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Autore: Nidham    02/12/2014    1 recensioni
Cosa succede quando perdi te stesso e ritrovarti significa affacciarsi su di un mondo che non avresti mai voluto conoscere? In una Parigi a metà tra il reale e il fantastico, Alexandra si farà strada verso verità impensate, attraverso incontri affascinanti e terribili, nemici pericolosi e amici impareggiabili, fino a decidere se varcare l'ultimo cancello e accettare un destino da cui sembra non esserci scampo.
Genere: Avventura, Dark, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Mi guarda confuso e forse anche un po' sospettoso, come se pensasse ad una mia strana forma di presa in giro.

“Figurati” mormora alla fine. “L'ho fatto volentieri.”

“Ma se ti sei lamentato un sacco!”

“Mi sono lamentato perché ho rotto il naso al mio collega.”

“Non te l'ho mica chiesto io di farlo. E neanche di seguirmi, se è per quello.”

“E' un posto pericoloso” la sua voce è decisa, il tono lapidario di chi sta solo esponendo un fatto lapalissiano, anche se io non riesco ad afferrarne la credibilità.

“Non mi sembra ci sia successo niente, o sbaglio?”

“Vuoi dire che non hai avvertito una sensazione di minaccia tutto il tempo?” alza un sopracciglio, con espressione più che scettica, mentre io mi distraggo a pensare quanto sia carino mentre imita il signor Spock in versione sexy.

“No” mento spudoratamente, ma senza successo.

“Bugiarda.”

“Sono soltanto le medicine e il fatto che quella casa ha un'aria sinistra.”

“Ha un'aria sinistra perché è stregata!” prova a gettare la palla, ma non la raccolgo, così scuote la testa e aggiunge, per mantenere un barlume di credibilità: “Scherzo.”

Vorrei ribattere con un banale “lo so benissimo”, ma credo sarebbe più giusto dire “me lo auguro”, per quanto sarebbe comodo convincersi che tutta questa schifezza sia solo opera di un incantesimo, una maledizione o qualche iattura demoniaca. Metterebbe a posto un sacco di intricati pezzi del puzzle e ci permetterebbe di concentrarci sul trovare una soluzione, piuttosto che capirne le cause.

Almeno casa mia sembra un'oasi di pace e serenità dopo la visita alla villa e qualsiasi stranezza possa riservarmi non sarà mai come quelle appena affrontate.

“Non ho un cambio di abiti per te” lascio che poggi le borse sul piano dell'acquaio e armeggi nei miei mobili con più sicurezza di quanto non ne avrei io. “Non ho pensato volessi toglierti la roba polverosa.”

“La scuoterò un po' fuori e mi adatterò, tranquilla” ha già sistemato due pentole sulle piastre e si ferma prima di iniziare a pelare le patate solo per togliersi il maglione e la camicia, impedendomi implicitamente di distrarmi con pensieri banali quali radunare gli asciugamani per farmi la doccia, a meno che non immagini di trascinarlo in bagno con me.

Diavolo se ha un bel torace. È esattamente come me lo ero immaginata o forse meglio di come me lo sarei mai potuto immaginare. Ma, in fondo, si tratta solo di qualche fascia di pettorali ben tornita e una tartaruga da urlo, giusto? Niente per cui andare in deliquio, quindi adesso smetterò di fissarlo come un'adolescente scema e mi concentrerò sul piano di battaglia: doccia, cibo, ispettore. Non c'è tempo per alcun tipo di imprevisto, nemmeno per quelli in jeans attillati e abbronzatura naturale.

Una volta presa questa decisione, tutto si svolge con piacevole banalità e riusciamo a portare in fondo un gustoso pasto senza essere turbati né da battibecchi né da inquietanti bizzarrie esterne.

“Sei bravo” sembro più sorpresa di quanto non vorrei, ma Gabriel non pare averci fatto caso o essersela presa a male.

“Mio padre era uno chef.”

“Anche lui...”

“E' morto da molto tempo.”

“Quindi non hai più nessuno?” vorrei aggiungere: “come me”, ma sembrerebbe ridondante.

“Ci si fa l'abitudine.”

