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Autore: LaraPink777    25/12/2014    10 recensioni
“Aveva sentito quel bisogno, irrazionale ed infantile, di vedere le luci, per compensare il buio della casa che, quest’anno, di luci non ne aveva. Per riempire l’assenza.”
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Donatello Hamato, Michelangelo Hamato, Raphael Hamato/ Raffaello
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Luci

 

 
Lui voleva solo vedere le luci. Le luminarie. Gli alberi addobbati. Anche se sapeva che non era una grande idea.

Innanzitutto, perché sarebbe dovuto stare vicino agli umani. Tanti umani. Anche se ormai di giorno lavorava in mezzo a loro, ben mascherato, la paura di essere visto e scoperto era sempre costante. Ragazzi, come gli era battuto forte il cuore, mentre aveva fissato estasiato la danza policroma delle lucciole di quell’albero enorme, nella piazza, e un gruppo di umani gli si era avvicinato. Così vicino da averlo sfiorato. Aveva abbassato il viso, cercando di scomparire nel cappuccio. Aveva sperato che tra sciarpa ed occhiali da sci non si intravedesse niente. E che il giubbotto sformato non lo facesse sembrare troppo… strano, né i larghi pantaloni lunghi fino ai piedi.

Aveva rischiato, imprudentemente  e sconsideratamente, di infrangere il loro primo e più importante precetto; inoltre, aveva sfidato le sfuriate di Donnie, e di Raph. E si era esposto ad un raffreddore spaziale, con quelle temperature. Ma lui voleva solo vedere le luci. Perché improvvisamente, quella sera, nel vuoto della tana, con Donnie al lavoro, con Sensei che dormiva, con Raph ancora fuori, con Leo… Leo lontano, aveva sentito quel bisogno, irrazionale ed infantile, di vedere le luci, per compensare il buio della casa che, quest’anno, di luci non ne aveva.

Per riempire l’assenza.

Ed era sgattaiolato fuori come un ladro, senza dirlo a Donnie, poiché tanto sarebbe tornato in un paio d’ore, e nessuno si sarebbe accorto di niente. Che poi, in fondo, diamine, non era un bambino, ed aveva anche lui il diritto di andarsene in giro come e quando voleva, come Raph? No?

E poi lui tanto sarebbe tornato, e sarebbe stato a casa per Natale. Lui sì, ci sarebbe stato.

Un brivido di freddo più intenso degli altri gli attraversò il corpo, e guaì per il dolore.

Sì, non era stata una grande idea. E poi, ancora non aveva capito perché per rientrare non era sceso subito giù a quel tombino ma aveva deciso di passare per questa zona, allungando parecchio la strada. Beh, buon per le ragazze. Aveva sentito le loro urla da fuori il vecchio cantiere. Almeno erano salve, era scappate. Non li capiva proprio, gli uomini. A volte, lo facevano inorridire.

E poi, non era stata una grande idea neanche affrontarli in quel modo. Ah, Mikey, perdi colpi, vecchio mio. Non erano neanche una ventina. Adesso, tra i brividi, sembrava però che l’idea più idiota di tutte fosse stata quella di essersi tolto i vestiti. Certo, lo avrebbero impacciato un po’, un bel po’, ma tanto… Tanto quel colpo da dietro non l’avrebbe visto lo stesso.

Che idiota, farsi sorprendere così.

Intontito. La corsa tra i piani. Salire le scale, inseguire. Inseguito? La lotta, tra lo scheletro scuro del palazzo. Scivolare sul ripiano in costruzione, sul cemento lastricato di ghiaccio. Sirene in lontananza. Quello con il coltello e quello con la catena in fondo non combattevano neanche tanto male. Troppi, e la testa girava per la botta. Sirene più vicine. La schivata. La seconda schivata. Il calcio. Ghiaccio.

La caduta.

Afferrare e scivolare, sbattere il fianco sul ferro dell’impalcatura, poi ancora giù, poi sbattere ancora, poi il suolo, là sotto.

Ed il dolore.

“Non risponde e non è rintracciabile.”

Gli occhi nocciola incontrarono i verdi e confermarono l’ovvio. Ogni più piccolo sentimento di rancore dissolto, ogni altro pensiero allontanato.

“Che facciamo?”

