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Autore: compulsive_thinker    08/01/2015    2 recensioni
La figura incappucciata prese le redini e le fece scivolare sul collo muscoloso dell’animale. Poi con la grazia di una rondine gettò il mantello al ragazzo, come si getta una monetina a un mendicante, e montò in sella. Il giovanotto rimase come inebetito nel vedere il ricco vestito di seta rossa che avvolgeva il corpo di una ragazza come non ne aveva mai viste in città, dalla pelle bianca e liscia come marmo. Lei rise del suo stupore e si lanciò al galoppo verso la campagna: Versailles la aspettava.
A ridosso della Rivoluzione Francese, le vicende della giovane Charlotte de Linage, damigella della regina Maria Antonietta, s'intrecciano con la storia, cambiando per sempre la sua vita.
NB. Ri-pubblicazione della storia per cambio account, se vi sembra di averla già letta, non è un plagio! ;)
Genere: Romantico, Slice of life, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore
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Ciao a tutti!

Eccomi qui, con un nuovo capitolo.. Ringrazio innanzitutto MamW e Victoria93 che hanno recensito e che seguono questa storia: spero che continuerete a "tenermi compagnia" e recensire con i vostri consigli/suggerimenti/ecc.

Allora, preciso che qui iniziano ad entrare in scena nuovi personaggi inventati (le damigelle di corte, gli stallieri) e reali, in particolare Talleyrand: sono particolarmente legata a questa figura, mi ha sempra affascinata e ho deciso di dargli il mio piccolo omaggio inserendolo in questa storia e reinterpretandolo a mio modo. Spero di non aver stravolto troppo la sua personalità, cercherò di attenermi il più fedelmente possibile alla sua biografia.

Vi lascio al capitolo, un bacione!!!

C.

 

1 – Vita di palazzo

 

Il sole splendeva alto nel cielo limpido, filtrando attraverso le cortine chiuse e Charlotte strizzava gli occhi per abituarsi alla luce. Si era appena svegliata e osservava i delicati affreschi sul soffitto, illuminati dai raggi dorati, i cui colori splendevano vividi in quel timido principio d’estate: era il 20 maggio e la ragazza era incredibilmente preoccupata per il turbine di avvenimenti che si erano succeduti negli ultimi giorni. Solo due settimane prima, gli Stati Generali avevano iniziato il loro lavoro: non giungevano notizie incoraggianti. Anzi, non giungevano notizie: nonostante si riunissero a palazzo, non si sapeva quasi nulla di come procedessero i lavori. Il re era costantemente indeciso, non si schierava apertamente, forse perché il ministro Necker, richiamato l’anno precedente per sostenere il sovrano in quella difficile situazione, gli impediva di radicalizzare le sue posizioni.

Charlotte adorava la politica, non riusciva a immaginare nulla di più interessante, a parte la letteratura, forse. Aveva così tante idee e progetti che spesso si sentiva scoppiare la testa, aveva assolutamente bisogno di parlarne a qualcuno. E proprio in quei momenti c’era suo padre, il generale de Linage, capo della Guardia Reale. Lo andava a trovare nei suoi appartamenti e, poiché lui trovava sempre del tempo per l’adorata figlia tra un impegno e l’altro, gli raccontava in maniera concitata, quasi senza riprendere fiato, tutto quello che avrebbe voluto fare. Lui ascoltava, annuendo di tanto in tanto con un sorriso ma senza mai essere accondiscendente e, quando la figlia smetteva di parlare e lo guardava con quell’espressione ansiosa di conoscere la sua opinione, rispondeva immancabilmente con rammarico: “Tesoro mio, il tuo unico difetto è essere nata donna!”.

Charlotte smise di fantasticare, si alzò con un sospiro e chiamò le cameriere perché la aiutassero a vestirsi.

Certo, suo padre non pensava davvero che essere donna fosse un difetto, ma era sicuramente vero che il suo sesso le pregiudicava tutto, tranne il matrimonio. Quando era più piccola si era sentita frustrata e umiliata da questa condizione, ma ora aveva capito che non avrebbe cambiato secoli di mentalità maschilista nemmeno nel tempo di tutta la sua vita. Avrebbe dovuto pazientemente aspettare di poter far valere il suo pensiero con qualche escamotage, ottenendo così una vittoria ancora più schiacciante contro la presunta superiorità maschile.

