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Autore: Snow_Elk    07/12/2014    1 recensioni
“Non pensavo che sarebbe finita così, non pensavo che saremmo arrivati a questo, ma è nella mia natura. Tutto ciò che abbiamo vissuto insieme ormai fa parte del passato e tale deve rimanere, non possiamo in alcun modo capovolgere l’equilibrio di questo mondo per un nostro… capriccio. Io sono una demone, lei è una creatura della luce, non abbiamo niente in comune, mai lo avremo. Ho sempre bramato il sangue dei miei avversari, la sinfonia della morte, uccidere, uccidere per il solo gusto di farlo, ma non questa volta. Questa volta… non sento niente”
Storia scritta solo da SNOW
Genere: Drammatico, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Sovrannaturale
Capitoli:
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A Black Rose as Death

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Episodio II- Un'oscurità accecante





La Veda, la città sacra, non era mai stata così silenziosa, nonostante la battaglia, nonostante le urla, nonostante tutto e quel silenzio era opprimente, gravava su di lei come una cappa di piombo e sembrava sussurrarle i pensieri più nefasti che avesse mai potuto immaginare in vita sua. Da quando in qua si preoccupava di quelle cose? Da quando gli importava delle emozioni, di ciò che poteva provare oltre al piacere di uccidere, di bagnarsi nel sangue delle sue vittime?
Conosceva la risposta: da quando aveva incontrato Sefia, da quando i loro sguardi si erano incrociati nel campo delle Parche, contro gli Déi, contro tutto.

La Veda, un ammasso di rovine sbiadite dal tempo e annerite dalla follia della guerra, gli alti edifici in marmo bianco come l’Elisyum stesso continuavano ad innalzarsi verso il cielo, verso la volta celeste, nonostante le crepe, le profonde ferite inferte da un conflitto che aveva cambiato il mondo per sempre, ignorando le pareti crollate, i tetti decadenti, i templi abbandonati e devastati dagli scontri che si erano svolti casa per casa, strada dopo strada.
Sefia alzò la spada al cielo e da quest’ultima fuoriuscì un lampo di luce azzurro che raggiunta una certa altezza si tramutò in una sorta di cupola trasparente, che le avvolse nella sua morsa, distruggendo ciò che incontrava sul suo cammino prima di toccare terra.
- Così nessuno potrà disturbarci, questa storia riguarda solo me e te – disse, continuando a mostrare quel sorriso malinconico. Iniziava a far più male di una lama conficcata nel cuore, avrebbe voluto urlarle di smettere, ma non lo fece.
In lontananza, oltre la cupola si intravedevano i lampi violacei e accecanti, seguiti da esplosioni di ogni genere, che stavano devastando l’anima dimenticata della città, scatenando continui crolli, nubi di polvere e detriti, arrivando ad oscurare intere parti del cielo, uno spettacolo macabro, uno spettacolo che in altre circostanze avrebbe adorato come ben poche cose. Ma loro non erano lì, no, erano nella piazza del Crepuscolo, davanti al Tempio della Luce, un monumento a tutti i peccati dell’umanità, del bene e del male, non faceva alcuna differenza.

Alte colonne, immense scalinate, volte, capitelli, cornicioni con storie scolpite su di essi, cupole dorate e vetrate dai mille colori, tutto in rovina, tutto devastato. Sembrava esattamente ciò che era successo a loro, un tempo doveva essere stato affascinante, ma ora non era altro che un innocuo e decadente spettatore della loro resa di conti.
- Non pensavo sarebbe finita così. Non dopo quello che abbia passato insieme – proseguì la guerriera della luce, conficcando la spada ancestrale nella roccia consumata della piazza, con una forza che sembrava più figlia della frustrazione che della rabbia.
- Che cosa stai facendo? – le chiese, confusa, senza abbandonare la posizione d’attacco, con i muscoli tesi, il respiro pesante, le case crollate che sembravano urlarle contro tutti i suoi peccati.
- Ho fatto tutto ciò che potevo, ci ho creduto davvero, fino all’ultimo – la donna staccò il primo degli agganci dello scudo. Aveva gli occhi lucidi, ma tentava di nasconderlo in ogni modo. Quel silenzio, quel silenzio la stava uccidendo.
- Smettila, non dire queste cose… non siamo qui per parlare, siamo qui per farla finita, una volta per tutte – sibilò lei, abbassando lo sguardo e stringendo ancor più la presa intorno ai kunai.
- Non capisci, vero? Probabilmente non arriverai mai ad ammetterlo, ma dentro di te lo sai, Kikuri, dentro di te sai che ci siamo amate… e io, io ti amerò ancora, nonostante quello che accadrà oggi- gli occhi di Sefia erano velati di lacrime, mentre sganciava l’ultimo aggancio dello scudo, lasciandolo cadere con un tonfo sordo sulle pietre levigate. Era disarmata, completamente disarmata.
- Smettila, stai zitta! – le urlò contro, lanciando i kunai a terra, accettando di restare disarmata anche lei, uno scontro ad armi pari, senza usare i rispettivi poteri. Un’unica lacrima le rigò la guancia destra, bruciava più delle fiamme dell’inferno, e in quella misera gocciolina se n’era andata una parte della sua anima, sempre che ne avesse una. Si guardarono un’ultima volta negli occhi, ciò che provò l’avrebbe segnata per sempre.



