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Autore: C and S_StorieMentali    05/01/2015    5 recensioni
Samantha è la secondogenita di Clary e Jace. La sua vita sembra procedere come al solito, tra le peripezie per nascondere la sua identità di Shadowhunter agli amici mondani e tra i continui battibecchi con Max, il figlio di Simon e Isabelle. Samantha, però, non sa che il male è in agguato... E' del tutto ignara di quello che si nasconde nell'ombra, che di soppiatto entrerà nella sua vita, sconvolgendone gli equilibri e costringendo la giovane Cacciatrice a intraprendere un'avventura che mai avrebbe immaginato, un'avventura al termine della quale dovrà compiere una scelta che decreterà il suo destino e quello dell'intero Mondo delle Ombre... Tutto ciò che conosce crollerà, e, forse, anche la realtà dei mondani è in grave pericolo.
Dal CAPITOLO 1: "Premetto che essere la figlia dei due Shadowhunters più famosi degli ultimi tempi non è per niente così eccitante come sembra. Mi spiego: se i tuoi genitori, durante la loro adolescenza, hanno compiuto mirabolanti avventure che farebbero la barba persino a un cane parlante (di questo parleremo più tardi... Effettivamente riguarda più me che loro, la storia del cane), be', tutti si aspettano grandi cose da te."
SPOILER COHF!
Genere: Azione, Comico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Sorpresa, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il sudore mi imperlava la fronte. Guardai il sacco da boxe davanti a me: era nero, in pelle e super resistente.
Inspirai a pieni polmoni l’odore della palestra, del sudore e degli attrezzi lucidati. Adoravo quel posto: in fondo, ero cresciuta lì.
Indossai i guanti da pugile e mi preparai a colpire il sacco, quando la porta della palestra cigolò. Probabilmente è Chris, pensai.
Iniziai a sferrare calci e pugni al sacco, facendolo oscillare avanti e indietro. Constatai, affaticata, che era davvero pesante: d’altronde mi ero allenata tutto il pomeriggio con i salti mortali e le energie cominciavano a scarseggiare. L’immagine di una barretta di cioccolato con dentro strati e strati di caramello fuso e nocciole croccanti mi balenò nella mente. Mi ritrovai a sbavare, affamata.
-Tutto qui quello che sai fare, Herondale?- Solo il suono di quella voce ebbe il potere di irritarmi profondamente. Mi girai lentamente, mettendo su la mia migliore faccia strafottente.
Ed eccolo lì, in tutto il suo merdoso splendore. Appoggiato al muro della palestra, con le braccia conserte e un sorriso beffardo stampato in faccia. Maxime Lewis, soprannominato “IPC” dall’illustre sottoscritta, indossava la tenuta da palestra: una canotta nera iper-aderente e un comune pantalone di tuta. Era incredibile quanto fottutamente gli donasse, quando a me faceva apparire ancora più nana di quanto già non fossi.
-Cosa vuoi, Lewis?- dissi sprezzante
-Allenarmi.- il suo ghigno si allargò –Certo, se tu cadessi ora, mi divertirei di più.-
-Fottiti.-
-Con piacere, Herondale!- esclamò, sfoggiando il migliore dei suoi maledetti sorrisi da angelo.
Tornai al sacco, infuriata. Quanto avrei voluto picchiarlo fino a sentirlo invocare pietà!
All’improvviso il sacco mi sembrò sin troppo simile a IPC: stessa tenuta resistente, stessi capelli neri, stessa faccia da stronzo. Tirai un pugno al centro, proprio in mezzo alla fronte. Non contenta, sferrai un calcio rotante nella speranza di demolirlo. Una risata riecheggiò nella palestra.
-Complimenti, Herondale. Peccato che con un calcio del genere non feriresti neanche un Dimenticato.-
Non mi voltai nemmeno, non volevo dargli la soddisfazione di vedermi offesa dalle sue parole. Piuttosto mi accanii contro quel maledetto sacco da boxe ancora privo della minima ammaccatura. Pugni micidiali, calci rotanti e spallate poderose. Avevo decisamente perso il controllo. Le mani mi dolevano, una spalla si era scorticata e non sentivo più le gambe. Mi girai per riprendere fiato e mi osservai allo specchio posizionato in un angolo della palestra: ero sudata, con i capelli appiccicati alla fronte, la faccia rossa, il petto che si alzava e abbassava velocemente e tagli e lividi dappertutto.
