1.
Convergenza
Il
tempo passa. Anche quando
sembra impossibile. Anche quando il rintocco di ogni secondo fa male
come il
sangue che pulsa nelle ferite. Passa in una maniera diseguale, tra
strani
scarti e bonacce prolungate, ma passa… Ok.
STOOOOP! Qui c’è un
errore: non siamo nel solito romanzo romantico, così
sdolcinato da far venire
il diabete, dove la solita ragazzina sfortunata (Gerard? Mmm) piange e
sospira
sulla foto del più figo della scuola che (è un
classico9 non la caga (per poi
scoprire che è un essere non umano, dotato di straordinari
poteri, in grqado di
uccidere con niente, che ha come missione… ma questa
è un’altra storia). Vabbè,
facciamo prima a dire che da quel fatidico lunedì nero
passarono tre settimane
e l’autunno era ormai alle porte. Foglie giallastre che
danzavano nel vento,
alberi spogli che sembravano vecchi decrepiti, un cielo plumbeo che
pesava
sulle teste della gente che passava per strada, pozzanghere sempre
più
frequenti e profonde in
cui si
rifletteva un sole pallido e dall’aspetto malaticcio:
così si presentava New
York in quei giorni di fine ottobre.
Ma
il tempo atmosferico non importava granché al signor Gerard
Way, la cui vita
continuava a scorrere “regolare” e
“tranquilla”, anche se con i soliti inciampi
di percorso. Era sabato pomeriggio, la fine di una lunga settimana di
lavoro,
in cui il capo non gli aveva lasciato un attimo di respiro. E ora
Gerard,
cercando di accantonare in un angolo della sua mente la stanchezza,
guardava
fuori dalla finestra di casa sua, indeciso se prendere con
sé o meno l’ombrello
per uscire. Alla fine giunse a una conclusione: meglio non correre
rischi.
«Ciao,
tesoro, allora ci vediamo stasera, ok?».
Norah
gli passò vicino con noncuranza, soffermandosi un attimo
davanti allo specchio
dell’ingresso per sistemarsi il rossetto. Già,
infatti quel pomeriggio sua
moglie sarebbe andata a fare shopping con Alicia (la carta di credito
di Gerard
rabbrividì al solo pensiero), lasciando così i
bambini a lui. Che in quel
momento era la persona più rilassata al mondo…
come al solito. Non poteva nemmeno
affidare Adam e Rachel a Mikey, perché quel giorno il
fratello si trovava nel
Jersey, a casa di mamma, per aiutarla
a
“dare giusto una sistematica al giardino”, come
diceva lei. Quindi si vedeva
costretto a portare i cuoi figli con sé. Per andare dove, vi
chiederete. Be’,
come previsto, la storia con Frank Iero, l’uomo hamburger,
non era certo
finita. Infatti il nanetto malefico gli aveva promesso, una volta
uscito
dall’ospedale, che non l’avrebbe citato per
danni… ma a un prezzo: avrebbe
dovuto aiutarlo in alcuni lavoretti, sia a casa che al noto fat-food in
cui
lavorava, essendo ovviamente impedito in alcuni gesti dalla gamba
ingessata.
Tutto questo per un due mesi circa. E naturalmente il tipo aveva ben
sottolineato le parole “anche sul posto di lavoro”,
probabilmente perché
pregustava un certo piacere nel vedere Gerard affaticarsi al suo posto;
ovviamente non aveva pensato di prendersi neanche un giorno di
malattia: aveva
“tanto bisogno di lavorare” lui! Gerard non lo
conosceva ancora bene, ma già da
quella richiesta aveva capito che quella volta aveva a che fare con
qualcuno di
tosto e veramente crudele e vendicativo. Maledetto folletto fastidioso!
Quale
modo migliore poteva esserci per fargliela pagare di averlo accidentalmente investito?
«Dai,
ragazzi, è ora di andare!» chiamò
dirigendosi in salotto.
Intanto
dall’ingresso provenne lo sbattere della porta, segno che
Norah aveva appena
dato ufficialmente inizio al suo shopping sfrenato (e magari
consolatorio).