Lo spero. Per quanto mi riguarda è impossibile sentire la mancanza di qualcosa che non conosco, o almeno è quello di cui voglio convincermi, anche se so bene di star mentendo a me stessa non meno di quanto mi abbia appena mentito lui.

“Come sono morti?”

“Un incidente. Prima mio padre e poi mia madre” è talmente abituato all'idea che il suo sguardo si fa totalmente gelido e distante, mentre lo racconta, e la sua mano stringe con tanta forza la forchetta da farmi temere di vederci impressa l'orma della sua mano, appena disserrerà la presa. Come temevo, non ci si abitua mai ad essere soli, è insisto nella nostra natura, siamo animali sociali. D'altra parte, non ci si può neanche piangere costantemente addosso e ammiro lo sforzo che fa per non abbattersi.

“Sembra un destino” sdrammatizzare sarebbe inappropriato, ma compiangerlo sarebbe offensivo.

“Già.”

E' più telegrafico del solito e non me la sento di biasimarlo. Per fortuna il trillo del campanello mi distoglie dalla morbosa curiosità di scoprire qualche altro dettaglio.

È Jasmine.

“Forse non dovrei farmi trovare” propone Gabriel.

“Perché? Hai paura di conoscere i miei amici? Mi nascondi qualcosa?”

“No che diamine” si infila in fretta la maglia, incurante dei capelli ancora umidi dopo la doccia veloce fatta prima di pranzo. “Possibile che ti fidi ancora così poco di me?”

Il lieve bussare alla porta mi impedisce di rispondergli. Jas ha il solito aspetto bizzarro di ieri sera, anche se adesso non indossa troppa chincaglieria. Sembra passata una vita dal nostro ultimo incontro, anche se, impossibilmente, si tratta solo di poche ore.

“Ciao” inizia, stringendomi in un abbraccio leggero. “Speravo di... oh! Hai compagnia?”

Il tono è a metà tra il divertito e il preoccupato, è evidente che non conosca Gabriel, ma lo trovi particolarmente interessante. Non posso dire di non comprenderla.

Procedo alle presentazioni, prima di ricevere un colpo sulle costole e un bisbiglio cospiratorio: “Carino!” fa con malizia, senza staccargli gli occhi di dosso.

“Sì, è carino” concedo. “Ma non farti strane idee, non ci siamo neanche mai baciati.”

“Perché no, Gabriel?”

La domanda, così diretta, coglie entrambi di sorpresa e ci ritroviamo a boccheggiare imbarazzati, finendo per confondere le nostre risposte nello stesso istante.

“Perché è uno spiantato!”

“Perché continua a ripeterlo!”

“Ha anche un brutto carattere” continuo, mentre mi fissa con sguardo sempre più simile alla lama di un pugnale. “Ma in fondo è un cucciolo.”

“Cosa?” la sua voce indignata non ci sfiora nemmeno.

“L'importante è che non sia violento.”

“Beh, un po' lo è, ma forse metterà la testa a posto. Pensa che deve fare un colloquio per lavorare nella stessa banca di Phlippe.”

“Davvero? Potremmo metterci una buona parola.”

“Sì, se ottenesse quel posto, potrebbe diventare quasi papabile” mi sembra di fare un tuffo in un ignoto passato, quando conversazioni del genere erano di routine; è piacevolmente normale e rilassante. Forse dovrei limitarmi a questo, almeno finché non starò bene; forse dovrei semplicemente riprendere le fila della mia vita quotidiana e monotona, dimenticando case pseudo stregate e pittori pazzi con quadri allucinati di soggetti pazzi. Sembrerebbe l'idea del secolo, finché non sento: “Non parlate come se non ci fossi.”

Gabriel è ancora qui, palesemente imbarazzato, e mentre io gli faccio cenno di tacere con la mano, non posso dimenticare né lui, né tutta una porzione di verità che non ha niente di ordinario, ma che fa comunque parte della mia vita, non voluta, non comoda, ma inevitabile, perché sono quasi sicura che me la ritroverei addosso nel momento meno opportuno e senza essere pronta a combatterla.

