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Autore: GraceMalfoy    04/01/2015    3 recensioni
[LeoXNico] [Max 10 Capitoli]
*dalla storia*
-La differenza tra spettro e demone è abissale, Valdez. – gli faccio notare con calma.
-Sempre creature dell’oscurità sono, no?
-Sì, ma di due oscurità diverse. Gli spettri vivono là sotto – dico indicando il pavimento – mentre i demoni qui dentro. – Questa volta mi indico il petto.
Genere: Fantasy, Fluff, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Leo Valdez, Nico di Angelo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Mi sveglio nel mio letto, mentre nella Cabina 13 una timida luce filtra dalle finestre che, come sempre, ho lasciato con le persiane alzate.
Durante la notte devo aver fatto dei sogni movimentati, anche se non li ricordo, visto che le lenzuola sono tutte ingarbugliate e si vede chiaramente che mi sono agitato molto mentre dormivo.
Alla luce del primo mattino, con addosso ancora il torpore del sonno, mi sembra che al mondo non ci siano problemi e preoccupazioni, che tutto sia perfetto, quando improvvisamente tutto ciò che è successo ieri mi piomba addosso, svegliandomi, come una secchiata d'acqua gelata in testa.
Mi alzo in tutta fretta, mi lavo e mi vesto, poi esco dalla Cabina, inebriandomi dell'odore del primo mattino, fresco e pulito, nuovo.
Ma ecco che il mio più grande sogno ed il mio peggior incubo mi aspetta al varco.
- Ma buongiorno! - esclama Leo con un grande sorriso.
- Buongiorno! - dico di rimando, abbozzando un sorriso anch'io.
- Pronto per questa nuova giornata? Ti avverto che sarà impegnativa!
- Ti sembro uno che molla, Valdez? - scherzo. Forse questa storia potrebbe finire bene.
Leo mi guida verso un punto a me ignoto, e solo quando essa incombe su di noi, mi rendo conto che siamo arrivati alla barriera.
- Aspetta, stiamo ce ne stiamo andando? Ma non dovevi convincermi a non abbandonare questo posto?
- Sai come voglio farti rimanere? - mi chiede con uno sguardo enigmatico. - Facendoti andare via. –
Nota la mia espressione confusa, perciò tenta di spiegarmi.
- Ci rendiamo conto di quanto qualcosa è importante per noi solo dopo averla persa. – fa con un’alzata di spalle.
Forse non è così tonto come dà a vedere.
Prima che possa aprir bocca, lui mi spinge fuori dalla barriera ed in un attimo siamo senza protezioni, in pericolo, ma liberi.
- Dove si va, Capitan Valdez? - chiedo curioso.
- Lo vedrai, Di Angelo, abbia pazienza. – fa lui, guidandomi nel bosco.
Camminiamo per ore forse, e a me sembra di vagare senza meta, ma Leo deve sapere dove stiamo andando, perché di tanto in tanto si ferma e cambia idea, torna indietro e prende una direzione diversa da quella intrapresa prima. Come faccia ad orientarsi in questo intrico di vegetazione non lo so, dove tutto sembra puramente casuale.
Eppure ogni cosa ha un suo ordine ed un suo senso.
Improvvisamente la foresta fitta ed ombrosa che ci ha accompagnato fino a pochi passi prima si apre in una radura, come se gli alberi facessero un girotondo nel mezzo del quale si apre un bellissimo lago cristallino, trasparente come se fosse fatto d'aria, con il fondale di sassolini bianchi ed abitato da piccoli pesci colorati e con qualche alga dai colori brillanti qua e là. La luce che si specchia nell'acqua crea dei giochi bellissimi, delle ombre leggere e dei cerchi, delle linee, dei simboli vaghi ed in continua mutazione, come se il lago e la luce dipingessero insieme uno dei quadri più belli del mondo.
Resto incantato ad osservare quella meraviglia, mentre Leo mi osserva ridente, forse perché è felice di avermi sbalordito, forse perché ho una faccia decisamente buffa, con la bocca spalancata e gli occhi sgranati, ma non mi importa, ora voglio solo godermi questo spettacolo.
- Che ne dici? - mi chiede Leo dopo qualche minuto in cui io ho contemplato il lago e lui ha contemplato me.
