto potrebbe crollare, frantumandosi in piccole schegge che non potrebbero mai tornare insieme, frammenti destinati a sciogliersi a scomparire del tutto. A quel punto ci sarebbe solo l’acqua, talmente fredda da immobilizzargli ogni arto e togliergli il respiro, profonda abbastanza da trascinare qualunque cosa nei bui abissi.

Jim non vuole annegare. Non è così che vuole morire. Ha sempre immaginato la fine della propria esistenza come qualcosa di caldo, bollente, esplosivo. 

È per questo che non tocca mai Sherlock. È troppo presto: il contatto fisico sarebbe troppo da sopportare allo stadio attuale delle cose. Flirtare è abbastanza.

Si concede tuttavia piccoli tocchi accidentali – il leggero sfiorarsi delle dita mentre porge a Sherlock la sua tazza quotidiana di tè, per esempio – giusto per assicurarsi che Sherlock non sia un frammento della sua immaginazione, uno specchio su cui Jim ha proiettato le proprie idee e speranze.
 
Per la stessa ragione cerca di collezionare più informazioni possibili sul detective. I piccoli dettagli sono pennellate che dipingono Sherlock nella mente di Jim, rendendo l’immagine ogni volta più nitida e reale, perfezionando un dipinto che ai suoi occhi è già bellissimo. 

Certo, vivere con l’unico consulente investigativo al mondo rende controllare un impero criminale un compito decisamente più difficile, ma è un prezzo accettabile da pagare per sapere, per esempio, che Sherlock ha una non-così-segreta passione per le api.

***

È la loro terza mattina insieme e Jim sta sorseggiando il caffè dalla sua tazza preferita – è blu scuro e su di essa sono disegnate le orbite dei pianeti – quando Sherlock varca la soglia della stanza. 

A Jim va di traverso il caffè. Sherlock è bellissimo. 

I riccioli ribelli ricadono sul volto in un modo talmente perfetto da sembrare quasi innaturale, i movimenti sono ancora un po’ lenti e impacciati a causa delle numerose ore di sonno e tutto ciò che Jim vorrebbe fare è spingere il detective nuovamente nel letto, anche se con un fine completamente diverso dal semplice dormire. 
Quello che però ha fatto sì che Jim rischiasse il soffocamento è ciò che Sherlock indossa. O meglio, ciò che non indossa. 

Jim si lecca le labbra, grandi occhi scuri che vagano sul corpo di Sherlock, coperto unicamente da un semplice lenzuolo bianco, che in quel momento sembra più bello di qualsiasi completo Westwood. Il petto chiaro è parzialmente esposto e la sua pelle nivea è invitante come non è mai stata in precedenza. Il detective è piuttosto muscoloso e in forma, ma non è veramente una sorpresa dato che indossa sempre camicie un po’ troppo strette per la sua taglia. Non che Jim si lamenti, ovviamente. Non si lamenterebbe mai di una cosa del genere. 

Sherlock avanza verso il tavolo e il lenzuolo scivola appena, in modo da rivelare il fianco nudo, dimostrando che il detective non indossa alcun tipo di intimo. Jim continua a fissarlo –  tanto eccitato quanto sorpreso – e cerca di fissare quella meravigliosa immagine nel suo cervello; memorizza ogni singolo dettaglio, anche il particolare più piccolo, in modo da poter riportare alla mente l’intera scena in un momento successivo (magari sotto una bella doccia calda).

«Mi annoio e non ho alcuna intenzione di vestirmi.» La voce fuoriesce accompagnata da un mezzo sbadiglio e il detective si lascia cadere pigramente in una delle sedie.

«Tesoro, è l’ultima cosa che voglio, credimi.»

Sherlock non risponde. Si limita a rubare la tazza di caffè dalle mani di Jim, per poi prenderne un sorso.

«Ugh. Troppo dolce.»

