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Autore: 1rebeccam    08/12/2014    11 recensioni
ULTIMO CAPITOLO scrisse all’inizio del foglio di word a lettere maiuscole, mosse il mouse e puntò il cursore sull’icona ‘centra’.
La scritta troneggiò al centro superiore del foglio virtuale.
Si sistemò per bene sulla poltrona di pelle e, sospirando, cominciò la fine del suo racconto.
Genere: Angst, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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Capitolo 55
 


Le porte dell’ascensore si chiudono alle sue spalle. Dal suono del campanello capisce che qualcuno dai piani superiori lo ha già richiamato. Immobile, resta a guardare la porta a vetri opacizzati, senza capire bene perché sia arrivata fin lì.
Ha semplicemente preso l’ascensore, pigiato il pulsante e senza nessun criterio ben preciso nella testa è scesa a quel piano, come se una forza fuori dal suo controllo l’avesse spinta, accompagnandola per non farla tornare indietro.
Ha cominciato ad avere quel pensiero fisso mentre faceva colazione con Alexis.
La confusione del bar l’aveva un attimo frastornata. Dopo la frenesia con cui aveva vissuto le ultime ore, non aveva fatto fatica ad  abituarsi al silenzio e al tepore della sala d’attesa completamente vuota.
Insieme all’infuso ai frutti rossi, Alexis l’aveva praticamente obbligata a mangiare una tortina alle mele, ma era riuscita a mandarne giù solo un morso, perché lo stomaco si era ribellato punendola con un’ondata di nausea che l’aveva fatta desistere. Evidentemente la teoria del dottor Travis sul sonno, vale anche per i morsi della fame: una volta oltrepassata la soglia in cui mangeresti anche una spranga di ferro, poi devi riabituarti ad alimentare il corpo.
La tisana invece l’aveva bevuta volentieri, si era lasciata inebriare dal profumo di fragole, ribes e ciliegie e quei dieci minuti con Alexis, che sorrideva sorseggiando uno schiumoso cappuccino, l’avevano ristorata e rincuorata.
Un’oretta di sonno su una scomoda sedia le era bastata per riprendere colorito e tranquillizzarsi. Avevano parlato di Jim e Martha, del dottor Travis e di come si era prodigato per Rick. Alexis non le aveva chiesto nulla, forse nemmeno lei era effettivamente pronta per sapere di Dunn e di quello che è successo dentro quel magazzino.
Il killer è morto, lei ne è uscita quasi indenne e la cosa importante al momento è che Rick reagisca all’antidoto.
Allora che cosa ci fa immobile in mezzo ad un corridoio baciato solo dalla luce artificiale dei neon?
Si massaggia il polso fasciato e stringendo le labbra, si incammina verso la quarta porta sulla sinistra. All’entrata un agente in divisa è postato di guardia. Si ferma a qualche passo da lui, ma gli occhi sono sempre fissi sulla porta.
Corruccia la fronte cercando di capire se sia un bene oppure no, assecondare quella forza sconosciuta che ancora la spinge ad essere lì.
Senza quasi rendersene conto, mostra il distintivo all’agente e fa per entrare, ma l’uomo la ferma.
-Detective, mi scusi. Ho l’ordine di non fare entrare nessuno… lo trasferiranno tra poco.-
Kate non gli risponde, si limita a guardarlo seria. Non lo conosce, ma l’agente C. Lance, questo è il nome inciso sulla targhetta, sa esattamente chi è lei e probabilmente ha partecipato alla caccia a Dunn, come gran parte delle forze di polizia in quegli ultimi giorni. Proprio il fatto di aver capito chi sia e il suo sguardo fisso, lo mettono quasi a disagio.
-Faccia presto.-
Le dice accompagnandola all’interno, con un cenno della testa.
Viene accolta solo da un tavolo di acciaio con sopra una sacca nera completamente chiusa da una cerniera. Si ferma a qualche centimetro di distanza e stringe i pugni, ma si riscuote immediatamente per il dolore che le provoca il polso. Si avvicina e con molta calma scorre la cerniera per metà, ma non la solleva.
