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Autore: DeadlyPain    20/12/2014    1 recensioni
Sandra, la temibile capopalestra di tipo drago. Così forte e inespugnabile sembra che nulla possa far crollare le difese di questa donna. Ma forse, forse, scavando nel suo passato, nel suo presente e ne suo futuro si scoprirà un terribile segreto.
Genere: Drammatico, Horror, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sandra
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
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Il ragazzino se n'è andato, e con lui i miei 30 anni di vita. Ora dentro sono vuota. Tutto ciò di cui mi sono riempita mi è stato tolto. Svuotata. Come se una lama mi avesse aperto la pancia svuotandomi delle interiora, del mio scheletro, dei miei muscoli, lasciando di me solo un guscio vuoto.
Sono vuota.
Senz'anima.
Senza uno scopo.
“Come hai potuto?”
Non scendono le lacrime dagli occhi, anche se mi bruciano. Vorrei piangere e urlare, ma no. Io sono forte. Io devo essere forte. La mia debolezza è la mia rovina. Sono nata per sopportare soprusi ed ingiustizie.

Sorridere come se servisse a qualcosa.
Sanguinare con se non facesse male.

“Lui ha fiducia nei Pokèmon ed ha un cuore puro. Tu sei così fredda e calcolatrice, per te i Pokèmon sono uno strumento di vendetta più che amici. Lui è come Lance, buono e puro. Tu sei crudele e fredda.”
“Ancora con questo Lance! Basta!”
“Beh, lui di certo è un figlio migliore di te.”
Persi un attimo il respiro.
Tu. Sei. Mio. Padre!
Come puoi anche solo pensare pensare una cosa del genere?
Perchè mi fai questo?
Perchè mi odi?
Cos'ho di sbagliato?
Dovresti amarmi per quella che sono.
È colpa tua se sono così.
È colpa tua se sono piena di rancore.
È colpa tua se sono un'inetta.
Fu così naturale andargli vicino, mettergli le mani intorno al collo, stringere forte, due pollici di fianco all'ugola, poi su fino a sotto il collo. Ecco, sento il battito della carotide sotto le mie dita, lo guardo dritto negli occhi. Ecco che il suo volto diventa cianotico, gli sto bloccando il respiro, ora sai come ci sente a non sentire il proprio fiato, ora sai cosa significa non sentirsi a proprio agio nel mondo.
Ora sai come si soffoca sotto il peso di aspettative che non si riusciranno mai a raggiungere.

Tumtum tumtum tumtum
Tum... tum...tum..
Tum...
….

Basta, il cuore ha cessato di battere, non lo sento più sotto le mie dita, non pulsa più il suo collo. Ora sarai in pace con te stesso, ora non dovrai più vergognarti di una figlia che non riconosci come tua.
Ora non dovrai più vergognarti di me.

Sorridere come se servisse a qualcosa.
Sanguinare come se non facesse male.

Devo far sparire il corpo, nessuno dovrà sapere che sono stata io. Trascino il corpo in acqua, i Dratini che qui nuotano sapranno cosa farne.
Eccoli, li vedo arrivare. Una preda facile. Carne fresca. Con i loro piccoli denti gli strappano via brandelli di carne e vestiti. Sono piccoli ma forti, capaci di spezzare le ossa, capaci di finire quel corpo vecchio stanco e morto in pochi minuti. L'acqua si è tinta di rosso, ma qui la corrente è molto forte, impiegherà poco tempo a scomparire anche quello.

Torno a casa. Forse non era mio padre a dover morire. Forse ero io, se non fossi mai nata sarebbe andato tutto meglio, non ci sarebbero stati tutti questi problemi, non avrei dovuto competere con Lance per l'amore dei genitori, non avrei avuto dei genitori che si vergognano di me, non avrei dovuto subire un sconfitta da parte di uno stupido ed insulso ragazzino, non avrei dovuto lottare e uccidere per diventare qualcosa che neanche sono.
Chi sono io?
Io non sono.
Io non sono buona. Io non sono felice. Io non sono brava. Io non sono una maestra Drago. Io non sono forte. Io non sono una brava figlia. Io non ho un dono.
Io non sono nulla.
Sono un corpo vuoto.
I sogni si sono infranti, il destino ed il futuro sono oscuri davanti a me. Non ho più una strada da seguire.
Ho seguito la strada sbagliata.
Ora è troppo tardi per tornare indietro. Sono persa. Mi sento persa in mezzo ad un posto che non è il mio.
Qui soffoco, qui tutti si aspettano che io sia forte e capace quanto mio fratello. Ma io non lo sono.