Senza neanche un bacio o un ciao. Mah. Vabbè, meglio non
pensarci troppo,
dopotutto c’era da aspettarselo. Anche se non ne avevano
più parlato, Gerard
era più che sicuro che la moglie non avesse ancora cambiato
idea da quel
fatidico giorno: continuava a considerarlo un buono a nulla. E Gerard
non poteva
farci niente…
«Adam,
prendi la sciarpa mi raccomando! Fuori fa freddo!»
strillò dall’altra stanza
mentre allacciava le scarpe a Rachel.
«Papà,
ma dobbiamo proprio andarci?» sbuffò suo figlio
entrando in salotto
trascinandosi dietro la sciarpa che strisciava sul pavimento.
Adam
era un bambino dall’aria sveglia, capelli neri ribelli e
occhi verdi come
quelli di un gatto come Norah. Sul suo viso angelico, su cui di solito
risplendeva sempre un sorrisino beffardo, pronto a combinare qualche
altro disastro,
regnava ora un’espressione scocciata.
«Sì»
rispose Gerard, ora sistemando la giacchetta di Rachel che si lasciava
manipolare come una bambolina. «Papà deve sbrigare
un paio di cose».
«Uffa,
ma io… anzi noi… ci annoiamo! Non possiamo andare
da zio Mikey? Aveva detto che
mi faceva vendere un'altra magia! Uffiiiiii!».
«Sì,
papà» rincarò Rachel. «Io ho
scionno e fuori fa feddo. Vojo rimanere a casa e
giocale con Sally e Adam al dottole!!!!».
Sally
era la bambola di pezza preferita di Rachel e anche lei a giudicare
dall’increspatura delle sue labbra sotto le guance piene e
rosse che mele,
contornate da boccoli di un caldo color cioccolato che la facevano
assomigliare
tanto ad una di quelle bamboline di porcellana, sembrava non gradisse
quell’uscita.
«No,
Rachel, non oggi. Papà deve fare una cosa molto molto
importante e voi due
dovete aiutarlo, ok? Un po’ come Babbo Natale con i suoi
aiutanti, intesi?».
Il
paragone sembrò per un attimo aver convinto Rachel, i cui
occhi naturalmente
iniziavano a brillare ogni volta che si nominava il buon vecchio
barbuto. Aveva
iniziato ad esprimere il suo entusiasmo con brevi strilletti e
saltelli: se
fosse stato un cane si sarebbe messa a scodinzolare. Ma il suo
entusiasmo fu
subito interrotto da Adam.
«Ma
tu fai sempre cose noiose! Uffa! No, io non ci vengo!».
Ecco:
il germoglio. Possibile che a soli sei anni suo figlio si accorgesse
già quanto
fosse sfigato suo padre??? Di sicuro era tutto merito di Norah e delle
sue
solite frasi lasciate a metà durante la cena: Dio, certe
volte credeva che
qualcuno per sbagli avesse esportato una parte del cervello di sua
moglie e
l’avesse trapiantato nel cranio di Adam quanto si
somigliavano! Cazzo, chissà
come sarebbe stato a sedici anni… Ma per fortuna Rachel,
ancora innocente al
100%, continuava a sostenerlo… anche se forse mancava poco
perché anche lei si
accorgesse del vero…
«Poche
storie e cammina!» s’impuntò Gerard con
tono autoritario, prendendo la sciarpa
rossa di Adam, annodandogliela ben bene al colo e spingendolo verso la
porta
mentre teneva sua figlia per mano.
«Su,
cammina, non abbiamo tempo da perdere».
«Uffiiiii
però…».
«Che
bello… Papà, c’è anche Babbo
Natale?».
«No,
non credo, tesoro. Dovrai aspettare ancora un po’».
È
sottointeso dire che quello del padre è il mestiere
più difficile al mondo.
Ed
ecco il colpevole che ritorna sulla scena del delitto: un classico.
Peccato che
quella stessa scena si sarebbe dovuta ripetere per altri due mesi
almeno…
Appena sceso dalla macchina, Gerard schizzò dentro il locale
tenendo per mano i
suoi due figli alla massima velocità che gli permettevano le
sue gambe: meno
tempo passava in quel maledetto parcheggio meglio era: la vergogna per
quella
sua famosa distrazione era ancora fresca.