Ancora una volta si chiede il motivo per cui si trova dentro quella stanza in obitorio, davanti al cadavere di Scott Dunn.
Ancora una volta si chiede se lo sta facendo per una specie di rivalsa nei suoi confronti, anche se adesso non ha nessuna importanza, perché lui non può vederla.
Digrigna la mascella e solleva parte della sacca scoprendone il volto. La sua espressione mostra ancora i segni delle contratture esercitate sulla muscolatura facciale per via del dolore provocato dal veleno.
-Alla fine hai avuto ragione tu. Qualcuno doveva morire…-
Il tono in cui lo dice è tagliente, non riesce a parlare in maniera naturale, come se lui fosse ancora vivo e il suo sguardo sprezzante la attraversasse da parte a parte.
Qualcuno doveva morire, ma la scia di cadaveri che si è lasciato dietro le pesano sulle spalle come una colpa. Forse si trova davanti a lui proprio per loro, per una specie di commemorazione al contrario: rendere omaggio alle sue vittime innocenti, mostrando loro l’aguzzino che gli ha tolto la vita, ridotto ad una massa corporea ormai inesistente.
Viene riscossa da due voci che si fondono insieme in una discussione accesa. L’agente Lance cerca di zittire una donna. Una voce che riconosce. Ricopre il viso di Dunn ed esce per capire che succede.
-Vi rendete conto che state urlando? Volete che vi senta tutto l’ospedale?! Jessica che diavolo ci fai qui?-
La ragazza ha il viso pallido, le occhiaie e i capelli in disordine. Nonostante siano passate ventiquattro ore dal suo rapimento è ancora provata. Tiene i pugni stretti sul bordo della vestaglia che la ricopre e quando vede Kate, sospira.
-Detective Beckett… meno male che è qui. Devo entrare lì dentro.-
-Non se ne parla nemmeno.-
Rispondono in coro Kate e l’agente Lance, che scuote la testa energicamente.
-Non può entrare nessuno, anzi adesso andate via entrambe.-
-Io devo vederlo…-
Esclama Jessica divincolandosi, pronta a sgattaiolare nella stanza, ma Kate la ferma, afferrandola per una mano. Si guardano per un istante, gli occhi di Jessica sono spalancati, arrossati e stanchi e la mano che stringe Kate è fredda come il marmo.
-Devo vederlo…-
Sussurra senza distogliere lo sguardo. Adesso la sua è solo una preghiera e Kate le lascia la mano sospirando.
-Mi prendo io la responsabilità, agente Lance.-
Dice senza nemmeno guardarlo e, senza dare retta alla sua riluttanza, spinge la ragazza dentro la stanza chiudendo la porta.
Anche lei si ferma a debita distanza dalla sacca nera sul letto di acciaio. Incrocia le dita delle mani insieme e comincia a stringerle così forte da contorcerle.
Kate si avvicina per prima alla salma, continuando a guardare in faccia la ragazza, mentre lo sguardo di Jessica è fisso sulla sagoma coperta.
-Vuoi davvero vederlo?-
La domanda di Kate la fa sussultare, la guarda deglutendo e mentre si avvicina, annuisce in silenzio, ma Kate non si muove. Guarda prima il cadavere e poi ancora lei.
-Perché sei qui Jessica?!-
La ragazza solleva lo sguardo stringendo le labbra.
-Per la stessa ragione per cui è qui anche lei.-
Kate abbassa lo sguardo, perché in effetti non ha idea del motivo per cui si trova davanti a quel cadavere.
-E’ stata con lui fino a poche ore prima, lo ha visto morire… allora perché è qui? Per essere sicura che è morto? No… lei è qui perché vuole ricordarselo. Vuole imprimersi dentro il dolore che ha causato e ricordasi la sua faccia livida.-
Jessica ha la voce tremolante, fa fatica a non piangere e probabilmente vorrebbe solo urlare. Abbassa lo sguardo e sospira, mentre Kate si sente come se le avesse gettato in faccia una secchiata di acqua fredda.
