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Autore: Kane_    30/12/2014    2 recensioni
In un'era dilaniata dalle guerre fratricide e vanagloriose, i regni umani erano in continua lotta tra loro per contendersi le aspre ed anguste terre dell'entroterra continentale, sotto gli occhi vigili e disgustati delle altre razze, che mai si erano permesse di interferire con l'autodistruzione umana fin dalle Guerre Razziali.
Nessuno reputava quelle continue lotte di potere come una vera e propria minaccia, fino a quando un oscuro ed ormai dimenticato sovrano non si spinse troppo oltre, dando luogo ad una piaga che avrebbe spazzato via tutto il mondo dei viventi.
Alexander, un ragazzo come tanti, dopo aver scoperto il suo straordinario potere sulla natura e sui viventi, vedrà la propria infanzia sgretolarsi davanti al dramma della guerra che invaderà tutto il continente ed abbandonerà il suo isolato e tranquillo villaggio d'origine per fronteggiare l'immensa minaccia che si appresta a distruggere tutta la vita senziente.
Il suo destino, però, è già stato tracciato...
Genere: Drammatico, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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(Sentiero che porta alle dimenticate terre dell'ovest)

 

Era una splendida giornata di primavera, la natura cominciava lentamente a risvegliarsi dal lungo e rigido inverno appena passato ed il tepore del sole, caldo come in una giornata di piena estate, finiva di sciogliere gli ultimi cumuli di neve rimasti in giro per la pianura.
Il ragazzo era lì, ai piedi di un albero centenario dalla corteccia dura e spessa come i muri di una fortezza, e si preparava per arrampicarvisi sopra.
All'improvviso, però, l'urlo isterico ed affannato di un uomo fendette l'aria, facendo scappare la piccola fauna del posto: "Se ti prendo, giuro che ti apro in due!"
Il ragazzo si voltò un attimo, poi prese ad arrampicarsi con agilità in cima all'enorme tronco.
Quando l'uomo arrivò alle radici dell'albero, sostò un istante per riprendere fiato ed orientarsi: "Dannato furfantello, se ti ripesco a rubare la mia frutta..." la voce dell'uomo si ruppe in quel momento per l'eccessivo sforzo impiegato nella corsa, che lo costringeva a guardare verso il terreno, piegato da una fitta allo sterno.
Fu solo fortuna se non alzò lo sguardo, altrimenti avrebbe intravisto la sagoma del giovane che, nonostante la tensione e la paura di essere scoperto, se la rideva sotto i baffi in un soffocato silenzio.
Quando l'uomo riprese la sua ostinata ricerca, il ladro di frutta si ritenne salvo e tirò fuori dal suo sacco una mela matura e polposa, di un colore rosso intenso, e cominciò a mangiucchiarla soddisfatto, buttando con noncuranza il torsolo verso il suolo. Ripetè le stesse azioni con il resto della refurtiva fino a saziarsi, osservando l'orizzonte dalla cima più alta di quella foresta: vaste pianure verdeggianti circondavano la zona, in lontananza; verso nord, le montagne sembravano sfidare il cielo con le loro fiere dimensioni. Da una di queste, Crystal Mount, aveva origine il più grande fiume della regione, battezzato con una spropositata banalità dei locali come il Vorticoso per le sue correnti così impetuose da impedirne la navigazione.
Verso sud, lungo le sue rive, sorgeva un piccolo villaggio di contadini e di artigiani, perlopiù lavoratori della preziosissima argilla della zona, unica al mondo, e pertanto richiesta da tutti i nobili delle terre conosciute. Inoltre, la zona era particolarmente frequentata da viaggiatori, mercanti e, alle volte, anche soldati per via della sua posizione strategica. Infatti il villaggio, costruito su entrambe le rive del fiume, ospitava anche il ponte più imponente di tutta la regione che era stato eretto tra due alture in mezzo alle quali scorreva l'acqua. 
Ad est il verdeggiare della pianura era spezzato dalle coltivazioni di grano, cereali e legumi di vario genere, dagli enormi mulini a vento caratteristici della zona e da alcune abitazioni diroccate nelle quali erano soliti avventurarsi i ragazzini a caccia di fantasmi e di strane creature. A volte era un rito di iniziazione per le bande di teppistelli, altre quella strana curiosità era dettata dalla noia o da un'ostentata dimostrazione di coraggio.