«Beh, è il mio caffè.» Il criminale si riprende indietro la tazza, fissandolo con un espressione offesa. Ovviamente non lo è. Se qualcuno può bere qualcosa di suo, quello è proprio Sherlock. «Ne è rimasto un po’, se vuoi.» Aggiunge, mentre le labbra si posizionano esattamente in quel punto toccato precedentemente dalla bocca di Sherlock. Non può fare a meno di sorridere al solo pensiero, chiedendosi se il detective ha notato quel piccolo particolare.

«Okay.» Nonostante la risposta, Sherlock non fa assolutamente nulla. Rimane immobile, senza neanche preoccuparsi di lanciarsi un’occhiata alla caffettiera.

«Lo sai che non ho alcuna intenzione di portartela, vero?»

«Ma è troppo lontana!»

Jim solleva un sopracciglio e, per una volta, non sta fingendo uno stupore non reale. Tutto ciò che Sherlock dovrebbe fare è alzarsi e fare tre, forse quattro, passi. Non può credere che sia così pigro.

(Ci sono giorni in cui Jim non riesce neanche ad alzarsi dal letto e giace semplicemente lì, lo guardo fisso sul muro bianco e spoglio. Respira solo perché è un riflesso automatico, vive semplicemente perché il suo corpo continua a funzionare, una macchina che alle volte si rivela fin troppo efficiente e che lavora anche senza aver ricevuto ordini. Quello è tuttavia un problema diverso, che non ha nulla di vedere con la pigrizia o un semplice sentimento di noia: è un malessere esistenziale che lo accompagna da quando riesce a ricordare.)

«Non ho alcuna intenzione di alzarmi, se lo vuoi te lo devi prendere da solo.»

«Allora non lo voglio più.»

Se Sherlock non fosse Sherlock, Jim avrebbe roteato gli occhi. Se fosse qualcuno che Jim detesta, il criminale lo avrebbe fatto uccidere sul posto. Ma Sherlock è Sherlock, l’unica persona in grado di competere con il suo cervello, il suo unico potenziale uguale. Quindi non fa nulla e decide di ignorare quel suo piccolo capriccio.

«Mi annoio… Farei ogni cosa per un buon omicidio.» Il sospiro che lascia le labbra di Sherlock è pesante e possiede qualcosa che suona familiare alle orecchie del criminale. Sa esattamente come si sente il detective. 

Jim sta ovviamente lavorando a qualcosa. Una serie di suicidi forzati che sicuramente attireranno l’attenzione di Sherlock. La polizia si sta tuttavia rivelando troppo stupida, talmente cieca da non vedere ciò che è di fronte al loro naso e tre morti non sembrano essere abbastanza. Ha bisogno di una quarta vittima.

«Non ti senti mai in colpa?» Jim chiede, improvvisamente.

«Mhn?»

«A sperare che le persone muoiano.»

Sherlock sospira nuovamente. Probabilmente ha risposto a quella domanda infinite volte, unicamente per sentirsi rispondere la stessa noiosa e patetica frase fatta riguardo l’importanza della vita.

«Tutti devono morire prima o poi.»

«Dio mio, sei così egoista!» Jim scoppia in una piccola risata, soddisfatta e sincera. È esattamente il tipo di risposta che voleva sentire. «Mi piace. Oh, ovviamente concordo in pieno.»

A quelle parole, Sherlock sorride. Non sono tanto le persone che sarebbero d’accordo con lui, probabilmente nessuna, ed il solo pensiero è sufficiente a rendere Jim incredibilmente di buon umore. 

«Ragazzi?» La signora Hudson apre improvvisamente la porta e gli angoli delle sue labbra si alzano nel notare Jim e Sherlock seduti allo stesso tavolo. «Volevo solo vedere se tutto era a posto!»

«Portami il caffè.» Il detective parla con voce piatta, quasi inespressiva, degnandosi tuttavia di sollevare lo sguardo su di lei. Sul volto della padrona di casa Jim può leggere l’indecisione, chiara e visibile come inchiostro nero su una pagina bianca, ma nel momento stesso in cui la donna guarda la caffettiera e Sherlock aggiunge un piccolo “per favore”, il criminale sa che farà come gli è stato detto. Prevedibile.