Sorridere come se servisse a qualcosa.
Sanguinare come se non facesse male.

Non ho più nulla!
Tutto mi è stato portato via dalle mani, tutta la mia vita, tutta la mia anima!
Sento di nuovo in me la potenza e la rabbia, la voglia di rompere e distruggere, spezzare qualche vita sotto le mie mani. Sentirmi ancora capace e potente, come lo ero fino a poco fa sul campo di lotta.
Comincio a buttare a terra oggetti e mobili, rompo le antine degli armadi, do fuoco ai vestiti, strappo le pagine dei libri. Devono soffrire, devono soffrire come io ho sofferto, come io sto soffrendo. Ma questo non mi soddisfa, sono solo oggetti, non possono sentire male, non possono sentire dolore. Io non sento dolore. Poi le vedo, lì, chiare e luccicanti.
Le afferro con foga e comincio a conficcarle nella cosa più vicina e viva che ho. Una. Due. Tre. Dieci volte. Fintanto che le forbici sono coperte di sangue e la mia coscia formicolante dalla quantità di sangue perso. Cola ovunque, giù dal ginocchio, lungo il polpaccio, dritto sul piede e sporca il pavimento. Quanto ci vorrà a pulirlo?
Ho perso la foga della rabbia.
E con lei ho perso me stessa.
Ormai l'unico sentimento che riesco a provare è la rabbia ed il dolore.
Presto non riuscirò più nemmeno a provare rabbia, mi porteranno via anche quella, mi rimarrà solo il dolore, fisico e psicologico, solo quello mi farà sentire viva, solo quello un giorno sarà utile.

Sorridere come se servisse a qualcosa.
Sanguinare come se non facesse male.

Mi sento sopraffatta. Troppe cose sono successe, stamattina ero la grande Sandra, l'invincibile Maestra Drago, e in tardo pomeriggio ero un guscio vuoto di rabbia e dolore. Mi sento soffocare.
Non respiro.
Non riesco a respirare.
Devo andare via da qui.
Cominciai a correre, fuori di casa, fuori dal villaggio, senza una meta precisa, volevo solo andare via, via, via. Da qualche parte, in un luogo dove finalmente potevo sentirmi a mio agio. Non ho le lacrime agli occhi, ho imparato a sopportare bene il dolore, ho anche imparato a fingere che tutto vada bene. Perchè la mia vita va bene. Perchè nessuno deve sapere come sto in realtà. Mai mostrarsi deboli. Sono forte. Ero forte.
Ne vale davvero ancora la pena?
Si.
Voglio solo essere normale, felice come tutti, trovare il mio posto nel mondo, non voglio la pietà o la carità di nessuno.
Le gambe cominciano a far male, da quanto tempo sto correndo? Bruciano, non importa sopporto.
Chi sono io?
Sono una nullità, sono una delusione, ho deluso tutti, me per prima. Dovevo essere la migliore ed invece non solo mi sono fatta superare da mio fratello, ma anche da un ragazzino. Non sono più nulla. Sono il vuoto. Sono il niente.
Le gambe bruciano. Le ferite non si sono ancora cicatrizzate, continuo a perdere sangue. Avrei potuto tranciare un nervo, avrei potuto perdere l'uso della gamba. Ma non mi importa, cosa me ne faccio di una gamba sana se non ho motivo di usarla? A cosa mi serve un corpo se non so a cosa usarlo? A cosa mi serve vivere, se non ho più una vita da vivere?
Non ho nulla.
Mi lascerò trasportare dalla vita, guardandola da lontano.
Prima o poi morirò, la morte, l'unica che può salvarmi da quest'inferno di mediocrità nel quale sono caduta.
La morte è l'unica soluzione, ma sono ancora troppo codarda per uccidermi.

