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Autore: dreamstory    08/01/2015    7 recensioni
“-In questo momento, sei tutto ciò di cui ho bisogno.-, mi sussurrò quella frase fino a farmi venire i brividi. Il cuore mi martellava nel petto, e non riuscivo a fare altro che osservare quegli smeraldi, che, me ne resi conto, dicevano la verità. Ero un misto di emozioni strane, che non riuscivo più a tenere a freno.
-Solo in questo momento?.-, riuscii a chiedergli, ansimando.
-Sempre.- la sua voce roca e il fiato corto mi fecero avvampare, non sapevo se era giusto farlo, ma gli credevo, credevo al suo amore, credevo a noi.”
I fantasmi del passato tormentano Martina da anni ormai. Da quando suo padre non c’è più, la ragazza sembra essersi convinta che non c’è via di scampo dal dolore e ha perso ogni contatto con il pattinaggio sul ghiaccio. Ma sarà l’impenetrabile e affascinante Jorge, migliore amico del fratello di Martina, a farle cambiare idea su ogni cosa, ad aiutarla a buttarsi il passato alle spalle e ad incasinarle ancora di più l’esistenza con nuovi, pericolosi, sentimenti.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Violetta
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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-Sai, piccola mia, è tipico delle persone forti certe volte cadere a pezzi-

-Non ti capisco papà, cosa vuoi dire?-, lo guardai con gli occhi nocciola spalancati e mi immersi nei suoi, scrutando a fondo il suo sguardo fiero. Le sue iridi trasparenti mi trasmettevano sicurezza, mi sembrava di vederci del ghiaccio, lì dentro. Ma un bel ghiaccio, quello delle piste di ghiaccio all’aperto che si formavano d’inverno nel centro di New York. Andavamo lì a pattinare  quando le aprivano, era rilassante. Sorrisi dolcemente all’uomo forte che mi teneva tra le sue braccia. Mi strinsi di più a lui e mi addormentai, ripensando a quelle ambigue parole, tanto sapevo che al mio risveglio me ne avrebbe spiegato il senso. Mi sbagliavo, non fece in tempo.

 