«Continuo a non capire perché voi due continuiate ad usare due camere…» Mormora, più rivolta a se stessa che a loro, passando al detective la tazza colma di caffè.

Devono sembrare una coppia carina. Due amanti che sono appena usciti dal letto e adesso sono seduti allo stesso tavolo per godersi il semplice e banale rituale della colazione. Capelli arruffati, entrambi più scoperti che non – Jim stesso indossa una semplice t-shirt bianca sopra i boxer –, devono sembrare appena usciti da una bella sessione di pigro sesso mattutino. Al solo pensiero, Jim ride. 

È una bella immagine.

***

Sono le quattro del pomeriggio e Jim sta guardando qualche stupido programma televisivo, senza tuttavia prestare un reale interesse alle vicende che si susseguono dietro lo schermo. Sherlock è invece sdraiato sul divano e, a differenza da ciò affermato solo quella mattina, ha indossato la sua vestaglia. Un vero peccato. 

Non si muove minimamente, dà segni di vita solo quelle rare volte in cui i vivaci colori e i suoni della televisione catturano la sua attenzione, facendolo girare per un breve, brevissimo istante. Jim lo osserva per qualche secondo, lanciando poi una rapida occhiata al cellulare. 

Tutto dovrebbe essere pronto adesso: la polizia deve solo notare il quarto suicidio sospetto. Potrebbero volerci minuti come ore, ma il criminale non ha fretta alcuna. È sempre stato un uomo paziente.

***

Sherlock sembra un bambino la mattina di Natale. I suoi occhi azzurri sembrano quasi brillare e Jim è sicuro che, se fosse da solo, il detective si metterebbe a saltellare eccitato per la stanza. Quella sì che sarebbe un’immagine che vorrebbe vedere, pensa il criminale, osservando le dita di Sherlock allacciare rapide i bottoni di una delle sue camicie troppo strette. Chissà se le compra in quel modo apposta.

È solo una volta che ha finito di vestirsi che Sherlock sembra notare la presenza altrui. Ancora prima che i loro sguardi si incontrino, Jim sa cosa l’altro ha intenzione di dire, ma decide di non interromperlo e lasciarlo parlare. 

«Vuoi unirti a me? Non sei intelligente quanto lo sono io, ma puoi comunque essere più utile di Scotland Yard.» Nell’insultare la polizia, le labbra si piegano verso l’alto. «Senza contare che sarebbe la tua occasione per vedere un vero cadavere.»

Jim risponde semplicemente con un sorriso. Sarà divertente.

***
La scena del crimine è esattamente come programmata, l’unico dettaglio che stona, piccola aggiunta non prevista in alcun modo, è la scritta incisa sul pavimento, ma non è un grosso problema.

La voce di Lestrade sembra distante e, quando gli chiede di indossare degli indumenti protettivi per non contaminare la scena del crimine, Jim non la ascolta e si limita ad alzare una mano davanti al volto, in modo da metterlo a tacere. Come se potesse mai indossare qualcosa di simile, pensa, roteando gli occhi e avvicinandosi invece a Sherlock, che ha iniziato a muoversi intorno al cadavere della donna. 

A Jim lei non interessa. È solo una vittima, un corpo come tanti altri, e l’attenzione del criminale è tutta fissa su Sherlock, che è invece speciale e unico. Lo osserva con attenzione, affascinato dal modo in cui i suoi occhi chiari brillano pieni di entusiasmo ogni volta che trova qualche informazione utile.

Jim non può fare a meno di chiedersi quando è stata l’ultima volta che ha guardato qualcosa in quel modo.

Il detective si inginocchia accanto al corpo e il criminale copia i suoi movimenti, nonostante non abbia alcun interesse nella ricerca degli indizi. Sa già tutto ciò che c’è da sapere sulla vittima – è uno specialista, ha fatto le sue ricerche – e osservare Sherlock immerso nei suoi pensieri è decisamente più affascinante. Jim può praticamente sentire, no può praticamente vedere, il cervello del grande Sherlock Holmes all’opera ed è una vista talmente meravigliosa che potrebbe continuare a guardarlo per ore, immerso nella più completa ammirazione. 