A
quell’ora (ero quasi le tre del pomeriggio) il piccolo
fast-food era quasi
deserto, se non si contava una coppia di fidanzatini adolescenti e un
signore
di mezza età tutto intento a leggere la pagina sportiva del
Time. Al povero Way
bastò una breve occhiata d’intorno a quel posto
(doveva lui e suo fratello
avrebbero dovuto passare una pausa pranzo relativamente rilassante) per
trovare
chi cercava. Frank Iero era seduto dietro il bancone, con la testa
appoggiata
sui gomiti mentre sfogliava una rivista; un paio di stampelle facevano
capolino
di fianco a lui. Non pareva nemmeno che lavorasse lì tanto
la sua aria era
satura di noncuranza, a differenza delle due ragazze che poco
più in là si
affaccendavano a pulire a destra e a manca chiacchierando non senza
qualche
risatina.
«Papà,
adesso possiamo andare a giocare almeno?» domandò
Adam dando un forte
strattone. Testardo.
Gerard
non lo degnò neanche della minima attenzione, ma si
avvicinò al bancone
trascinandosi dietro i due bambini come due bambole di pezza. Solo
allora
Frank, cogliendo il rumore dei loro passi, alzò lo sguardo
dalla sua lettura e
subito sul suo visetto furbo comparì
un’espressione sorpresa accompagnata da un
sorriso divertito. Indubbiamente Gerard in versione papà
doveva risultare alquanto
insolito e buffo. E, in effetti, anche li si vergognava un
po’…
«Guarda
chi si vede…» rise il nanerottolo e dopo
un’occhiata all’orologio a muro:
«Giusto in orario. Spacchi proprio il secondo,
Gerard!».
Gerard
avrebbe decisamente preferito rimanere più formale, in fondo
essere chiamato
signor Way era la sua ultima fonte da cui attingere un modesto rispetto
e
considerazione. Ma in quel momento, si disse, era meglio non chiedere
troppo.
«E
questi due nanetti chi sono?» domandò Frank e il
suo sorrise si fece se
possibile ancora più largo.
«I
miei figli… Spero non sia un fastidio per te se
stanno…» rispose Gerard con un
flebile sussurro che fu subito coperto dal tono impertinente di Adam.
«Nanetto
sarai tu!».
Fank
scoppiò in una breve risata: non era ben chiaro se era
innocente divertimento o
crudele sarcasmo. Senza ribattere si allungò oltre il
bancone per scompigliare
i capelli del bambino che emise un suono irritato simile a un ringhio.
Gerard
era sicuro che, se al posto di suo figlio avesse avuto un pitbull,
Frank
avrebbe dovuto dire addio alla sua mano già da un pezzo:
infatti il modo
migliore per fare arrabbiare Adam non era togliergli i giocattoli i
spegnergli
la tv… ma ricordargli che lui era solo un bambino di 6 anni.
In questo aveva
preso tutto da Norah…
«Potremmo
iniziare?» sbottò Gerard con un sospiro. Prima
finiva meglio era.
«Oh,
oh, il signor Way è ansioso di mettersi al lavoro al posto
mio? Ma che
generoso…» rise l’altro.
Ma
la sua espressione gaia non arrivò alla faccia scocciata di
Gerard, anzi non
riscaldò nemmeno un po’ l’aria attorno a
Mr Way, perennemente ombreggiata dalla
nuvoletta di Fantozzi.
«Ok,
come preferisci».
A
quel punto Gerard lasciò liberi Adam e Rachel di andare a
giocare a quello che
pareva loro, non senza aver prima riservato loro un’occhiata
ammonitrice; ne
avevano già parlato in macchina: avrebbero potuto
scorrazzare e giocare per il
locale a patto che non facessero troppa confusione e soprattutto che
non
rompessero niente. In caso contrario entrambi conoscevano bene il
genere si
reazione che avrebbe avuto il padre.
Per
il resto, era ora di rimboccarsi le maniche… ed esaudire
ogni richiesta
dell’uomo-hamburger.
Due
ore dopo.