-Driin…Driin.- Il suono assordante della sveglia mi fece alzare dal letto. Mi tolsi il pigiama azzurro che mi aveva regalato mio padre prima di morire, quello con fantasie azzurre e bianche e qualche fiocco di neve ricamato sulle maniche. Mi andava piccolo, ma era importante per me. Quel fottuto infarto mi aveva lasciato un vuoto troppo grande.  Sfilai dall’armadio un paio di jeans strappati grigi, una maglietta bianca e mi infilai velocemente una felpa e i miei storici anfibi neri. Velocemente scesi le scale, facendole scricchiolare a ogni mio passo. Raggiunsi la cucina, dove mia madre Mariana e Francisco, mio fratello, stavano facendo colazione. Fran ha un anno più di me e giocava a hockey sul ghiaccio da quando era piccolo; a differenza mia, lui aveva reagito e aveva deciso di continuare a giocare, mentre io smisi subito dopo la morte di mio padre a pattinare.  -Martina, dobbiamo parlarti.-, mi accolse mia madre con un flebile sorriso in volto  -Buongiorno anche a te.-, risposi sedendomi di fianco a Francisco -È una cosa importante.-, sostanziò mio fratello, -questa sera c’è la finale di hockey.- 
-Non verrò a quella stupida partita.-, ribattei io -Tesoro ci sarà tutta la città, è la finale.-, mi ricordò con voce calma mia madre -Non metterò piede in quel palazzetto, lo sapete bene.-, iniziavo a infastidirmi -Invece verrai, devi smetterla con sta cosa cazzo!-, mio fratello si stava arrabbiando, teneva molto a me anche se non voleva farmelo capire. -Un conto è non pattinare, anche se è una cazzata anche questa, e un altro è non entrare più in una pista di ghiaccio.-, continuò Fran palesemente arrabbiato -Francisco modera i termini!-, intervenì mia madre. -No mamma, non si può andare avanti così, papà è morto per tutti non solo per lei!-, gli occhi mi si riempirono di lacrime, afferrai il mio zaino, lo misi in spalla e uscii di casa sbattendo la porta. Attraversai tutto il viale a piedi, era Novembre e la temperatura era già molto fredda, abitavo a Brooklyn, una frazione di New York e l’inverno era un inferno. Gli alberi iniziavano a perdere le prime foglie secche, il cielo era cupo, quella mattina era proprio una merda. Le parole di Francisco mi trafiggevano il cuore ogni volta che ci ripensavo, non era mai stato così diretto quando si trattava di papà. Nella nostra famiglia era stato eliminato, ogni cosa che lo riguardasse era stata gettata, i suoi ricordi svaniti insieme a lui. Ma io pensavo a lui costantemente, era sempre insieme a me come un’ombra; ed era la mia forza, quando il mondo mi crollava addosso, quando non riuscivo ad andare avanti pensavo a lui. Pensavo a quanto avrebbe voluto vedermi reagire, come mi aveva insegnato a fare. Ma io lo deludevo sempre, perché in fondo ero fragile come le foglie, che cadevano dagli alberi perché non ne potevano più.  Ero una sorta di cristallo, un pezzo di ghiaccio che man mano si stava sciogliendo. Le lacrime mi ricaddero sulle guance, scaldandomele leggermente. Mentre l’aria gelida mi penetrava nelle ossa mi accorsi di quanto ancora fossi lontana da scuola. Avevo raggiunto giusto la casa dei fratelli Blanco, uno dei quali veniva a scuola con me ed era il migliore amico di mio fratello, Jorge. Erano tre messicani, che mi conoscevano da quando ero piccola; tutti alti, muscolosi la gente si teneva a debita distanza da loro, erano dei gran pezzi di fighi. Jorge aveva un anno in più di me e gli andava dietro tutta la scuola, se le era fatte tutte. Escludendo me e le mie amiche, che eravamo intoccabili, dato che Francisco ci teneva lontane chilometri dai suoi amici. Non voleva vederci soffrire ed essere mollate dopo una notte di fuoco, ma a me andava bene, non avevo mai nemmeno sfiorato l’idea di andare a letto con uno del suo gruppo. A dire la verità non mi era mai venuta l’idea di andare a letto con qualcuno. Il suono di un motore mi fece sobbalzare, mi voltai e vidi Jorge, che sedeva sulla sella della sua moto con indosso la giacca di pelle nera e i rai ban; ditemi a che cazzo servono gli occhiali da sole in pieno Novembre! -Martina!-, la sua voce mi chiamò appena mi vide. Scese dalla moto e mi raggiunse di corsa. Mi asciugai le lacrime prima che se ne potesse accorgere. -Che cazzo ci fai qui da sola?-, il suo tono era preoccupato. -Ho litigato con Fran.-, risposi cercando il suo sguardo attraverso le lenti degli occhiali. -Dai, ti accompagno io.-, mi disse con un sospiro, conosceva bene mio fratello e sapeva che non mi avrebbe accompagnata da incazzato. -No, ci vado a piedi.-, risposi schietta, non lo sopportavo e dovevo dimostrargli che non avevo bisogno di lui -Ma per favore, non ti lascio qui da sola con questo freddo, appena Fran ritorna nelle piene facoltà mentali mi uccide.-, sorrise e mi porse una mano. -Va bene, va bene…-, roteai gli occhi al cielo e rifiutai la mano. Mi aiutò a salire sulla moto e quando fui su cercai qualcosa a cui aggrapparmi, ma le mie dita scivolarono in ogni punto le appoggiassi. Jorge mi prese le mani e me le mise intorno alla sua vita. Sfrecciò via velocemente, i miei capelli volavano trasportati dall’aria e appoggiai la testa sulla sua spalla cercando di rilassarmi. Era la prima volta che andavo in moto e il mio cuore batteva così forte che mi sembrava di morire; osservavo ogni particolare di fianco a me per cercare di distrarmi e non pensare di essere su una moto insieme ad uno dei ragazzi che odiavo di più. Si fermò quando raggiungemmo la nostra scuola, la Millenium High School. Era una semplice scuola superiore, ma in quell’edificio c’erano tanti tipi differenti di persone, troppi per i miei gusti.  -Bimba siamo arrivati.-, scese dalla moto e feci lo stesso. -Io vado, grazie del passaggio Blanco.-, abbozzai un sorriso leggero e cercai di andarmene ma il mio polso venne stretto. -Cosa c’è?-, chiesi voltandomi per guardare Jorge. -Fran mi ha detto che ci teneva che tu venissi alla partita.-, si sfilò gli occhiali e mi guardò con compassione, il che mi fece provare uno strano effetto. Non avevo mai osservato i suoi occhi da questa breve distanza, sembravano due smeraldi, sembrava stessero per parlare, trasmettevano tenerezza, in fondo. 
-Non verrò alla partita.-