Verso ovest, il nulla: non una casupola, non una roccia o un albero, solo verdeggiante pianura a perdita d'occhio, rotta soltanto da una stradina sterrata e poco frequentata. Quel sentierucolo anonimo portava fino al confine della regione di Rawscale  e si inoltrava nel territorio di un re che, si diceva, piuttosto che accettare la pacifica convivenza con le altre razze, aveva preferito isolarsi dal resto del mondo.
Erano passati più di duecento anni dalle Guerre Razziali. Prima di allora gli umani regnavano indistintamente su ogni essere senziente in quella terra, sfruttando le altre razze per lavori manuali, per l'apprendimento della magia e delle arti più arcane. Gli anziani del villaggio amavano raccontare la storia del Buon Re, Bardar il Tollerante, che offrì la libertà agli elfi, ai nani e a tutti coloro che non fossero umani, combattendo al loro fianco contro le sue stesse genti e trovando infine la morte nella battaglia delle Cinque Colline, mentre cercava di salvare la vita di un'elfa. Il suo sacrificio fù di esempio per tutti e in tutti i regni scoppiarono rivolte contro i propri governanti, che infine dovettero arrendersi e negoziare la pace con gli esseri che da millenni erano stati trattati come oggetti e strumenti. Di lì a poco, sorsero i primi grandi imperi delle varie razze: le vaste terre a est, caratterizzate da foreste infinite e ruscelletti che percorrevano per intero tutta la regione, furono affidate agli elfi e alle creature più in simbiosi con la natura stessa. Le enormi montagne ad ovest furono cedute ai nani e agli gnomi, perchè potessero godere di vari siti di scavo per soddisfare la loro innata sete di lavoro e di costruzione. Nelle calde ed aride lande del sud, invece, trovarono una casa i sauroidi, esseri antropomorfi a sangue freddo, ricoperti di squame e con sembianze che ricordavano quelle dei rettili. Per secoli erano stati allontanati persino dagli umani che non sembravano riuscire a tollerare nemmeno la loro presenza.
Infine rimase la terra del nord, il territorio più vasto di tutti, destinato alla razza più popolosa del continente, quella degli umani, che a sua volta era diviso in tanti regni più piccoli, a differenza degli altri imperi. 
Nonostante le divisioni, tutti i regni cercavano di convivere quanto più possibile in pace ma, nonostante la continua diplomazia e i tentativi di ostacolare i conflitti, era sempre in corso almeno una guerra tra due regni, che, col tempo, generava separazioni tra gli altri: chi patteggiava per uno, chi per l'altro e addirittura chi rimaneva neutrale alla fine finiva in mezzo alla disputa, accusato di approfittare dei conflitti altrui. Solo un regno non intervenne mai nelle questioni estere. Era il regno più grande e, forse, più potente. Avrebbe potuto scendere in campo e conquistare tutti gli altri senza che gli esercii nemici potessero opporre una minima resistenza, eppure non lo fece. Si chiuse in sè stesso e non si degnò nemmeno di mantenere rapporti con gli altri.
Il nome di quell'impero giace dimenticato nella memoria del tempo un regno come anche quello di colui che lo aveva governato: dopo duecento anni si vociferava che il re fosse ancora lo stesso che aveva chiuso i confini agli stranieri, alimentando ancora di più la paura delle persone per quel vasto territorio ormai perduto nell'oblio dei secoli. Alcuni coraggiosi avevano tentato di viaggiare attraverso quelle terre sconosciute, ma nessuno aveva mai fatto ritorno. Ormai gli abitanti di quel ridente paesello avevano smesso di porsi domande a riguardo.

Il ragazzo, perso nei suoi pensieri di un passato che non aveva mai vissuto, mangiò l'ennesima mela, gettando il torsolo verso il basso. Senza neanche guardare centrò in pieno la testa del contadino, ormai rassegnato ed intento a tornare indietro. Quando questi alzò lo sguardo, dopo aver emesso un sonoro lamento allarmando il giovane, non ebbe nemmeno il tempo di vederlo di sfuggita, poichè era già scomparso nel nulla, dopo un audace balzo verso il sottobosco ed una rapida corsa verso il confine della foresta.

"Sono a casa!"
