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Autore: Tikal    09/12/2014    4 recensioni
Si narra che un tempo l’Impero non appartenesse affatto a re Crono: alcuni tra i sudditi più coraggiosi osano ancora sfidare il suo potere, raccontando dell’era di Zeus, l’antico sovrano che molti credono solo una leggenda.
Si dice che sotto il suo dominio l’Impero fosse giusto, che non esistessero guerre né carestie e che tutti vivessero in pace ed armonia.
Ma quel regno di pace – narrano i cantori – non era destinato a durare; Zeus e gli altri re vennero spodestati da Crono, l’Esiliato, ed uccisi.
L’impero di Crono dura da più di mezzo secolo ormai, e tutti coloro che gli si sono opposti hanno trovato la morte, o un destino peggiore di essa.
Eppure qualcosa sta cabiando, due tempestosi occhi grigi se ne sono accorti.
Una strana nave solca i mari dell’Impero e la sua bandiera non è affatto viola e oro.
Qualcosa sta cambiando; il primo pezzo dell’amuleto è stato trovato, adesso non rimane altro che trovare gli altri undici.
Il vento della rivoluzione soffia feroce sul mare, e non manca molto perché si scateni la tempesta.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I sette della Profezia, Nico di Angelo, Quasi tutti, Rachel Elizabeth Dare, Talia/Luke
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Capitolo 1
Ritardi
 
«Si può sapere dove eravate finita? Tra poco inizia la cerimonia e voi non potete affatto mancare».
«Scusa Silena, ero spiaggia, non mi sono accorta del tempo che passava…».
«Non vi dovete scusare con me, signorina,» sul viso della serva di aprì un sorriso carico di tenerezza, ma che scomparve quasi subito. «fosse per me, tutto ciò si potrebbe benissimo lasciare alle ortiche.» Sentenziò la serva mentre acconciava i capelli biondi della sua padrona; le sue labbra erano strette in una linea dura, proprio come le parole appena pronunciate.
Il cuore della ragazza dagli occhi grigi iniziò a battere più velocemente mentre si girava verso la ragazza, ancora intenta a cercare di sistemarle i capelli biondi con lo sguardo fisso a terra. «Come hai detto, Silena?» Domandò, cercando di guardare negli occhi l’altra ragazza.
Doveva ammettere che Silena era la ragazza più bella che lei avesse mai visto; non a caso sua madre, prima di venire uccisa, era considerata la donna più avvenente di tutto l’Impero.
In quel momento Silena, anche se vestita di stracci, portava onore alla madre Afrodite: capelli scuri, neri come inchiostro, lasciati sciolti sulla schiena, occhi caleidoscopici, il cui colore cambiava all’improvviso, passando dall’azzurro del cielo al marrone della terra senza che nessuno non ne rimanesse affascinato, pelle chiara, diafana e delicata che la rendeva simile ad una bambola di fine porcellana, fisico dolce e delicato, curve giuste al posto giusto.
In poche parole, Silena Bauregard era bellissima.
Peccato solo che la sua condizione di serva, costretta a sottostare al volere della sua padrona, non le permettesse di essere nient’altro che un oggetto nelle mani degli uomini.
Lei lo sapeva, Silena non era la prima costretta da Crono a vendersi a degli uomini d’alto rango in cerca di una notte di avventure, eppure non aveva mai fatto nulla per impedirlo.
«Non ho detto nulla, mia signora» mentì la ragazza, fissando una ciocca di capelli biondi della sua padrona che lei ancora teneva tra le dita.
«Sì che lo hai fatto, hai detto che…» Non finì mai la frase. Il suono delle campane distolse l’attenzione della ragazza dagli occhi grigi da Silena, che sospirò, ringraziando mentalmente per quell’interruzione.       
«Siamo in ritardo per la cerimonia!» Esclamò la bionda, alzandosi di scatto dalla sedia su cui era seduta. «Non me lo perdoneranno mai, andiamo!» Il volto della ragazza era una maschera di preoccupazione mentre si precipitava giù per le scale ancora scalza; la meticolosa ed elegante acconciatura che Silena fino a pochi istanti prima si era impegnata a intrecciare con i suoi capelli biondi si era ora trasformata in una semplice treccia sfatta, che scendeva sulla sua spalla destra mentre correva.
«Muoviti Silena!» Gridò la bionda, già arrivata alla fine delle scale, alla sua serva, rimasta impietrita davanti alla porta.
