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Autore: Luce_Della_Sera    02/01/2015    2 recensioni
Viviana è una adolescente, e come tale vive tutti i problemi della sua età; per questo vorrebbe tanto essere al posto di sua sorella minore, che è ancora nello spensierato periodo dell’infanzia.
Veronica è una bambina, ma non le piace esserlo: vorrebbe essere grande e avere più libertà, proprio come sua sorella maggiore.
Entrambe, quindi, pensano che l’altra sia più fortunata … così, la notte di Natale esprimono questo desiderio: “Quanto vorrei essere lei!”.
E da quel momento, tutto cambia.
Genere: Fantasy, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 7: vestiti e bullette

I primi giorni del nuovo anno passarono in fretta, e così ben presto per le due sorelle arrivò l’ora di tornare a scuola; ormai si erano quasi abituate a vivere l’una nel corpo dell’altra e non si trovavano affatto male, perciò il fatto di dover ricominciare l’anno scolastico come se nulla fosse successo non le turbava minimamente.
Fu con questo stato d’animo sereno che Viviana si svegliò, la mattina del sette gennaio; appena si girò nella stanza, vide i vestiti della sorella appesi all’armadio e sorrise: la sera prima, sua madre l’aveva aiutata a sceglierli. Quant’era bella la vita dei bambini, si veniva sollevati dal fare anche le cose più semplici! E ovviamente, sua madre la accompagnò a scuola in auto; durante il tragitto, la ragazza si disse che era bello non dover prendere l’autobus per raggiungere l’edificio scolastico. Come aveva fatto a dimenticarsene tanto in fretta?
Quando entrò nell’istituto, che era lo stesso che lei aveva frequentato fino a sei anni prima, si diresse a colpo sicuro verso la classe di Veronica; sapeva quale era, perché c’era già stata, insieme a sua madre, una volta che la sua sorellina non si era sentita bene.
L’aula era grande, e conteneva circa una dozzina di banchi; alcuni bambini erano già arrivati.
“Ciao, Veronica!” le disse una bambina magrolina e con i capelli neri raccolti in due trecce.
“Ciao …” le rispose Viviana, mentre cercava disperatamente di ricordare il nome della sua piccola interlocutrice. L’aveva vista a casa sua, tempo prima, ma proprio non ricordava come si chiamasse!
Per non mostrarsi troppo smarrita, quindi, chiese la prima cosa che le veniva in mente:
“Come sono andate le vacanze? Cosa ti ha portato Babbo Natale?”.
La ragazzina strabuzzò gli occhi. “Vero, sei rimbambita, per caso? Io non ci credo più a Babbo Natale, te l’ho già detto centinaia di volte! Ormai sei una dei pochi che ci crede ancora, dovresti saperlo”.
Viviana avvampò e cercò di rimediare alla gaffe, ma non le venne in mente nulla di particolarmente intelligente, quindi balbettò un incoerente:
“Ehm … io veramente …” e andò a posizionarsi nell’angolo più remoto della stanza, cercando di ricordare in quale posto fosse seduta sua sorella e sperando che non avesse cambiato postazione dall’ultima volta che ci era stata; si era appena appoggiata al muro, però, quando un’altra bimba piuttosto in carne andò a piazzarsi di fronte a lei, fissandola con sguardo minaccioso.
“Ciao, stupidella. Passato belle vacanze?”.
“Si grazie!” esclamò Veronica, stupita da tanta aggressività.
“I bambini sanno essere così minacciosi? Non mi pare che quando ero piccolina io ce ne fossero di simili!” pensò, mentre in sottofondo sentiva i bimbi ritardatari arrivare, di corsa. Ma non poté continuare a riflettere sulla questione, perché si sentì battere sulla spalla con insistenza e dovette quindi tornare totalmente alla realtà.
“Allora, che fai, fingi di non ascoltarmi?” chiese la bambina, più minacciosa che mai. “Ti ho detto che …”
Ma fu costretta ad interrompersi, perché proprio in quell’istante la campanella suonò e Viviana, suo malgrado, tirò un sospiro di sollievo. Forse il peggio era passato!
“Ne riparliamo dopo, ti pentirai di non avermi dato retta!”, le disse l’altra, mentre andava a sedersi; Viviana, invece, aspettò che anche l’ultimo bambino si fosse seduto, e poi andò a mettersi nell’ultimo posto rimasto libero.
“Devo ricordarmi dov’è”, si disse, mentre apriva la cartella di sua sorella e prendeva il libro di matematica, che secondo l’orario scritto sul diario di Violetta che Veronica aveva per quell’anno era la prima materia della lezione.
“Ora si che mi divertirò!” si disse. “Gli esercizi di aritmetica di terza elementare sono una sciocchezza!”.
 