Sorridere come se servisse a qualcosa.
Sanguinare come se non facesse male.

Rientro in casa, stanca e assonnata. Non ho neanche fame, sono distrutta dentro, come se ci fosse ancora qualcosa da distruggere.
Rientro in camera, voglio solo buttarmi a letto e dormire, ma intravedo qualcuno al mio fianco. Mi giro di scatto.
È uno specchio.
È sempre stato lo specchio.
Eppure...
Sono davvero io l'immagine riflessa?
Sono davvero io quella.... cosa?

Di fronte a me c'era l'immagine riflessa di una giovane donna, non molto alta, in carne, con dei capelli indaco più simili alla saggina di una scopa che a dei veri capelli, le gambe storte una piena di fori, sembra quasi cellulite, la pancia gonfia, le occhiaie, il naso storto, il viso troppo squadrato e la pelle pallida e poco tonica.
Questa cosa sono davvero io?
Forse nessuno mi ama per il mio aspetto, Lance è un bell'uomo, io un mostro. Sono un mostro. Se fossi migliore forse tutti mi amerebbero.
Sono davvero io?
Non ci voglio credere.
No.
No!
NO!
Quello non è il mio corpo. Quella non sono io. Io sono forte, io sono bella. Io non sono fatta così. Le mie gambe sono dritte ed i miei occhi vispi, i miei capelli ondeggiano al vento e la mia pelle e tonica e rassodata. Io non sono quella cosa, è solo un'immagine fasulla.
Io non sono così.
Io non sono lei.
Io non so nemmeno chi sia lei.
No!
Mi rifiuto di essere quella cosa.
Cominciai a tremare, lacrime spuntavano dagli occhi, finchè nessuno mi vede posso permettermi di piangere. È come se mi avessero messo addosso un abito che odio. Il mio abito, il mio corpo non fa per me. Quel corpo non è Sandra. Quel corpo non sono io.
Dovevo fare qualcosa, dovevo liberarmi da quella cosa. Qualsiasi cosa fosse. Cominciai a graffiarmi ovunque, pancia, faccia, braccia, gambe.
“Levati, levati, levati!”
Non si staccava, come se fosse incollato sopra il mio vero corpo.
No. Non posso passare la mia vita a vivere con questo corpo, no, non voglio essere accettata nonostante il mio corpo, voglio essere amata, e questa cosa che ho addosso non me lo permetterà mai. È troppo grosso e ingombrante, è troppo diverso da quella che sono io.
Devo togliermelo.
In qualche modo.

Sorridere come se servisse a qualcosa.
Sanguinare come se non facesse male.

Il mattino ha l'oro in bocca.
Il mio ha la bocca piena di denti, pronti per lacerarmi un'altra volta. Perchè mi sono svegliata? Non potevo dormire? Non potevo morire?
Mi alzai dal letto.
Non salutai la donna in cucina che un tempo chiamavo mamma. Non la riconosco più come tale, mi ha lasciato annegare nelle mie lacrime e nel mio dolore. Avevo una cosa sola in testa, la mia immagine riflessa.
Sono davvero così? E se fossi diversa mi amerebbero?
Non ho neanche fame, non mi viene voglia di mangiare. Guardo il piatto in tavola, guardo quel cibo, dio, mi viene il voltastomaco, quando lo vedo rivedo l'immagine del grasso che cola dal corpo morto di Dewgong. Quel coso grasso e orribile che ribolliva nella pancia di quel Pokèmon grosso e goffo.
Immagino quella cosa schifosa dentro la mia bocca e dentro il mio corpo. Mi viene da vomitare al solo pensiero. Come può certa gente non vedere questo cosa orribile?
No. Non riesco proprio a mangiare oggi. Non voglio.
Mi butto a letto. Ho mal di testa. Gira gira gira tutto.
Mi sento stanca, eppure non ho fatto nulla. Ho passato tutto il giorno seduta, sul letto. A fissare quell'immagine allo specchio.
Fino a passare oltre quell'immagine che non riconoscevo. Poi passai alla mia vita. La mia vita era
indescrivibile.
Non ho amici.
Non ho una famiglia.
Non ho un rapporto col fratello.
Non ho mai avuto qualcuno che mi amasse.
Non ho mai avuto un fidanzato.
Ho fatto tutti questi sacrifici. Ho sacrificato la mia vita, il mio cuore e la mia anima, per cosa? Per un titolo che mi è stato strappato via come un cerotto.
Sono pesante. Peso davvero troppo, e sulle mie spalle pesa l'aria carica delle aspettative di tutti. Delle mie aspettative. Io volevo essere la migliore.
Guardatemi e amatemi.
Notatemi.
Non voglio più sentirmi una parete.
Non voglio più essere invisibile.