-Ci tiene tanto, ti vorrebbe lì con lui.-, le sue parole mi misero ancora più tristezza, Francisco mi voleva bene, dal altra parte. -Smettila, e lasciami andare.-, con forza lasciai la sua presa ed entrai. Velocemente mi diressi verso il mio armadietto e vidi Lodovica, la mia migliore amica. Ci eravamo conosciute da piccole al DreamPalaceIce, il palazzetto del ghiaccio della nostra città. Per anni io e lei abbiamo pattinato, ero sempre stata la migliore se devo essere sincera, non c’era  gara in cui non avessi vinto l’oro. Lei era una delle poche che mi era stata vicino dopo la morte di mio padre, le devo tanto. Quando mi vide, sul suo volto si stampò un largo sorriso. -Ciao bella, come va?-, le chiesi raggiungendola. Si scostò le ciocche di capelli neri dal volto e mi sorrise nuovamente. -Benissimo! Sta sera c’è la finale e mi piacerebbe che mi accompagnassi.-, cercò di evitare il mio sguardo e si infilò nell’armadietto per prendere i libri e lo richiuse. -Ce l’avete tutti con questa cazzo di partita eh!-, mi fece infastidire il fatto che volessero farmi andare a quella fottuta finale. -Dai non ti arrabbiare, era solo per chiedere, adesso andiamo in classe però.-, mi prese la mano ed insieme raggiungemmo l’aula. Quando finirono le lezioni ed era ora di andare a mensa, mi misi a cercare Francisco; dovevo assolutamente parlare con lui e risolvere quella situazione. Attraversai tutta la scuola fino ad arrivare al suo armadietto, lo trovai appoggiato ad esso, mentre delle ragazze gli parlavano insieme e lui non le cagava di striscio. Lo raggiunsi velocemente e mi feci largo tra le bionde tinte. -Fran, dobbiamo parlare.-, chiuse l’armadietto facendolo sbattere rumorosamente. Incrociai e il suo sguardo e vidi solo rabbia. Tutto solo per colpa mia e per le mie fissazioni di merda, sono una cogliona. -Non c’è niente da dire Martina.-, senza degnarmi di uno sguardo iniziò a palpare il sedere di Tracee Chambers, una delle poche ragazze con cui andava a letto abitualmente. Sul mio viso si formò una smorfia di disgusto per quella scena; cercai comunque di finire la mia conservazione, mi faceva male quell’indifferenza. -Ascoltami per favore.-

-Non vedi? Ho altro da fare.-, sorrise maliziosamente a Tracee e se ne andò con quelle galline attaccate al culo, rimasi di sasso. Non mi aveva mai trattata così prima d’ora.