E’ per questo che è andata da Dunn? Per imprimersi il suo viso livido a causa della morte e farlo diventare parte della sua mente per non sentire il peso delle morti che non è riuscita ad evitare?
Solleva lo sguardo sulla ragazza, perché si rende conto che sta ancora parlando.
-Voglio memorizzare il suo viso. Voglio che il mio cervello non lo dimentichi per poter chiudere gli occhi e dormire ancora. Voglio poter dormire e vedere lui morto nei miei sogni e non il viso cianotico di Geraldine nei miei incubi.-
Si asciuga una paio di lacrime stizzita e riporta lo sguardo su Kate che annuisce e scosta il telo nero dal viso del killer.
Jessica digrigna la mascella e resta con lo sguardo fisso sul viso livido e deformato di Dunn.
-Quando mi ha chiuso nella cella frigorifera non riuscivo a vederlo. C’era solo la sua ombra enorme proiettata sulle pareti e sembrava… sembrava invincibile…-
Scuote la testa cercando di fermare le lacrime per la rabbia.
-Invece è un uomo qualunque ed insignificante che si è portato via la parte migliore di me…-
Le lacrime scorrono veloci sul suo viso, non riesce a fermarle e Kate ricopre il volto di Dunn, chiudendo la cerniera.
-Adesso basta. Andiamo via.-
Le mette un braccio attorno alle spalle e la accompagna in corridoio. Ringrazia l’agente Lance e senza fermarsi, si dirigono  nell’atrio.
-Grazie per non avermi impedito di vederlo.-
Le dice Jessica, dopo essersi seduta continuando a stritolarsi le dita. Kate si siede accanto a lei sporgendosi in avanti con le braccia sulle gambe.
-Avresti continuato a credere fosse l’unico modo per fare sparire i tuoi spettri.-
Jessica si volta di scatto a guardarla e socchiude le labbra stupita e anche Kate le posa gli occhi addosso.
-Non è per questo che volevi vederlo? Per poter dare fisionomia all’odio, alla rabbia, al dolore!?-
Jessica riporta lo sguardo sul pavimento senza rispondere e Kate sospira.
-Dov’è Gordon?-
-Gli ho detto che avevo voglia di gelato…-
Kate si gira a guardarla sorridendo.
-Per colazione ed in pieno inverno?!-
La ragazza solleva le spalle sistemandosi i lunghi capelli.
-Capita che restiamo con il frigo vuoto, ma non manca mai il gelato. Sa che ci faccio anche colazione. Al bar dell’ospedale non ne  hanno, sapevo che doveva uscire e perdere un po’ di tempo… farebbe qualunque cosa per compiacermi in questo momento…-
-E tu te ne approfitti!-
La ragazza si gira ancora verso di lei.
-Non mi avrebbe mai fatto venire qui da sola!-
-E avrebbe fatto bene.-
Jessica riporta lo sguardo sulle sue mani, mordendosi le labbra e Kate sospira appoggiandosi di forza alla spalliera della sedia.
-Credi davvero che questo farà sparire i tuoi incubi? Credi davvero che mentire a Gordon o allontanarlo da te perché ti fa comodo, farà sparire il tuo dolore e ti farà dimenticare Geraldine e la paura di essere stata anche tu una vittima?-
-Perché mi dice questo?-
Le chiede con la voce carica di rabbia.
-Perché per anni ho cercato di dare un volto al dolore e alla rabbia e quando ci sono riuscita non è cambiato niente. Gli spettri non spariscono. Restano sempre lì. Forse per questo anch’io ho voluto dare ancora un’occhiata al cadavere di Dunn. Per mettere la parola fine almeno con lui… e spero che riesca a farlo anche tu, dopo essere stata lì dentro.-
La sua voce è calda, un sussurro che le arriva alle orecchie senza un’intonazione ben precisa, tranne di dolcezza. Dal primo istante che l’ha incontrata, dopo la morte di Geraldine, ha capito che il cuore della detective è rotto da un dolore simile a quello che sente lei adesso, ma non ha il coraggio di indagare oltre. Sospira asciugandosi le lacrime.
