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Autore: EnryS    01/01/2015    3 recensioni
Wanda si fidava di lui, lui che continuava a promettere e promettere. L’unica ragione per cui Pietro riusciva a trovare la forza di andare avanti, in quel loro terrificante e infinto vagabondare, era che sua sorella ci credeva davvero che lui sarebbe riuscito a mantenerle, tutte quelle promesse.
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Lui può superare la velocità del suono, lei è in grado di alterare la realtà.
Ma prima degli Avengers, prima della Confraternita di Magneto, prima di diventare Quicksilver e Scarlet Witch, Pietro e Wanda Maximoff erano solo due ragazzini rimasti orfani troppo presto, costretti a vivere alla giornata, attraversando i Balcani nella speranza di raggiungere un luogo da poter, finalmente, chiamare casa.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Confraternita, Erick Lensherr/Magneto, Pietro Maximoff/Quicksilver, Wanda Maximoff/Scarlet Witch
Note: Missing Moments, Otherverse | Avvertimenti: Incest, Non-con, Violenza
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Is it like this
In death's other kingdom
Waking alone
At the hour when we are
Trembling with tenderness
Lips that would kiss
Form prayers to broken stone.



“Solo una notte” era diventata due, poi tre. Adesso era il quinto giorno che lui e Wanda erano ospiti nel piano interrato della casa di Ilia. Pietro continuava a pensare che avrebbero potuto sfruttare quel tempo per arrivare a Sofia, magari anche oltre, ma non aveva voluto insistere. Forse perché da tantissimo tempo non vedeva sua sorella così serena o forse, semplicemente, perché era stufo del ruolo del guastafeste, alla fine aveva deciso di tenere per sé lo scetticismo.
In ogni caso, se anche avesse confessato a sua sorella che Ilia non gli piaceva, non sarebbe servito a molto. Capirai che novità, gli avrebbe detto. A te non piace mai nessuno.
Sapeva di non essere stato il massimo della cordialità con Anna e Vassil, ma stavolta la situazione era diversa. Ilia gli metteva i brividi, specialmente quando sorrideva.
Per non parlare della maniera in cui guardava Wanda…
«Giovanotto» disse lei, entrando.
Pietro rise.
«Giovanotto
Wanda gli si avvicinò e gli diede un bacino sulla guancia. Svelta, come quando da bambina lo faceva per fargli dispetto. Quanto tempo fa, a Pietro non sembrava quasi nemmeno la stessa vita.
«Vado a fare un bagno» disse, togliendosi la mantella e le scarpe. «Perché sai, abbiamo una vasca da bagno, Pietro.»
Lui spalancò gli occhi.
«Non ci credo!» esclamò, prendendola in giro. «Davvero è rimasta lì dall’ultima volta che ho pisciato? Sei assolutamente sicura?»
Wanda gli fece una linguaccia e gli scompigliò i capelli, credendo di farlo innervosire. Lui si lasciò cadere sul letto.