 
Dopo la lezione di matematica seguì quella di italiano, e anche lì Viviana si divertì parecchio: ormai, era sempre più convinta che desiderare di tornare piccolina la notte di Natale fosse stata la cosa migliore che avesse mai fatto.
Quando suonò la campanella della ricreazione prese il suo panino e si andò ad unire al gruppo di bimbe che vedeva spesso a casa sua, intuendo che quelle fossero le migliori amiche della sorellina. Erano quattro: una era la bimba mora con le trecce, mentre un’altra aveva i capelli biondi lisci e le altre due avevano entrambe il caschetto, solo che una era rossa e l’altra castana scura.
“Wow, devo proprio dire che per essere una che legge tanto ne ha, di amicizie”, rifletté. “Io quando avevo la sua età non ero così fortunata, ne avevo solo due vere!”.
Stava per salutare le bimbe, che già si erano voltate verso di lei con cordialità, quando le vide cambiare improvvisamente espressione e si sentì tirare violentemente per la maglietta; incredula, si voltò e si ritrovò davanti la bambina che l’aveva minacciata prima dell’inizio delle lezioni.
“Cosa fai? Di’ un po’, mica avrai intenzione di mangiartelo tutto, quel panino, vero?”.
“Beh, l’idea è quella”, disse Viviana, tranquillamente, non capendo assolutamente cosa intendesse dire l’armadio umano formato mini che le stava di fronte.
“Ma sentitela, come risponde!” esclamò l’altra; sentendo le sue parole, tutti gli altri bambini, maschi e femmine, si irrigidirono, e si voltarono ad osservare la scena con curiosità.
La cosa non sfuggì a Viviana, ma non si spaventò: cosa credeva quella mocciosa? Che si sarebbe fatta mettere i piedi in testa? E cosa più importante: da quanto quella bambina si comportava così con sua sorella? Perché Veronica non gliene aveva parlato? Avrebbe potuto aiutarla! Si sentì pervadere da una grande indignazione, e iniziò a tremare leggermente: gli altri scolari avrebbero potuto scambiarla per paura, ma quello che provava era rabbia, una rabbia molto intensa. Come si permetteva quel barile in miniatura, di trattarla in quel modo? E di trattare male sua sorella, soprattutto?
Sua madre le aveva spiegato che non doveva intromettersi troppo quando la sorellina aveva qualche guaio con i coetanei perché altrimenti avrebbe fatto il suo male anziché il suo bene, ma quello chiaramente era un caso serio e grave, e inoltre in quel momento lei era sua sorella minore: quale migliore occasione per rimettere a posto le cose? Era sicura di riuscirci: anche se era nel corpo di una bambina di otto anni, in realtà era una adolescente, dopotutto!
Guardò quindi la piccola prepotente negli occhi, e le disse:
“Esatto, il panino è mio e voglio mangiarmelo in santa pace. Qualche obiezione, palloncino ambulante?”
Tutta la classe trasalì; persino la bulla ebbe un attimo di esitazione, ma poi si riprese.
“Come mi hai chiamata, scusami?”.
“Palloncino ambula …” Viviana non riuscì a terminare la frase, perché venne colpita da uno schiaffo, e barcollò all’indietro.
“Avrei dovuto aspettarmelo: che stupida sono stata!” si rimproverò.
“Allora, vuoi darmi quel panino o preferisci che ti do altri schiaffi?” la sbeffeggiò la sua avversaria. “Non mi piace che ti ribelli: mi hai sempre lasciata fare, e per il tuo bene ti conviene continuare a farlo. Dammi quel panino, adesso! Di solito te ne lascio sempre qualche pezzo, ma visto come ti sei comportata oggi, direi che devi darmelo tutto, e senza fiatare”.
Viviana era davvero furiosa, con la bambina e con se stessa. Da quanto andava avanti quella storia, da quanto tempo Veronica veniva vessata in quel modo? Certo, c’era di peggio che essere costrette a cedere il proprio cibo ad altri, ma comunque quella era una prepotenza bella e buona, per bimbi di quell’età. Era questo che intendeva la sua sorellina, quando le aveva detto che anche essere bambini era complicato? Perché non aveva chiesto aiuto? E soprattutto, come aveva fatto lei a non accorgersi che c’erano problemi? Che razza di sorella maggiore era?
“Ora basta, è ora di finirla”, pensò. Strinse il panino con una mano,  e apostrofò l’altra con tono alterato:
“Scordatelo. Ho fatto un proposito per l’anno nuovo: d’ora in poi, mangerò i miei panini tutti interi. Lo faccio anche per te, sai? Così dimagrisci un pochino!”.
Vide l’espressione della ragazzina deformarsi sempre di più dalla rabbia, e capì che stava per colpire di nuovo: ma stavolta fu pronta e si scansò in tempo, facendola sbilanciare; prima che potesse girarsi, poi, le diede un calcio nel sedere così forte che la mandò a cozzare contro la parete.
“Ahia, mi hai fatto male!” si lamentò quella.
Viviana la guardò, e si chiese se non avesse esagerato: in fondo, nonostante la prepotenza quella che aveva avuto di fronte fino a poco prima altri non era che una bambina! Ma poi ripensò a quanto aveva sofferto Veronica, e si disse che non solo aveva fatto bene, ma che forse era stata fin troppo tenera. Se avesse voluto, avrebbe potuto infierire ancora, ma decise di rinunciare: era sicura che la piccola, avendo visto sgretolarsi la sua aura di potenza, non avrebbe più dato grossi problemi.
“Sai una cosa?” disse, con voce sicura e forte in modo da farsi sentire anche da tutti gli altri bambini, “Non mi fai pena per niente, sono dispiaciuta per averti colpita ma te lo sei ampiamente meritato! E ora scusami, ma dovrei mangiare il panino prima che suoni la campana”.
Appena ebbe pronunciato queste parole, uscì dall’aula, e si posizionò di fronte alla porta: lì, era improbabile che l’altra l’avrebbe inseguita per picchiarla ancora, semmai le fosse venuto in mente, perché c’era il rischio di essere viste da qualche adulto!
 