-Bimba?-, riconobbi subito la voce di Jorge ed alzai lo sguardo specchiandomi nei suoi occhi, era già la seconda volta questa mattina che guardandoli provavo una strana sensazione. -Cosa c’è?-, chiesi cercando di regalargli un tono seccato. -Ho visto che hai litigato con Fran, forse hai ragione, non lo so. Ma in ogni caso ti vorrebbe alla partita, potresti fare questo sforzo per lui.-, il suo tono non era di rimprovero, anzi, era molto dolce.  -Ci penserò.-

-Ti aspetto fuori da scuola, a casa da sola non ci vai.-, cercai di replicare ma mi strizzò l’occhio raggiungendo Diego Dominguez, un ragazzo del gruppo di mio fratello; anche lui faceva parte della squadra di hockey insieme a Jorge e Francisco.  
Mi strinsi nella felpa mentre uscivo da scuola insieme a Lodo, faceva ancora più freddo della mattina stessa, segno che stava iniziando il vero inverno a Brooklyn. Il cielo grigio mi provocò un fastidioso senso di vuoto, era una giornata pesante, il pensiero di mio padre girava fisso per la mia mente e ogni tentativo di scacciarlo era inutile, lui era lì, costantemente insieme a me. -Fammi sapere per sta sera Tini.-, mi ricordò la mia migliore amica facendomi scuotere la testa . -Si, ci sentiamo dopo.-

-A dopo, vado.-, mi stampò un bacio sulla guancia e proseguì verso la sua bicicletta. Era una vera coraggiosa Lodovica, che, in qualsiasi stagione fossimo, utilizzava la sua due ruote azzurra. Anche con il freddo glaciale di Gennaio, non l’avrebbe abbandonata. Mi portai le mani nelle tasche e roteai gli occhi in varie direzioni in cerca del messicano, che doveva riportarmi a casa. Mi diressi verso il parcheggio e lo trovai appoggiato alla sua moto mentre teneva tra le labbra carnose una sigaretta. Lo raggiunsi di corsa e quando mi vide la gettò il mozzicone a terra. -Bene bimba, andiamo.-, mi porse una mano e l’afferrai per farmi aiutare a salire. Mi strinsi alla sua vita e lui schizzò via dal parcheggio. Mi appoggiai alla sua schiena e mi accorsi di quanto fosse piacevole andare in moto, aiutava a riflettere, a vedere il mondo da un’altra prospettiva. Si fermò quando raggiunse casa mia e mi ritrovai di fronte a Francisco, che quando ci vide ci corse come un disperato in contro.

-Martina sei pazza? Perché non mi hai avvisato che tornavi a casa con…JORGE?!-, lo guardò stupito e io scesi dalla moto.
-Mi ha fatto un favore, non sapevo come tornare a casa.-
-Magari con me, che sono tuo fratello?-, mi fece presente lui. -Ma se sei incavolato con me!-, alzai il tono della voce ma mi pentii all’istante, dato che ero consapevole del fatto che avesse ragione lui.
-Non per questo ti lascerei a scuola da sola!-
-Io vado.-, esclamò Jorge ed uscì dalla via. Abbassai lo sguardo alle punte dei miei anfibi e mi sentii in imbarazzo, feci la prima cosa che mi venne d’istinto fare. Mi avvicinai a lui e lo abbracciai forte, scoppiando in un pianto liberatorio. Ci mise poco a contraccambiare la mia presa e mi strinse sempre di più a lui, quello era il conforto di cui avevo bisogno io. Mi staccai e lo osservai. -Scusami, sono stata una stupida e non ho capito quanto ci tieni che io venga alla partita.-, ammisi. Lo vidi sospirare.  -E io sono stato un maleducato. Ho messo in mezzo papà perché so che è il tuo punto debole, scusa. Abbiamo già perso lui, non voglio allontanarmi anche da te.-, quelle parole mi riempirono dentro, non mi sembravano da Francisco Stoessel, proprio per niente. 
-Ti voglio bene.-, gli sussurrai sorridendo. -Io di più.-, ricambiò il sorriso e mi strinse ancora tra le sue braccia.