Guardai nella direzione di Max e lo vidi cimentarsi coi pesi. Era supino e stava sollevando un attrezzo di minimo cinquanta chili. La cosa buffa e per niente gratificante era che, oltre qualche gocciolina di sudore che gli colava lungo i bicipiti, era assurdamente perfetto. Guardai imbambolata i suoi capelli: non erano minimamente scompigliati. Per l’Angelo, quanto cavolo di gel si metteva?
Posai la mia attenzione sul suo viso. Mi resi conto, molto imbarazzata, che i suoi occhi verdi, vispi ed orgogliosi, mi stavano fissando, con una scintilla di autocompiacimento, mentre il suo viso si distese in un ulteriore ghigno. Arrossii violentemente e mi girai, sperando che non avesse notato il colorito acceso delle mie guance. In preda alla frustrazione, tirai un ultimo pugno al sacco, che cadde sul pavimento con un tonfo sordo, disperdendo un po’ di imbottitura e cancellando quell’atmosfera sospesa fra di noi.
*****
Gemetti di dolore. Guardai il mio dito sanguinante prima di rivolgere la mia attenzione a quel gattaccio.
-Per l’Angelo, perché odi qualsiasi essere vivente?- Mi dovetti ricredere quando il gatto traditore andò a strusciarsi sulle gambe di IPC, che lo stava tranquillamente accarezzando. Lanciai un occhiata velenosa a Church. È mai possibile che nessuno, tranne me, odi quella specie di essere umano?!
-Sorellina, abbiamo una missione. Tutti ci stanno aspettando in biblioteca- disse Chris. Mi alzai ed iniziai a correre, cercando di tenere a freno l’eccitazione. Adoravo le missioni. Spalancai l’imponente portone della biblioteca, ed entrai. Mamma, papà, zia Isabelle e zio Simon erano seduti attorno alla scrivania di mogano, e stavano sorseggiando del thè.
-Spero che la difficile missione non sia togliere le vostre tazzine.- dissi, accigliandomi contrariata. Mio padre sogghignò e poggiò la tazzina sulla scrivania.- In effetti, non sarebbe una cattiva idea… Lo potrete fare quando tornerete. Comunque, abbiamo individuato una discreta attività demoniaca al Pandemonium Club. Sapete, quello dove…-
-…Dove hai incontrato la mamma per la prima volta. Ti prego, risparmiaci la storia.- Sbuffai annoiata. Mio padre non perdeva occasione di raccontare le sue avventure, di come aveva salvato il mondo e bla bla bla. Sinceramente ho sempre pensato che il suo sia un caso di narcisismo incurabile.
-Oh sì, proprio quello- concordò mia madre, mentre si alzava e poggiava la mano sulla spalla di mio padre. Lui le sorrise e lei gli scompigliò i serafici capelli biondi. Stavo per avere un attacco di diabete. Per fortuna, a rompere il fin troppo romantico quadretto, intervenne zia Isabelle. -Ragazzi, insieme alle armi portate anche qualcosa di carino. Dopo aver ucciso il demone, ammesso che sia uno, potete divertirvi un po’.-
Chris e Max batterono il pugno e sparirono dietro la porta, probabilmente diretti all’armeria. Io, invece, corsi nella mia stanza e spalancai l’armadio. Un brivido freddo mi attraversò, mentre osservavo i miei jeans strappati e le magliette larghe. Non possedevo nulla di… femminile. Stavo optando per una maglietta leggermente più scollata delle altre, quando una voce scandalizzata mi fece voltare
-Non penserai di indossare quell’obbrobio, vero? Neanche tua madre ha vestiti così orrendi, e fidati… un Raum si veste meglio di lei.-
Sobbalzai e mi voltai, imbarazzata. -Zia, non ti ho sentita entrare. E comunque, non penso che un demone abbia dei vestiti- dissi dubbiosa.
