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Autore: LoveRockMonckeys    11/12/2014    1 recensioni
Avril, una ragazza che adora i suoi idoli: i 5 Seconds Of Summer.
Che come tutte le altre fans ha un sogno: incontrarli.
Avrà quel briciolo di fortuna in più che le permetterà di realizzare i propri sogni?
Amore, amicizia, speranza, mistero e tanti colpi di scena!
Buona lettura!
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Calum, Hood, Luke, Hemmings, Michael, Clifford, Michael, Cliffors, Nuovo, personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
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bannerChapter One - Change My World Please

Avril se ne stava seduta tra le coperte nel suo enorme lettone di legno. Era semplice; ma lo aveva scelto lei, e questo la rendeva orgogliosa. Aveva quattordici anni quando lo chiese ai suoi genitori. Voleva sentirsi “grande”, ed avere un letto “da grandi” come suo fratello Ryan. I suoi genitori, non furono subito d’accordo; ma un po’ vedendo quanto ci tenesse, e un po’ per l’esasperazione – dato che Avril non dava loro tregua -, cedettero. Le promisero che all’età di sedici anni l’ avrebbe avuto; e così fu. In quel momento, la sua felicità era stata indescrivibile. Ora aveva diciotto anni, e non era cambiata molto; anche se la sua felicità dipendeva da qualcos’altro.

Rivolse uno sguardo alla sveglia, sopra il comodino, vicino al letto. Avrebbe dovuto alzarsi, o la teoria di suo fratello Ryan sul fatto che avrebbe fatto ritardo al primo giorno di scuola, si sarebbe avverata.

 

Ryan aveva vent’anni, ma giocava soltanto a fare il fratello grande e responsabile, perché in realtà non lo era. Si vantava con lei dei suoi vent’anni, e di come – Secondo lui -, lei fosse una bambina e lui un adulto. A dire la verità, era il contrario. Ryan era strambo, - pazzo a volte – si godeva la vita, era sempre solare e divertente. Prendeva sempre in giro tutti e tutto. Amava la vita, e ogni giorno per lui era prezioso. Avril invece, era “noiosa”, come diceva Ryan a sua madre ogni volta che voleva divertirsi e sua sorella lo fermava. Si preoccupava sempre di tutto e di tutti. La si vedeva di rado fare dei sorrisi, e quando li faceva, erano falsi, tirati, come se si sforzasse di fare del suo meglio; quando invece per sorridere davvero non ci voleva così tanto! Ryan giocava a fare l’adulto, ma lei era troppo entrata nel personaggio! Una volta non era così; era divertente, raggiante e brillante: spruzzava luce ed energia da ogni singolo poro della sua pelle. Ma allora, come era diventata così? Come mai si era lasciata andare, lasciando spazio ad una persona completamente diversa? Ryan voleva bene a sua sorella, come lei ne voleva a lui, del resto.                                                                                                                  L’avrebbe sempre protetta, e non avrebbe mai lasciato che niente e nessuno le facesse del male. Una volta, c’era un ragazzo che si era invaghito di Avril, le piaceva così tanto che la seguiva  ovunque e le faceva regali di continuo. Avril aveva tredici anni all’epoca, e lui quindicenne, aveva spaventato a morte il povero innamorato; minacciandolo che se non avesse lasciato in pace sua sorella lo avrebbe perseguitato diventando il suo incubo peggiore e lo avrebbe calpestato come una formica, se ce ne fosse stato il bisogno. Da quella volta il ragazzo non si era fatto più vedere.   Si chiedeva se la sorella, sarebbe mai potuta tornare quella di prima; ma ormai non serviva più chiederselo, perché la risposta già la conosceva, ed era sì. E lui, sapeva anche come. Aveva vissuto diciotto anni della sua vita con lei, e l’aveva vista nascere, crescere ed evolversi nella sua completezza. Si ricordava l’Avril piena di sogni e di speranze: “Un giorno diventerò una cantante”, le aveva confidato. E anno dopo anno, l’aveva osservata, e vedeva la sua passione, il suo sogno, crescerle sempre di più dentro.  In lei, vedeva la musica che non l’aveva abbandonata nemmeno un secondo. La “vecchia” Avril, tornava certe volte – poche, ma tornava – e quando succedeva, non poteva fare a meno di sorridere. Questo succedeva quando lei alzava il volume della musica a “palla”, in camera sua e si metteva a ballare e cantare a squarciagola, quando andava a dormire beata e sorridente , cullata dal suo ipod o quando si spazzolava i capelli davanti allo specchio e si metteva a canticchiare motivetti di canzoni. Ma la cosa che le dava più felicita, era parlare dei propri idoli. Aveva gli occhi che le brillavano, così speranzosi! Una via di uscita c’era!