Passò davanti ad uno specchio e interruppe le sue elucubrazioni per osservarsi con un pizzico di apprensiva vanità. La fredda lastra le rimandò l’immagine di una ragazza alta e in salute. Il suo viso pallido era illuminato da due occhi quasi neri e incorniciato da una massa di splendidi capelli color del legno, con magnifiche venature rossicce, di cui andava molto fiera e che legò con grazia con un fermaglio in madreperla.

Non appena fu pronta, uscì dalla sua stanza, percorrendo il lungo corridoio riccamente decorato dell’ala del palazzo dove erano alloggiate le damigelle della regina, fino a giungere alla stanza della sua amica Marie de Sâle. Bussò delicatamente e, non avuta risposta, entrò. Appena i suoi occhi si furono abituati alla penombra, si avvicinò al letto, ancora occupato da una splendida ragazza: i lunghi capelli biondi come il grano in estate erano sciolti sui cuscini dalle federe azzurre e le lenzuola ammonticchiate disordinatamente per terra scoprivano il suo corpo perfetto, vestito solo di una sottile camicia da notte in mussola blu.

Con un risolino, Charlotte si avvicinò alle tende e le spalancò, dicendo:

“Buongiorno Marie! Avanti, svegliati! La giornata è troppo bella per restare in camera a poltrire.”

Bruscamente svegliata, l’altra si tirò la coperta sugli occhi e mugugnò infastidita:

“Cosa c’è? Ho bisogno dormire…”

“Dormire? Con una giornata come questa? Mi auguro che tu non dica sul serio!”

“Ti prego, ho sonno!”

  “Va bene. Non ti vuoi alzare? Dovrò alzarti con la forza!”

Rispose Charlotte ridendo e si buttò nel letto, facendole il solletico. Pur non andando pazza per la monotona vita di corte, la ragazza adorava quei piccoli momenti di semplice divertimento con delle sue coetanee, cosa a cui non era certo abituata quando viveva in campagna con i suoi genitori.

“Basta, ti prego!”

Diceva Marie singhiozzando dal ridere, ma Charlotte non smise finché lei non aggiunse, tossicchiando e aggiustandosi i capelli scarmigliati.

“Mi alzo, mi alzo! Come fai a essere già in piedi a quest’ora?”

“Semplice, non perdo tempo nel salone a chiacchierare come fai tu!”

“Ieri sono andata a dormire subito dopo di te, ma con questo caldo non sono riuscita quasi a chiudere occhio!”

“Forse ti sarebbe stato più utile rimanere a chiacchierare nel salone, sai?”

Intervenne a quel punto una ragazza che era appena entrata senza un rumore dalla porta spalancata. Le due si voltarono verso di lei e le sorrisero, riconoscendo Juliette de Montrausseaux, figlia primogenita di una famiglia di ministri. Quell’ambiziosa ragazza dai capelli corvini e dallo sguardo di fuoco veniva guardata con disprezzo da molte dame - perché appartenente a quella nobiltà di toga, considerata dai nobili di più antica data come semplice borghesia arricchita - e con apprezzamento da molti gentiluomini per le sue forme perfette e la sua proverbiale generosità nel concederne un assaggio a chi poteva ricambiare con qualche favore.

“Juliette, come stai?”

Le domandò Marie, alzandosi finalmente dalle coperte e gettandole le braccia al collo.

“Bene, grazie cara.”

Rispose quella, chinandosi in avanti a salutare Charlotte con un bacio e accomodandosi poi con grazia su una poltroncina.

“Cosa dicevi a proposito del chiacchierare nel salone?”

Chiese allora Charlotte, naturalmente incuriosita.

“Dovete sapere che è arrivato un nuovo stalliere. E le voci dicono che sia molto bello!”

Marie emise un gridolino eccitato e cominciò a confabulare con Juliette, progettando come e quando avrebbero potuto vederlo.

“Che ne pensi Charlotte, cara?”

“Cosa?”