 

Ed era arrivato il momento, mancava mezz’ora all’inizio della partita. Ero in camera mia e osservavo la mia minuta figura davanti allo specchio. Mi sentivo così fragile, avevo paura di non farcela. Avevo indosso un maglione pesante color porpora, dei leggins neri e i capelli ricci mi ricadevano sulle spalle; non mi ero truccata molto, solo un velo di mascara e del gloss trasparente sulle labbra. Mi ripetevo che ce l’avrei potuta fare ma non mi sentivo tranquilla.
Presi coraggio, afferrai la mia borsa e raggiunsi Lodovica, che mi aspettava fuori da casa mia.
-Tini finalmente.-, mi sorrise. -Ciao Lodo.-, afferrai la sua mano ed insieme attraversammo i viali per arrivare all’Ice, che si trovava dietro la mia villetta.
Ci sedemmo sul muretto imbrattato di scritte di fronte all’entrata del palazzetto; tra quelle firme c’era anche la mia, in un punto remoto che non avevo intenzione di scoprire.
-Io inizio ad entrare, mi prendo una cioccolata, vieni?-, mi chiese la mia migliore amica . -No Lodo, vengo dopo.-, le sorrisi e lei entrò nella struttura.
Osservai il muretto, poi l’entrata della mia pista. Il cuore mise a martellarmi nel petto, quasi volesse esplodere da quanto dolore provavo. “Sii forte, sii forte”, mi ripetevo sempre. Mi accovacciai di più al muro di mattoni rossi e avvicinai le ginocchia al petto, nascondendo il mio volto tra di esse; irrigidii la mascella per evitare un pianto. 
Dopo qualche secondo una voce mi fece alzare lo sguardo. -Tini!-, sgranai gli occhi alla vista di quelle note iridi celesti e quel sorriso smagliante in volto. -B-Betty?-, riuscii a balbettare cercando di trattenere le immagini che si facevano spazio nella mia mente alla vista di quella donna. -Quanto tempo tesoro! Come sei cresciuta, sempre bellissima!-, sorrise compiaciuta. Ma più parlava e più rivivevo quei dannati flash. -Grazie Betty.-, strinsi i denti e scacciai le immagini, non potevo perdere la buona volontà ora, solo perché avevo rivisto la mia ex allenatrice. -Sai che l’altro giorno stavo proprio pensando a te?-, il suo tono allegro non andava in sintonia con la mia rigidità. -Ah si?-, sorrisi debolmente. -Si! Un ragazzo che fa artistico ed è anche nella squadra di hockey di tuo fratello vuole partecipare ad un concorso per vincere una borsa di studio, ma ha bisogno di una partner.-, mi concentrai sulle sue parole, non pensando ai ricordi sul ghiaccio per un momento, -Mi sono detta, chi meglio della mia Tini potrebbe rivestire quel ruolo?-
-Mi stai proponendo pattinaggio di coppia?-, rimasi un po’ allibita dalla sua vaga proposta. -Si piccola! Tu sei un talento della natura nel pattinaggio artistico, pensa se avessi un compagno che ti facesse volare di qua e di là.-
-Abbiamo già affrontato diverse volte questo argomento, io ho chiuso con questo sport.-
-Ma Tini, pensaci. È un’esperienza nuova e un’ occasione unica.-, cercai  di replicare ma mi poggiò un mano sul braccio e con l’altra frugò nella sua borsa fino a tirare fuori un bigliettino.
-Qua c’è il mio numero. Se cambi idea, fammi uno squillo. Pensaci!-, mi sorrise nuovamente e si gettò all’entrata del palazzetto. Sospirai, chiusi gli occhi e mi misi il foglietto in tasca. 
Scesi dal muretto, divaricai il cancello in metallo grigio ed entrai. 

 

 

Le mie gambe erano bagnate, il contatto con il ghiaccio le rendeva congelate ed in torno a me si fece buio. Rannicchiata in un angolo della pista piangevo disperatamente formando un lago di lacrime. La sua voce rimbombò nella mia testa 
-Tini, Tini, Tini-, più ripeteva il mio nome più il mio corpo veniva tagliato da pezzi di ghiaccio. Mi ferivano ogni parte del corpo e respiravo sempre più affannosamente. 
-Tini, Tini…-, altro ghiaccio, altri tagli, altre lacrime.I ricordi passavano di fronte a me e pattinavano su quella pista, il sangue sgorgava dalle gambe, dalle braccia e il lago di lacrime diventava un lago di sangue.
-Tini, Tini, Tini, Tiiini…-, la sua voce disperata mi chiamava, supplicante, ma io ero ferma mentre altro ghiaccio mi lacerava la pelle. Non riuscivo a muovermi, ero seduta a terra come pietrificata. E poi davanti a me arrivò lui, che dopo un perfetto axel cadde sulla pista senza più muoversi, l’avevo ucciso. Ero io la colpevole di tutto, ero io che non mi ero alzata per aiutarlo. -Noooo-, riuscii ad urlare prima che il ghiaccio spezzò il mio cuore. -Driiin…driiin-, ecco un campanello d’allarme, peccato che ormai io non sentivo più nulla, finalmente con lui, ero beata.