Donatello fu quasi stupito della semplicità con cui il fratello gli rivolse la domanda. Occhi smeraldo in intensa attesa.

Giusto, lui era il leader. Appena il gioco si fa serio, ogni piccola ripicca è rimandata.

Iniziò a dare indicazioni mentre si risiedeva al computer, eseguendo velocemente le procedure.

“Controllo l’ultima posizione ed usciamo a cercarlo.”

Raffaello annuì. Donatello era abbastanza sicuro che, leadership o no, ogni altra risposta non sarebbe stata accettata.

“Dove credi che possa essere andato?”

“Non ne ho la più pallida idea.” Il senso di colpa iniziava a farsi strada nello stomaco, mentre le dita correvano rapide sulla tastiera. Avrebbe dovuto prestare più attenzione. Certo, non poteva pretendere che suo fratello a diciannove anni gli desse conto di ogni sua mossa, ma avrebbe dovuto accorgersi che non era a casa. Lui aveva la responsabilità sui fratelli, adesso.

“Spero solo che abbia preso i vestiti” aggiunse indicando uno dei monitor mentre Raph si avvicinava. In una finestra del desktop un’applicazione segnalava la temperatura esterna: dieci gradi centigradi sotto lo zero.

“Ecco, era qui.” Il viola tracciò con il dito sul monitor una serie di punti rossi che si soprapponevano alla cartina della città.

“Cosa diavolo faceva quel deficiente nel centro di Manhattan la notte di Natale, con la gente in giro?” sibilò il rosso.

Donatello si fermò con il dito su un puntino. “È stato un po’ fermo qui.” Si bloccò, come a riflettere. Si voltò a guardare un attimo l’angolo scuro, e poi suo fratello negli occhi, infine tornò al monitor. “L’albero del Rockefeller Center” mormorò piano.

Anche Raffaello si girò a guardare l’angolo dove ci sarebbe dovuto essere l’albero di Natale. Non ci aveva neppure fatto caso, che quest’anno Mikey non l’aveva fatto. Sentì una stana sensazione amara, tra rimpianto, rabbia, malinconia e senso di colpa.

“Dannazione, è proprio un bambino.” Sbatté un pugno sul tavolo. Non sapendo quale emozione privilegiare, preferì puntare su quella più nota.

“L’ultima posizione è questa” sentenziò Donatello alzandosi di fretta dal monitor, mentre caricava i dati sul suo T-phone. Raffaello si avvicinò a guardare, intanto che il fratello già correva verso le stanze. “Avverto Sensei ed andiamo.”

Bussò piano alla porta, e poi senza attendere risposta l’apri. Il mutante malato giaceva sul suo futon, voltandogli le spalle. Donatello s’inginocchio al suo fianco, chiamandolo piano.

“Sensei?”

Splinter si mosse, iniziando a svegliarsi, ed il giovane mutante gli mise una mano sulla spalla.

“Padre?”

Hamato Yoshi si voltò verso di lui, sbattendo le palpebre. “D… Donatello?”

Si alzò sui gomiti, completamente sveglio.

 “Che succede, figlio mio?”

“Io e Raph stiamo andando in superficie.” Cercò di formulare la frase in modo da non allarmarlo.  “Mikey ha… problemi con il T-Phone e stiamo andando a vedere che succede.”

Splinter si mise a sedere. Il suo respiro era ancora pesante, i movimenti lenti.

“Che problemi?”

Donatello deglutì. Che idiota a pensare che suo padre non avrebbe chiesto.

“Lui… non riusciamo a rintracciarlo.”

Il maturo mutante allargò appena percettibilmente gli occhi, ma l’espressione rimase impassibile.

“Sarà solo un problema di telefono, papà, non ti preoccupare. Andiamo e torniamo. Tu resta a letto.”

Il tono della frase e l’imperativo bonario sarebbero stati impensabili, fino a poco tempo prima. Ma settimane di malattia, che avevano visto Donatello quasi costantemente al fianco del padre, per vegliarlo ed accudirlo, avevano profondamente cambiato il loro rapporto. I ruoli si erano invertiti, il protetto era diventato il protettore; la debolezza, la paura, le lunghe notti insieme avevano aperto gli animi a confronti e confessioni, ed il rapporto che si era creato tra l’uomo ratto ed il suo figlio più intelligente era diventato qualcosa di ancora più profondo e maturo. Il duro maestro si era in un certo senso ammorbidito, il giovane allievo era diventato un adulto: a volte, i discorsi si erano dipanati come una relazione tra pari, e mentre Donatello aveva imparato a conoscere aspetti del padre di cui non immaginava l’esistenza, anche Yoshi aveva appreso che nella vita gli insegnanti possono divenire a loro volta allievi.