«Vai in città?» chiese lei, iniziando a spogliarsi. Non era niente di speciale, non si erano mai vergognati dei loro corpi ma stavolta, dopo qualche secondo, Pietro si trovò inspiegabilmente costretto a distogliere lo sguardo.
«Sì» rispose, fissando il soffitto. «Ma non subito.»
«Puoi prendermi un po’ di frutta?» chiese, chiudendosi la porta alle spalle.
«Certo.»
«Grazie.»
Pietro tornò a voltare la testa verso la stanza nella quale sua sorella, canticchiando, aveva aperto l’acqua.
Lo specchio attaccato dietro la porta del bagno rifletteva la sua immagine: i capelli, inevitabilmente, erano la prima cosa che saltava all’occhio. Wanda insisteva che fossero argentati e in un certo senso lo erano, almeno all’attaccatura e nella maniera in cui riflettevano la luce, ma in effetti erano così chiari che a lui erano sempre sembrati dello stesso colore della neve. E poi i suoi occhi… anche i suoi occhi erano eccessivamente chiari, come la sua pelle.
Guardando se stesso, Pietro iniziò a pensare al corpo di sua sorella.
Era cambiato.
In poco tempo era diventato più simile a quello della mamma, anche se Wanda era più magra e aveva la pelle più chiara. Aveva sempre avuto gambe lunghe, come lui, eppure chissà perché all’improvviso gli sembravano così diverse. Era tutta diversa.
Sorrise, sentendola intonare M-am suit in dealul Clujului*.
È davvero allegra, si disse, continuando a fissare il proprio riflesso.
Non erano mai stati simili agli altri rom della kumpanía. Pietro non riusciva a capacitarsi di quanto tardi se ne fosse reso conto.
Chissà se lui e sua sorella somigliavano ai loro genitori.
Prese un pezzo di legno dal mucchio che aveva raccolto per Ilia, rigirandoselo fra le mani. Era proprio della misura di quelli che Django usava per intagliare le sue marionette. Si sfilò dalla tasca il coltellino e iniziò e tagliuzzare quel tronchetto. Provò a dargli una forma, rendendosi presto conto che era più complicato di quanto aveva immaginato. Suo padre lo faceva sembrare così semplice… Tante sere lui e Wanda lo avevano osservato lavorare: Django canticchiava e ogni tanto sollevava lo sguardo su di loro, facendogli un occhiolino o iniziando a raccontare una storia. Il movimento del suo polso era leggero, naturale, come se stesse tagliando burro e non legno.
Per il loro quarto compleanno aveva intagliato due marionette per loro. Regalandogliele, aveva specificato che avevano dei nomi: si chiamavano Frăţior e Surioară*. Pietro ricordava che avevano riso come matti, trovando la cosa esilarante, chissà perché.
Ora erano bruciate, come tutto il resto.  
Il suo tentativo era una schifezza, e più cercava di rimediare agli errori più peggiorava la situazione. In breve il legno era diventato troppo sottile.
Pietro prese un altro tronchetto dal mucchio e ritentò.
 