Si malediva tutte le volte che non riusciva a controllare la sua sfrontatezza, con la quale, riusciva sempre a rovinare gli unici momenti in cui Avril era felice. Come quella mattina: le aveva detto che stava solo perdendo tempo a fantasticare su quei quattro ragazzi, gli unici che riuscivano a strapparle un sorriso. Si, perché ormai nemmeno lui ci riusciva quasi più! In fondo, quello che le aveva detto quella mattina era ciò che pensava veramente, ma non poteva, e non voleva distruggere la speranza negli occhi, e nel cuore di sua sorella. Voleva fare qualcosa per lei,  qualcosa di veramente importante, e  farla tornare a vivere. La felicità di Avril  era nelle sue mani, e avrebbe fatto qualunque cosa per preservarla.

 

Dopo essersi sistemata, Avril si infilò l’uniforme scolastica – tanto odiata - , e si pose davanti allo specchio. ‘Bene’ pensò fra sé e sé con una nota di sarcasmo. Come detto prima, odiava quell’uniforme, e di conseguenza, odiava il suo aspetto con quella “cosa” addosso. Le sembrava di essere “marchiata”. Davvero non capiva perché fosse obbligatorio portarle. A scuola insegnavano tutte quelle “perle di saggezza” sulla libertà di espressione ecc… Ma con quella “cosa” addosso, le sembrava di essere “catalogata”, come se non avesse personalità, come se ogni alunno fosse uguale. Capiva, tutta la storia relativa a “Tutti noi siamo uguali, senza distinzione” nel contesto “e quindi abbiamo tutti gli stessi diritti”,  ma non lo capiva quando si trattava della propria individualità e personalità. Avril era una ragazza creativa, alla quale piaceva esprimersi anche, e soprattutto attraverso il modo in cui si vestiva.

Raccolse i capelli in una cosa, con un elastico blu scuro ‘Almeno questo lo posso fare!’ pensò alla propria libertà di acconciarsi i capelli a proprio piacimento. Rivolse un’altra occhiata al proprio riflesso, aprì la bocca e contrasse le guance. Non sapeva esattamente cos’era: somigliava più ad una smorfia che ad un sorriso.

Lo specchio non rifletteva sé stessa per ciò che era, ma per come appariva. E lei appariva come una ragazza abbastanza alta e slanciata, ma non troppo, le gambe lunghe ed affusolate e un fisico di cui non poteva certo lamentarsi. Era grata a sua madre e a suo padre per averle risparmiato il problema del “Oddio sono troppo grassa!” ed osservare ogni giorno se il proprio corpo aveva acquistato anche solo un centimetro  di grasso in più. Era magra, ma non troppo, e nemmeno le importava; era stufa di preoccuparsi di cosa avrebbero pensato gli altri e quindi, non faceva nemmeno più caso a quello che pensava lei di sé stessa.

I capelli biondi e leggermente mossi, le ricadevano sulle spalle e incorniciavano il suo viso ovale, caratterizzato da una bocca dalle labbra carnose, ma allo stesso tempo delicate e da due grandi occhi azzurri, che spiccavano come i fanali delle macchine a tarda notte. Abbagliavano. Era la prima cosa che si notava, appena la si guardava.