- Dico che è meraviglioso. - sospiro ancora per metà in trance.
- Speravo che ti facesse lo stesso effetto che ha fatto a me la prima volta. - mi spiega sorridendo.
Annuisco senza smettere di fissare le acque del lago.
- Vengo qui spesso. - mi confida allora. - E' tranquillo e... bè, non ci sono molti posti così belli al mondo.
- Concordo. - dico assente. Poi, lentamente, mi risveglio da quello stato di trance.
Cammino lentamente fino alla riva, lambita dolcemente da quell’acqua bellissima. Accarezzo la superficie, sento la purezza al tatto.
 - Ti sei mai tuffato? – chiedo.
- E me lo chiedi? Certo! Mai fatto bagni più belli. Vuoi provare?
- Ehm... mi piacerebbe ma... non ho il costume! - esclamo deluso.
- Non c'è problema! Ci penso io. - dice Leo prima di sparire dietro un cespuglio e tornare con due costumi a pantaloncino puliti puliti. - Ecco a te. - e mi passa un costume.
- Oh... ehm, grazie! Da dove li hai pescati?
- Dopo aver scoperto questo posto l'ho attrezzato un po'.
Ride. Ride, e la sua risata è più cristallina delle acque del lago, e così bella, e limpida, e calda, calda ed avvolgente, come una coperta, quella coperta che diventa importantissima d'inverno ma d'estate rimane appallottolata nell'armadio. Se la sua risata fosse una coperta, vorrei l'inverno tutto l'anno ed un freddo da far battere i denti, vorrei potermi avvolgere nella sua risata e farmi cullare da quella sensazione di protezione che essa mi dona.
Vado verso un cespuglio e mi ci nascondo dietro, mi cambio con calma e vado di nuovo da Leo.
- Eccomi qua! - dico, buttando i miei vestiti appallottolati a terra.
- Sei molto sexy! – esclama, facendomi arrossire violentemente, ma lui non se ne accorge, perché ridacchia e poi va a cambiarsi a sua volta.
Mi siedo sulla riva di sassi a contemplare l’acqua, è così bella…
- Se ci entri è ancora meglio! – dice Leo alle mie spalle quando torna dopo essersi cambiato.
Mi alzo voltandomi verso di lui e…
Il cervello mi va totalmente in tilt. Mi è difficile formulare un pensiero coerente con lui davanti, così bello, con la pelle scura ed il fisico così perfetto.
Mi chiede qualcosa, ed io annuisco senza nemmeno capire cosa ha detto, probabilmente mi avrà chiesto di tuffarci, perché si avvicina alla riva, unisce le mani e si butta.
Io aspetto, e lo guardo sparire nell’acqua chiara, vedo la sua ombra muoversi sul fondale, e poi eccolo riaffiorare nuovamente poco più in là, con i capelli scuri appiccicati alla fronte e grondante d’acqua.
- Vieni! – mi chiama dopo aver scosso violentemente il capo per mandar via l’acqua in eccesso.
Io tentenno un po’, avvicinandomi cautamente alla riva e sfiorando l’acqua con il piede. Non amo tuffarmi, io e l’acqua abbiamo un rapporto complesso, ed un conto è guardarci da lontano, un altro è entrare in contatto.
Entro con le caviglie nell’acqua, è calda in fin dei conti, entrarci dovrebbe essere piacevole. Un altro passo. Un altro ancora. Altri due. L’acqua mi arriva a metà coscia, ora dovrei davvero buttarmi.
Unisco le mani sul capo come ho visto fare a Leo, piego le gambe pronte per saltare e conto fino a tre.
1.
2.
3.
In pochi millesimi di secondo eccomi in acqua, e… è bellissimo, mi sento tutt’uno con il lago, con chi lo abita, nuoto piano in cerchio, con la testa immersa e gli occhi chiusi, le mani che mi spingono avanti, è una sensazione così completa…
Decido di aprire gli occhi, piano, e mi trovo tra i pesci, mi passano davanti, tra i piedi, indisturbati, come se io fossi uno di loro. Vedo Leo poco più in là, che mi saluta agitando la mano lentamente, rallentato dal peso dell’acqua, e poi la stende piano, cercando si sfiorare un pesce dal verde brillante che gli passa affianco, ma quello scappa via e lui sorride.