E poi c'è anche quella fastidiosa sensazione che provo ogni volta in cui penso di mandarlo al diavolo e giudicarlo un semplice svitato: dispiacere, rimpianto e un filo di paura, come se solo questo strambo principe azzurro senza cavallo, mantello o castello col tesoro potesse farmi da scudo contro un destino di cui rifiuto di ammettere l'esistenza. Alla luce di fatti obiettivi, mi sto solo prendendo una cotta stratosferica, ma speravo di aver superato l'adolescenza e il suo costante bisogno di tinteggiare ogni tempesta emotiva con romantiche tinte pastello. Gabriel è sexy, confusamente premuroso e ha quell'alone di storia tormentata alle spalle che lo renderebbe irresistibile per qualsiasi donna; io sono single, spaventata, anche se non lo ammetterò mai neanche sotto tortura, vulnerabile e sessualmente provata da vari farmaci più o meno sperimentali: il risultato è quasi ovvio. Forse dovrei solo saltare il fossato, soddisfare il mio corpo e non pensarci troppo, in fondo andarci a letto non significherebbe sposarlo, ma così mi sembrerebbe di sciupare e minimizzare qualcosa che di superficiale e frivolo non ha nulla.

Uffa, quanti problemi!

“Volevo invitarti a pranzo, ma vedo che avete già provveduto” Jasmine è ancora con noi, giusto.

“Sì, scusami” anche per essermi momentaneamente dimenticata della tua presenza, dovrei aggiungere. “Siamo tornati dalla villa da poco e poi dovrò incontrare l'ispettore, non ho pensato a chiamarti, è stato tutto molto confuso.”

“Come alla villa? Non ci saresti dovuta andare!”

“Ecco” ne approfitta subito l'altro paranoico. “Finalmente un commento sensato.”

“Certo che dovevo andarci. Anzi, non ho ancora controllato quello che abbiamo portato via.”

Tiro fuori la catenina, il barattolo di vernice, la frusta, che alla fine avevo infilato nella borsa, e il libro sui tarocchi.

“Quello quando l'hai preso?” Gabriel sgrana gli occhi e arriccia il naso, non so se per la polvere o per lo schifo d'odore che sale da questa roba. Sembra anche più penetrante adesso, probabilmente perché nella villa si confondeva con quello pesante e malsano di tutti gli altri ambienti e non ci facevamo più tanto caso.

“Mentre tu eri impegnato a togliere le assi dal pavimento.”

“Santo cielo!” mormora Jas. “Tutti questi oggetti emanano un'aura di dolore e crudeltà indescrivibile.”

Si è avvicinata al tavolo, ma sembra abbia paura di sfiorarli.

“Questa vernice dovrei consegnarla ai gendarmi” ignoro le sue fantasie. “Magari potranno ricavarne qualcosa.”

“Io non credo” Gabriel prende il barattolo, stando attento a non sporcarsi, ma rischia di lasciarlo cadere quando Jas fa un salto repentino per allontanarsi da lui, che l'aveva appena sfiorata col gomito, quasi si fosse bruciata con un tizzone ardente. È pallida come un cencio e lo fissa come fosse un fantasma o un mostro, portandosi una mano tremante alla bocca per trattenersi dal gridare.

Io sono quantomeno perplessa, mentre Gabriel non perde la compostezza e si limita a guardarla con espressione neutra.

“Va tutto bene?” dice anche, senza nessun segno di nervosismo nella voce, mentre quella di Jas è flebile e atona nel rispondergli.

“Abbastanza credo, scusami...”

“Va tutto bene, Jasmine” questa volta non è una domanda e la sua voce ha una risonanza strana e magnetica, quasi come quella di Gandalf ne Il signore degli anelli, quando cerca di imporre la propria volontà al Balrog.

“Non provare a ipnotizzarla” cerco di allentare la tensione e Jas sembra grata del mio intervento perché sbatte gli occhi, si volta verso di me e riacquista il solito tono scanzonato, anche se il suo volto rimane teso e bianchiccio.

“Perché, è anche in grado di ipnotizzare?”

“No, ma gli piacerebbe.”

“E come fai a essere sicura di non esserci andata a letto?”

“Perché...” inizia lui, ma lo interrompo.

“Perché non ci siamo mai neanche baciati.”

