NdA:
Ringrazio tantissimo chi ha scritto le recensioni, che
sono salite! XD
Non smetterò mai di ringraziarvi! ç-ç
vero94
angeli neri
sbadata93
broken93
Gufo
Grazie anche a
angie83
sbadata93
sognatrice
broken93
sunsetdream
tokiohotellina95
Ora i preferiti sono a quota sei! XD
Contenta che il vecchio capitolo vi sia piaciuto (e
dispiaciuta immensamente per l’enorme ritardo – causa scuola ç_ç), vi presento
questo nuovo capitolo! Un altro aspetto del passato di Bill sarà svelato! XD
Spero vi piaccia… Commentate!
*No Happy
Ending*
No Hope, No Love, No Glory.
No Happy Ending.
Happy Ending – Mika
Anno 2013
3. No Glory (senza gloria)
Che cosa c’è di peggio se non avere per tutta la
vita il cuore oppresso dai sensi di colpa?
Bill Kaulitz viveva così; da quanto tempo, non mi
era dato saperlo.
Lo guardai ancora una delle tante volte in cui
l’avevo fatto in questo negozio, dentro il quale eravamo chiusi da due giorni.
Nessuno veniva ad aprire, probabilmente perché la domenica era chiuso.
- Che ore sono? – chiese improvvisamente Bill,
catturando la mia attenzione.
Spostai gli occhi al mio orologio da polso. – Quasi
le dieci. –
Sospirò. Probabilmente pensava che avrebbe dovuto
star chiuso ancora molte ore prima della mattina, che gli avrebbe portato la
libertà.
Mi sistemai meglio allo scalino a cui ero appoggiata
e continuai a restare chiusa nel mio mutismo, come avevo fatto dalla mattina,
dopo che Bill mi aveva raccontato la sua storia.
Ora camminava avanti ed indietro, in quei cinque
metri quadrati, fissando i grossi anfibi che portava ai piedi. Mi sembrava così
solo che non potei fare a meno di pensare al suo passato.
Era arrivato in vetta alle classifiche, al massimo
della fama in soli tre anni. Aveva sempre avuto tutto ciò che aveva voluto,
dalla popolarità all’amore di suo fratello. Era restato sotto gli occhi del
mondo intero nel corso del 2008, facendo un tour che partiva dall’Europa e
arrivava alla mitica America.
Aveva avuto apparentemente tutto. Tutto: una parola
senza capo né fine, una parola che mi aveva sempre spaventato… Quando hai tutto
e non ti manca niente, per cosa puoi ancora vivere?
- Bill… - sussurrai.
Lui si voltò, ancora una volta con quello sguardo
desolato e stanco, ancora una volta trapassandomi il cuore.
- Cosa volevi davvero dalla tua vita? -
Abbassò gli occhi, come per raccogliere quei tratti
di ricordi e coscienza che gli rimanevano.
- Solo essere accettato per quello che ero,
dimostrare a tutti che sarei arrivato in alto anche senza dover cambiare. -
Ci fu un attimo di silenzio: pensavo che avrebbe
proseguito, invece non disse nulla.
- E non l’hai ottenuto? -
Sembrò pensarci un attimo. – Sì. –
- Ma non è bastato, giusto? -
Vidi il suo sguardo scurirsi un istante e poi
tornare opaco come sempre.
- No. – rispose, sincero – No. -
Si passò una mano tra i capelli neri, sciupati dal
dolore. Ma quale dolore? Solo quello dei sensi di colpa che lo attanagliavano?
Possibile che potessero avergli rovinato la vita in quel modo definitivo,
inesorabile?
Lui restò muto e io non osai chiedergli null’altro.
Restammo uno di fronte all’altro, lui in piedi e io
seduta, per quasi un’ora, senza pudore e vergogna di guardarci negli occhi.
Sentivo una familiarità nel suo dolore, da non capire se stessi guardando lui o
me stessa di cinque anni fa. Me stessa del 2008. Quella ragazzina illusa che si
era innamorata di Bill Kaulitz stella della musica.
Quel Bill Kaulitz non aveva niente a che fare con il
ragazzo che catturava la linea del mio sguardo e la incrociava per trovarci
qualcosa di suo, il ragazzo che ora mi stava di fronte. Questo Bill Kaulitz era
qualcosa di nuovo, qualcosa di così diverso da ciò che mi ero immaginata da
sconvolgermi.
Quel silenzio mi bastava. Avevo gridato così tante
volte il suo nome cinque anni prima, che ora ne avrei fatto facilmente a meno.
Potevo vivere, ora, tutto ciò che avevo sempre sognato: guardare il ragazzo di
cui mi ero innamorata fissare me. Me e solo me. Potevo finalmente sentirlo
rivolgermi una parola, due o tre, senza essere accomunata sotto il nome
impreciso di “fan”.
Ma nonostante tutto, solo adesso capivo che quel
ragazzo che avevo desiderato tanto conoscere non era niente in confronto a Bill
Kaulitz. Lui aveva qualcosa di mio, un istinto così familiare da farmi
rabbrividire. Potevo leggere nel suo sguardo quasi i miei stessi pensieri: i
pensieri di solitudine, angoscia, puro e inutile dolore.