Cazzo,
non si era mai sentito più cretino in vita sua. Aveva
proprio toccato il fondo
una volta per tutte. Si sentiva umiliato, ma così tanto che
neanche ai tempi
della scuola quando tutti lo prendevano in giro per via del suo stile
un po’
stravagante. Aveva lavorato incessantemente per due ora come uno di
quegli
operai cinesi stra-sfurttati. Non si sentiva più la schiena
e le gambe e aveva
la netta sensazione che Frank avesse approfittato della sua condizione
per
fargli sbrigare un sacco di lavori extra. Ma Gerard non aveva fiatato,
non
un’imprecazione, non una lamentela era trapelata dalle sue
labbra, troppo
concentrato sul suo lavoro per pensare ad altro. Non avrebbe
più dato nessuna
occasione a nessuno di dirgli quanto fosse poco professionale, poco
affidabile…
o inutile.
Aveva
lavato e spazzato il pavimento di tutto il locale, che non era certo
piccolo,
aveva aiutato le due ragazze (che aveva scoperto chiamarsi Lizzie e
Sarah) a
mettere in ordine in cucina, aveva servito qualche cliente ed era
andato fuori
a distribuire volantini ai passanti (per fortuna il nanetto gli aveva
risparmiato la tortura di indossare quel ridicolo costume da hamburger).
E
ora, dopo aver controllato che Adam e Rachel, che si era comportati
meglio del
previsto, fossero ancora nel loro angolo a giocare con le carte che
aveva dato
loro Frank, si lasciò scivolare con noncuranza sulla prima
sedia a
disposizione. Non invidiava affatto il lavoro dell’altro: gli
ci sarebbe voluta
una settimana di riposo per ricomporsi.
«Stanco?».
Una
voce familiare lo colse alle spalle facendolo sobbalzare: Frank. Si
stava
dirigendo verso di lui saltellando sulle stampelle e facendo ondeggiare
avanti
e indietro la gamba ingessata ad ogni passo. Per tutto il giorno non
aveva
fatto altro che starsene comodamente seduto dietro il bancone con il
suo
giornaletto e la sua tazza di caffè fumante, guidando Gerard
nelle sue faccende
con pochi gesti decisi. Ed ora eccolo tornare all’attacco:
uffa.
«Che
devo fare ancora?» gli chiese senza muovere un muscolo. Ogni
minimo movimento
sembrava produrre un piccolo strappo in ogni angolo del suo corpo.
«Niente.
Per oggi abbiamo finito, credo».
Grazie
a Dio!
«Ehm,
posso offrirti un caffè?». Lo disse con un tono
che suonava imbarazzato e quasi
arrossendo.
Gerard
dovette contare fino a dieci prima di essere sicuro di aver sentito
bene. Come?
Un caffè?
«Eddai,
non voglio mica avvelenarti!». E si sedette davanti a lui: li
divideva un
piccolo tavolino rotondo che una volta doveva essere stato bianco,
mentre
Gerard non poté fare altro che rimanere immobile
dov’era. Dopo una frazione di
secondo comparve Lizzie (o era Sarah?) con un vassoio con su due tazze
di
caffè, che subito i due si misero a sorseggiare in silenzio.
Passò
non si sa quanto tempo prima che uno dei due spiccicasse parola.
«Hai
una bella famiglia…» sussurrò Frank con
lo sguardo perso dall’altra parte della
stanza, dove stavano ancora giocando Adam e Rachel. «I tuoi
figli sono
deliziosi, davvero».
Gerard
rizzò le orecchie e restò in campana: quelle
smancerie erano tutta una
messinscena per ottenere qualcos’altro? Eppure sembrava
così sincero…
«Grazie»
sussurrò Gerard con gli occhi fissi sul liquido nero nella
sua tazza. Non
sapeva perché, ma si sentiva a disagio a parlare con Frank.
Era come se… Boh,
non riusciva a capirlo neanche lui.
Altro
silenzio.
«Sai,
ti invidio…» sbottò poi
l’altro all’improvviso. «Vorrei avere
anch’io una vita
come la tua…».
Per
poco a Gerard non andò di traverso il caffè:
cosa? Esisteva qualcuno in tutto
il mondo che osava invidiare la sua sfigatissima, merdossissima
insignificantissima vita? O mio Dio!