***
 
Uscendo dalla stanza da bagno avvolta nell’asciugamano, Wanda sbatté le palpebre un paio di volte, sbalordita da quello che si era trovata davanti: pezzi di legno ammassati tutto intorno al letto e trucioli ovunque.
Sembrava di essere in una segheria.
«Che diavolo è successo?» chiese, esattamente nello stesso istante in cui Pietro, sgranando gli occhi a guardarla come fosse stata un fantasma, le aveva domandato: «Che facevi lì?»
Fu lei a rispondere per prima, turbata dall’insensatezza di quella domanda. Dove altro sarebbe dovuta essere?
«Facevo il bagno, Pietro. Sei ubriaco?»
Pietro socchiuse gli occhi, sporgendosi leggermente in avanti per osservarla con l’atteggiamento di chi deve scoprire un qualche segreto. Era così buffo che Wanda non riuscì a trattenere una risatina.
«Pietro?»
«Sei stata lì tutto questo tempo?»
«Tutto questo tempo?» ripeté lei, sempre più perplessa.
Lui si guardò intorno leggermente confuso, poggiando sul letto l’oggetto che aveva in mano. Wanda non era sicura di cosa fosse: sembrava una specie di bambola.
«Sei andata a fare il bagno… ore fa. Credevo fossi…» Pietro si bloccò qualche secondo, come domandando a se stesso dove credeva che lei fosse stata tutto quel tempo. «Fuori» concluse, poco convinto.
«D’accordo, mi sono presa il mio tempo ma, andiamo… ore? Sei sempre esagerato! Piuttosto…» disse spalancando le braccia a indicare il caos. «Che genere di cataclisma si è verificato qui dentro?»
«Ah» commentò lui, portandosi una mano alla nuca. «Ops.»
Scoppiando a ridere, Wanda lo raggiunse sul letto. Gli spolverò via dal viso e dai capelli i trucioli e la polvere, incapace di smettere di sorridere, sentendosi felice come non le capitava da tempo. Mentre gli sfilava delicatamente una piccola scheggia dal sopracciglio destro, la ragazza si ritrovò a pensare che Pietro non le era mai sembrato più bello.
Fu allora che, con la coda dell’occhio, la vide.
Una delle marionette di papà, ed era proprio lì, poggiata su quel letto. La afferrò con la mano che aveva iniziato a tremarle dall’emozione.
Era stupenda. I dettagli erano così curati… somigliava anche un po’ alla mamma. Doveva averla sicuramente fatta Django, eppure non era dipinta e soprattutto le marionette erano andate tutte perse nell’incendio, insieme ad ogni altra cosa cara. Non riusciva a credere che Pietro gliel’avesse tenuta nascosta tutto quel tempo.
Perché mai avrebbe dovuto? Si chiese, riportando gli occhi su di lui.  
«L’hai fatta tu?»
Pietro annuì, mordendosi il labbro inferiore e chiudendo un occhio, come faceva quando era in imbarazzo.
«È bellissima, Pietro» mormorò commossa. «Non sapevo che sapessi farlo.»
«Ci ho solo provato» rispose, stringendosi nelle spalle. Poi si alzò, sorridendo. «Beh, ci ho provato… un po’ di volte.»
Stringendosi quel pupazzetto di legno al petto proprio come avrebbe fatto da bambina, Wanda iniziò a sentirsi stranissima. Assalita da un’euforia nuova, avvertì un calore sconosciuto riempirle il ventre e il viso. Immaginò di essere arrossita, e magari era davvero così, forse perché indossava soltanto un asciugamano, o forse perché lui era così arruffato, così bello.
Poggiò la marionetta sul tavolino basso e si sporse verso di lui.
Pietro alzò le mani, fermandola.
«Che fai? Sei appena uscita dalla vasca e io sono un disastro…»
Wanda rise, intrecciando le dita in quelle di lui, per poi allargargli le braccia e portarsele alla vita. «Sta zitto, Pietro.»