-Gli spettri… come spariscono allora!?-
Le chiede cercando di non piangere e lei incastra gli occhi ai suoi.
-Nel tuo dolore sei fortunata Jessica, in due il dolore si ammortizza. Gordon ti ama. Stringiti a lui. Mostragli il tuo dolore e condividilo con lui. Proteggilo come lui protegge te.-
Jessica la guarda confusa e Kate le prende le mani, stringendogliele con forza.
-Hai ragione, farebbe qualunque cosa per te, non allontanarlo…-
La ragazza scuote la testa con veemenza, come se la cosa la terrorizzasse.
-Sarei persa in questo momento senza di lui!-
-Allora dimostraglielo! Rendilo partecipe di quello che senti, degli incubi che vengono a trovarti la notte, della rabbia che ti consuma, fagli capire perchè avevi necessità di vedere quel mostro in faccia…-
Jessica si asciuga le lacrime e sorride.
-Lei ci è riuscita con il signor Castle?-
Le chiede come fosse naturale sapere che lei e lo scrittore sono innamorati e Kate si ritrova a sorridere, annuendo.
-Ma solo dopo tanti anni e tanti sbagli. Isolare il dolore per non sentirlo porta solo a sentirlo amplificato, tanto da non dar retta a nient’altro…-
-E… e poi cos’è successo? Se posso chiederglielo!-
Balbetta imbarazzata continuando a guardarla, mentre lei resta di profilo a guardare davanti a sé in un punto imprecisato.
-E poi sono stata fortunata anche io, nel senso che il mio ammortizzatore non ha avuto vita facile con me, ma non si è arreso. E’ stato paziente e alla fine mi ha presa per sfinimento…-
La guarda sollevando un sopracciglio e riesce a farla ridere, poi tornano serie e a Kate luccicano gli occhi.
-…e non lo ringrazierò mai abbastanza per questo. E’ stato uno sfinimento che ha alleviato il mio dolore e ha allontanato i miei spettri. Mi ha salvata… in ogni senso…-
Si volta a guardarla, Jessica ha ancora il viso rigato dalle lacrime, ma sorride. Un sorriso carico di tenerezza verso di lei.
-Come sta adesso il signor Castle?-
-Lo tengono ancora sedato, almeno fino a quando la febbre non calerà. L’antidoto non ha ancora dato gli effetti sperati, ma è un uomo forte e testardo. Non la darà mai vinta a Dunn.-
Sorridono stringendosi ancora le mani. Jessica sembra più tranquilla.
-Continuerò a pregare per lui, l’ho fatto tanto in questi giorni… non so perché, ma... è come se fosse uno di famiglia.-
Kate annuisce sorridendo.
-Riesce a catturarti l’anima. Ma io sono di parte!-
Scoppiano a ridere. Kate osserva attentamente Jessica, riesce a vedere il dolore nei suoi occhi, nei suoi lineamenti, anche in quella risata che le ha disteso i tratti del viso. Riesce a vederlo solo perché lo riconosce, ma riconosce anche l’amore che le darà la forza di tornare a vivere normalmente, quel sentimento che fino a poche settimane prima definiva complicato e che adesso invece è semplice. Semplice da riconoscere e naturale da vivere.
-Dovresti tornare da Gordon, o ti si scioglie il gelato.-
Le dice facendola ridere ancora.
-Mi farà una bella lavata di capo!-
-E farai bene a incassarla in silenzio. Senza ribattere…-
Jessica annuisce e l’abbraccia d’istinto, si stringono forte e si alza.