Silena si riscosse, seguendo di corsa la sua padrona fuori dalla porta e trovandola già seduta in carrozza e pronta a partire.
Senza dire nulla, la serva si accomodò sul seggiolino di fianco al cocchiere, spazzolandosi il grembiule e cercando di sistemarsi alla bell’e meglio i capelli con le mani. Non poteva fare a meno di tentare di apparire più presentabile possibile, nonostante fosse solamente una serva venduta per un pugno di monete a una delle persone più vicine agli ufficiali dell’Impero e nessuno si accorgesse mai di lei.
Si spostò distrattamente una ciocca di capelli corvini dal viso e sorrise al cocchiere, un brillante giovanotto dalla pelle color dell’ebano che di nome le pareva facesse Charles, e lui lo ricambiò dolcemente, prima di partire.
 
*
 
Per quanto assurdo potesse sembrare, erano riuscite ad arrivare in tempo per ascoltare la fine del discorso e non far notare il ritardo; appena finita l’investitura era bastato confondersi tra la folla di persone che si dirigevano alla piazza per poi distaccarsi e seguire il gruppo più piccolo formato dai nobili che si dirigeva verso il palazzo di Mr. Chase, dove l’uomo aveva dato ordine di preparare una grande festa in onore dei nuovi attendenti di Crono.
Nemmeno a dirlo, la ragazza perse quasi subito di vista la sua serva, scomparsa come al solito con qualche uomo d’alto rango stregato dalla sua bellezza.
I suoi occhi grigi vagavano sul mare di gente che danzava nella sala, cercando qualcosa di cui nemmeno lei conosceva l’esistenza e soffermandosi si tanto in tanto su un volto in particolare tra la folla, salvo poi spostare quello sguardo tempestoso su un altro volto e dimenticarlo subito dopo.
Osservava tutto ciò che accadeva: una coppia che danzava sognante al centro della pista, un uomo già ubriaco che importunava delle giovani dame, un piccolo gruppo di persone strette attorno a un giovanotto dai capelli biondi come il grano, una donna che parlava civettuola con una sua amica, discutendo probabilmente dell’ultimo gossip che aveva invaso l’Impero. E di tutto ciò, lei era spettatrice al di sopra di tutto e di tutti, passiva e distaccata.
E quindi se ne stava lì, seduta rigida e composta ai margini della sala, ad osservare quella gente che non conosceva danzare e divertirsi sotto i suoi occhi, rifiutando categoricamente ogni gentiluomo che le si avvicinava per chiederle un ballo.
«Mi dispiace, ma il mio cavaliere arriverà a momenti.» Rispondeva meccanicamente a chiunque le si avvicinasse, senza mai degnarsi di osservare i suoi pretendenti.
Sotto i suoi occhi passavano uomini e ragazzi, davanti a lei si inchinavano lord e generali, ma senza che nessuno fosse mai capace di farle puntare lo sguardo su di sé.  
Poi, all’improvviso, ma poteva essere accaduto tutto nella sua testa, ogni cosa si fermò.
Nessuno fiatava; tutti i presenti sembravano come congelati mentre, nel più religioso silenzio che in quella sala avesse mai potuto aver luogo, decine di occhi si voltarono ad osservare il nuovo venuto.
Solo un paio di occhi grigio tempesta non si posarono a scrutare il proprietario dei passi che rompevano l’innaturale silenzio che improvvisamente regnava in quella sala;
solo una testa ricoperta di boccoli biondi non si voltò verso il giovane che si faceva strada lentamente, quasi divertito, tra la folla che si apriva al suo passaggio.
La ragazza si limitò ad aggrottare le sopracciglia in modo buffo, quasi scocciata che improvvisamente tutti si fossero fermati, ma continuò a tenere lo sguardo fisso davanti a sé, come se si fosse aspettata che da un momento all’altro tutti tornassero alle loro occupazioni.
«Scusatemi, signorina, mi permettete?» I passi si fermarono di colpo, lasciando che l’unico suono che risuonasse nella sala fosse la voce limpida e calda del nuovo venuto.
«Ce ne avete messo di tempo» rispose la ragazza afferrando la mano tesa di fronte a sé. Il giovane sorrise mentre un lampo di malizia passava nei suoi occhi. Furono la prima cosa di cui si accorse: erano verdi; verdi come il mare che spesso si perdeva ad osservare per ore intere, verdi come la speranza che custodiva segretamente e che ogni giorno accudiva come un seme raro.