E in quell’ora che passammo immobili conobbi di lui
più di quello che avevo raccolto in due anni di ricerca maniacale di
informazioni. Seppi dai suoi stessi occhi che avrebbe dato di tutto pur di
smettere di soffrire.
Io me n’ero andata dal mio paese e avevo dimenticato
tutto, per smettere di soffrire. Ma lui che cosa aveva fatto? Era indubbio che
ci avesse provato, ma come? C’era una parte di lui che ancora mi nascondeva,
una fetta della sua vita che avrei tanto desiderato veder uscire dalle sue
labbra.
- Hai qualche famigliare che sa dove ti trovi? -
Bill interruppe quel contatto intimo e prolungato,
con una frase troppo banale ed inutile ai miei occhi.
- Sì, mia sorella. E’ strano che non abbia chiamato,
visto che è un giorno che manco da casa… -
-Il cellulare non prende qui dentro. – mi prevenne
lui, perché non aprissi inutilmente la borsa.
Ricadde il silenzio. Successe perché in realtà non
erano quelle le parole che avremmo dovuto dirci.
La verità era che avremmo dovuto piangere,
finalmente liberi di farlo, gridare che il nostro dolore non aveva senso,
cercare conforto l’uno nell’altra.
Ma sapevo, dentro di me, che non l’avremmo mai
fatto.
Lo fissai ancora, perché mi era impossibile non
farlo, ma lui non cercò più di ristabilire quel contatto speciale che avevamo
trovato nei nostri occhi. Mi voltò le spalle e rimase immobile, con lo sguardo
puntato su qualcosa che io non potevo vedere.
- Bill… -
Per la seconda volta lo chiamai.
Pronunciare quel nome ed essere sicura che, per la
prima volta nella mia vita, lui lo avrebbe udito, mi faceva sentire sulla lingua un sapore aspro di rimpianto.
Lui non si voltò.
- Dimmelo, ti prego… - mormorai.
Non capii il senso delle mie parole. Restai muta a
sentirne l’eco, spiazzata dalle emozioni che mi crescevano dentro. Volevo
sapere. Sapere perché il suo sguardo fosse così carico di dolore, sapere
cos’era stato e cosa fosse in quel momento. Sapere, e basta.
Ero sicura che, anche lui, stesse ascoltando l’eco
delle mie parole.
- Cosa? – chiese, sospirando.
Mi morsi le labbra.
- Tutto… - dissi con un filo di voce, la gola chiusa
dal dolore.
Lo sentii ridere, senza alcuna felicità nella voce.
- Tutto… - ripeté.
Fece un passo avanti, verso gli abiti appesi davanti
a lui, all’altezza della vita. Appoggiò le mani sul metallo gelido. Quando
entrarono in contatto, le vidi fremere. Ma non era il freddo.
- Da quando sono nato, - disse – ho sempre solo
pensato a me stesso. -
La frase mi spiazzò. Cercai di replicare, ma
m’interruppe subito con un gesto. Si accasciò più profondamente
sull’appendiabiti in metallo e lo vidi tremare.
- Anche quando nacquero i Tokio Hotel, io non
cambiai. – proseguì – Mi dicevo che il gruppo era mio, che era famoso grazie a
me. – la voce gli si ruppe un momento, poi riprese potenza – Nonostante questo,
io ho sempre amato mio fratello. -
Fece una pausa.
Io mi chiesi se avessi mai messo in dubbio una cosa
del genere.
- Ma il mio egocentrismo mi è costato caro. -
Senza vederlo, sapevo che stava sorridendo amaro. –
Dopo il tour europeo 2008, dopo il concerto a Oberhausen, questo mio
atteggiamento si esasperò. Nelle interviste non parlavo più nemmeno di mio
fratello, lasciavo fuori Georg e Gustav. Loro cercarono di non badarci,
pensarono che il mio atteggiamento fosse dovuto allo shock che avevo subito il
giorno del concerto, quando quelle venti persone si erano tolte la vita. –
Fece un’altra pausa.
Ogni volta il silenzio scendeva, come un sipario
invisibile. Io aspettavo che si alzasse di nuovo, che mi aprisse ancora la
scena di Bill, quel Bill che non avevo mai conosciuto.
- Quando avevamo formato il gruppo, avevamo giurato
che non ci saremmo mai divisi, che avremmo fatto musica insieme fino alla fine:
era il nostro patto.
Nel 2009, anche a causa mia, ero il più famoso nel
gruppo. Sui giornali apparivo sempre solo, nelle pose più stupide e con gli
argomenti più impensabili. Ma ero sempre solo. Pian piano, il nome Tokio Hotel
venne quasi del tutto cancellato. Al suo posto restava Bill Kaulitz. –
La sua risata mi fece rabbrividire. – A pensarlo
ora, direi che fu un’anticipazione di quello che venne dopo. –
Finalmente si girò a guardarmi.
Trasalii: le lacrime gli scendevano sulle guance
pallide, il trucco era sbavato.
Sentii il bisogno di alzarmi e stringerlo forte.
Non lo feci.