-Mi dimettono nel pomeriggio, posso chiamarla per avere notizie del signor Castle?-
-Puoi chiamarmi per qualunque cosa e in qualsiasi momento Jessica. Ricordatelo!-
 
Dopo che Jessica Benton era tornata dal suo Gordon, era rimasta seduta nell’atrio dell’obitorio per qualche minuto, con lo sguardo fisso sul suo polso, non quello fasciato e che di tanto in tanto le inviava fitte dolorose, ma quello che per giorni era stato orfano del suo tempo, un tempo che aveva inseguito correndo senza sosta. L’orologio con il cinturino più lucido del solito, segnava adesso un tempo tranquillo, scandito dal silenzio e dall’attesa.
Aveva detto a Jessica che dare un volto al dolore e alla rabbia non avrebbe fatto sparire i suoi spettri, però sapeva anche che guardarli in faccia era l’unico modo di combatterli. Per questo era lì. Lei aveva combattuto Dunn, lo aveva guardato in faccia quando ancora poteva farle del male e voleva guardarlo in faccia ora che non avrebbe più potuto nuocere a nessuno. Poteva sembrare paradossale, ma il suo cuore si era liberato da muri, inferriate e lucchetti proprio davanti alla cattiveria di Scott Dunn. Invece di chiudersi in se stessa per proteggersi dal dolore che le aveva prospettato per ore, aveva abbattuto anche le ultime difese che teneva ancora salde, per riuscire a combatterlo.
Erano ormai le nove del mattino, ed era ora che Dunn fosse lasciato solo con il buio che lo ha accompagnato per tutta la vita. Lei invece aveva ripreso l’ascensore ed era tornata alla luce.
Si era fermata ad osservare quel piccolo mondo che le aveva descritto suo padre. Martha era di nuovo al suo posto accanto al figlio; anche il suo viso sembrava più rilassato. Vederla dormire stretta a suo padre che la teneva per le spalle, come a proteggerla, le aveva fatto tenerezza. Si erano aggrappati l’uno all’altra per combattere l’ansia. E’ davvero strano come le situazioni difficili diventano semplici e chiare con qualcuno che ti sta accanto, anche se lontano da te anni luce, quando non si dà peso al cervello, ma al cuore.
La mattina era passata così, dentro e fuori da quella stanza, in attesa che le condizioni di Castle registrassero anche un lieve cambiamento. Gli erano state iniettate altre due dosi di antidoto, una direttamente in vena, l’altra lentamente all’interno della flebo, insieme agli altri farmaci che ancora lo tenevano sedato.
All’ora di pranzo Jim si era congedato con l’intento di sbrigare una faccenda urgente di lavoro per poter poi essere libero, per qualunque eventualità.
I giornalisti piantonavano ancora l’esterno dell’edificio e i notiziari continuavano a mandare in onda degli speciali sulla vita di Scott Dunn e sulle vittime che avevano avuto la sventura di incrociare il suo cammino, puntando, alla fine, sulla storia ‘romanzata’ del killer e la musa resa viva e reale dentro le pagine di un libro.
Nel pomeriggio era andata a trovare Abraham. Come aveva detto Esposito, le sue condizioni, a parte la malattia, erano buone. Era rimasta a fargli compagnia per una decina di minuti, nonostante dormisse profondamente anche lui. Più lo guardava, più sentiva una fitta al cuore per la sorte avversa che lo aveva accompagnato per tutta la vita e che, dopo la morte del Professore, non lo avrebbe più lasciato.
Ripercorrendo il corridoio per tornare da Castle, invece di salire di quattro piani, la solita forza invisibile che le si era attaccata addosso, l’aveva spinta a salirne solo uno, senza possibilità di scelta o di tornare indietro.
La sala d’attesa era decisamente più accogliente, con colori tenui che facevano da contorno a piccole e grandi stampe appese alle pareti, che ritraevano donne con il pancione o con neonati accoccolati tra le braccia. Quella strana forza sconosciuta l’aveva accompagnata fino alla nursery, spingendola ad allungare il collo per guardare le persone in miniatura che dormivano, urlavano e si rannicchiavano dentro le culle, con le manine strette a pugno, pronte a fare a botte con la vita.