Il giovane chiuse la porta dietro di sè, per poi avanzare deciso nella stanza dove vi era il banco da lavoro del padre.
"Cos'hai in quella borsa?" chiese il suo interlocutore, un uomo di altezza media, dagli occhi grigi penetranti e con un filo di pancia intorno ai fianchi.
Il ragazzo nascose la frutta rubata dietro la schiena, facendo finta di niente: "Quale borsa?"
Il padre scosse la testa stempiata, con un'espressione più divertita che arrabbiata: "Non dirmi che sei andato di nuovo a rubare la frutta a quell'imbranato di Gveir..." si alzò dalla sedia e si lavò le mani sporche di argilla, per poi avvicinarsi a lui: "Quante volte ti devo ripetere che non bisogna approfittarsi delle mancanze altrui?" rimase a fissarlo per qualche istante, poi allungò la mano verso suo figlio, mostrandogli il palmo aperto: "... o almeno, non bisogna approfittarsene troppo..."
Il giovane ridacchiò, tirò fuori dalla borsa una mela e la mise in mano al padre, che se la portò alla bocca e cominciò a mangiarla.
"Sarà pure un imbranato senza speranza, ma la sua frutta è davvero divina..." esclamò.
"Imbranato è dire poco..."rincarò il ragazzo con un forte tono sarcastico.
Un breve silenzio inondò la stanza per qualche istante, evidenziando l'esitazione dell'uomo, che infine prese la parola: "Senti, Alex... ormai hai quattordici anni, tra poco te ne andrai di casa e cercherai la tua strada: hai già in mente cosa vuoi fare da grande?"
Era una domanda dalla risposta fin troppo ovvia: lui amava la storia, la guerra e tutto ciò che riguardava le armi. Ogni giorno tirava di scherma con gli altri suoi coetanei, usando dei grossi bastoni che intagliavano per dargli la forma di una rozza spada. Fino ad allora era sempre uscito vincitore, persino quando aveva duellato contro i ragazzi più grandi. Aveva l'arte della guerra nel sangue, e lui lo sapeva, come anche suo padre, che però sperava per il figlio un futuro più armonioso e pacifico.
"Voglio combattere" disse molto semplicemente.
"Ci sono tanti lavori più sicuri, sai? Potresti diventare un ricco mercante, oppure potresti diventare un ufficiale pubblico, o ancora..."
La frase dell'uomo fù interrotta dalle proteste del giovane: "Non mi importa dei soldi, e la politica mi fa solo ribrezzo, voglio andare in guerra, essere un valoroso cavaliere ed essere ricordato per sempre per la mia audacia e per la mia generosità" ci fu una piccola pausa del ragazzo, che poi aggiunse, con gli occhi illuminati da una grande ammirazione: "Come il Buon Re..."
Il padre lo guardò rassegnato, leggermente irritato: "Immagino non ci sia alcun modo per persuaderti..."
Su Alex si dipinse un sorriso di soddisfazione, come per celebrare un trionfo che lo rendeva particolarmente soddisfatto: "Esatto."
"Beh... allora si vedrà" disse con un po' di amarezza: non era sicuramente bello per un padre sentire che il proprio figlio voleva diventare un soldato e già immaginava come si sarebbe preoccupato quando il ragazzo sarebbe partito per la prima volta in guerra; sarebbe tornato vivo o non lo avrebbe mai più rivisto? Per un genitore non è bello sopravvivere più dei propri figli, tuttavia rispettava profondamente il volere di Alex. Aveva letto nei suoi occhi la determinazione e la volontà di diventare un valoroso cavaliere, oltre al fatto che l'abilità del ragazzo era indiscutibile: nonostante il fisico abbastanza esile, riusciva ad essere agile anche con bastoni di legno lunghi diversi piedi e spessi più del braccio di un uomo vigoroso. Ritornò a sedere per finire il suo lavoro: entro sera sarebbe arrivato il delegato del re delle Greenhills per ritirare i preziosi manufatti che gli erano stati commissionati.
Alex posò uno sguardo sulla meridiana, notando che era ormai a tre quarti della sua mezzaluna: "Cavolo, quant'è tardi! Esco, torno entro il tramonto!"
L'uomo non protestò nemmeno: ormai era una consuetudine che il ragazzo uscisse sempre a quell'ora per fare chissà cosa, chissà dove.