Distolse lo sguardo dalla propria immagine riflessa  e si precipitò a prendere lo zaino dentro l’armadio, nel quale era stato rinchiuso per un bel po’. Ci ficcò dentro quaderni e libri un po’ a casaccio; il primo giorno, nessun professore – almeno sperava che fosse così - , avrebbe fatto storie se non avesse avuto tutto il necessario.

Uscì dalla sua stanza e imboccò le scale che portavano al piano inferiore. Sua madre era ai fornelli. Le assomigliava molto: anche lei aveva i capelli biondi, solo che le arrivavano fino alla spalla ed erano più lisci dei suoi. L’unica differenza erano i suoi occhi color nocciola, e non azzurri; quelli li aveva presi dal padre. Fece qualche passo in più e si mise a sedere nel piccolo tavolino al centro della cucina. Suo fratello era davanti a lei e stava controllando i messaggi nel suo iphone – nuovo di zecca - , non si era nemmeno accorto della sua presenza. Ryan assomigliava molto al padre, castano e con gli occhi azzurri – più tendenti al grigio però.

«Mamma! Cosa stai facendo?» chiese Avril, stupita di vedere sua madre ai fornelli di prima mattina. «Sto cucinando i pancakes. Non è ovvio?» le rispose con un sorrisetto beffardo in bocca. «Bhè, sarebbe ovvio in un’altra famiglia! Non fai mai i pancakes a colazione! Cosa si festeggia?» ribatté lei ancora sorpresa. La madre scoppiò a ridere. «Un po’, è perché è il vostro primo giorno di scuola, e bisognerebbe cominciarlo come si deve….» fece una pausa, la guardò, e poi continuò «…Ma il vero motivo, è che c’è stato un imprevisto con il lavoro che tuo padre doveva fare, ed è stato posticipato. Tornerà a casa stasera, e resterà per una settimana.» a sua madre brillavano gli occhi, e dal suo sguardo, si poteva capire quanto fosse felice. Anche Avril non stava più nella pelle, era così contenta di aver ricevuto una bella notizia! Si alzò ed andò ad abbracciare sua madre. «Wow, mamma! E’ fantastico!» Lei annuì soltanto, ancora con il sorriso in faccia. «E io che pensavo che avessi nostalgia di pancakes!» disse Ryan, che ora era tutt’orecchie e aveva messo da parte il suo iphone.

 

Suo padre lavorava come reporter e giornalista da quattro soldi. Nessuno aveva rispetto per lui, e tantomeno per la sua famiglia. Lo tenevano sempre fuori casa per nuovi incarichi sempre “super urgenti” , li definivano. Ma non avevano nessun altro da sfruttare? Tornava a casa per le festività o una domenica ogni tanto per poi ripartire. ‘Bhè, almeno lui gira il mondo!’ era il pensiero di Avril ogni volta che pensava al padre. Una volta gli aveva chiesto di portarla con sé, in uno dei suoi viaggi; ma suo padre era talmente premuroso che voleva che sua figlia frequentasse regolarmente la scuola e avesse una “ricca” vita sociale con i suoi coetanei. La prima, era andata a buon fine: sua madre non le avrebbe mai lasciato trascurare la scuola, e la seconda invece, non era per niente azzeccata! Aveva solo un’amica: Rain, e l’avrebbe rivista a scuola.    Sua madre invece lavorava in una villa gigante nella periferia di Londra. Aiutava i proprietari a gestirla e mantenerla in ordine facendo loro le pulizie domestiche. Lì , abitava anche un suo caro amico, Cole. Dal primo momento che lo aveva visto, Avril  l’aveva odiato, credendo che fosse il solito ragazzo ricco e viziato, ma poi andando avanti e conoscendolo sempre di più si era completamente ricreduta. Era una splendida persona; capace di ascoltare e di dare ottimi consigli. Con lui si divertiva sempre un mondo e ne combinavano di tutti i colori! Peccato che fosse così lontano! Ormai era diventato il suo migliore amico. Tutti i giorni, sua madre le mandava sue notizie, e lei le intimava di dirgli che sarebbe andata presto a fargli visita. Sua madre, adorava quel lavoro, era in perfetta sintonia con i proprietari della casa; solo che a volte si sentiva un po’ un “rifiuto”-  come se non valesse niente – , e ogni volta. Avril era lì, a ripeterle che faceva il lavoro più onesto del mondo, e che non avrebbe mai dovuto sentirsi un gradino più in basso rispetto agli altri. Era in grado di far star meglio tutti, con i suoi discorsi tranquillizzanti; ma non era ancora riuscita a trovare un discorso per sé stessa, abbastanza adatto da farle credere che la sua vita non sarebbe mai stata per sempre “piatta”, ma che col tempo, avrebbe preso una “forma”.