“No, fammi alzare.”

Si aggrappò al braccio del figlio, per sorreggersi, e si alzò in piedi, a fatica. Adesso che era di fronte a Donatello, era evidente come fossero della stessa altezza. Hamato Yoshi era stato alto anche da umano, molto di più della media dei giapponesi, e Donatello, il più longilineo dei suoi ragazzi, lo aveva ormai raggiunto da qualche tempo. Il giovane mutante inarcò il gomito, permettendo a suo padre di sostenersi, e lo condusse verso la zona centrale. Lo aiutò a sedersi in poltrona, e poi con un semplice cenno degli occhi lo salutò, afferrò la sua borsa a tracolla e raggiunse Raffaello che lo attendeva già davanti alla porta che si apriva sul garage.

Il freddo intorpidisce i sensi. La mente si perde. Come lo sapeva? Allora forse lo ascoltava un po’, Donnie, quando teneva le sue noiosissime lezioni di pronto soccorso. Sì, forse un po’. La mente si perde. Non deve. Tienila occupata. Pensa. Faticoso. Ricorda. Doloroso. Conta.

Cosa? Le lucine laggiù? Troppo lontane. Le sottili barre di ferro, appena visibili nella penombra, che fuoriuscivano dal cemento armato intorno a lui e si innalzavano di qualche piede verso il cielo grigio che vomitava neve, lassù?

Uno, due, tre… Conta, resta concentrato. Conta. Sedici, diciassette… Il dolore è nella mente, ma il freddo? Venticinque, ventisei… Come può bruciare il ghiaccio sulla pelle? È il fuoco, che brucia. Trentasei, trentasette.

Era esattamente la trentasettesima barra di ferro a partire dal muro. La trentasettesima, sì.

Che, vermiglia, trapassava da parte a parte la sua coscia destra.

Il sangue continuava a gocciolare, ma più lentamente, tiepido e vischioso; si espandeva sulla neve candida come macchie di colore sulla tela di un pittore.

Un altro involontario lamento sfuggì impertinente dalla bocca dai contorni ormai cianotici. Il giovane mutante, alzando il ginocchio, strisciò lentamente il piede sinistro verso il suo corpo. Forse, se fosse stato un po’ più vicino al suo guscio, avrebbe potuto riscaldarlo. Non sentiva più le dita dei piedi. Quelle delle mani andavano appena un po’ meglio, strette sotto le ascelle. I brividi stranamente stavano diminuendo d’intensità. Così il dolore all’arto infilzato, che stava passando da insopportabile a molto forte.

Non era un bene, non poteva essere un bene. Strinse gli occhi. Si sentiva sul punto di piangere.

Poi, invece, iniziò a ridere. Piano, in dolci sussulti, quasi singhiozzi. Apri nuovamente gli occhi azzurri, e rise più forte.

Gli avevano sempre detto che riusciva a trovare il lato buffo in tutte le cose. A volte gli avevano presentato questo come una dote, a volte no. Il lato buffo. Ridicolo.

Hamato Michelangelo, tartaruga mutante. Uno dei migliori ninja al mondo. Che aveva sconfitto innumerevoli nemici, vinto innumerevoli battaglie. E che sarebbe morto la notte di Natale, da solo, trafitto come una farfalla in un espositore, congelando e dissanguando piano piano.

Ridicolo, no?

I singhiozzi stavano salendo troppo in gola, e si asciugò il moccio col dorso della mano.

Calmo, amico, tu non ti disperi. Tu sei il ragazzo bicchiere mezzo pieno, giusto?

Non si era disperato quando intontito per la caduta aveva alzato la testa e scoperto di avere la coscia inchiodata a terra da una barra alta almeno quattro piedi. Non quando con una mano tremante aveva toccato il ferro imbrattandola di rosso. Non lo aveva fatto quando aveva tirato a fatica fuori dalla cintura il suo T-phone solo per trovarlo fracassato dalla botta che aveva preso al fianco, e che per inciso probabilmente gli aveva fracassato anche qualcosa come una costola ed un po’ di piastrone. Né si era disperato quando iniziando a tremare dal freddo aveva iniziato anche a gemere per quel pezzo di ferro zigrinato che gli straziava le carni.