“Dannati burocrati!” esclamò esasperato l'individuo di mezza età avvolto in un mantello di un verde smeraldo tale che avrebbe potuto renderlo tutt’uno con la natura, se essa non fosse ancora parzialmente avvolta nei morti colori dell’inverno. Il cappuccio era abbassato sul viso e faceva risaltare le iridi color cielo che si specchiavano sugli alberi della foresta. Era solo di passaggio in quella terra sconosciuta, popolata dagli umani. Non nutriva particolari rancori per quegli esseri che avevano ridotto in schiavitù i suoi antenati, ma era solo un po’ diffidente della loro innata imprevedibilità. Era risaputo: gli esseri umani erano la razza più variegata del mondo conosciuto. Mentre tra le altre razze c’erano pochissime differenze tra i propri simili, gli umani erano facilmente distinguibili gli uni con gli altri, sia per lineamenti, per colore della pelle o per la forma del corpo. Ovviamente, le differenze fisiche non inquietavano l’uomo, quelle caratteriali però lo rendevano cauto: Aveva conosciuto umani di tutti i tipi, alcuni così buoni e gentili da essere disposti a tutto per il bene altrui, la maggior parte però erano così vili e codardi da pensare solo al proprio tornaconto. 
Costretto ad una sosta in quella foresta a causa di un ordine diretto del pretore di Redtrees, arrivatogli direttamente tramite un falco messaggero, era infuriato per le incoerenti cause di quell'assurda sosta. Si trattenne dall’urlare e dall’imprecare per rispettare l’armonia perfetta della foresta, ma continuò a borbottare: “Possibile che in duecento anni nessuno abbia imparato ad amministrare in modo decente un protettorato? Non è possibile che io sia costretto a sostare nella terra degli umani per un errore nelle registrazioni delle rotte diplomatiche!”
Cercò di calmarsi passeggiando per il bosco, abbandonando i cavalli ed il carro al cocchiere, uno gnomo parecchio allegro e loquace, ossessionato dalla cura e dal sostentamento dei suoi equini.
Si addentrò nel sottobosco e ritrovò la calma nella gentile natura che da sempre si era presa cura dei suoi figli più devoti, portandoli al benessere e alla serenità con la propria energia.
Fu nel cuore di essa che lo vide.
Un ragazzino umano, vestito con pantaloni di tessuto marrone e di una casacca di un colore poco più chiaro, logora e palesemente troppo piccola per lui, era seduto contro un albero. Non si muoveva, ma si riusciva a vederne il petto alzarsi e abbassarsi regolarmente.
Intorno a lui, gironzolava un trio di lupi dal manto così bianco da fare invidia alla neve.
Se lo mangeranno vivo pensava lo spettatore di quella scena: gli animali non facevano altro che girare attorno a quel ragazzo, come se volessero studiarlo.
Devo intervenire subito! Portò una mano al proprio arco, di poco più corto della sua intera lunghezza, ed incoccò una freccia, scegliendo un bersaglio e cominciando a pregare la natura di scusarlo per l'atto che stava per compiere contro un suo figlio.
Fu allora che capitò qualcosa che lo stupì.

Alex si svegliò con un sonoro e plateale sbadiglio, strofinandosi gli occhi e tendendo le braccia verso il cielo. Si guardò attorno: nel momento in cui incrociò il loro sguardo, i lupi si fermarono a si avvicinarono lentamente a lui, con aria tutt'altro che minacciosa.
Il ragazzo tese la mano in direzione di uno di loro, sorridendogli: "Sapevo che sareste arrivati..."
L'animale verso il quale la mano era diretta si lasciò accarezzare il muso, emettendo un impercettibile guaito di piacere. Alex riusciva a percepire le sue emozioni, i suoi pensieri, e riusciva perfino a comunicare con lui; Era un suo amico, gli faceva visita ogni giorno e, ogni tanto, provvedeva a portargli un abbondante pezzo di carne che rubava dal bancone del macellaio.
Con grande naturalezza, si alzò e si appoggiò nuovamente contro l'albero, mentre il lupo lo guardava con le zampe anteriori unite in avanti e con quelle posteriori leggermente piegate, come a volergli saltare addosso, più per affetto che per attaccarlo.