-Appunto- sogghignò divertita -Seguimi.- Cominciai a seguirla per i corridoi bui, sicura che mi stesse portando nei suoi appartamenti, ma lei prese una strada completamente diversa, portandomi in un’ala dell’Istituto a cui non avevo mai prestato attenzione. Si diresse sicura verso una  porta e l’aprì. Entrai e venni catapultata nel mondo di Barbie, quella bambola mondana tutta tette e plastica: mi trovavo in una stanza completamente rosa con una cabina armadio gigantesca e uno specchio immenso. Zia Isabelle entrò in modalità “trova abito” e cominciò a rovistare nei cassetti pieni.
La osservai mentre si metteva una ciocca di capelli dietro l’orecchio e con espressione concentrata valutava questo o quell’abito. Nonostante avesse quarant’anni suonati, rimaneva la donna più bella che avessi mai visto: sembrava una dea, con i suoi lunghi capelli neri ed il fisico atletico. Le piccole rughe di espressione conferivano al suo viso un’aria più matura, più vissuta. Stavo fissando imbambolata la sfilza di trucchi sul comò (di cui a malapena sapevo pronunciare il nome), quando zia Isabelle mi mostrò orgogliosa una maglietta senza maniche ed una gonna che a me sembrava una cintura larga. Rimasi a bocca aperta, traumatizzata. Non indosserò mai qualcosa del genere, decisi sicura. Cercai di inventare una scusa su due piedi per evitare anche solo di provare quello strano abbinamento, ma zia Isabelle non volle sentire ragioni. -Provateli e torna da me. Dobbiamo ancora pensare al trucco. Ed una ragazza non si può definire tale senza il suo fedele compagno.- Andò verso lo specchio, tornò verso di me e mi sventolò sotto al naso un pennellone, con aria posseduta. Indietreggiai e sfoggiai il mio miglior sorriso a trentadue denti, mentre la zia, con fare assatanato, mi elencava le cose INDISPENSABILI per la vita di una ragazza: - …eyeliner, rossetto, ombretto, fard, blush, push up, minigonna, dentifricio sbiancante…-
Indietreggiai sempre più, fino a toccare il pomello della porta. Lo girai, uscì e con uno scatto la chiusi alle mie spalle. Cominciai a correre, mentre zia Isabelle urlava: -Non dimenticare gli stivali di pelle!- A volte mi chiedo se ci sia una persona normale nella mia famiglia. Rabbrividii: purtroppo conoscevo la risposta.
Tornai nella mia stanza e con fare titubante poggiai sul letto i due indumenti. La maglietta era nera, con dei brillantini sotto la linea del seno. Mi piaceva, ma la gonna era improponibile: nera, aderente -troppo aderente- e non arrivava neanche a metà coscia. Mi sentii in imbarazzo soltanto a guardarla. Fu il pensiero di zia Isabelle che mi inseguiva con il pennellone a mo’ di arma, per punire il mio gusto discutibile, a convincermi  a provarla. Andai in bagno e mi guardai nel misero specchio: tutto sommato ero carina, ma davvero indecente. La maglietta metteva in risalto le poche curve che avevo (grazie mamma! Almeno non ero schifosamente magra come lei e quindi avevo i fianchi un po’ più larghi),  e la gonna mi faceva sembrare ancora più nana (ripeto: grazie mamma!).
Tornai esitante -e sì, parecchio spaventata- nella camera di zia Isabelle. Si stava rifacendo il trucco, tenendo in bilico con una mano una specie di pennellino nero, mentre nell’altra troneggiava il suo inseparabile pennellone. Tremai impercettibilmente.
-Eccoti, cara. Su, sbrigati!- Mi fece accomodare su uno sgabello girevole (ovviamente rosa) e mi ordinò di chiudere gli occhi. Non mi sentii di disubbidire: aveva ancora il pennellone.
Zia Isabelle cominciò quella che per lei fu una piacevole esperienza, ma per me un incubo interminabile. Dopo forse cinque minuti, forse due giorni, mi disse di aprire gli occhi. Mi rimirai nello specchio, e per poco non caddi dalla sedia. Ero un’altra persona, un’altra Samantha. I capelli biondi erano raccolti in una coda alta, gli occhi erano cerchiati di nero e le mie labbra erano rosse. Stentavo seriamente a riconoscermi.