“Ecco, esattamente quello che volevo dire io. E suona sempre peggio, man mano che lo sento.”

La tensione si è un po' smorzata, ma vedo bene che Jas è sulle spine, non so se per la voglia di dirmi qualcosa o di levare le tende. Che può essersi immaginata, toccando Gabriel? Che razza di fantasia da chiromante l'ha sconvolta? Provo a incrociare il suo sguardo, ma lo tiene ostinatamente rivolto a terra e quasi si catapulta sul telefono, al primo squillo, pur di avere una scusa per allontanarsi da noi.

“Pronto?”

E' un po' strano avere una segretaria.

“Sì, gliela passo subito” poi, con una mano sulla cornetta. “Dice di essere tuo nonno.”

Alzo gli occhi al cielo.

“Sì?”

“Alexandra? Con chi ho parlato prima?” ecco qua il mio parente preferito, nonché unico, in tutta la sua dolce simpatia.

“Un'amica, non preoccuparti. A che devo il piacere?”

“Ho prenotato il volo, atterrerò al De Gaulle domattina alle 10.00.”

“Che bello” cerco di moderare il sarcasmo, ma forse ho sprecato energie, perché non sembra lo percepisca comunque.

“E' necessario.”

“E io ironica.”

“Ospitale come tua madre” ora l'ho fatto irritare.

“Non è che tu finga una particolare affezione nei miei confronti, visto che vieni qui solo perché è necessario.”

“Qualcuno deve raccontarti come sono andate le cose e non c'è più nessuno della tua famiglia.”

“Quali cose?” ignoro palesemente l'inutile stilettata che mi dà, rimarcando la mia solitudine.

“Quelle successe prima dell'incidente, chi sei...”

“Ma tu non lo sai! Non sai niente di me.”

“So più di quanto tu creda e di certo più di quanto tu sappia al momento attuale.”

Credevo che l'accento italiano potesse essere affascinante, ma il suo continua a essere solo irritante.

“E poi devo riconsegnarti il DVD che mi avevi spedito.”

“D'accordo, d'accordo, non ricominciamo daccapo. Avevo già accettato la tua visita.”

Mentre lo dico, stringo forte la cornetta per impedirmi di scagliarla dall'altra parte della stanza.

“Calmati Alex” mi sussurra Gabriel, avvicinandosi per massaggiarmi le spalle; il suo tocco è deciso e delicato e riesce a sciogliere subito il groppo di tensione che mi bloccava il collo, come un collare ortopedico di ferro.

“Di chi è questa voce?” in compenso il nonno si impegna molto per vanificare quel gradevole risultato. “C'è un uomo con te?”

“Sì, è un amico” non mi sto giustificando, sto solo innalzando barriere di carta tra ciò che il mio cuore desidera e ciò che la mia razionalità vuole continui ad essere la verità: a volte dare un nome a qualcosa fa miracoli.

“Che indecenza!”

“Se ti avessi detto che è il mio amante che avresti fatto?” pessima scelta di parole, per me, non per la sensibilità di mio nonno, di cui non mi importa un tubo.

“Alexandra sei mia nipote e non tollero che tu tenga atteggiamenti immorali e...”

“Se per te sono indecente non venire!” riattacco con un sonoro “vaffanculo” che, però, lascio uscire solo dopo aver interrotto la comunicazione, non per una forma intrinseca di rispetto, ma solo per errato calcolo dei tempi.

“Un bel tipo tuo nonno” almeno pare che Jas si sia distratta e abbia ritrovato un po' di compostezza, nonché di colore. “Magari si dimostrerà meno scorbutico quando potrà parlarti di persona.”

“Ne dubito.”

“Come si chiama?” chiede Gabriel.

L'assurdo è che devo pensarci per qualche secondo, peggio che se si trattasse di un tizio rimorchiato per caso in un bar.

“Valeri” mi sovviene poi. “Leonardo Valeri.”

Quel nome non deve essergli sconosciuto, ma, in fondo, era anche il cognome di mio padre e potrei averglielo detto in passato; anzi, ora che mi sovviene, è ben strano che io, invece, porti quello di mia madre, come se i miei non fossero stati sposati o io fossi una figlia illegittima.