All'improvviso però, l'animale si girò in direzione del sottobosco, e attraverso i suoi pensieri Alex vide due puntini azzurri profondi come l'oceano che lo fissavano: "Chi è là?" chiese a gran voce.
Un uomo incappucciato uscì da un cespuglio, mostrandosi al ragazzo: "Tranquillo, non voglio farti del male" disse con voce rauca.
"Togliti il cappuccio!" intimò quindi il giovane, facendosi forte della presenza dei lupi.
Quando quell'individuo se lo tolse, si liberarono al vento i suoi folti capelli biondi, paragonabili solo ai raggi del sole di una giornata di pieno agosto, ma soprattutto Alex notò le orecchie leggermente appuntite, che lo fecero sussultare: "Un elfo?"
Era la prima volta che ne vedeva uno. Ammirava quella misteriosa razza così in armonia con gli animali, con se stessi e con la natura, oltre che le loro innate capacità da intraprendenti esploratori e, all'occorrenza, anche di ottimi guerrieri.
L'elfo, nonostante avesse visto abbastanza umani in vita sua da non rimanerne stupito, aveva la stessa curiosità che si vedeva negli occhi del ragazzo: "Mi chiamo Efheriel.” si presentò, “Sono rimasto bloccato in questa regione a causa di alcune... incomprensioni." 
Ci fu un attimo di imbarazzante silenzio, colmo della curiosità dell'elfo e dell'incredulità del ragazzo. Fu Efheriel a riprendere la parola: "E tu, come ti chiami?" chiese in tono amichevole.
"Alexander" rispose seccamente il giovane umano, cercando di non far trapelare la sua malcelata incredulità in quell'incontro: "Se cerchi dove alloggiare, a pochi passi da qui c'è il villaggio in cui vivo."
L'elfo lo guardò un attimo, per poi mettersi a fissare i tre animali che erano poco distanti dal ragazzo: erano inquieti, con gli occhi incollati su di lui. Cercando di non farsi notare, Efheriel diede fondo a buona parte della sua concentrazione per cercare un contatto diretto con i lupi: per un qualsiasi elfo sarebbe stato un gioco da ragazzi, e lui era sicuramente sopra i canoni della sua razza. Tuttavia sentiva qualcosa che ostacolava il contatto con loro e con il resto di quell'ambiente, come se la natura lo rifiutasse e non lo riconoscesse come entità amica, come se una forza superiore fosse già in comunicazione con gli alberi, con i cespugli e con ogni singolo filo d'erba.
Quando l'elfo riprovò con più insistenza a cercare il contatto con uno dei lupi, questo gli ringhiò contro. Fu solo allora che Alexander riuscì a spiegarsi quello strano fastidio che sentiva all'interno della propria testa: "Perchè gli stai fissando?" disse con aria minacciosa, alludendo agli animali.
"Non è molto normale vedere un ragazzino che gioca con dei lupi in mezzo ad una foresta, sai?" si giustificò.
Alex, dato che era la prima volta che provava quello strano fastidio alla testa, così come era la prima volta che vedeva un elfo, gli concesse il beneficio del dubbio e preferì non approfondire: "Sono addomesticati" mentì sicuro di sè.
Sebbene Efheriel fosse ben consapevole della menzogna del ragazzo, si finse convinto e si avvicinò di qualche passo: "Potresti accompagnarmi al tuo villaggio? Non vorrei perdermi..."
Appena esci dalla foresta lo vedi, non è così difficile pensò il giovane, ma preferì essere cortese ed annuì: "Sicuro"

Era il tramonto, i raggi del sole morente all'orizzonte incendiavano le poche nuvole presenti sopra la pianura, mentre ancor più sopra di loro il cielo pareva essere un'enorme distesa di sangue bollente. Efheriel aveva trovato ospitalità nella casa di Alex, dopo essere stato convinto da suo padre: l'ospitalità, per quell'artigiano le cui opere sono esposte in tutte le maggiori corti delle regioni umane, era una cosa di primaria importanza. Dopo qualche ora passata a conversare con padre e figlio, quest'ultimo andò a godersi il tramonto dal suo solito albero, lasciando dunque i due adulti a conversare faccia a faccia.
"Senti..." prese a parlare l'elfo, forzato dall'umano a dargli del tu: "Oggi ho visto Alexander nella foresta."