Inspirò, poggiandogli la testa sul petto. Non aveva bisogno di andare in America per essere felice: sarebbe stato sufficiente restare così, tra le braccia di Pietro. Per sempre.
«Possiamo restare così?» gli sussurrò.
In risposta, Pietro le baciò i capelli.
«Era un sì?»
«Era un sì.»
«Per sempre?»
«Certo. Sarà solo un po’ più complicato andare a prenderti la frutta al mercato, ma troveremo una soluzione.»
Lei rise.
«Sono seria.» Wanda sollevò il mento per guardarlo, ma da così vicino le era impossibile mettere a fuoco. Le piaceva quando era così tanto vicina a lui da non poterlo vedere. Era come se non fossero più due persone separate ma un’unica anima, un’unica vita.
«Me lo prometti? Me lo prometti che non mi lascerai mai?»
Pietro tirò la testa indietro e le sorrise, divertito.
«Io te lo prometto, ma tu te ne pentirai. Perché te lo ricorderò quando mi dirai: Pietro, togliti di torno, io e le mie amiche dobbiamo metterci lo smalto sulle unghie…»
«Io non parlo così!»
«Pietro, davvero, smettila di seguirmi. Io e Sven vogliamo passeggiare al chiaro di luna tenendoci per mano…»
«Ma la vuoi finire? E poi… Sven
«Sì, Pietro, conosci Sven. L’apprendista meccanico.»
«Già, sono sicura che Sven l’apprendista meccanico ha un cervello, a differenza di qualcun altro di mia conoscenza.»
Pietro scoppiò a ridere, stringendola forte e sollevandola.
«Beh ormai è tardi per i ripensamenti, te l’ho detto: te ne pentirai.»
La rimise a terra e le diede un altro bacio sui capelli. Poi la lasciò, e Wanda si sentì quasi cadere, come se fuori dalle braccia di Pietro non avesse più equilibrio.
Rimase a fissarlo infilarsi la giacca e gli scarponi quasi a voler conservare quel ricordo per sempre nella memoria, come se fosse l’ultima volta che poteva guardarlo.
«Torno presto.»
«D’accordo» disse, continuando a sorridere per scacciare quella pesantezza che improvvisamente sentiva nel petto. «E comunque imiti malissimo la mia voce.»
Lui le fece un occhiolino e si avviò su per le scale.
Rimasta sola, Wanda si infilò una sottoveste e si sedette davanti allo specchio per pettinarsi. Non si era mai domandata se fosse carina, non ne aveva avuto il tempo. Aveva appena iniziato a porsi quel genere di problemi quando il mondo era andato sottosopra e da allora aveva avuto ben altro di cui preoccuparsi. Nei pomeriggi in cui le era capitato di restare con le sue cugine più grandi e le altre ragazze, Wanda non aveva mai partecipato con troppo entusiasmo ai loro discorsi: non facevano altro che parlare di quando si sarebbero sposate, di come avrebbero voluto il loro vestito e altre cose che a lei non interessavano. Non desiderava un marito allora e di certo non lo voleva adesso. Tutto quello che voleva era riuscire a ridere di nuovo, proprio come aveva fatto poco prima, si disse, guardando tutti quei trucioli per terra.
Un tempo era stata divertente. Pietro lo era ancora, o almeno ci provava. Trovava ancora dei modi per riappropriarsi di quello che era stato, anche se solo per poco, magari saltellando su un cornicione per provare a fare l’equilibrista o giocando con un pallone trovato per caso.
Avevano dovuto iniziare a comportarsi da adulti da un giorno all’altro, ma non per questo lo erano davvero. Arricciandosi una ciocca di capelli con l’indice, Wanda sorrise al suo riflesso.
Potevano ancora essere divertenti. Potevano ancora essere dei bambini.
«Sì.»
Wanda trasalì.
Si voltò, coprendosi come poté, gli occhi sbarrati a fissare Ilia, fermo in fondo alle scale.
«Se ti stavi domandando se sei attraente» disse l’uomo, «la risposta è sì.»
 