Perché appena i suoi fratelli avessero scoperto che mancava, sarebbero venuti a cercarlo, e l’avrebbero trovato.

Ma a mano a mano che i minuti passavano, era diventato sempre più difficile allontanare il pensiero che, forse, i suoi fratelli non si erano neanche accorti che lui mancasse.

E mentre la neve scendeva in piccoli fiocchi malvagi, avvolgendo il suo corpo in un doloroso abbraccio di morte, il tempo scorreva lentissimo e nero, ed i rumori e le luci e New York e la festa erano lontani oltre le recinzioni del vecchio cantiere, l’ansia ed il dolore cambiavano nome, diventando angoscia, e la speranza si andava affievolendo come una candela sotto un bicchiere di vetro.

La morte appariva reale, vicina. Spaventosa.

La mente si perde.

Tutto si perde.

Non vi era nessuno. Non vi erano i suoi fratelli.

Leo era lontano. Leo?

Nessuno stavolta a salvarlo. Dov’erano tutti? La solitudine era fredda e bruciava come il ghiaccio. Dov’era la sua fortuna? Dove i suoi eroi? Forse il famoso Nightwatcher stasera era a casa. E forse neanche lui si curava di un mutante, che si perdeva piano.

Qualche macchina era in giro. Ma nessuno stava più a casa, la notte di Natale? Per giunta con questo freddo?

Raffaello strombazzò e sorpassò quel cretino che viaggiava lento come una lumaca. L’automobilista gli rispose con un lungo e nervoso colpo di clacson.

Lo Shellraiser prese la curva in derapata, e Donatello si aggrappò allo schermo.

“Quanto manca?”chiese concitato il mutante mascherato in rosso alla guida.

“Ci siamo quasi. Alla prossima gira a sinistra.” Donatello lavorò sulla tastiera del computer per verificare  a cosa corrispondesse l’ultima posizione rilevata, e sullo schermo si visualizzò una planimetria.

“È un vecchio cantiere sotto sequestro. Non è detto che troveremo Mikey, ma inizieremo le ricerche da qui.”

“Guarda, se nel frattempo lui sta tornando a casa, giuro che questa è la volta che gli do tanti calci in culo da non potersi sedere una settimana. Non può comportarsi così. Idiota.”

Donatello sbuffò in un sorriso ironico.

“Così come, Raph? Dici che non può uscire nella notte senza dirci niente? Non può farci stare in ansia perché non sappiamo dove diavolo sia? Non può mettersi in pericolo da irresponsabile senza pensare ai suoi fratelli? È questo, che non può fare?”

“Non iniziare…”  ringhiò agli occhi nocciola riflessi dallo specchietto a lato del volante.

“Non può fare come…”

“Basta!” gridò staccando una mano dalla guida e sbattendola sulla caotica strumentazione della plancia dello Shellraiser. “Non devo dare conto a te di dove vado e di quello che faccio!”

La voce del viola rimase calma. “E perché dovrebbe farlo Mikey? Alla prossima gira a destra.”

Dopo qualche secondo di silenzio, Raffaello rispose, burbero.

“È diverso.”

“Perché?”

Il rosso restò in silenzio. Donatello continuò, con un sospiro.

“Raph, questa storia del vigilante solitario deve finire.” Vide il fratello alla guida irrigidirsi. “Adesso che Splinter sta meglio, se non la smetti gliene parlerò.”

Gli occhi verdi si staccarono ancora dal visore sulla strada e guardarono nello specchietto verso l’abitacolo.

“Tu… Da quanto lo sai?”

“Solo un paio di settimane. Ho iniziato a sospettarlo un mese fa quando ti ho sentito rientrare all’alba, ma all’inizio non ne ero sicuro. Gira a sinistra e fermati.”

Arrestato il veicolo, Raffaello si voltò verso il fratello, con un’espressione nervosa e sorpresa sul volto.

“Come…”

“Beh.” Il viola alzò leggermente le spalle. “Almeno avevi il T-phone sempre con te.”