(Forse guarda Sherlock nello stesso modo in cui quest’ultimo osserva la scena del crimine.)

«La vittima ha quasi quarant’anni.» Il detective si alza, un sorriso sulle labbra. Jim rimane invece immobile e finge di dare una seconda occhiata al corpo. «Una professionista a giudicare dall’abito, immagino qualcosa nella televisione vedendo l’improbabile tonalità di rosa.» La voce fuoriesce dalle labbra come un fiume in piena. È bassa e rapida ed è facile perdersi nel discorso se non si presta la dovuta attenzione, ma Jim sa che la velocità delle sue parole non è in alcun modo paragonabile a quella a cui si muove la sua mente. «È arrivata oggi da Cardiff, intendeva stare a Londra per una notte. È ovvio dalla grandezza della sua valigia.»

Greg sospira esasperato, interrompendolo.

«Oh, per l’amor del cielo, se ti sei appena inventato tutto…»

 «Non si è inventato nulla. Ovviamente.» Jim dice in uno sbuffo seccato e, per la prima volta da quando sono lì, Sherlock si gira verso di lui. La sua espressione è la stessa che Jim ha visto il giorno in cui si sono incontrati, quando al ristorante gli ha chiesto di far finta di essere il suo fidanzato. Il ricordo lo fa quasi sorridere. «La fede nuziale è vecchia. Credo abbia almeno dieci anni…?» Decide di aggiungere un tono insicuro alle sue parole, in modo da non sembrare troppo sicuro di sé. «Penso. Al contrario del resto della gioielleria, è sporco. Evidentemente non le importava più di tanto dello stato del suo matrimonio.»

Sherlock sbatte le palpebre. Una, due volte. Guarda Jim con le labbra appena socchiuse e un’espressione talmente sorpresa che il criminale può quasi vedere un punto interrogativo sulla sua testa, grande e colorato come se fossero in un cartone animato. Deve trattenere una risatina.

«L’interno è pulito, quindi è stato rimosso regolarmente.» Un ulteriore passo e l’irlandese colma almeno un poco la distanza tra di loro. «Come ha detto Sherlock, non faceva un lavoro manuale, quindi aveva un amante. Beh, più di uno.»

La voce di Jim si spegne e il silenzio cade nella stanza.

«E-Esattamente.» Sherlock, ancora stordito, si schiarisce la gola e si muove più vicino. Due passi. Riassume il suo autocontrollo. «Parlando di Cardiff… Il suo cappotto, è leggermente umido. È stata sotto la pioggia nelle scorse ore. Non ha piovuto da nessuna parte a Londra durante quel lasso di tempo. Ha un ombrello nella tasca sinistra, ma è asciutto e chiaramente non usato…»

La voce di Sherlock è ancora più bassa ora e Jim non può fare a meno di leccarsi le labbra. Ci sono solo loro due adesso. Tutto il resto – Lestrade, la scena del crimine, persino il cadavere che si trova non lontano da loro – sembra essere sparito, niente di più di uno sfondo sfocato e dalle linee confuse. C’è solo Sherlock. Sherlock con le labbra socchiuse e gli occhi così brillanti e pieni di vita che tutto ciò che Jim vorrebbe fare è tuffarcisi dentro.

«Vento. Forte, troppo forte per poter usare l’ombrello.» Jim finisce la frase di Sherlock. Probabilmente è quello che il detective desidera. «Sappiamo dalla sua valigia che intendeva passare la notte fuori, deve venire da un luogo piuttosto lontano, ma non può aver viaggiato più di due o tre ore perché il suo cappotto non si è ancora asciugato. Cardiff ha senso.» Un ghigno si apre sulle labbra rosee. «Oh, la valigia. Basta guardare il retro della sua gamba destra per capire che deve averne una.» Aggiunge, senza neanche preoccuparsi di fissare il cadavere. Se prima non voleva esporsi troppo e mettersi in mostra, ora ha cambiato idea.