Mi svegliai di soprassalto con il cuore che mi martellava nel petto e il respiro affannoso; mi passai una mano sulla fronte ed era fradicia di sudore. Un vuoto si formò dentro di me ripensando al sogno appena fatto. Sempre lo stesso, da tre anni; mi tormentava. 
Guardai la sveglia, segnava le sette. Scesi dal letto e mi infilai sotto la doccia. Feci scorrere l’acqua fredda sul mio corpo, sussultai quando venne in contatto con essa ma non mi scostai, stetti lì, la mia pelle era ghiacciata, come la mia anima, come il mio cuore. Ero di ghiaccio, in suo ricordo. Uscii dalla doccia e mi vestii. 
Mi diressi subito verso il box senza fare colazione, era tardi e Fran mi stava sicuramente aspettando. Aprii la portiera della macchina di mio fratello quando lo vidi.
-Buongiorno Tini.-, con un tono allegro infilò la chiave e fece partire l’auto. -Ciao Fran.-, sorrisi nel vederlo felice e presi il mio cellulare iniziando a girare sulla home di Facebook. Quasi tutti i miei contatti avevano postato foto della partita della sera prima, mi soffermai su di una in particolare. Ritraeva Jorge, mentre osservava un punto fisso sugli spalti; gli occhi verdi erano accesi, attenti a osservare quel misterioso punto. Del sudore gli ricadeva sui capelli ed era incredibilmente sexy, lo devo ammettere. -Cosa guardi?.-, mi chiese Fran senza distogliere lo sguardo dalla strada. Velocemente feci scorrere l’immagine del messicano. -Le foto della partita di ieri, siete stati bravi.-, erano arrivati primi in classifica e mio fratello ne era molto orgoglioso, come ogni anno non riusciva a batterli nessuno, erano una delle squadre più forti di tutta New York. Lo vidi sorridere compiaciuto. -Bravi? Abbiamo dato spettacolo.-, mosse le mani sul volante e riuscii ad intravedere il suo sguardo fiero.
-Che esagerato.-, scoppiai in una breve risata a cui si unii il suo sorriso. Svoltò nel parcheggio della Millenium e solo ora mi resi conto di essere già arrivati. Devo dire che mi sentivo bene, nonostante il sogno e la notizia di Betty. Chissà chi era il misterioso pattinatore, chissà se mi avrebbe aiutato a rimarginare le mie ferite, chissà se mi avrebbe salvata, ricominciare a pattinare. D’altronde, l’aveva sempre fatto. Mi aveva sempre salvata.
Scesi dalla macchina con lo zaino in spalla e mi diressi verso l’entrata dell’istituto, salutando con un cenno mio fratello. Raggiunsi il mio armadietto trovandomi di fronte alla mora, sorridente come non mai.
-Buongiorno.-, sibilai sbadigliando ed aprendo il mio armadietto, da cui sfilai il libro di biologia. -Buongiorno.-, mi sorrise. Con i libri sottobraccio, ci dirigemmo verso la nostra aula. Mi sedetti di fianco a Debbie Logan, la mia compagna di banco. Era una ragazza timida, non partecipava quasi mai alle feste studentesche, ma spesso la beccavo osservare mio fratello e quel gruppo di coglioni là.  Quando il prof iniziò a spiegare, i miei pensieri erano fissi su ben altro che la biologia. Ricominciare pattinaggio sarebbe stata una follia, ma c’era qualcosa, che mi spingeva a buttarmi, a ritornare sulle quelle piste e magari pattinare in coppia sarebbe stato un buon compromesso. E poi c’era lui, il mio pensiero fisso, il mio papà. Pensarlo mi provocò un nodo allo stomaco e un profondo senso di vuoto. Mi sembrava tutto sbagliato, ma tutto così dannatamente giusto. La mia mente era divisa in due parti, la prima, voleva ascoltare il cuore, e la seconda, era la via della ragione.
Bella merda, no?