- Mio fratello me lo disse, una notte che eravamo
soli. – continuò, la voce sottile e rotta. – Me lo disse, che stavo sbagliando.
Me lo ripeté tantissime volte. Io non lo ascoltai.
Successe
un giorno, durante il rinnovo del contratto discografico. Un promoter mi disse
che se avessi voluto, c’era per me una possibilità di rinnovare il contratto
come solista.
Quando
lo disse, io non pensai. Semplicemente lo guardai un momento e mi feci dare il
foglio con le clausole, per studiarlo con calma.
-
Loro erano lì con me, in quel momento… – sussurrò, il panico nella voce e gli
occhi spalancati dall’orrore.
Io
ero impietrita a terra, senza la possibilità di muovermi, il cuore a mille.
- Quella sera, Tom entrò
nella mia stanza. Mi chiamò piano, a voce bassa, come non aveva mai fatto. Mi
disse semplicemente “Adesso basta, Bill.” Nella sua voce, sentii un disprezzo
che non avrei mai immaginato.
Se ne andarono quella
notte. Tutti e tre.
I Tokio Hotel finirono
così. –
Mi sentii morire. Fu un
attimo, ma me ne accorsi. Due anni prima, Bill aveva cercato di togliersi la
vita, glielo leggevo negli occhi. Alla fine, ne ero sicura, non ci era
riuscito.
- Mi salvò mio fratello.
– sussurrò, ormai accasciato a terra, il viso stravolto.
Una lacrima scese sulla
mia guancia: una sola, ma bastò a fargli capire che sapevo a cosa si riferiva.
- Mi lasciò un
biglietto, mi scrisse “Non farti del male”.
In quella frase cercai
di leggere una traccia dell’amore che aveva provato per me, del fratello che
era stato. Ma forse fu solo una mia illusione, fu solo quello che avrei voluto
vedere. –
Restammo in silenzio,
una volta ancora, pensando al nostro dolore, a quanto fossimo simili e allo
stesso tempo a come appartenessimo a due mondi diversi che non si sarebbero mai
incontrati.
- Bill… - mormorai, con
voce di supplica.
Lui sorrise.
- Sono stato uno
stupido. Mi sono lasciato scappare tutto ciò che era la mia più grande fortuna,
quello che distingueva la mia vita da tutte le altre. Alla fine, ho avuto solo
ciò che meritavo. -
La sua voce sicura
s’incrinò ad un tratto. – Avrei solo voluto vedere mio fratello, ancora, per
dirgli che gli voglio bene, nonostante tutto quello che ho fatto. –
Non seppi che
rispondere. Il suo dolore mi era famigliare, ma comunque estraneo. C’era
qualcosa, in tutto questo, che mi diceva che non c’entravo nulla, che la mia
strada era un’altra.
- Bill… Mi dispiace. -
Ma la banalità di quelle
parole mi colpì nel petto. Non erano abbastanza per descrivere quello che aveva
sofferto.
Mi alzai e gli andai
incontro.
Quando mi piegai su di
lui, ripensai a cinque anni prima, quando, di fronte a quel poster, sognavo di
poter assaggiare le labbra perfette di Bill, un giorno, di poterlo avere per
me.
Ora, mentre mi spingevo
verso di lui e lo abbracciavo forte, cercando di trovargli dentro qualcosa che
somigliasse alla vita, non era più quello che cercavo.
Mentre lo sentivo
aggrapparsi a me, con disperazione, rabbia e frustrazione, con tutto il dolore
di cinque anni che gli pesava sulle spalle, capii che non avrei mai più cercato
in lui l’amore che avevo disperatamente provato a 18 anni.
Lo strinsi forte sulla
mia pelle, semplicemente perché sentivo dentro di lui qualcosa di così enorme
da essere capace di distruggere tutte le mie difese, un dolore così intenso da
non trovarvi un paragone. Nemmeno in me stessa.
- Grazie… - sussurrai.
Non mi capì, lo so di
certo.
Lo ringraziai perché, se
non fosse stato per quell’incontro, avrei continuato ad amare disperatamente
una persona che non esisteva, rovinandomi. Lo ringraziai perché, finalmente,
dentro di lui avevo ritrovato me stessa.
Lo ringraziai perché
lo avrei amato sempre, ma non l’avrei desiderato mai più.
In quel momento, pensai
che avevo sempre creduto che fosse il ragazzo più fortunato al mondo e che noi,
esseri umani insignificanti, non potevamo competere.
Le cose stavano
diversamente, e ora lo capivo davvero.
Mentre rimanevamo
immobili e stretti l’uno all’altro, sicuri che se ci fossimo lasciati saremmo
caduti in pezzi, pensai che Bill aveva perso la possibilità di amare, di
sperare e ora, perfino la gloria.
Quella che, anche se ti
porta via il resto, spesso rimane.
Ma Bill aveva perso
tutto.
No Glory.
Senza
Gloria.
Note finali:
Ecco, ecco… Il prossimo capitolo (già scritto, come
avevo detto in partenza) concluderà tutto.
Solo più un piccolo sforzo!
Lasciato un commentino, ok? XD
Baci a tutti…
Aki