L’unica cosa che desidera davvero è afferrare Sherlock per quel suo ridicolo cappotto e avvicinarlo a se. Vuole baciarlo, vuole sentire la morbida consistenza delle sue labbra sotto le proprie, vuole morderlo con forza, vuole piantare le unghie nella sua pelle, vuole averlo talmente vicino da rendere impossibile definire dove uno inizia e l’altro finisce. Considerando il modo in cui il detective lo guarda, probabilmente lascerebbe il criminale fare quello che vuole. 

È come se le deduzioni siano dirty talking per Sherlock. Deve ricordarselo.

No, non può permetterselo. Cerca di pensare agli abissi, a tutto quello che potrebbe perdere. Porta alla mente immagini disgustose: il suo cervello si concentra sul corpo della donna, sul modo in cui la droga è entrata nel suo circolo sanguigno per poi ucciderla, su tutti i corpi smembrati e il sangue che ha visto durante la sua vita. Non aiuta molto.

Jim si morde la lingua.

«Ragazzi, questa è una scena del crimine.» Per una volta, è grato dell’interruzione di Lestrade. È seccato (e decisamente scandalizzato) dal loro comportamento e non prova neanche a nasconderlo, mostrando tutte le sue emozioni in modo sincero e genuino. Gli ci vogliono un paio di secondi prima di ritornare professionale. «E non abbiamo trovato nessuna valigia.

Durante l’aggiunta di Greg, Sherlock non ha mai spostato lo sguardo da Jim. Lo guarda con la stessa intensità usata in precedenza, gli angoli delle labbra ora rivolti verso l’alto in un sorriso divertito.

«Allora dobbiamo trovarla.»

***
Jim è sempre stato un uomo paziente, eppure tamburella nervosamente le dita sul tavolo – il ritmo segue una delle composizioni di Beethoven – e controlla l’orologio ogni due secondi, comportandosi come un ragazzino al suo primo appuntamento. Non gli piace il modo in cui Sherlock lo fa sentire: il detective ha già fin troppo potere su di lui e Jim sa già che quello sarà la sua rovina, eppure non riesce a fare altrimenti. Forse essere completamente distrutto da lui gli andrebbe bene e la cosa gli fa odiare se stesso.

Circa una mezz’ora prima Sherlock è uscito. Non ha detto dove o perché, ma Jim sa che ha preso il taxi guidato da Jeff Hope. Il criminale muove le labbra, sussurrando le parole che l’uomo deve aver detto al detective e socchiude gli occhi. Ora dovrebbero aver raggiunto il luogo definito e Hope dovrebbe aver tirato fuori le due pillole, esponendo il piccolo gioco architettato da Moriarty.  

(In ogni caso, Sebastian si trova nell’edificio opposto, pronto ad intervenire. Jim ha già chiesto al suo cecchino di non dirgli se ha dovuto uccidere il tassista. Non vuole sapere se Sherlock ha avuto bisogno del suo aiuto, l’idea che egli possa deluderlo è abbastanza da fargli venire la nausea.)

Nonostante non abbia alcun motivo per essere nervoso – Sherlock sopravvivrà, in un modo o nell’altro – non riesce a rilassarsi. Ha bisogno di una sigaretta. 

***

Non vi è alcuna traccia di fumo o di cenere nella stanza quando il detective torna a casa.

Sherlock è eccitato, pieno di quella adrenalina che può essere provocata solo da un incontro ravvicinato con la morte ed a quella vista il criminale non può fare a meno di sorridere. 

È ancora più bello del solito.












Note dell'autore:

Ed ecco il secondo capitolo! Personalmente mi piace più del primo e mi sono divertita parecchio a scriverlo, spero che lo apprezziate anche voi! Il terzo è adesso solo plottato, quindi potrebbe volerci un po' di più, ma non voglio abbandonare questa storia. Ho però notato che, nonostante diverse persone seguano la fic, quasi nessuno l'ha recensita e boh, un piccolo parere non mi dispiacerebbe affatto, lo ammetto. Non è obbligatorio eh, ma mi piacerebbe avere qualche parere in più ;_____;
In ogni caso, ci vediamo alla prossima!
   
 
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