 

Ora Avril, era nell’autobus che l’avrebbe portata alla fermata davanti alla scuola. Era seduta vicino al finestrino, il suo posto preferito. Adorava guardare i paesaggi attraverso il vetro che scorrevano, svanivano e davano spazio agli altri. La rilassava, e le faceva riflettere. Il posto accanto a lei era vuoto ‘E tale sarebbe dovuto rimanere’ si disse. Non ci sarebbe stato nulla di male, se qualcuno avrebbe voluto sederglisi vicino, è solo che preferiva starsene da sola, in disparte, con i suoi pensieri. Pensava ancora al sogno che aveva fatto, e quanto fosse stato bello e realistico. Forse era perché desiderava  talmente tanto tutto ciò, che la sua testa le faceva vivere ogni cosa come se fosse maledettamente vera. ‘Ma adesso basta pensarci’. Si impose di distogliere il pensiero da quell’argomento e concentrarsi sull’imminente ritorno di suo padre. – Almeno quello le metteva un po’ d’allegria!-

 

«Hei! Avril!» Avril si trovava in uno dei tanti corridoi della scuola, quando sentì una voce troppo familiare. Così si girò di scatto. La voce, era quella di una ragazza alta, esile e dai i capelli neri e lisci che le arrivavano fino alla spalla. Aveva gli occhi marrone scuro, che davano profondità al suo sguardo ed era truccata in modo impeccabile. «Rain! Come va? Non ti sei fatta più sentire per tutta l’estate!» la rimproverò lei. «Si, lo so e mi dispiace. Siamo stati in vacanza a New York e sai, laggiù com’è, funziona tutto diversamente: il fusorario… Comunque, mi sei mancata tantissimo, davvero ti ho pensato molto! E tu invece? Che mi racconti?» Cosa poteva dirle? Che era stata rinchiusa dentro la sua casa a Holborn a guardare serie tv e ad ingozzarsi di schifezze per tutta l’estate? Provava una forte invidia per Rain, che poteva avere tutto, che girava il mondo ed era amata ed adorata dalle persone. Ad Holborn, tutti conoscevano lei e la sua famiglia. Non le era capitato poche volte di chiedersi ‘Ma come fa ad essere mia amica?’ Erano così diverse!   Per  di più, a lei non piacevano i 5 Seconds Of Summer, e come tutti , anche lei continuava a ripeterle continuamente “Verrà un giorno in cui capirai che il mondo non gira intorno a loro e che dovrai cominciare a pensare più a te stessa e alla tua vita”. Probabilmente aveva ragione, ma per adesso la sua vita si basava su di loro, e lei era felice così. « E cosa dovrei dirti?  Che sono rimasta ad Holborn a fare la solita vita mentre tu te la spassavi?» Rain, tutto ad un tratto si rabbuiò. «No, scusa. Mi dispiace. Non volevo dire questo. Raccontami dei 5 Seconds Of Summer. Qualche novità?» Avril la osservò attentamente, cercando di capire cosa non andasse nella sua amica quel giorno. «Ma se non ti interessano minimamente!»  «Lo faccio per farti felice! Ti brillano gli occhi quando ne parli.»

Lei e  Rain erano molto legate. Erano diversissime e non condividevano gli stessi interessi; ma si volevano davvero bene. Avevano battibecchi quasi su tutto, ma alla fine, non passavano nemmeno due minuti che tutto era tonato come prima, se non meglio! Il loro rapporto di amicizia, era strano; ma speciale e unico nel suo genere.