Rispose la ragazza che stava guardando fuori dalla finestra, mentre tentava di individuare la sagoma del nuovo palafreniere intorno alle stalle.

“Insomma, vuoi prestarci attenzione? Ti chiedevo se dopo avessi voglia di venire con noi a cavalcare per, come dire, saggiare il territorio!”

“D’accordo, ma verrò solo per tenervi d’occhio e per impedirvi di fare sciocchezze!”

“Grazie, che cosa faremmo senza di te…mamma?”

Rispose l’altra con una linguaccia. Si diedero appuntamento all’imboccatura del viale che portava alle scuderie di lì a un’ora e tornarono ognuna nella propria stanza.

Appena arrivata, la ragazza si chiuse alle spalle la porta e si sedette al suo scrittoio, prendendo penna e calamaio e apprestandosi a scrivere a casa.

Cara madre,

è passato molto tempo dall’ultima vostra lettera, mi chiedo se tutto vada bene. Louis come sta? Henri è ancora in seminario? E voi, madre, sentite la mancanza di vostro marito e della vostra unica figlia? Perdonate queste mille domande, ma sento la vostra mancanza e sono preoccupata per voi tutti. Qui a palazzo tutto procede come al solito, non immaginate neanche quanto sia noiosa la corte in questo periodo. Da quando la regina è a Meudon per assistere suo figlio, ci manca ogni occasione mondana e il Trianon è triste e deserto. Non pensavo che l’avrei mai ammesso, ma mi mancano quelle deliziose caprette, anche se certo non mi manca il loro odore! Spero di ricevere al più presto vostre notizie, che calmino i miei timori e mi rassicurino sulla vostra salute.

Con amore,

La vostra devotissima figlia Charlotte.

Dopo molte cancellature e correzioni fu soddisfatta del risultato e fece chiamare una cameriera, dicendo:

“Fate recapitare al generale de Linage questa lettera, con la preghiera di spedirla tramite un suo uomo di fiducia.”

Guardò la ragazza uscire con un inchino e chiuse gli occhi, coprendosi il volto con le mani: sapeva che la sua famiglia era ben più al sicuro di lei, in campagna e lontana da Parigi, ma era preoccupata per loro. Voci di sporadiche insurrezioni di contadini esasperati giungevano anche nel cuore della corte e Charlotte temeva per la salute dei suoi cari. Alzò gli occhi verso il grazioso orologio d’oro che troneggiava sopra il caminetto e realizzò in un attimo di essere in ritardo, quindi uscì e raggiunse le amiche, avviandosi con loro verso le scuderie del palazzo.

Attraversarono la reggia fino a giungere all’ingresso principale, incontrando solo pochi nobili intenti a parlottare tra loro, che quasi non si accorsero del passaggio di tre damigelle impegnate nelle loro frivolezze. Uscirono nella piazza d’armi e subito furono investite da un tourbillon[1] di soldati affaccendati che, invece, ben si accorsero di loro al punto che non pochi fischi salirono da un angolo all’altro dello spiazzo. Ridendo, le amiche si avviarono verso le scuderie della regina, in cui avevano il privilegio di poter tenere anche i loro cavalli, affinché fossero sempre pronte ad accompagnare la loro sovrana ovunque avesse richiesto.

Arrivate davanti ai portoni della stlla, Marie chiese, improvvisamente nervosa:

“Trovate che questo vestito mi doni? E l’acconciatura?”

“Stai tranquilla, sei bellissima, i capelli sono perfetti e non questo vestito non potrebbe esaltare meglio la tua figura!”

La rassicurò Juliette. Charlotte notò che le sue amiche avevano curato il loro abbigliamento molto più di lei: Marie indossava una tunica celeste con una sopravveste bianca ricamata e aveva i capelli legati intorno alla testa con alcuni splendidi fermagli d’oro; Juliette invece indossava un abito rosa con sottogonna di tulle che spuntava dalla gonna bordata d’oro. Charlotte trovava assolutamente superfluo quell’abbigliamento per una cavalcata, per non parlare di quell’ossessione di apparire perfette! Stava quasi per esternare i suoi pensieri, ma preferì non interrompere quel mieloso scambio di convenevoli.