Aveva letto il nome di ognuno e finalmente in prima fila, secondo da sinistra, ecco il piccolo Robert Lowell. Le si era aperto un sorriso inaspettato quando aveva letto il nome e il peso sul cartellino azzurro attaccato sulla culla. Quattro chili e trecento grammi di bambino che dormiva tranquillo e ciucciava qualcosa di inesistente tra le labbra. Si era ritrovata perfino a mettere la mano sul vetro e a passare il dito su e giù, come se potesse realmente attirare la sua attenzione e mentre lo faceva aveva scosso la testa, perché anche questa era una cosa in cui non si riconosceva.
Nel tardo pomeriggio aveva finalmente acconsentito ad andare qualche ora a casa. Aveva fatto una lunga doccia calda, rilasciando completamente la tensione e quando si era guardata allo specchio, aveva notato piccoli lividi sparsi nei punti in cui Dunn l’aveva stretta. Si era rivestita con calma e si era distesa sul letto, non per dormire, ma per lasciarsi avvolgere dal familiare tepore del suo letto e dall’inconfondibile profumo di Rick. Aveva chiuso gli occhi lasciandosi cullare da un momento di beatitudine, prima che Esposito e Ryan passassero a prenderla, dopo l’ora di cena, per riaccompagnarla in ospedale, dove avrebbe passato la notte, dando il cambio a Martha ed Alexis.
Solo dopo mezzanotte Ryan ed Esposito si erano decisi a tornare a casa ed era finalmente rimasta sola con Castle, nel silenzio del reparto completamente deserto, a parte l’infermiere di turno completamente a loro disposizione.
Gli aveva parlato del magazzino, della colluttazione, dell’entrata in scena di Abraham e della morte di Dunn, non era però riuscita a dirgli che aveva messo le labbra sulla boccettina. Pur sapendo che era praticamente impossibile che ascoltasse davvero le sue parole, aveva comunque paura di turbarlo. Anche questa era una cosa irrazionale, ma chi poteva sapere esattamente cosa sentisse o cosa provasse nel suo stato d’incoscienza.
Ben aveva deciso di restare ad occuparsi del suo particolare paziente, restando in una delle stanze vuote e finalmente dopo ore e ore di veglia continua si era addormentato, lasciando ordine all’infermiere di controllare Castle ogni ora.
La notte era passata così, con Kate distesa su una sdraio accanto al letto, la mano intrecciata a quella di Rick, stretta sempre sullo scalpo che si era guadagnato con sudore e coraggio, senza nessun miglioramento particolare. Era riuscita ad addormentarsi soltanto a notte inoltrata, ma si era svegliata di soprassalto ancora prima che la luce dell’alba salutasse il nuovo giorno. Si era alzata a fatica, aveva controllato la fronte di Rick e aveva chiuso gli occhi deglutendo dopo aver appurato che scottava ancora. Si era diretta alla macchinetta delle bevande per prendere qualcosa di caldo, quando aveva visto la dottoressa Dobbson entrare nell’ambulatorio. Aveva lasciato il bicchiere nella macchinetta e con il cuore in gola si era avvicinata alla porta. Claire aveva lasciato il suo laboratorio, magari aveva notizie sulla salute di Rick e questo l’aveva messa in allarme. Era pronta a bussare e chiedere notizie, quando le parole dolci bisbigliate l’avevano bloccata. Si era sporta a guardare attraverso la fessura della porta poco aperta e aveva sorriso. Ben le teneva le mani sul viso e la guardava con dolcezza, il sorriso di lei era raggiante, mentre il bel dottorino le offriva un biscotto di pasta frolla alla marmellata e Kate si era sentita improvvisamente di troppo. Si era allontanata senza fare rumore, sorridendo e scuotendo la testa. Erano proprio belli insieme e doveva dirlo subito a Castle, alla fine Ben aveva ascoltato il suo consiglio, sul fatto che doveva inventarsi il momento giusto e, tra una visita e l’altra, sembra che lo avesse trovato.