Sorrido anch’io.
Quando ho terminato tutto l’ossigeno che avevo nei polmoni, riaffioro e prendo un lungo e potente respiro, poi scuoto la testa e piccole goccioline d’acqua schizzano via dal mio ciuffo color dell’ebano.
- Hey!
Una voce alle mie spalle mi fa saltare per lo spavento, non mi ero accorto di aver il figlio di Efesto alle spalle. Mi volto, tenendomi una mano sul cuore, il cuore che per un attimo ha smesso di battere.
- Dannazione Valdez, vuoi farmi prendere un infarto? – gli chiedo seccato ed infastidito.
- Uh sarebbe divertente ma no, direi di no. – dice lui ridendo.
Anch’io sorrido un poco, e poi inizio a schizzarlo. Lui si copre gli occhi, continuando a ridere, ed inizia a schizzarmi a sua volta.
Infuria la lotta di schizzi, fino a che lui non urla un: - Tregua! – fra una risata e l’altra.
Io rido con lui, non ridevo così da moltissimo. Forse ha ragione, se c’è qualcuno che può aiutarmi nel riacquistare la felicità, quello è lui.
- Ho vinto io, Valdez! – esulto.
- Questa è solo la prima manche! – esclama lui di rimando. Poi volge il suo sguardo al cielo. – Si sta facendo tardi, forse dovremmo andare a mangiare qualcosa.
Per tutta risposta il mio stomaco inizia a brontolare, protestando.
- Sì direi di sì. – concordo, avviandomi verso la riva, con Leo al seguito.
Il piccolo piromane recupera due asciugamani da dietro il cespuglio dove aveva preso i costumi e me ne porge uno. Io mi avvolgo in esso, e lui mi imita.
- Dove andiamo a mangiare? – chiedo, mentre mi strofino il pezzo di stoffa sul corpo per asciugarmi.
- C’è un piccolo locale poco distante da qui, si mangia bene. Ti va?
- Oh d’accordo. – rispondo, recuperando i miei abiti dal terreno. – Vado a vestirmi.
Leo annuisce ed io mi avvio verso la vegetazione per andarmi a cambiare senza esser raggiunto da sguardi indiscreti, e percepisco lo sguardo di Leo su di me.
Quando sono ben nascosto mi rinfilo i vestiti, mi passo una mano fra i capelli e torno da Leo. Lui mi sorride a va a cambiarsi a sua volta.
Guardo ancora una volta lo specchio cristallino del lago, e poi mi chino a raccogliere da terra un bastoncino. Inizio a disegnare, disegno un teschio in fiamme, mi impegno molto, poi mi fermo ed osservo la mia opera. Non male.
Alzo nuovamente lo sguardo verso il lago, ancora in equilibrio sulle punte dei piedi e con le ginocchia piegate, e mi perdo in quei colori, mentre traccio linee distrattamente col bastoncino sulla sabbia.
- Calle delle Case Nove 507. – dice la voce calda di Leo. Ma, hey, sta parlando in italiano, in veneto per di più!
- Cosa? – chiedo confuso, alzando lo sguardo ed incrociando quello del figlio di Efesto. Sta in piedi alle mie spalle, ed osserva me ed il mio disegno. Non mi ero accorto di averlo affianco.
- Calle delle Case Nove 507. – ripete, leggendo dal terreno. – L’hai scritto per terra.
Abbasso lo sguardo al punto dove stavo scarabocchiando, e mi rendo conto di aver scritto delle parole.
- Che significa? – mi chiede il ragazzo confuso.
- Io.. Ecco, era la via della mia vecchia casa a Venezia. E’ un indirizzo. In inglese sarebbe ‘Via delle Case Nuove’. – spiego io, cercando di scacciare velocemente i flashback che quell’indirizzo sta porgendo alla mia mente, scene di vita quotidiana di quando abitavo lì con mia madre e Bianca. Non posso permettere loro di entrare, non voglio altro dolore.
- Oh, capisco. – sussurra Leo, la sua voce è vagamente incrinata dall’insicurezza. Forse è dovuta dall’improvvisa ondata di oscurità che mi passa per il volto.