Il rosso si alzò in piedi, e si avvicinò al portellone. Certo. Donatello sapeva rintracciare un segnale, accedere alla linea interna della polizia e fare due più due. Era anche strano che non se ne fosse accorto prima. Il senso di colpa dentro bruciava un po’; oltre alla malattia di Sensei, aveva dato a Donnie anche questo pensiero.

Imprecò, aprendo il portellone. L’aria all’esterno era freddissima. Pensò che probabilmente fosse inutile cercare in quel grande cantiere che si stagliava davanti a loro, dietro alte recinzioni di lamiera. Suo fratello non poteva certo essere lì fermo all’aria aperta.

“Non sei qui, giusto?”

“No Mikey, lo sai benissimo che non sono qui.”

“Perché ci hai lasciati, Leo?”

“Non vi ho lasciati, Mikey. Sensei mi ha inviato in una missione di addestramento.”

“E perché non sei tornato? Perché non sei tornato mesi fa?”

“Non potevo tornare.”

“Ma tornerai, vero, Leo?”

“Tu che pensi, Mikey?”

“Penso… che… tornerai.”

“Sei sicuro?”

“Io… lo sono… Lo ero… Sei… morto, Leo?” Gli occhi si chiusero.

“Non ti addormentare, Mikey. Resta sveglio.”

“Non sei… morto, vero?”

“Non dormire. Apri gli occhi.”

“Sono stanco…”

“Mikey, se ti addormenti non ti svegli più.”

“Non… m’importa…”

“Non t’importa?”

“No… non più… sono troppo stanco…”

“È l’ipotermia, Mikey. Resisti. Apri gli occhi.”

“’Resisti’? Eh eh, Leo… parli… come nei film…”

Increspò la bocca in un sorriso, e lottò con tutte le sue forze per restare sveglio. Ma aveva tanto sonno, e le palpebre secche dal ghiaccio erano pesanti come montagne… Le luci della luminaria lontana diventavano grossi cerchi sfumati, confusi e galleggianti, tra gli occhi socchiusi. La luce all’interno del cantiere era scarsissima, e la notte scura era adesso fluttuante di ombre.

Un’ombra appena più concreta delle altre sembrò materializzarsi tra i piani della costruzione.

Michelangelo apri un po’ più gli occhi, chiedendosi se potesse effettivamente trattarsi di qualcuno o se non stesse già sognando. I pensieri confusi già gli suggerivano la seconda ipotesi, quando l’ombra si stagliò più nettamente sul bordo di uno dei piani dello scheletro dell’edificio.

La tartaruga mutante aprì la bocca secca, per urlare. Se l’ombra era reale, voleva richiamarla. A questo punto, poteva essere anche un umano. A questo punto, prima bisognava cercare di restare in vita, poi eventualmente pensare al da farsi.

Ma la gola emise solo un gemito roco, incapace di articolare suono. Si schiarì la voce e ritentò.

“A…iu…to…” mormorò alla notte.

L’ombra scomparve.

E lui chiuse gli occhi.

Le voci adesso erano sogni, nel nero che l’avvolse.

“Eccolo!”

Donatello gridò indicandolo. Raffaello si avvicinò e vide la forma distesa che aveva scorto dall’alto. Balzò all’interno del basamento di una piccola costruzione mai innalzata, una larga fossa quadrata, alta circa sei piedi e puntellata da sottili travi di ferro che spuntavano dal calcestruzzo delle fondamenta. Scartando veloce gli spuntoni ferrei, raggiunse il fratello e si inginocchiò al suo fianco, col cuore in gola; Donatello fu subito accanto a lui.

“Dio…” esclamò il rosso tendendo la mano verso il fratello immobile, per sfiorarlo. Il corpo pallido era gelido. Anche alla luce tenue, spiccava in contrasto contro un soffice strato di neve sporca di sangue. “Mikey! Mikey, mi senti?” chiese scuotendolo delicatamente per una spalla.

Donatello restò impietrito un secondo appena, non riuscendo ad ispirare, poi si inginocchiò anche lui e mise una mano sul collo del fratello minore. Sussultò al contatto freddo, ma riuscì finalmente a far entrare di nuovo l’aria ghiacciata nei propri polmoni appena sentì un debole battito.

A Raffaello bastò scorgere lo sguardo del viola. Era vivo.