Gli aveva raccontato la scena nei minimi particolari, ridendo del fatto che la sua vicinanza, l’aveva resa impicciona come lui. Per un attimo si era bloccata a guardarlo aspettandosi che scoppiasse a ridere. Aveva stretto le labbra, accarezzandogli il viso, sospirando per scacciare pensieri angusti dalla sua mente.
Prima del cambio turno, l’infermiere aveva ricontrollato i parametri di Rick ed in silenzio, come era stato per tutta la notte, aveva scritto tutto sulla cartella clinica e si era congedato, proprio mentre Ben entrava per il controllo del mattino.
Aveva uno strano sorriso sulle labbra e nonostante la stanchezza e le poche ore di sonno, sembrava pronto ad una nuova intensa e lunga giornata di lavoro.
Ah… l’amore!
-So che non sei riuscita a mandare giù niente ieri sera, ma adesso dovresti avere proprio fame…-
Le aveva porto un pacchetto e quando lo aveva aperto si era ritrovata davanti un paio di quegli stessi biscotti che aveva offerto alla bella dottoressa.
Aveva sorriso senza dire nulla, ringraziandolo solo con un cenno della testa. Ne aveva portato uno alle labbra, continuando a seguire i movimenti di Ben mentre faceva i suoi controlli su Castle. Il profumo della marmellata le era arrivato alle narici ancora prima del gusto nel palato e aveva chiuso gli occhi pregustandone il sapore… marmellata di mirtilli…
 
-Sembra meno caldo.-
Sussurra Alexis con la mano sulla fronte del padre.
-L’ho notato anch’io prima che arrivaste, ma Ben non si pronuncia, vuole aspettare i risultati dell’ultimo prelievo fatto un paio di ore fa.
La voce di Kate sembra stanca, mentre aiuta Martha a togliersi il cappotto, offrendole una sedia per sistemarsi vicino a Rick.
-Non avremmo dovuto lasciarti qui da sola tutta la notte, ma sei così testarda!-
Esclama Martha guardandola preoccupata, ma Kate scuote la testa.
-Non è la stanchezza Martha, sto bene. Vorrei solo che stesse bene anche lui.-
La donna posa lo sguardo su Rick e gli stringe la mano, sospirando.
-Prima rincorrevi il tempo e adesso il tempo non passa mai!-
Kate si gira a guardarla con una stretta alla gola. Probabilmente ha dormito poco anche lei nonostante fosse tornata a casa. Si avvicina ai piedi del letto e poggia le mani sulla testiera.
-Mi spiace Martha. Con la frenesia di trovare il veleno per me le ore sono passate veloci, per voi deve essere stato terribile restare con le mani in mano con la sola prospettiva di aspettare.-
Martha la guarda sorridendo mesta, riportando poi lo sguardo sul figlio. Con delicatezza gli passa un panno umido sul viso e sul collo e poi torna a stringergli la mano.
-E’ stato terribile per tutti e ieri ero così stretta in un vulcano di emozioni, che non sono stata capace di dimostrarti la mia gratitudine…-
Kate scuote la testa, ma Martha non le dà modo di parlare, le tende una mano e lei gliela stringe con la sua.
-So quanto ti è costata questa caccia all’uomo Katherine!-
Come fai a sopportare la mia presenza…
La colpa che si è portata addosso per tutta l’indagine, i sentimenti contrastanti che non l’hanno fatta ragionare razionalmente… Martha vede e capisce. Come ogni madre.
Gli occhi le si riempiono di lacrime, ma le ricaccia subito indietro, sorride stringendole la mano e quando la lascia torna a prendersi cura del suo Richard.
Non hanno bisogno di aggiungere altro.
Un paio di colpetti alla porta le fa girare e la dottoressa Dobbson entra salutando con un cenno del capo, abbracciando al petto la sua preziosa cartellina.
-Pensavo che il dottor Travis fosse qui.-
-Presente!-
Esclama lui alle sue spalle facendola sussultare.
-Scusa, non volevo farti paura.-
-Ma farmi venire un infarto, invece si?!-
Gli mette la cartellina tra le mani e lo guarda male.