Rimango in silenzio ed immobile, lottando contro i ricordi, e percepisco Leo, immobile anche lui, sembra quasi trattenere il fiato.
- Andiamo. – dico io alzandomi, cercando di guardarlo in faccia.
Lui rimane impalato per qualche altro secondo, poi mi chiama.
Mi volto.
- Dimmi.
Lui si avvicina e guardandomi negli occhi, poi vedo le sue braccia stendersi incerte e… tornare a ricadere indietro.  Sul suo viso compare un’espressione complessa, tra il disagio, il timore e la rassegnazione.
- Niente. – mormora piano, prima di superarmi ed avviarsi verso un piccolo sentiero nella vegetazione.
Sospiro. Avrebbe forse voluto abbracciarmi? Perché ci aveva ripensato?
Infine mi decido a seguirlo, con le spalle incurvate ed il morale a terra. Camminiamo per circa cinque minuti seguendo il sentiero nella boscaglia, finché non ci troviamo al lato di una stradina asfaltata, dove passano una o due macchine ogni tanto. Leo attraversa ed io lo seguo a ruota, attento a non farmi ficcar sotto un’auto.
Finalmente un piccolo locale ci si apre davanti. E’ molto carino, ha delle scale che portano ad un terrazzo pieno di tavolini. Ci sediamo, ancora un po’ a disagio, evitando di guardarci in viso.
- Cosa volete ordinare, signori? – ci chiede il cameriere appena arrivato. E’ vestito con una maglia rossa con il nome del locale stampato sopra ed un grembiule bianco sulle gambe. In mano ha due menù, e ce li porge.
Io ne prendo uno e lo apro, scorrendo tutti i tipi di cibarie. Infine scelgo.
- Per me una caprese. – dico chiudendo il menù e porgendolo al cameriere.
- Per me invece un hot dog. – fa Leo consegnando anche il suo menù. – Ah, ed una coca cola.
Il cameriere fa un cenno di assenso con il capo ed entra in cucina.
- Caprese, eh? – mi domanda Leo, cercando di abbattere il disagio che si è creato tra noi due.
- Italiani si resta per sempre. – rispondo secco, alzando finalmente lo sguardo verso di lui.
Leo mi sorride. Ma non è il suo solito sorriso, quello spensierato e infantile forse, a trentadue denti, no. E’ un sorriso piccolo e timido, un sorriso dolce, un sorriso che sembra dire mille cose, mille parole che non si ha bisogno di pronunciare.
Sorrido piano anch’io, sorrido e quel sorriso sembra urlare tutto ciò che ho dentro, sputare tutto il veleno e dire ‘sto bene’ ma senza mentire.
Leo capisce.
Per quanto possa sembrar tonto, infantile, superficiale anche, io so che lui non è affatto così, che lui ha un’anima profonda, e che il sorriso che mi sta regalando ora è più vero di tutti quelli che fa agli altri.
- Ecco a voi. – esclama il cameriere mentre posa i piatti davanti a Leo e a me. Ci sorride e mette la coca cola al centro.
Leo ringrazia, e poi inizia a mangiare. Io inizio a stuzzicare la mozzarella con la forchetta, come se stessi soppesando l’idea di mangiarla o meno. Infine mi decido, ed in men che non si dica ho spazzolato tutto.
- Avevi fame, eh? – dice Leo ridendo.
Non mi ero accorto di essermi ingozzato.
- Al Campo non ti ho quasi mai visto mangiare. – osserva lui, finendo il suo pranzo.
- Non ho quasi mai fame. – ribatto, senza dare troppe spiegazioni.
- Il che spiega questo. – fa lui, avvolgendo la sua mano intorno al mio polso. – Non ho mai visto un polso così piccolo, Nico.
- Non sono anoressico! – esclamo irritato ritirando il braccio appena capisco cosa sta pensando.
- Io direi che un po’ lo sei. – controbatte Leo, testardo.
- Nico dice no. – nego, incrociando le braccia al petto.
- Oh, va bene... – me la dà vinta lui, ma subito dopo mi rifila un’occhiata scettica, ed io sbuffo sonoramente. Lui si fa scappare un piccolo riso.