 

Il primo giorno di scuola, era sempre il primo giorno di scuola. Tutti avevano uno sguardo tipo da “cane bastonato” e fissavano la lavagna nera, ancora lucida e pulita. Non avevano nessuna espressione in volto – morti dentro - , e Avril – come tutti gli altri del resto – , non vedeva l’ora di uscirne.

Scese dall’autobus, avviandosi a piedi verso la strada di casa che  - per fortuna – era vicina alla fermata. Indugiò un po’ sul vialetto di casa, vedendo la macchina di Ryan, e dedusse che suo fratello era tornato prima. Di solito andava in qualche centro sportivo, o al campetto con degli amici dopo scuola. Girò le chiavi nella serratura del portone di casa ed entrò.

Rimase lì, in piedi mentre suo padre si alzò di scatto da una poltrona in cui era seduto e corse ad abbracciarla. In un primo momento, si irrigidì per la sorpresa inaspettata, ma poi si lasciò andare in quell’abbraccio pieno di amore. «Avril! Quanto mi sei mancata tesoro!» suo padre era felicissimo di rivederla. «Che bello papà! Sei tornato così presto! Mi hai fatto prendere un colpo! Mamma aveva detto che saresti tornato stasera.» Esclamò lei in tono leggermente alto. Suo padre si girò, e scomparve dietro il muro della cucina, per poi ricomparire subito dopo con un oggetto  avvolto in carta da regalo, in mano.  «Si, ma volevo farti una sorpresa! Questa è per te.  Volevo farti un regalo. So quanto ti piace la musica e quanto tu ami suonare.» disse porgendole l’oggetto che aveva in mano. Avril non poteva credere a ciò che vedeva. Suo padre le aveva regalato una chitarra! Lo guardò con una faccia sconvolta – in senso positivo.- «Grazie papà! E’ il regalo più bello che abbia mai ricevuto!» Il padre le fece un grande sorriso. «Un regalo speciale, per una persona speciale Avril.» Aveva la vista annebbiata, a causa delle lacrime negli occhi, e non riusciva a vedere bene. Aveva sempre desiderato avere una chitarra tutta per sé! Suo padre un giorno le aveva insegnato a suonarla, utilizzandone una tutta fracassata – ma poi rimessa a posto – trovata per caso in soffitta. Una volta era un musicista –non proprio -. Più che altro, da ragazzino aveva formato una band con alcuni suoi amici più intimi e andava in giro a suonare; ma soltanto per divertimento. Lui era l’unico della famiglia che la capiva davvero e la comprendeva sempre. Quando tornava a casa, lei aveva – finalmente – qualcuno con cui parlare di musica e delle sue passioni.

Quando gli parlava dei 5 Seconds Of Summer, lui diceva “Sai, approverei se un giorno usciresti con uno di quei ragazzi. Ti cederei soltanto a uno di loro.” E Avril ogni volta scoppiava a ridere. “Peccato che non potrà mai succedere!” ripeteva lei. “Chissà, non potresti mai saperlo. Magari quando avrai ottant’anni li incontrerai in qualche casa di riposo, o magari in un ospedale!”                                                                               Suo padre era davvero unico!

Avril era felice. Era un gran giorno; nemmeno sua madre era andata a lavoro, e quella sera, la famiglia era riunita. Nonostante tutto, quella giornata, che era iniziata nel peggiore dei modi, si stava trasformando in una bella serata trascorsa in famiglia.