“Tu quanti anni hai Gabriel?” Jasmine ha ricominciato a guardarlo e si è anche avvicinata, seppure con fare titubante. “Posso farti le carte.”

“No” è lapidario. “E ho 31 anni.”

“Diavolo!” non riesco a trattenermi. “Sei vecchio per essere disoccupato.”

“Ho fatto vari lavori” si schernisce. “E ho due lauree.”

“Due lauree? Accidenti, io devo ancora prendere la prima” la mia amica sembra piacevolmente sorpresa, mentre io sono solo allibita. Ancora non mi ero neppure riconciliata col fatto che ne avesse una, figuriamoci due.

“Mi sono laureato prima in Scienze economiche alla Sorbonne e poi in legge, avanza tempo.”

“E' proprio da sposare” mi fa sogghignando Jas.

“Non corriamo; avrà anche un buon curriculum di studi, ma è comunque disoccupato e quasi non lo conosco.”

“Sì, ma è dannatamente carino. Magari potresti solo portartelo a letto e poi vedere come vanno le cose.”

Come diavolo ha fatto a leggermi nella mente? È davvero una sensitiva o ho ben scritto in faccia i miei pensieri?

“E' un'idea che mi ha sfiorato” cerco di apparire scherzosa. “Ma non credi sia rischiosa?”

“Ehi!” ci interrompe con voce roboante e aria imbarazzata. “Guardate che vi sento.”

“Allora non ascoltare! Comunque stiamo perdendo tempo. Senti” mi rivolgo a Jasmine. “Hai mai visto un simbolo come questo?”

Le indico il coperchio del barattolo di vernice.

“Santo cielo, sì! Ce l'ho su un libro di magia nera.”

“Come questo?” le porgo il libro di Morel, ma non lo prende, si limita a osservarlo con un misto di eccitazione, panico e sorpresa.

“Non è una riproduzione” mormora alla fine. “Questo è un libro rarissimo. Varrà migliaia di euro e anche le copie che ho trovato su internet sono rare e costano un sacco di soldi. Non avrei mai creduto di vederne uno da vicino.”

Dopo le migliaia di euro mi sono completamente persa.

“Non ti ha ascoltato” la interrompe infatti Gabriel, fissandomi con aria consapevole. “Alex, quel libro non è nostro, non potrai rivenderlo.”

“Magari se trovassimo il ricettatore di Emile...”

“Non farei mai affari con un tipo del genere e non venderei mai un libro di occultismo, a nessuno” questa volta non sta scherzando, né giocando. Crede fermamente in quello che dice e nella pericolosità di quello che mi ero proposta di fare.

“Via, sono solo superstizioni!”

“No, non è così” mi contraddice Jas. “Quel libro nasconde segreti oscuri e si racconta che permetta anche di fare patti con i demoni.”

“A me sembra solo un insieme di stupidaggini sulla lettura dei tarocchi” difficile combattere due svitati, quando si alleano.

“I tarocchi non sono sciocchezze.”

“No, certo. Ti fanno guadagnare dei soldi, quindi hanno la loro utilità.”

“A parte questo, permettono di vedere il futuro e anche di interpretare il passato.”

“Se avessi saputo il futuro, non sarei rimasta coinvolta in un incidente e non sarebbero morte dodici persone, compreso Emile.”

“Io te l'avevo detto” che frase odiosa. “Ti avevo avvertita che c'era un'atmosfera nefasta intorno a lui e ai suoi quadri e che potevano derivarne solo orrore e disastro, ma tu continuavi a non credermi.”

“Lei è bravissima nell'arte della negazione” conferma Gabriel. “E forse è un bene.”

“Senti, tu, se vuoi riuscire a baciarmi non stai usando la tattica giusta.”

“Già, c'è sempre quel piccolo dettaglio da sistemare” sorride, mentre lo dice, e improvvisamente desidero che la mia amica sia in qualsiasi altro posto, ma non qui.

“Volete vi lasci soli?”

Mi chiedo con orrore se non abbia espresso il mio pensiero a voce alta.