-Che ne dici, tesoro? Ora si che si ragiona!- Mi alzai intontita e con passo robotico uscii dalla stanza. Corsi in camera e, con mani tremanti, cominciai a lavarmi la faccia, prima delicatamente, poi rabbiosamente. Il risultato fu deludente. Mi guardai frustrata: avevo appena perso una battaglia contro un pennellone e il trucco si era a malapena sbiadito. Presi la mia amata giacca di pelle e mi armai. Mi diedi un’ultima occhiata allo specchio del bagno. Mi sentivo decisamente a disagio. Sperai solo che quella serata finisse al più presto.
*****
Le luci del Pandemonium mi accecarono, mentre il suono della musica mi assordava. Mi guardai intorno, ma non notai nulla di insolito: ragazze svestite ballavano ammiccando, ragazzi sudati si dimenavano e persone ubriache vomitavano. Storsi il naso, cercando di non rimettere la cena. Osservai Chris e Max dall’altra parte della discoteca, mentre cercavano di farsi largo fra la folla. Chris alzò un dito e se lo portò alle labbra. Era il segnale. Mi mossi furtiva tra ragazzi ubriachi, cercando di individuare il demone. Vidi Max fermarsi e sussurrare qualcosa a mio fratello. Sembravano turbati. Spostai lo sguardo e mi concentrai: passai in rassegna ogni viso, ogni ragazzo finchè non lo trovai: era di media statura e piuttosto grosso, con capelli rossi sparati in aria ed un’espressione famelica. All’inizio non capii. Mi sembrava un demone qualsiasi, non particolarmente pericoloso. Lanciai uno sguardo a mio fratello. Impercettibilmente lui fece di no con la testa. Lo guardai con aria interrogativa, e lui mi invitò ad osservare meglio. Solo allora notai che il demone era già a caccia. Una ragazza gli si stava strusciando addosso in maniera piuttosto provocante. Era stretta in un miniabito dorato, che non riusciva a coprire neanche il minimo indispensabile. Un senso di familiarità mi invase, e cercai di capire dove potessi averla già vista. Fu un attimo: una luce più forte delle altre la illuminò, mostrandone il volto. Un rivolo di sudore freddo mi colò giù dalla fronte, mentre iniziavo a tremare. Ero arrivata tardi. Il demone aveva già puntato il suo obbiettivo: Kara. Raggiunsi Chris e Max. Ci guardammo: il demone non era un problema, ma Kara… C’era il rischio che vedesse qualcosa o peggio che non vedesse nulla e si facesse fare a pezzi senza accorgersene.
-Seguiamo il piano- disse Max -Kara la distraggo io.- Annuii: era l’unica alternativa che avevamo.
Mi girai, pronta ad entrare in azione, ma non vidi più né il demone né Kara. Ricontrollai, ma erano scomparsi. Aprii con furia la porta del bagno delle ragazze, mentre Chris spalancava quella dei maschi: il demone non c’era. Al suo posto, delle ragazze sbalordite mi fissavano come se fossi matta. Una, in particolare, aveva il rossetto in mano e le labbra tutte sbavate. Mi voltai appena in tempo per evitare la valanga di insulti rivolti a me. Mi guardai intorno: dovevo agire in fretta, o per Kara sarebbe stato troppo tardi. Intendiamoci, era una stronza manipolatrice, che faceva soffrire il mio amico e non si curava degli altri, ma era pur sempre una mondana ed il mio compito era quello di proteggerla. Udii un urlo sopra la musica assordante. Il sangue mi si ghiacciò nelle vene mentre correvo nella direzione da cui era partito il grido, immediatamente seguita da Chris. Stavo per spalancare la porta di quello che credevo fosse una sorta di sgabuzzino, quando Chris mi bloccò. -Ti riconoscerà, e farà domande. Lascia la cosa a me.- Annuii e mi scostai, mentre mio fratello entrava furtivo. Mi appoggiai allo stipite, pronta ad intervenire in caso di bisogno. Intravidi Max accanto a Chris, mentre lentamente si avvicinava ad una Kara piuttosto confusa. Con uno scatto velocissimo la tramortì e lei cadde a terra come un sacco di patate. So che non avrei dovuto, ma dentro di me esultai. Ogni singola cellula del mio corpo gioì, in preda ad un’esaltazione assurda. Ehi, hai voluto fare la puttana con chiunque ti passasse a tiro? Bene, ora dormi.