- Mi dispiace, Kikuri… - Sefia partì all’attacco, sfrecciando verso di lei con una velocità inaudita e la colpì con un gancio destro dritta nel ventre, mozzandole il fiato, e al contempo alla faccia col sinistro, facendola barcollare.
Arretrò di qualche passo, leggermente stordita, ma riprese subito il controllo di sé e parando l’ennesimo gancio colpì la sua avversaria con un calcio nel fianco, facendola stramazzare a terra. Sefia si rialzò con uno scatto felino e ripartì all’attacco con ancora più foga: un altro pugno, un calcio, un montante, una schivata.
Ogni colpo parato era un colpo subito, ogni gancio assestato era una ferita auto inflitta, nessuna delle due avrebbe mai ceduto, nessuna delle due avrebbe mai permesso all’altra di sopraffarla.
Sefia evitò con agilità un suo montante e in quell’attimo di debolezza l’afferrò stringendole le braccia intorno alla vita e correndo la scaraventò contro uno degli edifici pericolanti che si affacciavano sulla piazza. L’impatto fu tremendo e la parete crollò addosso ad entrambe, ma la guerriera della luce uscì dalla nube di detriti prima di essere sepolta viva, solo per essere subito raggiunta da lei che, unendo le mani, le sferrò un colpo tremendo, facendola rotolare a terra fin contro una delle tante colonne che circondava quel luogo un tempo sacro. La piccola struttura cadde a terra come un albero abbattuto, scagliando frammenti di marmo da ogni parte.
La guerriera della luce si rialzò, pulendosi un po’ di sangue che colava giù dal labbro, ignorando i lividi e i tagli su tutto il corpo e riprese l’assalto, investendola di pugni e calci, con una violenza inaudita che non avrebbe mai pensato potesse possedere.
Tentò di difendersi, incrociando le braccia, ma la donna le sferrò una testata che la stordì sfruttando un attimo di cedimento.

Tutto accadde in pochi secondi: Sefia si avvicinò ancor di più a lei, ancora stordita, e con estrema violenza le sferrò una ginocchiata nel ventre, il dolore fu lancinante e si lasciò cadere sulle ginocchia, piegata in due per la sofferenza. Vide il suo volto, ormai diventata una maschera inespressiva e sentì il sapore dolciastro del sangue in bocca, era stato un colpo tremendo.
Non ebbe nemmeno il tempo di reagire che la giovane donna le sferrò un altro calcio, colpendola in pieno viso e facendola stramazzare a terra, strisciando contro la nuda roccia della piazza. Sputò sangue, e si contorse per il dolore, non avrebbe perso, non di nuovo. Tentò di rialzarsi ma barcollò fino a cadere nuovamente, le ferite iniziavano a farsi sentire, così come la stanchezza, ma strinse i denti e riprovò, più volte, riuscendo a tornare in piedi. I loro sguardi si incrociarono di nuovo, si osservarono, piene di lividi, sporche del proprio e del sangue altrui, con le vesti lacere,sembrava un dannato incubo, ma era tutto reale: il dolore, la sofferenza, il sangue, la foga di quella lotta meschina, tutto. Non si sarebbero mai risvegliate da quell’incubo, erano già sveglie.

La guerriera della luce ripartì all’attacco, pronta a sfruttare il vantaggio ottenuto, sferrando un gancio poderoso, ma lei lo schivò, piegandosi sulle ginocchia, per poi afferrarle il braccio e scaraventarla a terra con tutta la forza che aveva in corpo.
Sefia sgranò gli occhi per lo stupore, ma una volta attutito il colpo tentò di reagire, facendo scivolare la gamba a terra per farla cadere e riottenere una posizione di vantaggio. Ci riuscì, ma Kikuri la trascinò con sé a terra e rotolando in mezzo alla polvere e alle macerie sfociarono in una vera e propria scazzottata, nella quale i ruoli di carnefice e vittima si invertivano in una manciata di secondi, in un susseguirsi incessante di colpi sferranti con rabbia, frustrazione e amarezza.
Nel ritrovarsi nuovamente nella posizione sfavorevole Kikuri riuscì a fare leva con la gamba, scaraventando Sefia contro nell’ennesima colonna prima che quest’ultima potesse riempirla di pugni.
La donna non voleva arrendersi e nonostante l’ennesimo impatto doloroso reagì prontamente, correndo verso le proprie armi, afferrandole con determinazione:

- Adesso basta! – esclamò, ansimando.
- Si torna alle armi, dunque - sorrise, un sorriso malinconico, pulendosi il sangue sul viso con la manica lacerata del kimono. I suoi kunai erano distanti da lei, troppo distanti e non appena tentò di raggiungerli Sefia si scagliò contro di lei, colpendola con lo scudo e spedendola contro la facciata principale del Tempio della Luce, facendo crollare due colonne e una parte del cornicione. Non appena la nube si diradò non apparvero altro che macerie. La donna bianca si avvicinò tenendo alte le armi, ma in quel momento un braccio spuntò dalle macerie e l’afferrò dalle vesti, trascinandola verso il basso e non riuscendo a mantenere l’equilibrio cadde in avanti, colta di sorpresa. Si ritrovarono faccia a faccia, a pochi centimetri l’una dall’altra, lei a terra e Sefia sopra, tutt’intorno solo il silenzio.
Si fissarono a lungo, senza aprir bocca, senza muovere un muscolo, come se il tempo si fosse fermato.
Fu proprio lei a muoversi, avvicinò il proprio volto a quello della guerriera bianca e la baciò, un lungo, appassionante bacio che spazzò via tutte le sue difese, tutti i pensieri, l’intera sofferenza e tutto l’odio scaturito da quello scontro.
Per pochi istanti le loro labbra si unirono in qualcosa di cui ormai entrambe avevano dimenticato il sapore, ma fu proprio in quel momento, sfruttando quell’istante di innaturale quiete che Kikuri reagì:



- Non perderò, non questa volta, perdonami – disse, staccandosi da quel bacio blasfemo e mostrando un sorriso a metà tra il sadico e il malinconico, abbassò lentamente le spalline del kimono, lasciando le spalle nude. Quando Sefia capì cosa stava per succedere era ormai troppo tardi: le enormi ali a forma di lame fuoriuscirono dalla schiena di Kikuri dispiegandosi in tutta la loro grandezza, seguite da sibili metallici, e ben presto si scagliarono contro la guerriera, trafiggendola in più punti e spedendola giù per l’enorme scalinata del Tempio.
Kikuri uscì dalle macerie in cui era finita, mostrandosi nella sua forma completa: il kimono lacero era pervaso dall’energia del dio del Chaos , violaceo, proprio come le grandi ali dispiegate che risplendevano in modo cupo sotto la luce del sole, mostrando dei riflessi dorati nelle giunture decorate.
Nella mani i grandi kunai oscuri, cinque per ogni mano, che sembravano librarsi in aria, pronti ad essere scagliati. Gli occhi ancora più rossi, quasi color porpora, la ciocca bianca che cadeva sinuosa da sotto la rosa nera che portava legata al ferma capelli. Nera, come la sua anima. I petali di rosa cadevano leggeri tutt’attorno a lei, come fiocchi di neve bruciati.
Sefia si rialzò, tenendo una mano poggiata sulla spalla trafitta da una delle ali. Teneva un occhio chiuso per il dolore lancinante, ma era ancora in piedi, non voleva arrendersi.
- Arrenditi, Sefia, non costringermi ad ucciderti – le disse, iniziando a scendere lentamente i gradini.

- Arrendermi? Ti ho già sconfitto una volta… posso farlo di nuovo – rispose lei sfiorando per un attimo le proprie labbra con la punta delle dita, ripensando a quel bacio. Chiuse gli occhi, alzò le braccia al cielo, allungandole verso l’orizzonte e in quello stesso istante fu investita da una colonna di luce accecante.
Dalle profondità recondite del cielo otto enormi spade celesti precipitarono con una potenza fuori dal comune, conficcandosi tutt’intorno alla guerriera della luce, la quale imbracciava la spada Ancestrale che aveva ucciso gli Déi e lo scudo Divino che ne aveva bloccato gli attacchi. Dalla sua schiena spuntarono due estensioni meccaniche, che sprigionarono dei fasci di luce simili ad ali. Le otto spade si staccarono dal terreno e si posizionarono in modo circolare attorno alle signora delle lame, che nel frattempo aveva iniziato ad essere avvolta dal potere che stava alla base della luce stessa. I suoi occhi azzurri sembravano brillare di luce propria.

Ormai non c’era alcun modo di tornare indietro, entrambe si era spinte troppo in avanti, entrambe avevano sfoderato la parte più recondita e profonda del loro potere. Non vi era via di scampo, da quello scontro finale, da quella resa dei conti, solo una ne sarebbe uscita viva e sulle proprie gambe.
L’altra, privata della propria vita, non sarebbe finita all’Inferno, no, perché nell’Inferno c’erano già, e quelle stesse fiamme erano alimentate dai loro cuori, ormai persi in un’oscurità accecante.
   
 
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