«Spero di potermi far perdonare del ritardo con questo ballo» scherzò il ragazzo, conducendola verso la pista, dove tutti ancora restavano immobili ad osservare quella strana coppia.
«Allora,» gridò, spazientito da tutto quel silenzio. «questa è una festa, giusto? Cos’è tutto questo silenzio?» Fu un attimo, e tutto tornò come era pochi istanti prima che entrasse. Le persone tornarono a ballare, la musica e le chiacchere riempirono di nuovo l’aria, come se quello strano ragazzo non fosse mai arrivato.
«Siete un buon ballerino» sussurrò la ragazza al giovane mentre lui la faceva volteggiare sulla pista. Lui sorrise dolcemente, afferrandola per la vita. «Ho avuto dei buoni maestri.» Rispose schivo. «E, di grazia, dove avreste imparato a ballare?» Domandò la ragazza.
«Se ve lo state chiedendo, non ho imparato a corte, poco ma sicuro» un ombra passò sul viso del giovane e, così come vi era apparsa, sparì. «Non tutti abbiamo avuto il privilegio di vivere in luoghi del genere».
La ragazza rise, afferrando la mano di lui e stringendola piano. «Questo è vero,» iniziò. «ma non credo voi siate una persona che vive in condizioni disagiate come il resto della popolazione» una muta esclamazione di sorpresa apparve sul volto del ragazzo. «Oh, credetemi, Crono e i suoi ufficiali non vogliono che si sappia in giro, ma io conosco la verità: il popolo sta male, soffre la fame. Ogni giorno, persino in questo stesso momento, da qualche parte nell’Impero centinaia di persone stanno perdendo la vita, sia a causa della fame e delle malattie, che a causa delle nostre stesse armi!» Gli occhi grigi si accesero di rabbia mentre le parole uscivano dalle sue labbra veloci e inesorabili, dure come una condanna a morte.
«Shh…» Le sussurrò il ragazzo all’orecchio, posandole gentilmente un dito sulle labbra rosse, facendole segno di non parlare di nuovo. «Non mi sembra il luogo migliore per discuterne, non credete? Non penso che a loro,» con un lieve cenno del capo indicò il gruppo di uomini ad un lato della sala, presi da un’accesa conversazione e tutti indossanti uniformi dell’esercito di Crono. «possa piacere ciò che mi stavate dicendo».  
Mentre parlava, la ragazza sentì qualcosa pungerle il fianco; gettò uno sguardo alla mano del ragazzo, ora pericolosamente vicino, e non poté fare a meno di notare lo scintillio della lama di un pugnale.
Sussultò, cercando di liberarsi, e il pugnale si avvicinò ancora di più alla sua pelle. Era in trappola.
«Andiamo» la punzecchiò il ragazzo, poggiando una mano sulle sue spalle, come per proteggerla.
Senza dare troppo nell’occhio salirono le scale, diretti alla grande balconata sul mare.
«Si può sapere dove ti eri cacciata?» Una voce familiare proveniente dalle loro spalle la face fermare di colpo, mentre nella sua mente centinaia di maledizioni iniziavano a prendere forma. «Padre!» Esordì, girandosi verso il suo interlocutore. L’uomo davanti a lei la fissava spazientito, facendo passare lo sguardo dalla figlia al ragazzo di fianco a lei.
«Io… stavo… stavo-» balbettò lei, presa in contropiede.
«Mi voleva mostrare il bellissimo panorama che si gode dalla balconata». La interruppe il ragazzo.
L’uomo aggrottò le sopracciglia, confuso. «Avete un’aria famigliare, signor…»
«Andersen. Sono Andrew Andersen, piacere di conoscervi». Il ragazzo si inchinò leggermente, senza mai smettere di fissare negli occhi l’uomo di fronte a sé. Il suo sguardo era carico di furbizia e divertimento, ma il suo interlocutore non sembrò accorgersene.
«Ci siamo mai incontrati, signor Andersen?» Domandò l’uomo, portandosi una mano al mento e grattandosi pensieroso la barba curata.