Un sorriso sornione mi si dipinse in volto. Chris, veloce come la luce, estrasse una spada angelica e trafisse il demone, che si contorse e si accartocciò prima di sparire. Un lieve odore di marcio invase la stanza. Entrai, facendo attenzione ai cavi elettrici sparsi per il pavimento. – Chi riporta la pantera a casa?- disse Chris. Cominciai a guardarmi in giro, improvvisamente interessata agli strati di polvere delle pareti. IPC sospirò e prese Kara in braccio. Dovevo ammetterlo: stavo rosicando in una maniera incredibile. Nessuno mi aveva mai preso in braccio a quel modo -a parte papà e zio Simon, ma loro non contano-, ed ora Max la sollevava senza mostrare il minimo sforzo -cosa piuttosto ammirevole, visto che solo il petto doveva pesare venti chili. Ma, ehi, tutto quel silicone non era sicuramente leggero!-. Cercai di non dare a vedere la mia irritazione, ma non dovevo esserci riuscita bene, perché quando Max mi passò accanto, ghignò e mi sussurrò all’orecchio -Bella gonna, Herondale.-
-Fregati, Lewis.- sbottai. Lui rise e se ne andò con Kara fra le braccia, mentre io, rossa in volto, mi abbassavo la gonna.
*****
Ero nell’istituto. Chris premette il bottone e chiamò l’ascensore che arrivò cigolando. Mio fratello entrò, invitandomi a fare lo stesso. Scossi la testa, titubante. -Voglio sapere come è finita con Kara. Sai se ha visto qualcosa, o roba così?-
Lui annuì, poi, con fare noncurante, disse: -Oh, di sicuro Max le ha fatto dimenticare tutto.- Lo guardai stralunata, cercando di seguire il ragionamento di mio fratello. Ma non ci riuscii. -E come avrebbe fatto, scusa? Ha una sorta di pozione, o che so io?- Chris scoppiò in una risata fragorosa. Lo guardai irritata. Ma che ci trova di tanto divertente? 
La mia espressione non fece che peggiorare la sua già precaria situazione, costringendolo a reggersi alla parete dell’ascensore per non cadere. Ora ero davvero furiosa.
-Sai, sorellina, noi uomini non abbiamo bisogno di una pozione. Specialmente Max.- Gli stavo per chiedere spiegazioni, quando la porta dell’ascensore si aprì e uscimmo nel corridoio.
Poi fu come se un fulmine mi avesse colpita in testa. Tutta quella voglia di portarla a casa, di prenderla in braccio, di preoccuparsi di lei. Max Lewis non si era mai fregato di niente e di nessuno, a parte Chris, ma loro erano parabatai, non valeva. Strinsi i pugni. Ma cosa mi importava?! Max Lewis poteva baciare chi voleva. Al massimo avrei fatto le condoglianze alla povera ragazza inconsapevole, caduta vittima del suo fascino. Ed allora perché ero così turbata? Perché mi tremavano le mani? Digrignai i denti, pronta ad andarmene. Schiacciai il pulsante dell’ascensore ed attesi finché l’ascensore non arrivò e scesi. Appena uscita, visto che ero molto normale, decisi di risalire e richiamai l’ascensore. Sentii una folata di vento raggiungermi, seguita dal rumore di una porta che si chiudeva. Non mi girai. Sapevo già chi era. Pregai mentalmente l’ascensore, nella speranza che si desse una mossa e mi togliesse dai guai. Ma il bastardo continuò lentamente, troppo lentamente, a scendere, lasciandomi nella fossa dei leoni. O meglio del leone. Decisi di ignorarlo. Guardai concentrata i bassorilievi che adornavano la sala, cercando qualunque pretesto per distrarmi e non rivolgergli la parola. Sentivo distintamente il calore del suo corpo accanto al mio. Sarà che avevo freddo, sarà che ero emotivamente instabile, ma mi sentii attirata da lui. Non resistetti e gli lanciai un occhiata. Brava Samantha, brava, meno male che lo dovevi ignorare. Era diverso, ma inizialmente non capii perché. Lo osservai meglio: i primi bottoni della camicia erano slacciati, lasciando intravedere il suo petto muscoloso. I capelli erano spettinati (ma dov’era finito il gel?!) e soprattutto aveva le labbra gonfie e rosse. Ho sempre nutrito seri sospetti sulla sua bisessualità, ma non credevo arrivasse a mettersi il rossetto. Lui ghignò, strafottente. Mi voltai, rossa in viso per essere stata colta in fallo. Stupida, stupida, stupida. E meno male che godevo di riflessi eccezionali. Be’, il danno era fatto, tanto valeva continuare. Fissai dritto di fronte a me e con la mia migliore voce indifferente chiesi:-Come sta Kara? Ricorda nulla?-
Lui mi fissò, vagamente divertito.