"Si, lo so, è li che vi siete incontrati, e quindi?" chiese l'uomo.
Efheriel si prese un attimo per riordinare le idee e per dare loro un senso compiuto: "Era in compagnia di tre lupi selvatici, ci parlava, e questi..." non aveva idea di come continuare la frase, tant'è che rimase in silenzio per un lungo istante a bocca aperta e con le parole chiuse in gola: "Ovviamente, saprai del contatto che c'è tra noi elfi e la natura, vero?"
Con dei lupi? L'uomo, palesemente perplesso, si limitò ad annuire: essendo stato in passato un grande viaggiatore, aveva conosciuto molti elfi, e ormai ne comprendeva le capacità.
"Ecco. In quella foresta, in presenza di tuo figlio, non sono riuscito a mettermi in contatto con la natura, era come se un'altra presenza mi ostacolasse, qualcosa di infinitamente più potente di me..."
Il padre di Alexander lo fissò con la stessa perplessità di prima: "Pensi che mio figlio sia la causa di questa specie di... interferenza?" chiese con voce poco sicura.
"Non vedo altra soluzione: quante volte hai visto un ragazzo parlare con tre lupi senza finire tra le loro fauci?" domandò l'elfo.
"E quindi?"
"Penso che Alex abbia qualche dote nascosta, e nemmeno se ne rende conto. Non è da tutti riuscire a farsi ascoltare così dalla natura, tantomeno a guadagnarsi la sua stessa fiducia, tanto da farle rifiutare un elfo, che ne è perfettamente in simbiosi" fece una breve pausa: "Un potere simile non l'ho mai visto nemmeno tra i miei simili, e considera che sono un membro del consiglio della federazione protettoriale elfica."
L'uomo sgranò gli occhi: era a conoscenza della politica elfica, e sapeva che un consigliere della federazione protettoriale elfica era paragonabile al cancelliere di un re. 
Un individuo così di alto livello in casa mia, mentre ho addosso una casacca sudicia di argilla? Inutile dire che, ovviamente, lo lasciarono stupito anche le parole su suo figlio: "Cosa consigli di fare?" chiese quasi balbettando.
"Non lo so, non sono ancora sicuro delle mie parole in effetti. Potrebbe anche essere stata qualche altra interferenza. Domani mi recherò nella foresta mentre Alex non ci sarà, così potrò tentare di scoprirne di più con tutta calma. Se la mia ipotesi è fondata, allora provvederò personalmente a svilupparne le capacità... col tuo consenso, ovviamente."
Il giovane rincasò spalancando la porta con impeto e chiudendola alle sue spalle con più delicatezza: "Sono a casa! Quando si cena?"




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FINALMENTE!
Eh già, dopo mesi e mesi, ecco che pubblico un nuovo capitolo!
Chiedo scusa a tutti i miei lettori abituali, anche se si contano sulle dita di una mano u.u ma, sapete, io ho un grosso difetto: ho poche energie. Eh si, quindi mi riesce difficile riuscire a scrivere qualcosa di decente nel periodo scolastico, tra libri e quaderni, infatti questo capitolo, prima di pubblicarlo, l'ho scritto e fatto betare per tre volte, infatti in origine questo doveva essere una storia incentrata più sulla morte che sulla vita, ma... beh, ho deciso di rinviare la questione e di concentrarmi di più sulla storia del mondo e dei personaggi che incontreremo.
A gennaio ho uno stage di 3 settimane, quindi mi auguro di pubblicare ancora un bel po di capitoli prima di un altro periodo di stop a causa della scuola...
Come al solito, ringrazio la mia beta Himenoshirotsuki per la sua sconfinata pazienza e per tutto il suo supporto, e ringrazio anche Claudia per le immagini che ha creato per i futuri capitoli (e che purtroppo non vedrete fino a che la storia non prenderà la piega che vorrei)
Non vedo l'ora di continuare a scrivere ed ad esplorare questo mondo che, per quanto mi possa sembrare strano, ho creato io. È davvero una grande emozione vedere un mondo intero prendere vita, con le sue persone, con i suoi eventi, e tutto per mano tua... è stupendo.

Grazie per aver letto fino a questo punto, vi auguro buone feste e vi rimando al prossimo capitolo!
   
 
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