“No, grazie. Ma vorrei mi dicessi cosa sai su quel segno. Ci siamo distratti e non hai finito di spiegare” spero solo di non essere arrossita, perché mi sento come una liceale al primo appuntamento e ho un'imbarazzante sensazione di calore al volto che spero non si rifletta in nessun segno visibile.

“E' un simbolo particolare, atipico anche per la magia. Vedi? Sembra un pentacolo, quindi potrebbe indicare protezione, ma le punte degli angoli sono leggermente ondulate, quasi a formare un cerchio o una spirale, espressione dell'infinito, dell'Universo, con significati contraddittori: se il disegno ruota in senso orario esprime crescita, espansione, sviluppo; se però ruota in senso antiorario, come questo, ha un'accezione negativa e simboleggia un'involuzione dell'energia che collassa su se stessa, in senso distruttivo, quasi fosse un labirinto privo di uscita. Di solito la spirale, però, viene rappresentata con tre vertici, non con cinque. Secondo il mio libro si tratta solo di una variazione sul tema, ma non si sofferma troppo a studiarla. Ipotizza si tratti di un segno per incanalare energia in un oggetto o un ambiente. Ad ogni modo, io credo non si tratti di niente di buono.”

Visto che se ne sta sopra a quel malefico barattolo di vernice, non posso darle torto e anche Gabriel, rinfrancato dalla presenza di qualcuno capace di tirar fuori più sciocchezze di lui, si limita a ascoltare in silenzio quella spiegazione, dando ad intendere di non trovarla del tutto insensata.

“Ti ho mai detto se Emile si fosse unito a qualche setta?”

“No, ma cercavi di non parlare più di lui, soprattutto negli ultimi giorni. Dicevi solo che era stanco e che speravi passasse in fretta il periodo della mostra, perché sembrava agitarlo più del solito, ma mi rassicuravi attribuendo tutto alla normale stramberia degli artisti.”

Annuisco, ma sono sempre più convinta che il mio amico si sia ritrovato il cervello fritto da un mix micidiale di droghe e sollecitazioni esoteriche. Probabilmente avrei dovuto stare più attenta alle sue paranoie e non liquidarle come semplici deliri, forse avrei potuto impormi di più sulle sue fantasie, ma ora come ora non posso saperlo con certezza e rimuginare su una mia possibile responsabilità nell'aggravarsi della sua follia non potrà che deprimermi e angosciarmi.

“Esatto” Gabriel mi stringe la mano, quasi avesse letto nella mia mente, o sul mio volto, il preciso affastellarsi delle mie preoccupazioni. “Fidati, io ricordo tutto e non avresti potuto fare di più per lui, te l'ho detto.”

“Che carino” Jasmine lo guarda estasiata. “Quando abbandona quell'aria corrucciata sembra quasi adatto a lavorare davvero in banca.”

“Io ce lo vedo poco, ma spero che stare in un ambiente di persone calme e razionali lo aiuti a maturare un po'. A 31 anni sarebbe anche l'ora.”

“Ne dimostra meno.”

“Vero? Ha quell'aria così da cucciolo!”

Sento la sua mano sempre più rigida nella mia, che non ha ancora lasciato e che non ho nessuna voglia di fargli lasciare, mentre bofonchia tra sé una specie di mantra: “Respira, Gabriel, respira. Ricordati cosa ti hanno insegnato, domina, non essere dominato.”

Rido e mi accorgo di averne avuto un enorme bisogno, mentre lo immagino stipato in uno di quei cubicoli di vetro, con davanti la classica vecchietta rompipalle intenta a sputacchiare commenti inopportuni e obiezioni assurde, mentre cerca di resistere all'impulso di ucciderla.

“Smettila di farti filmini su di me” mi rimprovera.

“Dovrei farli su quell'altro mio spasimante, il signor De la roche?”

“Ti sei ricordata di lui? Incredibile” la mia amica è elettrizzata. “Dovevo immaginarlo che 12 milioni di euro avrebbero avuto la meglio anche sull'amnesia.”

“12?” non riesco neanche a pronunciarlo. “12 milioni?”

“Come minimo. Avevi chiesto a Philippe di fare una stima di quell'uomo, quando ha iniziato a interessarsi a te, e non credo che abbia soldi solo alla BNP.”