-Sì, sono piuttosto bravo a mentire. Comunque è tutto okay. Non ha visto nulla della trasformazione.- Entrò in ascensore. Lo seguii. Schiacciai il pulsante e l’aggeggio infernale partì. Guardai Max di sottecchi: aveva un’aria indifferente, come se niente lo toccasse veramente, come se fosse superiore a tutto e a tutti. Sbuffai, forse troppo rumorosamente, perché lui si voltò e con un tono piacevolmente sorpreso disse: -Comunque, la Wellson bacia da Dio.-
Lo guardai sconvolta. Lo sapevo, sapevo come era Kara e soprattutto conoscevo Max, eppure una piccolissima parte di me aveva sperato che non fosse andata così. Mi sentii ferita, tradita e non sapevo neanche perché. Max non era nulla per me, solo IPC, uno stronzo. Che cazzo mi sta succedendo? Mi sarà venuto il ciclo. Lo guardai furiosa. Volevo toglierli quell’espressione dalla faccia, quel maledetto ghigno strafottente. Ero disgustata dal suo comportamento, ogni parte di me voleva ucciderlo. Con un riflesso involontario (almeno credo), la mia mano schiaffeggiò IPC, che rimase di sasso. Avevo l’affanno, e guardai sorpresa la mia mano e l’impronta delle mie dita sulla guancia di lui, che mi fissava ferito. Dovrei scusarmi, pensai. Ma poi: ‘Fanculo, l’ha voluto lui.
-Sei uno stronzo senza cuore! Kara sta con il mio migliore amico, e tu stai rovinando tutto, rovini sempre tutto. Non ti sopporto più, sei solo un insensibile coglione.- Urlai senza alcun ritegno, fuori di me. Ora anche lui era incazzato. I suoi occhi mi fulminarono mentre, senza pietà, gridava: -Senti chi parla! Sei solo un egocentrica, che smania per avere un po’ d’attenzione. Ti dirò una cosa: non sei tu il centro dell’universo, non ruota tutto intorno a te. Sei così presa da te stessa che non ti accorgi di chi ti sta intorno!-
Lo guardai. Ogni parola era stata una freccia scoccata al cuore che, piano piano, si era trasformato in un bersaglio che lui aveva centrato. Cercai di non piangere, di non dare a vedere come quelle parole mi avessero ferita, ma gli occhi mi si fecero lucidi. Lui capì e si avvicinò a me, cercando una maniera per cancellare quella tensione nata tra noi. Lo guardai e l’aria divenne elettrica. Lessi nei suoi occhi marroni una sicurezza disarmante. Non mi avrebbe chiesto scusa. Non che lo volessi, comunque. Mi venne un groppo in gola, ma trattenni le lacrime. Non gli avrei dato questa soddisfazione.  L’ascensore si aprì e, prima di correre a rifugiarmi nella mia stanza, gli sibilai: -Ti odio, Lewis.-




COMMENTO SCRITTRICI:
Ehm-ehm, speriamo che questo capitolo sia stato di vostro gradimento.
Vi ringraziamo ancora per i preferiti, le recensioni e quant'altro e vi annunciamo che dal prossimo capitolo si entrerà nel vivo della storia...
Be', il nostro commento finisce qui, stavolta, perché andiamo entrambe di fretta. :")
Baci,
C&S

 
   
 
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