 
“Perché diavolo non me ne hai mai parlato? Avrei potuto aiutarti!”.
Approfittando della momentanea assenza dei genitori, che si erano recati al supermercato più vicino per fare la spesa, Viviana aveva deciso di affrontare la sorella.
“Avevo paura!!! Lei mi prende sempre i panini, i colori, le penne … una volta l’ho detto alla maestra, ma Erika mi ha presa in giro, mi ha chiamata codarda. Ha detto che non sapevo difendermi da sola, che ero una debole e che se l’avessi detto anche in famiglia sarebbe stato peggio per me, perché in quel caso sarebbe venuta a casa e mi avrebbe fatta sbranare dai suoi cani!”.
Viviana non riuscì a trattenere uno sbuffo di impazienza. Come aveva fatto sua sorella a spaventarsi per stupidaggini del genere?
Poi si ricordò di chi aveva di fronte: quello che stava fissando era il suo corpo, una parte di se stessa, ma dentro c’era sua sorella: stava parlando con una bimba di otto anni, non con una coetanea, quindi non poteva aspettarsi di certo che ragionasse come lei! Forse, quelle che per lei erano sciocchezze per Veronica erano montagne altissime, specie considerando che aveva un carattere sognatore, introverso ed ingenuo.
“D’accordo”, le disse quindi, cercando di aiutarla a capire. “Ti sei spaventata, e fin qui ci posso stare. Ma non hai pensato che permetterle di fare come voleva sarebbe stato peggio? Ora capisco perché hai sempre fame, quando torni da scuola! Mi spieghi come fai a mantenerti in piedi senza svenire? E’ successo solo una volta, che io ricordi, per fortuna, ma comunque non va bene! Non va per niente bene! Comunque, credo che ora tu non debba più preoccuparti di nulla: l’ho sistemata  per benino, perciò sono certa che non verrà più a romperti le scatole. Domani già che ci sono cercherò di fare una bella ramanzina alle tue migliori amiche, a proposito, che oggi non hanno mosso un dito per aiutarmi … cioè, per aiutare te!”.
“No, lascia stare! Non serve, dico davvero!”
“E va bene, come vuoi. Ma già che ci siamo, mi dici come si chiamano, per favore? Oggi le ho viste, ci ho anche parlato ma non mi ricordavo neanche uno dei loro nomi! E poi, come ti sei trovata per il tuo primo giorno di scuola superiore anticipato? Raccontami, dai!”
Veronica fece quanto le era stato richiesto, e mentre parlava tirò le somme della giornata che aveva appena vissuto: non era stata poi tanto male, ma aveva avuto molte più difficoltà ad ambientarsi e a volte si era sentita realmente smarrita, perché quello degli adolescenti era un mondo che non riusciva a comprendere molto bene.

 
  
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