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Autore: lilithrose98    11/12/2014    0 recensioni
Tutte le storie hanno un inizio, ma non tutte hanno una fine. Questa non è una normale storia d'amore come le altre. C'è morte e disperazione a Falldown city, e c'è anche un un'unica superstite. È solo una coincidenza? E a chi appartengono quegli occhi che da allora la perseguitano senza darle tregua?
P.s.: Non ho idea di come si evolverà la storia, per cui se recensirete sarà molto influenzante nella produzione:)
Genere: Mistero, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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~ Capitolo 1

 
"È peggio un rimpianto o un rimorso? 
Quindi pentirsi per non aver fatto o pentirsi per aver fatto qualcosa?
Ho pensato a lungo quale dei due sentimenti fosse il peggiore da sopportare.
Ma come ovviamente ci si può aspettare dalla vita, la mia domanda non ha ancora avuto risposta.
Forse, la mia natura egoistica mi fa scegliere il rimorso, perché è meglio aver fatto qualcosa che si desiderava commettere ardentemente,  anche se in seguito ci si pente.
Ma c'è anche una piccola parte di me, nascosta da qualche parte, che mi fa scegliere il rimpianto. Poiché fra il fare del male solo a me stesso o anche ad altra gente avrei dovuto preferire solo me. Quando rimpiangi qualcosa è  perché non l'hai commessa, quindi non hai coinvolto nessun altro, giusto? "



Diversi anni prima.

Fu durante l'estate dei miei 17 anni.
Non ero ancora un'adulta, ma nemmeno più una semplice ragazzina.
Non sapevo ancora cosa ne avrei fatto della mia vita, ciò che più mi preoccupava a quel tempo era se il mio trucco fosse apposto o se i miei vestiti mi facessero troppo grassa.
E l'unico pensiero di allora era quello di divertirmi.
Come se fosse un contenuto del pacchetto estate, un tutto incluso, il dovermi 'divertire'.
Non avevo ancora trovato un senso da dare alla mia vita, rimandavo sempre al giorno dopo finché i giorni non  diventarono mesi.
Non avevo un hobby, le mie giornate erano abbastanza vuote, come me.
Ero come una gigantesca scatola che poteva contenere un sacco di cose ma aveva scelto di essere vuota, anzi più che scelto non avrebbe saputo con cosa riempirla.
Le mie ore procedevano così tra feste, sballi, baci rubati di cui poi non si presentava nessun proprietario che ne richiedesse il diritto. Ma a me andava così, non volevo di più, cioè chi non avrebbe voluto alla mia età l'amore, eppure stavo bene anche così. Forse perché l'unico lato che conoscevo dell'amore era un matrimonio fallito dopo 30 di vita passata insieme.
Ma sinceramente ciò che più mi interessava era apparire davanti agli altri felice, noncurante di tutto.
E ci stavo riuscendo benissimo, finché poi non successe.
Quell'estate dei miei 17 anni.
Quell'anno in cui rischiai di perdere tutto ciò che avevo. Me stessa, la mia vita. 
L'immagine di quella notte d'estate ricompare ancora nella mia mente, spesso.
Ricordo tutto. Quell'incontro, l grida, il suono dell'ambulanza che arrivava insieme alla polizia.

