Serie TV > Sherlock (BBC)
Segui la storia  |       
Autore: isteria    20/12/2014    3 recensioni
In un mondo dove le persone hanno dei poteri speciali, John Watson si trova nella situazione più sfortunata di tutte: può vedere quanti giorni mancano alla morte di chi gli sta intorno e per questo motivo è certo che la sua vita farà sempre abbastanza schifo.
Questo almeno fino a quando non incontra Sherlock Holmes e ha l'occasione di salvare Londra e quelli come lui dal loro destino.
Genere: Sentimentale, Suspence, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
CAPITOLO 3

Ordinale

Se una persona qualunque gli avesse chiesto dal nulla "Dove pensi viva Vera Deyong?" non avrebbe mai risposto "In una lussuosa villa in stile edwardiano, un paio di miglia fuori Londra". Non che si aspettasse che la leader dell'unico partito liberale rimasto in Gran Bretagna vivesse in mezzo agli ultimi della società - quelli come lui, in pratica -, ma nemmeno in una casa che avrebbe fatto invidia, se non alla Regina in persona, almeno a una qualche sua cugina di secondo grado.

"Ne sai molte sulla vita e sulla guerra, John, ma ancora poco sulla politica. Devo ammettere che  invidio la tua innocenza. - disse Sherlock mentre scendevano dal taxi - Quasi mi dispiace riportarti alla realtà con questo caso."

"Non sono mica nato ieri! - replicò John, fintamente offeso - Tu, invece, uomo vissuto: hai avuto molto a che fare con questo mondo?"

"Praticamente da quando ho conosciuto Mycroft."

La visione di un piccolo Mycroft in giacca, cravatta e ombrello già invischiato nei piani diplomatici mondiali era qualcosa di troppo esilarante per trattenersi, anche su una scena del crimine.

Si guardarono per un secondo, poi iniziarono a ridacchiare.

"Ehi! Voi due! Qui sta crollando la politica britannica, vi sembra il momento?" l'ispettore capo Lestrade (11683) si avvicinò agitato, la fronte imperlata di sudore nonostante il freddo polare.

"Lestrade." salutò Sherlock, quasi irritato per l'interruzione.

"Per fartela breve: la situazione è grigia, non sappiamo che pesci prendere e ufficialmente non dovremmo essere nemmeno qui."

"Ma, dato che sei il cagnolino di mio fratello, eccoti a degnarci della tua presenza. Ora dimmi qualcosa che non so." rispose Sherlock, passandogli davanti come se non lo vedesse e dirigendosi verso l'ingresso della villa.

Lestrade guardò John, sconsolato: "Vorrei poter dire che non fa sempre così, ma mentirei. Con te, invece, sembra stranamente gentile."

Il sorrisetto dell'Ispettore lo fece sentire a disagio.

"È solo perché ci conosciamo da poco." borbottò John a mo’ di scusa.

Lestrade adesso sembrava davvero divertito.

***

L'ufficio di Vera Deyong, l'ultimo posto in cui era stata vista la sera prima, era al secondo piano dell'ala destra della casa. Quando entrò, John trovò Sherlock già indaffarato a perlustrare la scena minuziosamente con la sua lente di ingrandimento tascabile. Al momento era a carponi sul tappeto, analizzando chissà quale fibra minuscola.

"Cenere. Sigaretta, direi al mentolo a giudicare dal leggerissimo odore di menta che aleggia nella stanza, nonostante la finestra aperta. Marlboro. Non c’è nessun posacenere, quindi la Deyong non fumava o comunque era una fumatrice occasionale che in ogni caso non avrebbe mai fumato una sigaretta così forte."

John rimase di nuovo affascinato dal modo in cui Sherlock si trasformava completamente nel momento in cui aveva un mistero da risolvere. Era un uomo con una missione. Nulla poteva distoglierlo dal suo obiettivo tranne…

"John. Cosa ne pensi?" chiese all'improvviso, come realizzando solo in quell’istante di non essere solo nella stanza.

La verità era che John non ne pensava proprio niente. Era un medico, al massimo un soldato: le sue osservazioni più acute potevano coinvolgere il corpo umano e le pistole. Lì non c'era nulla su cui potesse anche solo pensare di potere dire qualcosa di vagamente sensato che Sherlock non avesse ancora pensato, vagliato ed eventualmente scartato.

"Beh…se la Deyong non fuma, direi che probabilmente qui c'è stata un'altra persona."

Sherlock sembrava dubbioso.

"Ma come sono usciti?"

"Dalla finestra? È aperta."