«Non riesco a riportare alla mente l’episodio in cui ci dobbiamo essere incontrati, ma mi pare di avervi già visto da qualche parte». Si interruppe un attimo, continuando a fissare l’uomo negli occhi. «Sapete, il mio lavoro si svolge principalmente per mare, è molto probabile che ci siamo incontrati in qualche porto dell’Impero.» La giovane sussultò a quelle parole. I pezzi stavano andando pian piano incastrandosi l’un l’altro.  
«Adesso però, se mi vuole scusare, continuerei la mia visita». Congedò l’uomo dai capelli biondi con una stretta di mano fugace e si girò, tornando a puntare il coltello nel fianco della ragazza senza farsi notare.    
«Sbrigatevi» le ordinò gelido. «Finché vi vedranno in mia compagnia la vostra vita è in pericolo.» Un brivido freddo percorse la schiena della bionda, che si limitò ad annuire. «Quindi sarà meglio per voi scomparire al più presto dalle scene». Concluse in un sussurro soffocato il giovane.
Se era colui che credeva, la sua vita e quella di tutti gli invitati era in grave pericolo. Non che le importasse poi così tanto che un attendente di Crono morisse, ma lì vi erano anche persone innocenti, che non meritavano di morire.
«Da questa parte» sussurrò sottovoce, indicando con un cenno del capo una porta di legno scuro davanti a loro.
Strinse i pugni, cercando di non mostrare quanto fosse nervosa, e spalancò la porta.
Odiava quella stanza con tutta sé stessa. Era lì che venivano conservati i bottini di guerra, gli oggetti sottratti agli sconfitti; non monete d’oro, forzieri di diamanti e metalli preziosi, quello no: quel genere di bottino veniva conservato da Crono nel suo palazzo. E nemmeno i prigionieri, quelli di solito venivano giustiziati o ridotti in schiavitù.
Come Silena, si ritrovò a pensare la ragazza con un brivido.
Il ragazzo si allontanò, riponendo il coltello al suo posto, e lasciò vagare lo sguardo su quei cimeli; accarezzò tristemente una spada di bronzo, appartenuta ad un pirata ucciso anni prima, mentre i suoi occhi si accendevano di rabbia.
Ricordava il proprietario di quella spada, un nobile pirata, forse uno dei più grandi che avessero mai solcato i sette mari: era stato proprio lui ad accoglierlo quando non aveva niente, dopo essere scappato in seguito alla morte dei suoi genitori; aveva ancora vivide e impresse nella sua memoria le immagini di quella terribile sera, quando quegli uomini con le spade e le pistole avevano fatto irruzione in casa sua.
Strizzò gli occhi, scacciando quei ricordi dalla sua mente, e ritornò a fissare la ragazza davanti a sé.
Era in piedi, nella stessa posizione dove l’aveva lasciata poco prima, e stringeva i pugni. Lo fissava astiosa e curiosa allo stesso tempo, mentre nei suoi occhi grigi era in atto una tempesta.
Non ne aveva mai visti, di occhi così.
Quando l’aveva vista, la prima volta, seduta in un angolo della sala ad osservare i presenti danzare e divertirsi, aveva pensato fosse semplicemente una ragazza di corte, la dama di compagnia di qualche importante signora. Eppure ne era rimasto affascinato: quel portamento altero e orgoglioso, quegli occhi tempestosi che sembravano riuscire a vedere anche dentro al cuore delle persone; era sempre stata la prima cosa che osservava in una persona, gli occhi.
Quando incontrava qualcuno per la prima volta non poteva fare a meno di fissarlo intensamente negli occhi, per cercare di capire con chi avesse a che fare.  
Gli occhi dicono tutto ciò che tu hai bisogno di sapere su qualcuno, glielo aveva insegnato suo padre da piccolo. Ma allora perché, quando il suo sguardo si specchiò in quello della ragazza, l’unica cosa che riuscì a vedere furono i suoi occhi verdi riflessi nei suoi?
«Perché mi avete portato qui?» Domandò la ragazza, stringendo i pugni. Lui non le rispose, si limitò a voltarsi di nuovo, dandole le spalle.
«Chiudi la porta.» Mormorò cupo, il tono di voce ridotto ad un sussurro.
La ragazza trasalì. «Che cosa?» Domandò cauta, sperando di aver capito male.
Le dita del ragazzo passarono sulla lama della spada, ripercorrendone di nuovo il filo con nostalgia. «Ho detto di chiudere la porta,» ripeté lievemente irritato. «ora.» aggiunse, quasi ringhiando.