“È in ipotermia.” Il mutante più alto e magro guardò allarmato la gamba ferita, e si alzò per esaminare la situazione, aiutandosi con una piccola torcia. Toccò il metallo che fuoriusciva dalla coscia, patinato di un granato strato di sangue ghiacciato, e rabbrividì.

“Dobbiamo portarlo subito via da qua.”Anche Raffaello si rialzò, e prese un braccio del fratello svenuto, facendo per tirarlo su.

“No!” Donatello lo bloccò con un colpo. “Rimettigli la mano giù!” gridò.

Raffaello eseguì rapido e poi lo fissò allarmato e stupito.

“Non toccargli gli arti, Raph. Se il sangue freddo affluisce al cuore rischia un attacco cardiaco. E non possiamo spostarlo in queste condizioni. Occorre tagliare la sbarra, e rimuoverla poi in laboratorio.”

Tornò ad esaminare il ferro, abbassandosi a controllare sotto il corpo del fratello. “Devo tornare allo Shellraiser, a prendere il seghetto. Tu nel frattempo cerca di riscaldarlo, ma senza smuoverlo né strofinarlo, capito?”

Raffaello rimase quasi turbato da quanto la voce del viola suonasse atona e professionale, priva di ogni sentimento. Annuì ed iniziò ad abbassarsi, mentre Donatello già correva via.

Il terreno era gelido, ma a Raffaello non importava. Avesse dovuto pure sdraiarsi sul fuoco, non sarebbe stato un problema. Il suo corpo però iniziava a protestare, e mentre saliva delicatamente sul fratello minore, quasi con la paura di romperlo, iniziò a tremare.

“Mikey?” chiese ancora, sfiorandogli il viso. “Maledizione, testa di legno, svegliati!”

Cercò di coprire il più possibile il corpo del fratello con il proprio. La neve aveva smesso di scendere, ma un sottile tappeto bianco rivestiva ogni cosa. Si strinse forte contro il piastrone freddo, ansimando piccole nuvole.

Nella sua vita, aveva desiderato molte cose. Da bambino aveva fortemente desiderato quella moto elettrica vista in tv. Da adolescente, aveva desiderato stringere tra le braccia una donna. Aveva desiderato a volte di essere un umano.

Ma non aveva mai desiderato qualcosa così intensamente come adesso. Adesso voleva solo essere a casa, con suo fratello sano e salvo accanto a lui.

I suoni erano ovattati. Come se venissero da lontano, da molto lontano, e come se lui fosse completamente avvolto in un enorme batuffolo di cotone. Eppure, erano abbastanza pungenti, sulla sua anima, ma dar fastidio alla parte di sé che voleva tornare a dormire, rituffarsi nel mondo caldo, sicuro e senza dolore.

Erano suoni conosciuti, e piacevoli. Suoni invitanti che gli suggerivano di destarsi solo per capire che cosa fossero.

Improvvisamente comprese. Erano voci. Allora, forse sarebbe stato meglio svegliarsi. A mano a mano che la coscienza tornava, altre sensazioni sbocciavano nel suo cervello. Caldo e freddo insieme. Buio, perché aveva gli occhi chiusi. Morbido, sotto di lui. Caldo e vivo, nella sua mano.

Dolore, un po’ dappertutto. Strinse le palpebre, e vibrò un lamento in gola.

“… sta svegliando.”

“Mikey? Sei sveglio?”

La mano dentro la sua si strinse più forte; aprì un po’ le palpebre. La luce arrivò a soffiare sul dolore alla testa come sulle braci per alimentare il fuoco. Richiuse gli occhi.

“Mikey?”Due voci pronunciarono quasi all’unisono.

Ok, luce o non luce, doveva riaprirli.

Due volti verdi si misero a fuoco. Le espressioni preoccupate ampliavano due paia di occhi, in una maschera rossa e in una maschera viola. Le pupille erano dilatate nelle iridi verdi e nocciola: in fondo, nella stanza non c’era poi molta luce.

Un sorriso si aprì sotto le lentiggini.

“Hey…” sussurrò. La gola non ne fu contenta.

Ma il petto s’inondò di calore. Era a casa, era al sicuro. Era con i suoi fratelli.

Li vide rilassarsi al suo sorriso in modo fin troppo teatrale. Gli venne da ridere.

“Come ti senti?”