"La prego signorina Moore, mi spieghi tutto dall'inizio." Era la mia prima seduta dalla psicologa.
Mia madre aveva insistito date le circostanze dell'accaduto.
E a me in realtà non importava granché. Lo faccio perché lo devo fare, mi ripetevo in testa.
Poi tutto finirà anche questo.
"Ero andata a questa festa, organizzata dai miei compagni di classe" cominciai a osservarmi intorno nella stanza.
Lo studio era accogliente, ma abbastanza piccolo.
C'erano questo divano sul quale eravamo sedute, un tavolino con molte scartoffie e una libreria.
Appeso sulla parete c'era un quadro di Van Gogh quello famoso dei girasoli .
Era una camera nella sua casa che usava per le sue sedute, chissà quanti pazzi dovevano essere venuti qui, io non sarei stata così calma fossi in lei, credo. 
"Ovviamente quando si parla di feste gli amici autoinvitano altri amici e insomma dovevamo essere un centinaio di persone alla fine. C'era un casino di gente."
"Capisco" e cominciò a scrivere su un taccuino che prese dal tavolo.
Non avevo ancora detto nulla e già scriveva, mi sentivo un po' infastidita.
"E poi c'era alcol e ammetto avevo un po' esagerato, ma non ero di certo l'unica" cercai di mettermi sulla difensiva per salvare almeno un po' della dignità che mi era rimasta. Mi fermai vedendola intenta a sfogliare quelle scartoffie sul tavolino difronte a noi.
"Continua pure, ti sto ascoltando" disse facendomii cenno con la mano di continuare. 
"E così decisi di uscire, la dentro era un vero e proprio inferno mi creda. Gente che vomitava, chi si faceva nelle vene, coppie che ..." non mi sembrava molto opportuno dire che scopavano davanti a tutti"Diciamo erano disgustose da vedere..capisca lei" e feci uno di quei sorrisi che si fanno quando provi imbarazzo.
"Ah eccola" disse quasi gridando. Prese una di quelle tante scartoffie che assomigliava più ad un documento , doveva stare scritto qualcosa su di me, infatti sulla copertina lessi il mio nome.
Luna Moore.
"Quindi sei uscita in giardino...ora puoi parlami, ecco, dei rumori e di ciò che hai visto."disse lentamente leggendo qualcosa in quei fogli.
Per essere una psicologa non aveva molto tatto nel parlare con una testimone di omicidio di massa.
"Mi sono allontanata solo un po'" ripensando a quella notte, sentii un brivido lungo tutto il corpo che mi paralizzò per un attimo quasi come se stessi rivivendo quella scena.
"Ho visto una figura avvicinarsi, aveva dei capelli molto lunghi e chiari e i suoi occhi" ebbi un sussulto perché mi sembrò proprio di rivederli davanti a me quegli occhi." Brillavano di un rosso intenso e per un attimo, giuro mi ha fissato." senza accorgermene stavo tremando al solo ricordo. 
"E poi cosa è successo?" mi chiese lei , molto più incuriosita.  A metà tra il pensare fossi pazza e il credermi.
"È sparita e poi ho sentito le urla."
"Di chi? Dei suoi compagni?"
Avevo lo sguardo perso nel vuoto, la psicologa continuava a farmi domande, ma anche se vedevo la sua bocca muoversi, non riuscivo a sentire ciò che mi diceva.Ad un tratto mi sentii la testa che girava forte, chiusi gli occhi e svenni.

Da quella notte, l'incubo di quei occhi rosso sangue mi perseguitava, l'inspiegabile morte di tutte quelle persone, il fatto di essere l'unica ad essermi salvata, più che un miracolo mi sembrava una tortura.
Li conoscevo tutti, erano quasi tutti della mia scuola alcuni erano anche miei compagni di classe. 
Dopo che accadde ciò, mia madre decise di farmi stare un po' con mio padre, che viveva in un'altra città.
Non che fosse molto lontana da Falldown city, dove ho sempre vissuto.
Era un paesino piccolo di nome Chestville.
Pensava mi avrebbe fatto bene essere lontana da quella realtà e così sarei riuscita a riprendere in mano la mia vita.  Così mi preparai a dover affrontare l'ultimo anno in una nuova scuola piena di sconosciuti. 
E inoltre avrei vissuto con mio padre, dopo tre anni in cui l'avevo visto raramente, se non durante alcune festività.
Si era ricordato un po' troppo tardi che oltre il fatto di aver perso la moglie stava perdendo anche sua figlia. 
Insomma i miei rapporti con lui non erano dei migliori, ma in quel momento essere lontana da quella città, come aveva detto mia madre era ciò di cui avevo realmente bisogno. 
Anche perché da allora tutte le persone che incontravo avevano uno sguardo cattivo in riservo per me, quasi come se dovessi sentirmi in colpa per il semplice fatto di essere l'unica viva.
   
 
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