"Troppo alta. Per quanto atletica, neanche una persona di vent'anni riuscirebbe a saltare da quest'altezza senza farsi molto male e la Deyong ha superato la quarantina. Devono essere passati dalla porta." Nel giro di una frazione di secondo, Sherlock era già fuori dalla stanza e stava perlustrando tutto il corridoio, per poi dirigersi verso il piano di sotto, urlando "Lestrade! Il marito! Devo parlare con il marito!"

John iniziava a sentirsi molto inutile.

***

"Non è assolutamente possibile che Vera sia uscita dalla porta con uno sconosciuto. Il cane avrebbe abbaiato."

"Ma se lei era presente potrebbe non averlo fatto." replicò Sherlock

"È il cane più stupido del mondo, abbaia a tutti, in particolare ai padroni."

Bradley Fernandez (893 - John era segretamente contento di non conoscerlo) era un uomo basso, nervoso, dai lineamenti vagamente ispanici, ma non abbastanza forti da poterlo definire bello.

"Sherlock, una parola." Lestrade era appena arrivato con un plico di fogli e fece cenno a Sherlock e John di seguirlo in cucina.

"Ho qui i dati che ci ha mandato la ditta che ha installato gli antifurti.”

"Antifurti?" chiese John, sorpreso.

"Esatto. Questa roba è ultima tecnologia, si tratta di una doppia sicurezza: la prima è la classica tutela, il tastierino collegato alla centralina che fa scattare l'allarme se non si inserisce il codice giusto o non lo si fa in tempo; la seconda è più raffinata e riguarda l'allarme silenzioso: in pratica una volta che il sistema è attivato, per aprire la porta dall'interno è necessaria l'impronta digitale di uno dei due proprietari. Se la Deyong avesse voluto segnalare che qualcosa non andava, avrebbe potuto tranquillamente uscire disattivando il primo allarme ma non il secondo, senza che l'altra persona se ne accorgesse."

"A meno che questa seconda persona non conoscesse l'esistenza del secondo allarme." provò a suggerire John.

"Improbabile: quasi nessuno ne era a conoscenza, a parte chi l’ha installato. Si tratta di una ditta di Manchester, abbiamo sentito i proprietari e gli operai adesso e sembrano del tutto estranei".

John aveva esaurito gli spunti intelligenti e decise che avrebbe fatto più bella figura aspettando che Sherlock uscisse dal suo mondo parallelo e illuminasse la stanza con le sue deduzioni.

 "Cosa ne pensi del marito? Mi sembra troppo fosforescente per i miei gusti." chiese Lestrade. Dio, John avrebbe dato qualunque cosa per scambiare la sua Anagrafe con quella dei Vigilanti: aveva sempre considerato terribilmente affascinante il vedere il numero di reati commessi nella vita degli altri.

"Non è coinvolto nel rapimento della moglie. Torchialo pure, ma probabilmente il suo numero è così perché tiene della droga in casa senza che la moglie ne sappia nulla. Solo cocaina." rispose il detective.

"Solo cocaina." rispose Lestrade facendogli il verso e chiamando l'unità cinofila con la ricetrasmittente.

John aspettò che l'ispettore se ne fosse andato prima di rivolgere al suo coinquilino la domanda che gli continuava a ronzare in testa.

"Sherlock…perché mi hai portato qui?"

"Perché sei il mio coinquilino." Rispose lui con il tono di uno che odia puntualizzare l’ovvio.

John si ritrovò a sorridere, suo malgrado: "Non tutti i coinquilini si mettono a fare queste cose. Se va bene, al massimo si fanno una birra insieme la sera sul divano."

Sherlock lo stava guardando e John si stupì nel constatare che più che offeso sembrava ferito.

"Sei un medico che da quando è tornato dall'Afghanistan ha pensato al suicidio in due diverse occasioni. Tu non sei perseguitato dalla guerra, dottore: a te la guerra manca. Questo - disse indicando la casa che li circondava - è il tuo campo di battaglia, John, non il divano, dividendo una birra alla fine di una giornata che avresti odiato."

John guardava Sherlock, le parole bloccate in gola, ma la verità era che non era stata la sfuriata ad ammutolirlo.

Gli vennero in mente tutte le volte che aveva preso la sua pistola in mano, accarezzandola come se fosse una vecchia amica, come se solo lei potesse aiutarlo a lenire quel senso di disperazione che lo colpiva ogni mattina, appena apriva gli occhi e iniziava a sentire il dolore alla gamba. Ripensò a quelle due volte in cui era arrivato così vicino a premere il grilletto da avere sentito la canna fredda dell'arma toccargli il palato: come poteva quest'uomo sapere quante volte aveva pensato di farla finita? Non era possibile che avesse tirato a caso. Sherlock sapeva, ma la domanda a questo punto non era tanto come sapesse. C'era una questione più importante da affrontare.