-Sono i risultati dell’ultimo prelievo, volevo li avessi subito, per questo te li ho portati di persona.-
A quelle parole Martha si alza e insieme ad Alexis e Kate si mette intorno ai due medici, in attesa. Il dottor Travis si prende un po’ di tempo per controllare le analisi e l’ansia è visibile sul volto delle tre donne. La dottoressa Dobbson non sopporta di vederle ancora tanto preoccupate, così mette la mano su quella di Martha e le sorride.
-Stia tranquilla signora, va meglio…-
Ben la fulmina con lo sguardo e lei solleva le spalle.
-Beh… due giorni fa mi hai costretta a dare loro brutte notizie, adesso voglio dargli quelle buone. Perché ci metti tanto?-
-Perché vorrei essere certo di quello che leggo.-
La bella dottoressa sbuffa, alzando gli occhi al cielo.
-Non fare il suscettibile, che ci vuole a dire che i valori sono molto migliorati!-
Martha, Alexis e Kate li guardano pieni di apprensione e Ben fulmina di nuovo Claire, che solleva ancora le spalle e sorride.
-Sbrigati, che stanno sulle spine.-
Alexis guarda Kate con l’espressione divertita, mentre Ben si acciglia sullo sguardo innocente di Claire. Controlla le analisi ancora una volta e poi annuisce.
-La situazione ematica è migliorata, i globuli bianchi stanno diminuendo…-
Dice cambiando pagina e finalmente alza lo sguardo su ognuna di loro.
-L’organismo ha cominciato finalmente ad assorbire l’antidoto.-
Martha si porta la mano alla bocca non riuscendo a trattenere le lacrime e Alexis la tiene stretta per le spalle sorridendo, mentre Kate posa gli occhi su Rick.
-Esattamente che cosa significa Ben?-
Il medico apre la bocca, ma Claire lo batte sul tempo con un sorriso enorme.
-Che possiamo eliminare i sedativi e vedere di svegliarlo.-
Un altro sguardo fulminante la fa ridere. Si aggiusta ancora gli occhiali e incrocia gli occhi di Ben.
-Certo… solo dopo che… che lo avrà detto lui…-
Kate stringe le labbra per evitare di ridere davanti a quella scenetta buffa e tenera e si ricompone quando Ben si avvicina a Castle. Gli misura la temperatura, la segna sulla cartella medica e poi la richiude, posandola sul tavolinetto alle sue spalle.
-La febbre è diminuita, solo di qualche linea, ma è già qualcosa.-
Si gira a guardarle incrociando il loro sguardo pieno di dubbi.
-Interrompere il coma indotto non significa che tra dieci minuti si sveglierà. Possono volerci ore, potrò sciogliere la prognosi solo quando la sua mente sarà del tutto vigile. Non è ancora fuori pericolo.-
Le tre donne annuiscono insieme, Ben preme il campanello per chiamare l’infermiera e le invita ad uscire per qualche minuto.
Claire esce per ultima, ma si sporge dalla porta e gli punta il dito contro, seria.
-Patti chiari e amicizia lunga, non fare il suscettibile con me, perché potrei renderti la vita difficile, dottore!-
Chiude la porta sparendo nel corridoio e Ben guarda Rick. Sospira e scuote la testa.
-Scommetto che te la stai ridendo di cuore e magari mi stai anche ricambiando gli auguri. Mi sa che ho una bella gatta da pelare anch’io… ed è tutta colpa tua!-


Angolo di Rebecca:

Dare un volto al dolore e all'odio può davvero liberare l'anima dal loro peso?
Kate è andata da Dunn spinta da una forza a cui non ha saputo dare un perchè, ma è stato proprio il dolore di Jessica che le ha dato un motivo, contrapposto al volto dell gioia rappresentato dalla manina chiusa a pugno di una nuova vita.
Ben comincia a preoccuparsi di Claire e fa bene, la bella dottoressa è tosta!
Un grazie infinito a tutte che ancora resistete ;D
Baci!

 
  
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