«Tranquillo,
non sono così malato di mente da invidiare tutta la tua
sfiga» precisò. «Ma…
bè… anche a me piacerebbe avere una bella
famiglia che mi accolga a braccia
aperte tutte le sere quando torno a casa dal
lavoro…».
A
Gerard venne immediatamente in mente la vistosa fidanzata di Frank,
Katy Russel
o come diavolo si chiamava.
«Qualcuno
che mi sostenga incondizionatamente… che creda sempre in
me… che mi dimostri
sempre il suo affetto… come… come a te».
Quelle
ultime parole tracciarono una profonda ferita sul cuore di Gerard:
anche lui
aveva sempre creduto che, nonostante tutta la merda con cui aveva a che
fare,
ci fosse sempre qualcuno al suo fianco pronto a sostenerlo. Ci aveva
creduto
sempre fino a quando Norah non aveva espresso la sua
delusione… e ora anche
quell’ultima speranza era sfumata.
«Anche
a me piacerebbe» mormorò.
«Come?
Tu non…».
«Sembra
che non ci sia più l’intesa di un
tempo…».
«Ah,
mi dispiace».
«Non
fa niente, tranquillo».
Calò
un altro lungo silenzio. Evidentemente Frank si era reso conto di aver
toccato
un altro dei tanti tasti dolenti nella vita di Gerard, lo capiva dalla
sua
espressione afflitta; la stessa di Mikey quando parlavano di cose serie.
Gerard
posò la sua tazza sul tavolino e passò
distrattamente un dito sul suo bordo
liscio: forse era ora di andare. Fece per alzarsi ma Frank lo
fermò con un
repentino: «No, aspetta, non te ne andare subito».
E
lui rimase. Non seppe perché ma rimase.
All’improvviso aveva sentito di essere
molto più vicino e simili a Frank di quanto avesse creduto
fin dal principio.
Quel ragazzo aveva scritte in faccia le sue stesse delusioni, le sue
stesse
aspettative infrante.
«Scusami
se sono stato così invasivo. Non credevo che tu e tua
moglie… Be’, passerà
suppongo… Dopotutto è un periodaccio per molti
questo».
«Cosa
vuoi da me?» chiese Gerard schietto. Stava mandando
all’aria ogni suo tentativo
di apertura, sbarrava con pesanti massi la strada verso la probabile
nascita di
un’amicizia. Ma sentiva che quello non era né il
luogo né il momento adatto per
aprire la sua mente al mondo.
Frank
lo fissò perplesso: di sicuro non si aspettava una domanda
del genere.
«Niente…
Volevo solo… Non importa».
Invece
a Gerard importava. Finalmente aveva trovato qualcuno che sembrava
provare i
suoi stessi tormenti.
«Vai
avanti, ti prego».
Frank
sospirò, rigirandosi la tazza tra le mani per riscaldarsi.
«Niente.
È solo che… guardo la tua famiglia… e
vedo quello che ho sempre desiderato… o
almeno una parte. Sai, quando ero piccolo credevo che le cose brutte
esistessero solo nelle favole, che nella vita reale non si potesse
soffrire,
che niente potesse cambiare davvero: il dolore era solo qualcosa di
fittizio
che usavano gli adulti per fare un po’ di scena. Sembrava
tutto bello e… cazzo,
ci credevo davvero! E poi…».
«Sei
rimasto fregato» sospirò Gerard.
«Già.
Iniziò tutto quando i miei divorziarono… Fu
terribile. E fu proprio in
quell’occasione che capii che tutto quello in cui avevo
sempre creduto non era
che un teatrino ben allestito. Era ormai il periodo in cui dopo aver
letto una
storia di fantasmi potevo riemergere nella realtà e notare
con sollievo che era
tutto a posto, tutto felice. Avevo scoperto che il dolore era vero, che
non era
solo una favola che raccontavano per spaventare i bambini. Quella
è stata la
mia disillusione, diciamo. Avevo dei progetti: suonavo (e suono
tutt’ora) la
chitarra e come ogni ragazzino che si rispetti sognavo un grande
futuro, pieno
di luci e persone che tendevano le braccia a me con esclamazioni di
ammirazione. Avevo creduto talmente fervidamente che tutto sarebbe
andato così
che… be’, era come se dovesse accadere davvero.