“Sei veramente splendida anche tu!”

Disse Marie a Juliette, poi aggiunse, rivolta a Charlotte:

“Mi dispiace dovertelo dire, ma avresti potuto curare un po’ di più la tua toilette: avresti dovuto indossare un vestito un po’ più ricco. Non ne avevi uno molto bello che ti aveva mandato tua zia da Lyon? Mi sembra di ricordare che stesse bene con i tuoi capelli, avresti anche potuto metterlo!”

La ragazza pensò all’orrendo abito di pesante velluto color amaranto con tanto di scarpette coordinate e rispose:

“L’ho cercato, ma proprio non ho idea di dove posso averlo messo! Sarà finito per sbaglio in campagna dalla mamma.”

“Ma…”

Marie stava per ribattere, quando Juliette disse:

“Non vorrei disturbarvi, ma siamo venute per un motivo preciso!”

“Hai ragione!”

Rispose Marie, lanciando all’amica un’occhiata, come per dirle che avevano un discorso in sospeso, e aprì la porta con noncuranza.

Pur ritenendole un po’ superficiali, Charlotte ammirava molto le sue amiche e in cuor suo ne era invidiosa, perché erano capaci di controllare le proprie emozioni e di non scomporsi mai. Passavano con frivolezza dalla corte di un ragazzo a quella di un altro, si divertivano a civettare con chiunque, fredde e distaccate con il malcapitato che, puntualmente, cadeva ai loro piedi nel giro di pochi giorni.

Lei aveva provato tante volte a seguire i loro consigli, ma con scarso risultato: non riusciva proprio a non conversare con curiosità, parlando spesso di cose che il ragazzo in questione non sapeva, con il risultato di annoiarlo. Per di più, non aveva ancora trovato nessuno che condividesse appieno i suoi interessi, anzi, spesso trovava decisamente vuoti e mediocri i nobilotti che ronzavano attorno alle sue amiche. Avrebbe quasi preferito tentare di parlare con qualcuno della sua servitù, ma Juliette le aveva spiegato che “quelli servono solo per certe necessità, come dire, fisiologiche, se proprio non puoi farne a meno” e aveva riso come se parlare con loro anziché andarci a letto fosse un’idea sciocca e insensata quanto parlare con un cavallo.

Non appena entrate, notarono subito il giovane stalliere affaccendato; doveva avere una ventina d’anni. Alzò la testa per vedere chi fosse, rivelando un viso sporco di polvere, così come sporchi e spettinati erano i capelli neri. Aveva però un’espressione familiare che colpì profondamente la ragazza.

“Cosa desiderate, mesdemoiselles[2]?”

Domandò con impeccabile garbo, continuando però a strigliare i cavalli con noncuranza.

“Vorremmo che sellaste i nostri cavalli.”

Rispose Marie con la sua voce melodiosa che faceva girare la testa. Lui lasciò un attimo l’animale di cui si stava occupando e, guardando le nuove arrivate con un mezzo sorriso di compatimento, si avvicinò al ripostiglio delle selle, ne prese tre e sellò i cavalli che le ragazze gli indicarono. Marie fu la prima a essere issata in sella, seguita da Juliette e da Charlotte.

“Tenete salde le redini e fate attenzione ai cinghiali, ce ne sono due che gironzolano nel parco, in attesa che il re li cacci.”

Si raccomandò meccanicamente prima di aprire il portone della stalla.

“Non ci accompagnate? Dopotutto sarebbe colpa vostra se ci accadesse qualcosa.”

Domandò Juliette sbattendo le ciglia, e rigirandosi tra le dita una ciocca di capelli che era sfuggita alla treccia.

“Se lo comandate, non ho altra scelta.”

Rispose lui con tono piatto, quasi avesse ben altre cose per la testa, prima di avviarsi dietro alle ragazze, partite al trotto.

Trottarono per l’Avenue du Trianon fino ad incrociare l’Allée d’Apollon, dove ridussero l’andatura per godere della vista del parco, incantevole più che mai. La giornata era calda senza essere afosa e il sole riverberava sul Grand Canal creando meravigliosi giochi di luce, brillanti pozze candide che quasi impedivano di vedere i numerosi cigni che vi nuotavano pigramente.