"Cos'altro sai di me?"

"Prego?" Sherlock sembrava effettivamente in panico adesso: il suo sguardo era quello di uno che avrebbe dato qualsiasi cosa pur di cancellare gli ultimi tre minuti dalla sua vita. Ma non era nulla rispetto a come si sentiva John: nudo, stupido e preso in giro.

"Non prendermi per il culo - rispose John con una spacconeria che sicuramente in quel momento non sentiva - se sai, per qualche oscuro motivo, quante volte ho pensato al suicidio, sicuramente non puoi avere mancato la parte più ovvia. Allora dimmi: perché sei ancora qui? Perché mi hai voluto come coinquilino?" John si ritrovò ad abbaiare le ultime domande, come se in quel momento Sherlock fosse il responsabile di tutte le sofferenze che aveva patito in trentotto anni di vita.

"Per lo stesso motivo per cui sei rimasto tu. - disse l'altro con malinconia, mentre un'ombra gli oscurava gli occhi chiarissimi - Come te, ho accettato la mia morte e la solitudine anni fa. Non ho paura John. Qualunque numero tu stia vedendo in questo momento sulla mia testa, sappi che me lo puoi anche dire perché io non ho paura." Mentre parlava, Sherlock si era avvicinato a lui, invadendo il suo spazio personale. La cucina d'un tratto era diventata molto piccola e molto calda.

"Tutti hanno paura della morte. Me compreso."

Sherlock lo guardò così intensamente negli occhi che John si sentì di nuovo allo scoperto, ma per un motivo totalmente diverso.

"Non se hai una paura più grande." In un secondo, il detective uscì dalla casa, il cappotto svolazzante alle spalle.

"Aspetta! Dove stai andando?" urlò John, arrancando per tenere il passo e fallendo miseramente.

"Ci vediamo a casa."

John ebbe la sensazione di avere appena distrutto qualcosa di appena nato e bello. Imprecò sottovoce.

***

"Sherlock! Mi hai spaventata! - la ragazza aveva la mano al petto, come se temesse che il cuore potesse saltarle fuori dalla gabbia toracica per atterrare sul tavolo delle autopsie, pronto per essere esaminato.

Molly Hooper lavorava al Barts da cinque anni e, anche se noiosa come gran parte della popolazione umana, tutto sommato era una buona risorsa per Sherlock: metteva le sue analisi in cima alla lista quando aveva bisogno di un risultato in fretta e, se le faceva gli occhi dolci, gli procurava anche i cadaveri su cui condurre gli esperimenti.

Le venne quindi automatico porre la solita domanda: "Posso aiutarti?".

Fu forse l'abitudine ad essere usata per la sua posizione privilegiata all'interno dell'ospedale a farle perdere un battito quando, dopo i soliti (pochi) convenevoli, Sherlock le chiese qualcosa che gli aveva domandato solo un'altra volta, molto tempo prima, quando era andato a trovarlo dopo uno dei suoi ricoveri in ospedale.

"Che numero vedi?"

Anche se la maggior parte della popolazione mondiale per tutta la vita vedeva numeri totalmente casuali senza un pattern definito, chiedere una cosa del genere era considerato il massimo dell'invadenza. Se poi la persona a cui era posta la domanda era un Moirente come Molly, la situazione oltre che imbarazzante poteva diventare davvero molto spiacevole. Ma, d'altra parte, si disse Molly con un filo di imbarazzo, Sherlock Holmes si era sempre rivelato impermeabile alle buone maniere.

"Lo sai che è maleducato chiederlo." Molly sentiva sempre il dovere di educare Sherlock alle convenzioni sociali, soprattutto visto che era evidente come i suoi genitori non avessero sprecato molto tempo a insegnargliele.

"Certo che lo so, ma è da tanto che ho deciso che non me ne importa nulla . Ora, la tua risposta è...?

"Sempre la stessa - rispose Molly. Si avvicinò a Sherlock, che se ne stava seduto al microscopio, senza però avere nulla da esaminare.

"Te l'ho già detto: vivi una vita troppo pericolosa, è da quando ti conosco che non ho mai visto un numero superiore alle tre cifre su di te. Perché adesso dovrebbe preoccuparti?"

"Non mi preoccupa. Sto solo cercando di capire se la persona che ho aspettato apparentemente per tutta la vita non è che un altro 'garante della mia incolumità psicofisica'. Mycroft ne sarebbe contento, almeno." rispose lui, con più di una punta di amarezza nella voce.

"Aspettato? In che senso?"