Sorridere come se servisse a qualcosa.
Sanguinare come se non facesse male.

Sono tre giorni che non mangio.
Non riesco a vedere il cibo, mi da la nausea.
Odio la mia vita ed odio essere me.
Non voglio più essere me.
Voglio cambiare vita, voglio cambiare me stessa. Essere migliore, non dover più deludere nessuno, scoprire chi sono.
Per prima cosa devo cambiare il mio aspetto.
Ho scoperto che questo digiuno fa cambiare il mio corpo, lo sento più leggero, lo sento diverso. Se digiunassi ancora magari il mio corpo cambia ancora, magari potrò essere migliore. Magari posso definitivamente strapparmi questo corpo inutile dalla mia anima.
Mi butto a letto.
Faccio fatica anche a respirare. Non vedo l'ora di non riuscirci mai più. Non vedo l'ora che il mio cuore sia troppo stanco per battere.
Spengo la luce. Chiudo gli occhi.
Spero di non doverli riaprire mai più.
“Non sarà così semplice”
Una vocina nella mia testa mi fece risvegliare. Lei era ai piedi del mio letto, non era vera, era la mia immaginazione a renderla reale, lei era nella mia testa, erano i miei occhi a volerla vedere reale. Per darla un volto. Per darle una vita. Lontana da un corpo così inetto.
Era alta, magra, perfetta. Era come me. Solo perfetta e bellissima.
Di uguale a me aveva solo una parte dell'aspetto.
Lei non era un'inetta.
Chi sei?
Non avevo bisogno di parlare. Lei è nella mia testa. Lei mi sente.
Sono te. Sono la parte migliore di te. Seguimi. Tienimi con te, e ti aiuterò ad essere perfetta come me.

Sorridere come se servisse a qualcosa.
Sanguinare come se non facesse male.

Non mangiare. O perderai tutto quello per cui hai lavorato finora. Sii brava.
Punisciti.
Liberati del tuo corpo. Sfregialo con le lame. Disintegralo col fuoco.
Presto i segni della lametta sulle braccia si confondevano, formavano una texture sulle mie braccia, mi piaceva, anche se non so più cosa sia un piacere, un divertimento, un sorriso, mi piaceva passare il dito sopra le cicatrici. Seguire qui segni, come una chiromante, come per capire dove devo andare.
Lo scoprirò mai?
Ho paura di andare da qualche parte. Ho paura a fare qualche scelta. Scelgo sempre la cosa sbagliata.
La vocina di quella figura rimbombava sempre nella mia testa, e lei era sempre al mio fianco. Era sempre con me. La mia migliore amica.
La mia unica amica.
Le ho dato un nome, così da poterla chiamare quando ho bisogno di aiuto, così da poterla riconoscere, così da poterle parlare.
Claire.

Non ho una bilancia, mi baso sullo specchio, finchè non vedrò il mio copro cambiare non sarò contenta.
La felicità è effimera. Non esiste. Si crede di essere felici, ma in verità si sta solo cercando una scusa per non essere tristi. Siamo tutti tristi, tutte le nostre vite fanno schifo.
Ma io non mi voglio accontentare. Io voglio essere felice, non dover più rendere conto a nessuno, non dover più sopravvivere. Io voglio vivere una vita piena.
Ah se non fossi mai nata sarebbe tutto più bello.
Non dovrei superare queste cose.
Non dovrei costringere i miei Pokèmon a sopportarmi.
Non si meritano un'allenatrice del genere, loro sono migliori di me. Io non sono degna nemmeno di stare ai loro piedi.