- Sei buffissimo quando sbuffi… quindi praticamente sempre. – mi dice con un sorriso sulle labbra.
- Stai dicendo che sono una persona buffa? – chiedo arcuando il sopracciglio. Sono stato descritto in molti modi, ma buffo mai.
- Oh no, assolutamente no, come può il grande Re dei Fantasmi esser chiamato buffo? – fa lui con fare teatrale. Sorride, ma poi si fa subito serio, inchioda i suoi bellissimi occhi sui miei. Quando riprede a parlare il suo tono è basso, e la sua voce roca e calda… e così dannatamente seducente. – Comunque… io so che c’è molto di più dell’oscurità in te, Principe degli Spettri. Non sei di granito. Sei riuscito ad ingannare tutti, Di Angelo, ma chi mente di suo non crede alle bugie.
Sgrano gli occhi. Cosa sta cercando di dire? Mi alzo di scatto e vado al bancone a pagare per entrambi, poi esco dal locale quasi di corsa.
- Nico! – mi chiama Leo alle mie spalle, e presto mi raggiunge. – Hey Nico, che ho detto di male?
-Niente Valdez, niente. – rispondo secco, rallentando di poco il passo.
- Mi spieghi perché appena dico qualcosa che ti riguarda un po’ più nel profondo tu scappi via?
- Il motivo è quello che hai detto tu prima.
- Ovvero? – Nessuna risposta. Accelero di nuovo il passo. – Nico, che diavolo, sei impossibile! Non so mai cosa fare con te, cosa dire, non riusciamo a finire una conversazione in un modo decente, ed io non riesco a capire in cosa sbaglio! Dimmelo, ti prego, dimmelo, io ci provo, ti giuro, ma riesco sempre a dire qualcosa, a premere il tasto sbagliato! Qui o io sono un disastro, cosa per altro molto probabile, oppure in te c’è qualcosa che non va!
- Il problema è qua dentro! – esclamo, fermandomi e voltandomi verso Leo, posandomi un indice sul petto. – Il problema è il tuo modo di scovare i miei segreti, di aprire le porte dei ricordi, della mente, posti che io non voglio visitare, cose che io tento in ogni modo di non mostrare agli altri. Ci sono riuscito con tutti, sono riuscito a farmi odiare, a farmi evitare, a far tacere chiunque cerchi di chiedere qualcosa, ma tu! Tu no! Tu non riesci a vedermi come il ragazzo-demone, come una minaccia, come l’oscurità, no, tu sai sempre qualcosa di più! Tu sai cose di me che magari non so neanche io, e non è una cosa buona! Io non voglio essere scoperto, non voglio essere capito, non voglio parlare di me o del mio passato, di tutto ciò che sono, non voglio!
- Perché hai paura di te stesso. – mormora piano lui, con lo sguardo basso.
- Cosa? – chiedo io con la voce tornata al tono normale, confuso per ciò che ho detto, ma soprattutto per ciò che ha detto lui.
Alza lo sguardo e lo incatena col mio, e quando riapre bocca il suo tono è sicuro e deciso.
- Hai paura di te stesso, hai paura dei tuoi demoni, dei tuoi pensieri, dei tuoi ricordi, hai paura delle tue paure, dei tuoi sentimenti, hai paura di ciò che sei diventato, e lo capisco, ti capisco, ti capisco forse più di chiunque altro, Nico. Ma sappilo, non c’è nulla di cui aver paura. Non sei un mostro.
Mi sorride, mi sorride e quel sorriso mi dona forza e speranza, mi dice che forse non sono così sbagliato, che forse non è tenendo tutto dentro che starò bene.
- Io… - inizio, ma improvvisamente mi rendo conto di non aver nulla da dire, che non ci sono parole per fargli capire tutto ciò che provo, che non riesco ad esprimere le mie sensazioni ed i miei vortici di pensieri, potenti e distruttivi.
- Andiamo ora. – dice con dolcezza, e passandomi un braccio sulle spalle. – Torniamo al Campo.
Io annuisco e mi abbandono al calore che il suo braccio intorno alle spalle mi dona, abbozzando un sorriso e cercando di fare breccia tra il caos che le sue parole hanno creato nella mia mente.
   
 
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