La bionda non se lo fece ripetere; trepidante, chiuse la porta della stanza, lasciando fuori il rumore della festa al piano di sotto.
«Allora, cosa stavate dicendo poco fa, signorina…?»
«Chase,» rispose la ragazza, alzando il mento con aria di sfida. «il mio nome è Annabeth Chase.»
Il sorriso strafottente dell’altro si trasformò in una smorfia per poco più di un breve istante, scomparendo così come era venuto, non troppo in fretta però perché la ragazza non si accorgesse di ciò che il suo nome avesse scaturito in quel giovane. «Vorrei dire che è un piacere conoscere il vostro nome, signorina Chase, ma purtroppo non è così» disse il giovane, anche se quel sorriso sghembo dipinto sul suo volto dava alle sue parole un tono decisamente inquietante.  
«E, di grazia, perché mai il mio nome non vi va a genio?» Domandò Annabeth.
Il sorriso del ragazzo si notò anche nella penombra della stanza. «Cara Annabeth, non credo siano questi gli affari di cui volevo occuparmi. E non credo affatto che una storia di sangue e di guerra possa interessare ad una ragazza come voi.»  
In altre condizioni, Annabeth non avrebbe esitato a fare del sarcasmo, ma l’essere rinchiusa in una stanza con un ragazzo dalla discutibile sanità mentale e diversi oggetti che potevano essere utilizzati come arma a portata di mano non rientrava affatto nelle condizioni normali in cui si sarebbe potuta permettere un battuta.
Vedendo che la ragazza non rispondeva, il giovane riprese la parola: «Comunque sia, cosa stavate dicendo poco fa, Annabeth?»
La ragazza strinse i pugni, conficcandosi le unghie nella carne. Era ciò che aveva sempre temuto, il dover scegliere tra la sua famiglia e l’opportunità di cambiare, in meglio forse, la sua vita.
Suo padre aveva fatto delle scelte, sbagliate, questo era vero, ma – seppur lei non ne condividesse gli ideali – era pur sempre suo padre. Quel ragazzo rappresentava la faccia opposta della medaglia, rappresentava quella scintilla di speranza che non l’aveva mai abbandonata, nemmeno nei primi giorni di prigionia, quando suo padre ancora faticava a riconoscerla come figlia. Era ciò che da mesi sperava, quel desiderio proibito di libertà che fino ad allora si era limitata ad accarezzare timidamente nei suoi pensieri.
E adesso quel desiderio proibito era lì, davanti a lei, rappresentato da quel misterioso ragazzo dagli occhi verdi che aspettava una risposta, quella risposta che la divideva dal frutto dolce e vietato della libertà.
Poteva veramente tradire suo padre? Poteva veramente farlo, rivelare a quel ragazzo le pietose condizioni in cui versava il popolo?
Annabeth chiuse gli occhi, ponderando la pericolosità di ciò che stava per dire.
«L’Impero è malato, Crono fatica a tenere insieme tutti i pezzi a causa delle ribellioni, e lui stesso non è più l’uomo di un tempo» Le parole uscirono veloci dalle sue labbra, mentre il peso sul petto di Annabeth iniziava a scomparire. Era da tempo che sperava di dar voce a quei pensieri, anche se non si era mai immaginata di farlo in quel modo, in una stanza che sapeva di muffa, di sconfitta e di libertà rubata.
«Spiegati meglio.» Disse il ragazzo, incrociando le braccia al petto e puntando i suoi occhi verdi in quelli grigi dell’altra. La ragazza sostenne il suo sguardo, lo sguardo di chi, dopo mesi, iniziava ad intravedere una scintilla di speranza. Annabeth lo conosceva bene, quello sguardo, era lo stesso che vedeva ogni mattina allo specchio da alcuni mesi.
«Non sono propriamente sulla lista di persone che Crono riceve più volentieri, anzi, e da che sono qui l’avrò visto meno di una decina di volte. Ma ogni volta appare in pubblico sempre di meno, solo per il minimo indispensabile, e sembra sempre più malato.» Il ragazzo aggrottò la fronte a quelle parole. «In che senso malato?» domandò.
«Se ne accorgerebbe anche un idiota che Crono sta invecchiando e che non ha più la forza di un tempo» borbottò acida Annabeth.