Come qualcosa di programmato
che non può cambiare, non so se mi spiego. E, be’,
come la mia famosa
disillusione anche quei piani, all’inizio indistruttibili,
iniziarono a
traballare. Le cose brutte che avevo ritrovato così spesso
nelle favole
sembravano essersi riversate nella mia vita: mi mancava un punto di
riferimento, non sapevo nemmeno quale fosse davvero la vera
realtà».
Le
sue labbra contennero per un attimo quel fiume di parole per lasciare
spazio ad
una breve pausa accompagnata da un sospiro.
«E
poi fui catapultato nella vita. Fino ad allora avevo vissuto come in un
sogno. Però
al quel punto mi trovavo ad affrontare ostacoli che mi parevano
insormontabili
e soprattutto con nessuno di preciso al mio fianco pronto ad indicarmi
la
soluzione. Non sapevo cosa voleva dire essere adulti, me per forza di
cose fui
costretto a diventarlo. Fui letteralmente gettato senza tante smancerie
in questo
postaccio che chiamano età adulta e mi ritrovai a cercare
qualsiasi espediente
pur di affrontarla. Non sapevo come si viveva: ero stato tenuto troppo
a lungo
sotto una campana di vetro che si era rotta senza che nessuno fosse
lì pronto a
raccogliermi tra i cocci e insegnarmi un nuovo tipo
d’esistenza. Me la cavai
certo, imparai tutto molto velocemente… troppo velocemente.
Ma a un prezzo:
tutto quello che avevo sognato… be’, al momento
avevo altre priorità. E così
tutto quel futuro fantastico che avevo sperato avevo dovuto gettarlo
fuori
dalla finestra. Mi trovai parecchi lavoretti precari, che ovviamente
non mi
davano la minima soddisfazione. Sono andato avanti traballando per
molti anni
sotto questo verso… e tutt’ora sono instabile,
ancora bloccato in questo posto
di merda…».
Fece
un ampio gesto che abbracciò tutto l’ambiente
circostante e nei suoi occhi
Gerard poté veder riflessa la delusione di molti anni. Adam
e Rachel stavano
ancora giocando nel loro angolo di favola; chissà per quanto
tempo ancora
sarebbero potuti essere così.
«Be’…
se mi andava (e mi va) male su questo fronte, sull’altro la
situazione non era
certo migliore. I miei genitori… la mia famiglia…
appartenevano al passato, si
erano infranti insieme alla bolla che mi aveva protetto fino ad allora.
Avevo cercato
di ricreare quel calore che ti fa sentire così…
bene. Invano. Avevo cercato
altrove: amici, possibili fidanzate. Non sono stato capace neanche di
questo. Ok,
voglio bene a Katy, lei è carina e tutto il resto
ma… sento tanto freddo. Sono anni
che sento freddo. Mi manca quella persona che sappia quello che penso,
che
sappia confortarmi, che sappia mostrarmi la bellezza in ogni cosa. Per
questo
invidio la tua famiglia: tu almeno hai loro. Può andarti
tutto male, a quanto
ho capito, ma hai loro… e anche se questo è un
periodo un po’ così… be’, non
importa: loro ci sono lo stesso. Io sono continuamente appeso a un
filo. Cerco,
cerco e cerca ma non trovo. Avevo dovuto imparare a vivere, a
combattere per
strappare con i denti e con le unghie quel poco che mi serviva al
mondo, avevo
dovuto abbandonare ciò che desideravo, che poteva dare un
senso al tutto… e non
sono riuscito a trovare o a ritrovare qualcuno che…
be’, fosse la mia stampella…».
Sorrise
ancora, ora giocherellando con la stampella che aveva tra le mani. Ma
quello
che sfoggiava in quel momento non era il sorriso di prima, quello
ironico e
divertito. Aveva una punta d’amarezza… E Gerard
non poteva immaginare quanto il
suo cuore con ogni suo battito stesse approvando quello che stava
dicendo
Frank.