“Alla faccia del segreto professionale! Alex, ascoltami” Gabriel sembra rendersi conto di quanto sia difficile pretenderlo, perché mi afferra per le spalle e mi fa girare di peso verso di lui, mentre l'immagine di sacche e sacche di pezzi da 500 euro mi appanna la vista. “Quello che ti ho detto su di lui non cambia. Sapevi che era ricco, no?”

“Non fino a 12 milioni.”

“Non valgono i rischi che correresti con lui.”

“E' un mafioso?” Jasmine è a metà tra il preoccupato e l'eccitato. Tutte queste novità misteriose sembrano emozionarla fuori misura. Ad ogni modo ha avuto il mio stesso dubbio, si vede che siamo amiche.

“Non lo so, ma di certo ha contatti in quell'ambiente e non sono tra i peggiori.”

“Secondo me, lo dici solo perché sei geloso e non vuoi che Alex vada da lui” continua a stuzzicarlo.

“E se fosse?”

Un momento, stiamo ancora scherzando o questa risposta ha un tono un po' troppo serio per essere ignorata? Dannazione a Jasmine e alle sue frecciatine, non so se ho voglia di spingere le cose tanto in là così in fretta. Devo assolutamente rimediare.

“Se fosse così, dovresti essere sincero.”

E devo chiuderle il becco, maledizione.

“Potrei anche essere geloso” mi guarda storto. “Anche se non ti ho ancora baciata!”

Perché continua a pronunciare quella parola? E perché io continuo a fissargli quella dannatissima bocca imbronciata, perfettamente modellata per attrarmi e farmi impazzire.

“Volete che me ne vada?” il tono scherzoso si è fatto titubante e impacciato.

“E' un po' troppo tardi Jas” mi scopro a pensare, mentre i miei occhi, cercando salvezza, finiscono solo per perdersi nella prigione azzurra che è diventata lo sguardo di Gabriel, pericolosamente serio, adesso, mentre si avvicina di un altro passo a me, deciso e esitante allo stesso tempo, crepitante di energia caotica e travolgente come un fiume in piena, a malapena contenuta da un ultimo barlume di coscienza.

“E' un po' troppo tardi” ripeto a me stessa, mentre guardo il suo volto chinarsi sul mio con esasperante lentezza, permettendomi di fuggire, ma costringendomi anche a inebriarmi per un tempo infinito del suo odore e del suo calore, così forti, così caldi da bruciarmi sulle guance in una carezza di fiato che mi fa vibrare l'anima e tremare le gambe.

Il suono ovattato della porta che si chiude mi riporta alla ragione.

Jas non è più nella stanza, o forse dovrei dire nell'appartamento.

“Dove diavolo è andata?” volto la testa, sollevata e delusa da quell'interruzione, ma non riesco ancora a trovare la forza per allontanare il resto del corpo da quello che è allo stesso tempo ancora di salvezza e baratro di perdizione.

“Credo si sia sentita in imbarazzo.”

“Perché mai?”

“Non lo so” è di nuovo irritato. “Non ti ho neanche baciato.”

“Già” mi sento stranamente timida nel dirlo, forse perché avrei voluto poter dare una risposta diversa, o forse perché avrei voluto non volerlo.

“Già” ripete con un ringhio.

“Grazie” mormoro senza sapere neppure io il perché; potrebbe essere per non aver approfittato della situazione o per non essersi arrabbiato troppo quando ho rovinato la situazione, o perché continua a tenermi le mani sulle spalle come se anche lui non trovasse la forza di districarsi da questa dannata situazione. Ok è un marasma di ripetizioni e se questo fosse il tema consegnatomi da uno dei miei studenti gli affibbierei un bel insufficiente abbondantemente motivato, ma sembra che la mia mente si sia arenata in quest'attimo sospeso tra ciò che l'istinto pensa sia giusto fare e ciò che entrambi i protagonisti della vicenda non ritengono sia opportuno lasciar succedere, quindi non ho davvero modo di preoccuparmi di problemi di grammatica.

“Smettila di ringraziarmi, e poi per cosa?”

Giusto una delle mille domande per cui non ho risposta.