L’altro aprì la bocca per risponderle, ma fu interrotto da un grido, proveniente dalla sala di sotto.
«Che è successo?» domandò Annabeth, guardando il ragazzo dirigersi verso la porta ed uscire sul pianerottolo per sbirciare di sotto. «Niente di buono.» Disse lui, voltandosi, con una sfumatura di irritata nella voce.
I suoi occhi si scurirono mentre parlava, la mascella contratta e i pugni tesi per cercare di trattenere la rabbia: «Mi hanno scoperto» sussurrò, non abbastanza piano perché la ragazza non lo sentisse.
«Cosa? Chi vi ha scoperto?» Annabeth stessa si sorprese della preoccupazione di cui era colma la sua voce.
«Dammi del tu, Annabeth» Il sorriso malandrino tornò ad impossessarsi per un istante delle labbra del giovane, scomparendo subito dopo.
«L’ho visto salire da questa parte!» Gridò una voce dalle scale.
La ragazza sussultò; quella era la voce di suo padre. E se Frederick Chase arrivava a interrompere una festa per intraprendere una caccia all’uomo per il palazzo il motivo poteva essere solo uno.
«Perseus Jackson
Un altro sorriso si aprì sul volto del giovane all’udire il nome pronunciato da Annabeth.
«Sono felice di sapere che conosci il mio nome» Disse lui, afferrando una spada. «Ma purtroppo credo che anche tuo padre lo conosca, quindi ti consiglio di prepararti a combattere al più presto».
 
 
Angolo Autrice

Salve gente! Vi ricordate di me?
No, non sono morta! Lo so che molti di voi lo speravano
Sappiate che sono in ansia come pochi, visto che sono praticamente due mesi e mezzo che non scrivo un angolo autrice, quindi non vi assicuro nulla. 
Lo so, lo so, vi avevo detto “Il capitolo arriverà nei prossimi giorni”, ecco, questo dovrebbe dimostrarvi che non ci si deve mai fidare di me, visto che tra la scuola, il giornalino, la nuova classe (perché tra tutte dovevano smistare proprio la mia, uffi), l’oratorio, una pila di libri da leggere, qualche idea veramente strana da buttare giù e la scoperta dei manga (qualcuno che legge Hunter x Hunter, One Piece o l’attacco dei titani? Vi prego, ditemi di sì. Amo quei manga *-*) mi sono ritrovata praticamente sommersa dalle cose da fare – credetemi, la terza superiore mi sta uccidendo – e non ho potuto continuare nessuna delle mie storie già iniziate.
Aniway, ecco a voi il primo effettivo capitolo di questa fan fiction! Sinceramente? Non mi convince molto; mi sembra tutto troppo affrettato, ma volevo far incontrare Percy e Annabeth presto e l’investitura di qualche ufficiale di Crono mi sembrava un bell’espediente. Comunque state tranquilli, anche se Annabeth in questo capitolo non sembra la solita, combattiva e irascibile ragazza, presto ritroverà il suo smacco; d’altronde, ve lo assicuro, non sarà la solita storia d’amore travagliata con sullo sfondo delle situazioni piratesche, anzi: non vedo l’ora di iniziare a scrivere di battaglie e sangue so che ve lo state chiedendo, e la risposta è sì, sono sadica e mi diverto molto. Le storie d’amore comunque ci saranno, ma voglio evitare di dargli quell’esasperazione assurda che si trova solo nei romanzi Harmony e, a parte qualche coppia già decisa, molte sono un mistero.
Per quanto riguarda Silena e Charlie – perché il ragazzo che le sorride è Beckendorf – devo fare un appunto: nessuno dei due ha mai combattuto contro Crono in qualche eventuale ribellione, ma sono stati imprigionati e ridotti in schiavitù, perché considerati poco pericolosi rispetto a altri rivoltosi e perché i loro genitori si sono battuti contro Crono.
Ho in mente un bel piano per loro due, un piano che comprende anche una OS missing moment di questa fan fiction. *Risata malefica*
Come al solito, se c’è qualche svista/errore, ditemelo che provvederò a correggere!
Ringrazio infinitamente le tre persone che hanno inserito la storia tra le preferite, quella che ricorda, le quattro persone che seguono e le due che hanno recensito <3
Scappo a leggere One Piece, prima che le note si allunghino ancora di più :’)
Tikal (sì, ho cambiato nick :3) 
   
 
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