"Ti rendi conto dell'amarezza di tutto questo? - sbottò Sherlock tutto d'un tratto, ignorando completamente la sua domanda - Se non fosse già terribile il fatto che viviamo in un mondo in cui il novantacinque per cento delle persone nasce con la capacità di vedere il futuro degli altri, viviamo anche in una società dove si crede davvero che tutto questo sia immutabile, come se la nostra esistenza, da quando mettiamo piede su questa Terra a quando la lasciamo, sia riassumibile in quattro numeri.
Ve lo insegnano da subito, vero? Da quando fate le analisi all'Anagrafe: "il Destino non si cambia". Ma vi siete mai chiesti quante delle persone che avete visto con il numero 1 sulla testa siano effettivamente morte? Secondo te qualche Geminato si è mai chiesto se la persona a cui ha fatto consulenza ha poi effettivamente incontrato la sua anima gemella come lui aveva previsto? Te lo dico io: no. Perché siete tutti convinti che la vita funzioni così, solo perché la maggior parte delle volte funziona così. Ma non è vero. Ci sono molte cose che non si spiegano e molte cose che non si conoscono ancora. Ed è questo che fa paura ai governi: finché le persone saranno convinte di avere il diritto di fare o non fare qualcosa proprio a causa dell'appartenenza a una certa categoria, chi ci governa avrà il potere, perché nessuno alzerà mai la testa.
È per questo che studiano così tanto gli Ordinali: perché custodiscono in loro il segreto più grande e pericoloso di tutti, il potenziale disordine. Se le persone diventassero Anumerali, non si farebbero più la guerra fra di loro ed entrerebbero a fare parte di un’unica gigantesca classe sociale con poteri enormi."

"Quindi...esistono davvero questi centri in cui studiano gli Ordinali?"

Sherlock rise, ma non poteva essere meno divertito.

"Certo che esistono. Non capisci? Non vogliono scoprire come nasce l'Anumeralità per diffondere il segreto: lo vogliono distruggere. Nel momento in cui viene catalogato un Ordinale, questo ha solo una cosa da fare: nascondersi o fare da cavia umana."

"E allora tu come mai puoi andare tranquillamente in giro alla luce del sole, se tutti gli Ordinali sono destinati a vivere nascosti?" Per la seconda volta quel giorno, Molly rischiò l'infarto per lo spavento. C'era un uomo dietro di lei: basso, biondo, mediamente attraente che aveva un 6 sulla testa, proprio come Sherlock. Cazzo, aveva scelto di lavorare con i morti proprio perché non le piaceva sapere queste cose delle persone che la circondavano.

"John. Cosa stai facendo?", rispose Sherlock, pallidissimo.

"Ho chiesto a Lestrade dove potevi essere andato e mi ha mandato qui. - si rivolse a Molly- Lei deve essere la signorina Hooper. Piacere, John Watson, sono il coinquilino di Sherlock."

Dopo averle stretto educatamente la mano, John tornò a focalizzare l'attenzione sul detective.

"Quindi?"

"Io ho Mycroft che mi protegge." rispose Sherlock, eludendo il suo sguardo.

"Cazzate. Mycroft non può proteggerti da tutti i governi del mondo che vanno a caccia di Ordinali."

Molly capì dalla tensione crescente nella stanza che era il caso di levare le tende.

"Beh, io devo andare. Un sacco di cadaveri da aprire, sapete. Voi due, ehm, state attenti, ok?".

Mentre usciva, sentì Sherlock esitare e poi rispondere: "E... se ti dicessi che, se mi studiassero, troverebbero qualcosa di più raro di un Ordinale?".

Molly fece finta di non sentire. Ne aveva avute abbastanza per quel giorno.


SBEM! Li ho insegnati io i plot twist a Moffat (sì vabbè...).

Comunque, una ragazza nelle recensioni mi ha detto che la storia le ricorda un po’ Divergent. Alla fine della stesura di questo capitolo, ho letto la trama su wikipedia e in effetti ho notato delle somiglianze. Non ho mai letto il libro, quindi non so, forse io e l’autrice abbiamo una parte di mente in comune? In ogni caso assicuro che, anche se l’andamento della storia è e sarà diverso, non avrei problemi ad ammettere di avere preso ispirazione da quel libro, solo che non è così. Non so si mi sono spiegata :P

Ho cercato di illustrare il più possibile la struttura di questa società, spero sia un po’ più chiaro adesso! Ovviamente verrà tutto approfondito nei prossimi capitoli, quindi non temete: sarà più chiaro :)

Ancora grazie per le recensioni, davvero, non me lo aspettavo! Mi date delle botte di autostima incredibili, sono davvero contenta che vi piaccia la storia!

(E grazie mille a Sara per avermi fatto da correttore di bozze (e prima lettrice/fangirl)! La carriera in casa editrice adesso è spianata per te! ).

A presto,

V.


  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: isteria