Dopo cena, le serviva un po’ di tranquillità, e con la sua chitarra sotto  braccio si diresse verso nella veranda, che si trovava nel lato opposto all’ingresso. – Abitava in un quartiere tranquillo, per fortuna – Si sedette per terra, sulle scalinate che conducevano ad un piccolo giardinetto. Guardò il cielo, pieno di stelle che la osservavano dall’alto. Cominciò a strimpellare un po’ la chitarra, emozionandosi ad ogni suono che lo strumento emetteva. Una canzone, composta da note differenti, con ognuna la propria caratteristica, prendeva forma nella sua mente. Suonò, suonò per il suo pubblico di stelle. Non distolse per un attimo lo sguardo dal cielo. Terminò la canzone, e separò lo strumento dal suo abbraccio deponendolo accanto a sé. Si sdraiò a pancia in su  sul pavimento freddo, mentre qualcosa, una scia luminosa si spostava nel cielo sopra di lei. ‘Una stella cadente!’ disse in un sospiro. Non ne aveva mai vista una. ‘Le stelle cadenti esprimono i desideri’ pensò. Non sapeva se fosse realmente vero: sapeva solo che ne valeva la pena, almeno tentare. Chiuse gli occhi e poi li riaprì. La stella cadente era sparita.

Continuò a fissare il cielo  e le stelle, quando ad un tratto la sua attenzione venne catturata da un rumore dietro di sé. Si girò, e vide la figura di Ryan sulla soglia. «Posso sedermi accanto a te?» le chiese lui, che intanto stava avanzando verso di lei. Annuì, ma ormai le stava già accanto. «Sai, è bello qui la sera, per pensare, e cose così. Ti rilassa.» La guardò, e lei fece un segno di assenso. «Ti ho sentita suonare, prima. Sei brava.» le disse lui senza smettere di guardarla. Stavolta però, anche lei si girò, colpita.  Si meravigliava del fatto che suo fratello si complimentasse con lei, e questa, era la prima volta che la sentiva suonare. «Grazie.» riuscì solamente a dire. «Devo dirti una cosa…» le disse invece lui. Quando finalmente ebbe l’attenzione della sorella continuò. « Volevo farti anche io una sorpresa oggi. Detesto vederti con quel broncio ogni singola volta che ti incrocio; e la sola cosa che riesce a farti stare bene, è la musica…e quei quattro australiani. Si, oggi volevo farti felice. E sai cosa avevo intenzione di fare? Volevo comprarti un biglietto per un loro concerto a Londra, ma purtroppo sono arrivato tardi. Erano rimasti soltanto quelli che costavano una fortuna, e io non potevo permettermeli, non perché non volevo comprartelo, ma perché non possiedo quei soldi. » Il volto mostrava quanto realmente fosse dispiaciuto e Avril pensò a quanto si potesse sentire inutile, perché aveva fallito. Conosceva bene suo fratello, e il suo obbiettivo principale era non fallire mai.  Odiava le sconfitte. Non poteva credere a ciò che suo lui aveva fatto per lei. E si era dato così tanto da fare per renderla felice! E lei cosa faceva? Se ne stava lì a piangersi addosso e a deprimersi. «Mi dispiace davvero. Ma volevo che lo sapessi. Volevo che sapessi che non sono poi così tanto indifferente nei tuoi confronti, anche se te lo faccio pensare. Io ci sarò sempre per te.» Ok, ed ora si sentiva tremendamente in colpa. «Hei! Non dire così! Ti ringrazio immensamente per quello che hai fatto per me. Sono felicissima ora. E tutto grazie a te, davvero!» gli disse lei con convinzione.           

«Sai che c’è? Ti ci porterò lo stesso a quel cavolo di concerto! Non mi interessa! E quando saremo lì, troverò un modo per fartici entrare, e se non ci riuscirò, troverò un modo per fartici parlare. Ti farai una bella chiacchierata con i tuoi idoli vedrai!» Avril si mise a ridere. «Starai scherzando vero? Parli seriamente?» Lui rise a sua volta. «No, non scherzo affatto. Devo andare a Londra per un mese da un’ amico, e ti porterò con me. Quindi ti conviene andare a fare le valigie!» Avril ora era senza parole e lo abbracciò così forte da stritolarlo. «Grazie fratello! Ti voglio un mondo di bene!» Lui sorrise, ma non rispose. Disse soltanto «Sarà la volta buona?»

«Non lo so, non lo so proprio.»

Scusate il ritardo ma io e il tempo non abbiamo un buon feeling. Che ne pensate? Spero vi piaccia! 
ps. se avete tempo potreste lasciare qualche recensione? 
Grazieee

-LoveRockMonckeys
  
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