Mentre Marie e Juliette ciarlavano dei balli della settimana, Charlotte si voltò a guardare lo stalliere: appariva esausto e accaldato, la camicia chiazzata di sudore e le guance paonazze per lo sforzo di seguirle. Le si strinse il cuore: mai avrebbe desiderato di trattare un uomo come una bestia da soma per un suo capriccio, quindi sospirò:

“Sono davvero stanca! Che ne direste di tornare un’altra volta e di andare a palazzo a riposarci ora?”

“Mi sembra un’idea splendida! Sono sfinita anch’io.”

Acconsentì Juliette e Marie disse al giovane:

“Potete riportare i cavalli!”

Smontarono e tornarono a piedi verso il palazzo.

“Questi alberi sono tremendamente incolti, non trovate? Insomma, dove hanno la testa i giardinieri?”.

Marie osservava le grandi piante che ombreggiavano pigramente i viali, mentre Charlotte cercava di seguire con lo sguardo lo stalliere: chissà se era già arrivato alle scuderie, dove avrebbe potuto riposare dalle fatiche di quella sciocca cavalcata.

“Marie, la vegetazione non m’interessa!”

Replicò Juliette con uno sbuffo, poi aggiunse con voce annoiata:

“Decisamente deludente! Non capisco come possano definirlo bello è così sporco! Non vale assolutamente la pena se non, ovviamente, per un paio d’ore di divertimento!”

Charlotte considerò la possibilità di stare zitta, per una volta in vita sua, ma come sempre non resistette e ribatté, con malcelato sarcasmo:

“Perdonami, cara, ma a te per due ore di divertimento andrebbe bene quasi chiunque!”

Marie scoppiò a ridere, e aggiunse:

“Hai perfettamente ragione! In ogni caso sono d’accordo con Juliette, non è niente di speciale, abbiamo solo sprecato tempo.”

“Siete veramente spiritose oggi, me ne compiaccio. Non starò certo qui a sentire lezioni di morale da chi ha accettato nel suo letto persino un uomo di chiesa[3]!”

Charlotte tacque: Juliette aveva colpito nel segno. Si sentì una stupida ad aver raccontato loro di Charles, come avrebbero potuto capire? Per la prima volta aveva avuto qualcuno con cui parlare di tutto, qualcuno che la capisse veramente e che avesse i suoi stessi interessi. Ma che, purtroppo, aveva già consacrato se stesso a un altro tipo di amore, che non ammetteva ripensamenti. Si erano amati completamente, ma quell’idillio aveva dovuto finire. E ora lui era prigioniero di un consesso senza imminente soluzione e lei era prigioniera della monotonia della reggia dorata.

“Per favore, adesso basta.”

Mugolò Marie, che detestava veder discutere le altre due: sapevano entrambe essere pungenti e sarcastiche, al contrario di lei che nelle discussioni aveva sempre la peggio ed era costretta al silenzio.

“Marie ha ragione, nessun rancore.”

Replicò Charlotte, senza neanche un accenno sul viso del dolore provocato da quei ricordi. Poi aggiunse, sorridendo a Juliette

“Sono d’accordo, lo stalliere non è un granché…”

Mentire sapendo di mentire. Spregevole, certo, ma vitale in un mondo come quello. Charlotte non avrebbe potuto essere meno convinta di ciò che aveva detto: trovava quel ragazzo molto bello, e non solo. Era sicura di averlo già visto, le ricordava vagamente qualcuno. Cercava di visualizzare tutte le persone che aveva conosciuto, tutti i domestici del palazzo, quelli dei suoi genitori in campagna, ma non riusciva a vederlo. Si concentrò al massimo, corrugando la fronte, ma proprio quando le sembrava di aver capito chi era, il ricordo le sfuggì, come se provasse ad afferrare il fumo.




[1] Turbinio (ma mi piaceva decisamente di più il suono in francese!)

[2] Signorine

[3] Charles-Maurice Talleyrand Périgord, agente generale del clero di Francia e rappresentante del clero agli Stati Generali.

  
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