“D'accordo” dico solo, provando a non iperventilare. “Vuoi qualche consiglio per domani?”

Il sottinteso “sto cercando di cambiare argomento, ma sappi che non ti è permesso non ottenere quel lavoro, a questo punto” aleggia tra noi con invisibile, ma possente vigore.

“Mi farebbe comodo” mi concede, spostando la mano al lato del mio volto, così piccolo mentre si perde completamente nel suo palmo, in un tocco che è più di una carezza e meno di un avance, e che, probabilmente, è solo il tentativo fallito di smettere di sfiorarmi.

“Sii rispettoso.”

Mi guarda in silenzio, inarcando un sopracciglio.

“Tutto qui? Sii rispettoso?”

“Io non ricordo il mio colloquio di lavoro e comunque ho ottenuto un posto che, a quanto pare, detesto con tutta l'anima, quindi non puoi aspettarti grandi lezioni.”

Credo voglia protestare o prendermi in giro, ma all'improvviso, dopo che la relativa calma delle ultime ore mi aveva fatto abbassare la guardia e quasi credere che le stranezze fossero storia del passato, un gelo penetrante e doloroso mi attanaglia le viscere, condensando il mio fiato in una nuvoletta glaciale e facendomi rabbrividire.

Vorrei imprecare, ma le braccia di Gabriel si stringono con prepotenza intorno a me, creando un impenetrabile, accogliente rifugio, in cui sono felice di rannicchiarmi e dimenticarmi, per un attimo, della mia posa da dura senza timori. So che è impossibile, ma giurerei di avvertire un leggero sussurro, intorno a noi, un bisbiglio basso e malevolo privo di senso, ma non di intenzione, come una minaccia in lingua straniera di cui non si comprenda il significato, ma si intuisca bene il fine.

È assolutamente folle, come lo è anche il passaggio repentino da una temperatura accogliente a una siberiana, in una stanza piccola, con il riscaldamento acceso e la finestra chiusa.

Vorrei riflettere e trovare una buona giustificazione, ma ogni centimetro del mio corpo, per fortuna pochi, non a contatto con Gabriel sembra bruciare di freddo e perdere pericolosamente sensibilità, tanto che mi ritrovo a battere i denti e tremare, incapace di formulare una sola scusa razionale per tutto questa faccenda, nonostante la sicurezza datami dall'abbraccio irremovibile del mio compagno, la cui attenzione è divisa tra il proteggermi da qualche incomprensibile pericolo e minacciare quel pericolo stesso, con sguardo truce e ringhio deciso.

“Gabriel” cerco di mormorare tra un brivido e l'altro, mentre un dolore intenso si fa strada nel mio petto, provando ad uscire, squarciandomi la gola. “Gabriel!”

Mi odio per il leggero panico che trasuda dalla mia invocazione, ma non ho tempo per riacquistare compostezza, perché proprio mentre credo che dovrò accantonare i dilemmi morali per concentrarmi sull'afferrare un polmone prima che esploda dalla mia cassa toracica, le sue labbra conquistano le mie in un bacio che non ha nulla di gentile o impacciato, ma brucia letteralmente via ogni traccia di gelo e di buonsenso dal mio corpo e dalla mia mente, trasportandomi in una spirale di eccitante piacere che va oltre la mia pelle e i miei sensi per confondersi con i battiti impazziti del mio cuore.
 

Seguendo i preziosi consigli della mia recensitrice (al femminile è davvero orrido e anche recensora non suona meglio -_-) di fiducia, ho rivisto e corretto il capitolo, che spero adesso sia migliore della stesura originale. Non ho eliminato il bacio... forse è un po' improvviso, ma Alex mi avrebbe odiato se avessi osato tagliarlo e non è bene farla arrabbiare ^_^ A parte le battute, è una cosa nata di getto tra i personaggi e, per adesso, ho deciso di lasciarla stare, vedremo in futuro. Grazie di tutto e spero davvero che la nuova versione vi piaccia!!

Per puro spirito di precisione, il simbolo di cui parla Jas me lo sono inventata, anche se le “credenze” sulla spirale sono quelle comuni delle storie di esoterismo ^_^

  
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