Eh, difficile rispondere, Donnie. Dovrei innanzitutto aprire nuovamente la bocca. Proviamo.

Fece per parlare, ma strinse gli occhi quando una fitta più forte sopraggiunse.

“Hai molto dolore? Hai bisogno della morfina?”

Si prese qualche secondo. Guardò a turno i suoi fratelli, poi fissò, nella sua mano, la mano di Raph: si aspettava che adesso che fosse sveglio il fratello la ritraesse, invece non lo fece. Era ancora preoccupato. Ricordò tutto l’accaduto ed iniziò a fare l’appello al suo corpo. Feroce mal di testa, acuto male ad un fianco, dolore decisamente intenso alla coscia destra. Sì, un po’ di morfina sarebbe fantastico, grazie.

Annuì piano.

Donatello si alzò e iniziò a preparare il medicinale; Michelangelo si guardò intorno, scorgendo la coperta ben avvolta sul suo corpo, il tubicino della flebo al suo braccio, alcune vecchie stufette elettriche accatastate accanto al lettino; a poca distanza, al centro dell’infermeria, spiccava qualcosa di insolito.

Un piccolo albero di Natale.

Oddio, definirlo albero sarebbe forse stato eccessivo. Era più che altro una specie di arbusto, dalla specie sconosciuta e solo vagamente somigliante ad un abete, storto e contorto, con i rametti che si accatastavano in un lato solo. Ma era carico e luccicante di addobbi e brillava di luci colorate.

Michelangelo sentì l’effetto della morfina prima ancora che il fratello finisse di iniettargli tutta la fiala. Alzò gli occhi al viola.

“Chi…”accennò indicando l’albero con gli occhi. Il dolore si stava dissolvendo in un piacevole intontimento.

Donatello fece un cenno del capo verso il fratello in rosso, che era ancora seduto al fianco di Michelangelo e continuava a tenergli una mano: non aveva detto una parola, ma si era limitato a fissare il fratello minore con un’espressione intensa ma indecifrabile.

L'arancione ricambiò il suo sguardo regalandogli un altro sorriso, ed il fratello imbarazzato mise su la sua solita faccia scorbutica e mollando la mano si alzò dalla sedia.

“Vado ad avvisare Sensei” annunciò uscendo dal laboratorio, mentre richiudeva la porta dietro di sé.

Donatello sorrise di rimando alla scena.

“L’albero più bello che abbiamo mai fatto?” scherzò, sfiorando la spalla del fratello con una carezza.

“A dire… il vero, fa… schifo” rispose ridacchiando il mutante in arancio.

“Eh eh, effettivamente… Non ho idea neanche dove l’abbia trovato, è uscito qualche ora fa mentre dormivi ed è tornato con quel coso.”

Michelangelo continuò a guardare affascinato le luci.

“Che ore… sono?”

“Quasi le due del pomeriggio. Ti sei fatto una bella dormita.”

“Come… come sto?”

Donatello si sedette nuovamente sulla sedia a fianco al lettino. Sospirò.

“Un principio di congelamento alle dita dei piedi. Per fortuna non abbiamo le dita piccole degli umani, altrimenti a quest’ora le avresti perse. Geloni e lievi ustioni da freddo sulla pelle. Sei stato tachicardico fino a qualche ora fa. Hai inoltre due costole ed il piastrone incrinati ed il muscolo della coscia lesionato. Per finire, un lieve trauma cranico. Letto per almeno una settimana e non vedrai il dojo prima di una quarantina di giorni.” Il viola distolse lo sguardo, e la voce s’incrinò un po’. “Ho dovuto darti due sacche di sangue; non sei morto dissanguato solo perché il freddo ha frenato l’emorragia. Ma quando ti abbiamo trovato eri in grave ipotermia. Sei stato fortunato: ancora pochi minuti ed avremmo perso anche te.”

Anche te. Michelangelo sentì come un pugno nello stomaco.

Donatello fece un profondo respiro e si alzò ancora. Girò le spalle, si allontanò di qualche passo ed iniziò a sistemare qualcosa su una scrivania.

“Raph ha ragione. Ormai siamo grandi, ognuno pensa per sé. Non devi darci conto di quello che fai…” Si voltò nuovamente verso il fratello, appoggiandosi con il guscio alla scrivania, con il fuoco nello sguardo. “Quindi non starò qui a chiederti perché invece di essere a letto, come io credevo, stavi morendo lontano da casa!” quasi gli urlò, alzando le mani a stringersi la testa. Era furioso.