Sorridere come se servisse a qualcosa.
Sanguinare come se non facesse male.

Sono un'inetta. Sono una fallita. Sono inutile. Sono un mostro.
Sono dilaniata dalla voglia di essere vista e quella di essere invisibile. Vorrei tanto che qualcuno mi notasse, vedesse al di là dei miei occhi e dal sorriso finto il dolore.
Il mio sorriso è solo un'accozzaglia di denti rovinati e gialli.
Li lavo spesso, ma la mancanza di cibo comincia a corroderli.
Ma non posso mangiare, devo dimostrare di essere forte. Devo dimostrare di poter portare a termine qualcosa. Ho sempre fallito in tutto. Non posso fallire anche questo.
Vorrei che quel qualcuno mi raccogliesse dalle mie lacrime, mi portasse via, lontano da qui in un posto che neanche esiste. Mi desse amore.
Abbastanza amore da essere sufficiente per due.
Dall'altra non voglio essere vista. Quando cammino per il paese tutti si girano e fissarmi. “Non guardatemi!” vorrei urlare. Cosa si aspettano da me? Mi staranno giudicando? Cosa pensano di me? Sento su di me i loro sguardi accusatori, come a giudicare ogni singola atomo di me e della mia vita. Vorrei scoppiare in lacrime e chiedere aiuto.
Ma non posso.
Claire me l'ha impedito.
Devo farcela da sola, nessuno mi vuole aiutare. Vogliono solo godere della mia sofferenza per credersi migliori, vogliono vedere la disperazione nei miei occhi per illudersi ed innalzarsi su qualcuno che sta peggio di loro.
“La mia vita fa schifo, ma lei sta peggio”
Ecco cosa pensano, ecco a cosa servo. Usatemi. Servitevi di me. Picchiatemi. Uccidetemi. Fate di me quello che volete. Ormai non ho più un'anima. Ormai sono talmente abituata a soffrire che non riesco neanche più a riconoscere il dolore.
È tutto dolore.

Sorridere come se servisse a qualcosa.
Sanguinare come se non facesse male.

Oggi mi sono recata al grande lago d'Ira, poco sopra Mogania. Voglio smettere di far soffrire i Pokèmon a causa mia. Comincerò con Gyarados.
Aprii la Pokèball e ne uscì quel grande drago marino. Enorme e possente. Come può un Pokèmon così forte e fiero permettersi di stare con me?
“Vattene”
Rimase lì, fermo a fissarmi negli occhi.
“Non rendermi le cose difficili. Vattene”
Ancora fermo. Perchè non te ne vuoi andare da me. Fai quello che tutti sembrano fare così bene. Allontanati da me. Vattene. Tutti mi hanno sempre abbandonato, tutti mi hanno sempre rifiutato. Perchè tu no?
Cos'hai di strano?
Vuoi rimanere qui e farmi soffrire ancora di più?
Sai quanto odio gli adii, sai che non voglio rimanere sola, sai che ho bisogno di aiuto, di un aiuto che mai nessuno potrà darmi ed io, io sono troppo troppo debole per riuscire a farcela da sola.
Vattene e abbandonami a me stessa come hanno sempre fatto tutti.
Non guardarmi. Non farmi vergognare del mio aspetto. Non farmi vergognare dei miei pensieri.
“Non ho più bisogno di te”
Abbassò la testa e cominciò ad allontanarsi, sembrava triste.
Non è vero, io ho bisogno di te, ho bisogno i te. “Ti prego, ritorna” avrei voluto urlare, ma non ci riuscivo. Troppo orgogliosa, troppo testarda, troppo stupida, troppo infantile, troppo me.
Ti avrei fatto soffrire mio amato Gyarados. Qui starai meglio. Chiunque starà meglio quando si allontana da me.

Sorridere come se servisse a qualcosa.
Sanguinare come se non facesse male.
   
 
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