«E
non so… non riesco… non ho, sì, non ho
nemmeno la voglia di provare a crearmi
una vita migliore. Anzi, no… Non ho il tempo…
Tutto è troppo frenetico. Arrivo a
sera così stanco che non ho più la forza di
pensare a cosa cambiare in tutta
questa barzelletta di vita. Mi sento…».
«…soffocare».
La
voce di Gerard, flebile ma allo stesso tempo forte in
quell’atmosfera, risuonò
nell’aria, con una sfumatura quasi profetica. Frank rimase
allibito: era
proprio quello che stava per dire. E l’altro
proseguì il discorso per lui.
«Senti
come se tutto il mondo fosse compresso in un singolo
secondo… e tu fossi al
centro di tutto quel caos. Non hai il tempo per pensare, per sognare,
per
fantasticare quello che avevi sempre sperato. Per capire ciò
che ti sta attorno
o anche solo osservarlo con più attenzione. Ammirare le
cose, le persone… e
magari accorgersi del piccolo ma inesorabile cambiamento che avviene in
loro
ogni giorno. Decifrare i loro pensieri. Capire i loro sentimenti e
stati d’animo.
Capire te stesso. Cosa vuoi veramente e cosa potresti fare per metterlo
in
atto. Accorgerti dove stai sbagliando e rimediare. Approfondire certe
conoscenze per sentirti migliore. Ma non hai il tempo e concentri
l’indispensabile
in quei pochi minuti, cercando ogni giorno di guadagnare un secondo in
più per
dedicarti a quello a cui tieni di più. Sì, lo so
bene. Anch’io mi sento così».
E per la prima volta da quando Gerard era approdato in quel piccolo locale quel pomeriggio, i suoi occhi incontrarono quelli di Frank e entrambi all’unisono sentirono che qualcosa li accomunava. Come si suol dire, erano sulla stessa barca. E da quel momento avrebbero dovuto navigare insieme.
Ok, capitolo luuuuuuuungo. Il che spiega anche il mio ritardo. No, bè, la ragione non è proprio quella: sapete com'è l'ispirazione andava e veniva insieme alla scarsa voglia di mettermi qui a fare qualcosa di produttivo, il tempo scarsissimo (un vero schifo davvero... il discorso di Gerard mi è sgorgato dritto dal cuore!) e poi... sì, devo ammettere che sono stata un po' impeganta anche con la mia droga preferita. Come forse qualcuno di voi saprà la settimana scorsa è uscito l'ultimo (ahimè T_T) libro della saga di Twilight *me sbava smodatamente*... e ovviamente la tentazione ha avuto il sopravvento (e ha contagiato anche questo cap di merda come avete potuto notare dall'incipit). Ok, lo ammetto sono una drogata persa di Twilight e affini (fischiate pure) e questa settimana è stato difficile mettere da parte il libro (Breaking Dawn... *altra bava*) per scrivere anche solo due righe. Quindi non vi garantisco la rapidità dei miei aggiornamenti. Bene, ho già blablato fin troppo (insieme ai miei personaggi). Ringrazio:
Dominil: Innanzitutto, sai come si dice: tra moglie e marito non mettere il dito! Per la fidanzata di Frank... ehm, sì è un tantino pu.... ma, bè, mi serviva.
princes_oh_the_univers: come già detto la "morosa" di Frank non può sparire... almeno per il momento. Mi dispiace. E adesso Gerard ha una valvola di sfogo contenta?
friem: grazie per l'entusiasmo! Risparmiami la violenza però eh? Devi capire che il carattere di Norah è un po'... complesso, ecco. E orgoglioso. Non la vedo affatto come una di quelle mogli arpie! E poi se tuo marito ti combinasse un casino dietro l'altro non ci rimarresti u po' male? Ok, ha dei modi bruschi e questo non è giusto... però. Ps: Mikey è troppo superiore x la tarantella
laramao: grazie 10000 anche a te! ma no che Gerard non si suicida! Lui è fatto di gomma: resiste a tutto
OOgloOO: sì, diciamo che Gerard è il Fantozzi della situazione!
rou:
ma anch'io ti adorooooooo! Tutte queste belle recensioni mi danno una
felicità che guarda :):):):):) grazie per apprezzare,
davvero!