Michelangelo deglutì. Aveva messo in conto la sfuriata, magari non subito. E pensava che sarebbe venuta da Raph. Anzi, quasi quasi lo sperava. Perché le sfuriate di Raph sono territorio noto, sono eventi gestibili. Ma quelle di Donnie, beh quelle sono molto peggio.

Il viola lesse l’espressione sofferente e mortificata del fratello sul letto, e si pentì della sua uscita.

“Va bene, scusa scusa, ne parleremo dopo, adesso pensa solo a riposare e…” S’interruppe alle voci che provenivano dalla tana, da fuori l’infermeria. Dilatò gli occhi stupito e s’illuminò quando riconobbe una voce femminile, la voce di April.

Anche Michelangelo sentì l’amica, che parlava con qualcuno, sicuramente Raph e Sensei. Guardò Donatello, adesso eccitato e teso verso la porta, palesemente combattuto tra la necessità di restare accanto al fratello appena svegliato e la voglia di correre ad abbracciare la ragazza. April era via da qualche settimana, ed ultimamente non aveva fatto avere sue notizie poiché si trovava in una zona lontana dai servizi delle compagnie telefoniche: l’ultimo dei suoi infruttuosi viaggi in America latina, per cercare Leonardo, si era protratto più di quanto avevano pensato, e nessuno si aspettava che riuscisse a tornare a casa per Natale.

Il giovane mutante ferito piegò il collo per vedere bene la ragazza che adesso stava entrando in infermeria: andò incontro a Donatello, lo abbracciò e lo baciò sulla bocca. Il viola abbassò la testa, ricambiò il bacio della fidanzata stringendola forte a sé, ma si staccò troppo presto, restando impietrito, quando notò un’altra figura che adesso varcava la soglia della stanza.

Michelangelo sentì il cuore perdere un battito.

La vita a volte era strana. Poche ore prima, era solo, dolorante e disperato. Era immerso nella notte, agognava luce e calore. Adesso, era a casa al sicuro, con la sua famiglia, ed aveva anche l’albero più bello che si fosse mai visto sulla faccia della terra. Questo era il più bel Natale della sua vita.

Leonardo era avvolto in una specie di mantella marrone, che ne nascondeva tutta la figura. Si strinse a Donatello, in un abbraccio forte e impetuoso, accucciò un attimo il suo viso nel collo del fratello più giovane e più alto; insieme a lui, erano entrati in infermeria April e Raffaello che sorreggeva Splinter.

Tutti si avvicinarono a Michelangelo. Gli occhi blu, nel viso magro e coperto di cicatrici, brillarono di gioia nell’incontrare quelli azzurri.

New York era glaciale, candida di neve e variopinta di luci. Le finestre illuminate erano schermi arancioni di ombre cinesi; un babbo natale tornava a dormire, ubriaco, nella sua sporca dimora. Suo figlio tredicenne abbracciava sul divano il fratello di undici anni, con lo sguardo perso al muro, ma l’espressione adulta e decisa: avrebbe finalmente chiamato quell’assistente sociale.

Sotto, in strada, un taxi giallo schizzò neve sporca passando sul tombino; più giù, nella rete di tubature del sottosuolo, arrivarono solo poche vibrazioni, e scendendo ancora, nell’intricato sistema fognario, non si sentiva più niente. Solo all’interno di un rifugio ben nascosto, si sarebbero potuti trovare nuovamente suoni, luce e calore.

Una famiglia stretta intorno ad un lettino.

Le luci dell’alberello risplendettero più intense.

 

 

N/A Musica (beh… ^_^ ): Cake, I Will Survive (il Nightwatcher e i ragazzi); Meghan Trainor, I’ll Be Home (Donnie al tavolo); Gavin Degraw, Have Yourself a Merry Little Christmas (Mikey e l’albero al Rockefeller Center); The Calling, Carol of the Bells(Mikey e la neve); Coldplay,Christmas Lights (il ritorno di Leo).

Grazie di essere qui. Buon Natale ed un fantastico 2015!
Un abbraccio tra rami d’abete e bastoncini di zucchero, con tutto il cuore, da LaraPink :*

 

  
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