***
 
Con le mani in tasca e la testa bassa, Pietro percorreva la strada che lo spazzaneve aveva liberato qualche ora prima. La giornata era assolata ma fredda, e la temperatura stava scendendo ancora.
Il secondo inverno da quando lui e Wanda vivevano per strada stava iniziando e si prospettava peggiore di quello passato. Era una vera fortuna che avessero una casa in cui dormire, una casa vera.
Alzò gli occhi al cielo e si perse per qualche secondo in quella distesa di azzurro chiaro così limpido, così perfetto.
Forse stavolta le cose si sarebbero sistemate, forse non sarebbero dovuti più scappare.
Avrebbe potuto trovare un lavoro in quella città, dopotutto era diventato abbastanza alto da poter far credere di avere sedici anni, forse anche di più, e trovare qualcuno disposto ad assumerlo. Avrebbe potuto pagare un affitto per una casetta tutta per loro, avrebbe potuto… certo, si disse, sempre che fosse riuscito a evitare casini come quello che aveva appena combinato in casa. Pietro si sentiva ancora stranito da quanto era accaduto: gli era sembrato proprio che fossero passate ore ed ore, quasi un’intera giornata, mentre si era trattato di una mezz’ora scarsa.
Allora è così che funziona quando il tempo rallenta, pensò.
Per lui continuava a scorrere alla solita velocità ma il resto del mondo, invece, restava indietro, tanto indietro... Si strinse nelle spalle, provando qualcosa di simile al raccapriccio. Che avrebbe fatto se fosse rimasto così, così per sempre? Era stato eccitante quando gli era successo le prime volte, ma ora stava iniziando a spaventarsi.
L’idea di restare intrappolato in quella bolla di tempo sospeso lo atterriva. Sarebbe stato solo lì.
Wanda non avrebbe potuto raggiungerlo.
Si fece da parte per far passare un’automobile, mentre lentamente lasciava scivolare via quei pensieri inquietanti.
Raggiunto il mercato, Pietro si mise ad ascoltare i discorsi della gente. Di solito non erano un granché avvincenti, ma a lui interessava assicurarsi che nessuno parlasse di una coppia aggredita sulla riva del Berkovitsa. Non intendeva fargli del male, voleva solo guadagnare il tempo sufficiente per mettere un po’ di distanza fra loro. Si era reso conto troppo tardi che alla velocità con cui gli era arrivato addosso era bastato toccarli… Pietro scrollò le spalle.
O noi o loro, si ripeté, come aveva fatto in passato ogni qualvolta aveva dovuto prendere decisioni eticamente discutibili.
Per fortuna quel giorno un leone era fuggito dal circo arrivato da poco in città e la gente non parlava d’altro. Un signore coi capelli rossi sosteneva di averlo intravisto proprio vicino casa sua e Pietro era certo che avrebbe sentito decine di racconti simili, tutti ugualmente fasulli. In tutta onestà, la storia in sé gli sembrava una balla.
Si fermò davanti a una bancarella che vendeva sciarpe e cappelli e iniziò a rigirarsi fra le mani un berretto da baseball.
La venditrice sorrise.
«Puoi provarlo se vuoi» gli disse, porgendogli un piccolo specchio.
Pietro si mise il cappello e si guardò.  
Non nascondeva totalmente la sua capigliatura, ma almeno la rendeva meno appariscente. Se avesse voluto un lavoro avrebbe dovuto seriamente pensare di fare qualcosa per quei capelli.
«Ciao.»
Posò lo specchio e voltò la testa in direzione della ragazzina bionda che aveva parlato. Doveva avere più o meno la sua età.
«Non sei di queste parti» gli disse. «Io mi chiamo Yuliya.»
Continuando a restare in silenzio Pietro aggrottò le sopracciglia, aspettando che lei si decidesse a dirgli cosa voleva da lui. Sorprendentemente, quello che la ragazzina voleva sapere era quale fosse il suo nome.
Pietro fece un passo indietro. «E a te che importa?» rispose, brusco.
Lei rise, abbassando lo sguardo.
«Scusa» mormorò, realizzando di averla messa in imbarazzo. Si stava comportando da stupido, lei non era una minaccia.
Era solo una ragazzina.
«Mi chiamo Luka.»
Gli si avvicinò con l’indice puntato sul berretto.
«Non dovresti comprarlo» gli disse, «copre i tuoi capelli.»
«Beh, era quello il proposito» rispose, sarcastico.
«Perché dovresti volerli nascondere?» lei gli sfilò il cappellino dalla testa e si avvicinò ulteriormente, sfiorandogli una ciocca di capelli. «Sono così… unici
Rimase immobile, senza sapere come reagire. Nessuna ragazzina sconosciuta gli si era mai avvicinata così tanto e l’unica persona ad avergli mai accarezzato i capelli, a parte la mamma, era stata Wanda.
Pietro provò qualcosa di simile al dolore nel realizzare quanto ormai fosse estraneo a quel tipo di contatto, e per un momento non seppe neanche se aveva più voglia di piangere o di ridere.
Poi sentì uno spostamento d’aria alle sue spalle e un ronzio, no… un sibilo.
Si voltò di scatto per scacciare quello che credeva essere un insetto, ma la cosa che colpì con il dorso della mano non era un insetto, anche se era fatta per pungere.
 
 
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* M-am suit în dealul Clujului (“Scalando le colline di Cluj”) è una antica canzone tradizionale rumena, legata alla città di Cluj-Napoca, capoluogo della Transilvania.
 
**“Fratellino” e “Sorellina” in rumeno (Grazie alla mia amica Ana per la consulenza linguistica *manda bacini*).
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Note: Nuovo capitolo… Spero vi sia piaciuto! Al prossimo :*
 
Grazie mille ad AryYuna per i consigli del novantesimo minuto, sei sempre preziosa <3
 
Baci a tutti e buon anno!!!  :*

   
   
 
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