 

Io e Lodovica stavamo raggiungendo con in mano i vassoi del pranzo il nostro tavolo in mensa. Avevo lo sguardo fisso a terra e la mia mente era invasa dallo stesso pensiero che mi perseguitava nelle ore di lezione, quando mi scontrai con qualcuno. Alzai lo sguardo e vidi Ashley Linsey, una delle ragazze che frequentavano Blanco e mio fratello, una vera e propria troia. Mi scostai e proseguii sul mio passo, ma la sua voce mi fece fermare. -Stai attenta puttana.-, questa poteva proprio risparmiarsela. Mi girai di scatto e la fissai negli occhi, aveva un sorriso perfido sul volto.  -Scusa? Ma ti sei vista? Qua l’unica troia che vedo sei te.-, il silenzio calò nella mensa, a scuola avevo una buona reputazione grazie a mio fratello e di sicuro non me la sarei fatta rovinare da una cogliona qualunque. -Beh, almeno io non piango come una bambina dell’asilo ogni volta che vedo una pista, forse c’è una ragione per cui lo fai sempre?.-, o che stronza -Forse perché è morto il paparino?.- continuò mentre sul suo volto si faceva spazio un sorriso compiaciuto. -Sei una stronza.-, pronunciai quelle parole e gli occhi mi si riempirono di lacrime, dov’era Francisco quando serviva? Scaraventai il vassoio a terra e corsi via. Senza una meta precisa, mi sedetti accanto all’entrata di un’aula apparentemente vuota.
Mi appoggiai al muro e mi portai le gambe al petto, scoppiando in un ennesimo pianto, per niente liberatorio; in quel momento avrei voluto più che mai la sua presenza al mio fianco. Il cigolio di una porta mi fece voltare, e mi accorsi che la classe non era vuota come credevo. Sulla soglia apparse Jorge che mi osservò confuso. Mi specchiai nei suoi occhi, in quegli smeraldi che mi piaceva tanto osservare.
-Ma che?-

-Cos’è successo?.-, nella sua voce c’era preoccupazione. -Vattene Jorge.-, gridai coprendomi il volto con le mani. Si sedette di fianco a me e mi mise un braccio intorno alle spalle, attirandomi a sè. -Dai, dimmi cosa è successo.-, con voce comprensiva mi sussurrò quelle parole, e riuscii ad appoggiare la testa sulle sua spalla
-Ashley mi ha dato della puttana.-, mentii, era l’ultima cosa che mi interessava in quel momento. -Bimba, puoi mentire a chi vuoi, ma non a me.-
-Non sto mentendo.-
-Ah davvero? Io credo che ci sia solo una persona che farebbe piangere così Martina Stoessel.-, lo osservai e mi accorsi di quanto mi conoscesse quel ragazzo, che mi aveva vista crescere, nei momenti brutti e in quelli belli, lui c’era sempre stato per Fran e per me. Certo, io e lui non avevamo un gran rapporto, dato che io ho sempre odiato il suo comportamento di merda. Ma sembrava diverso. -E chi?.-, chiesi con voce strozzata pur sapendo che mi avrebbe risposto esattamente
-Alejandro, Alejandro Stoessel.-, quel nome mi rimbombò nelle orecchie un paio di volte, e realizzai. Due anni che non sentivo pronunciar quel nome, cazzo che effetto. Scoppiai in un altro forte pianto e mi raggomitolai nel suo forte petto. Profumava di tabacco e colonia. -Non sei sola bimba, non sei sola.-, mi sussurrò quelle parole e in quel momento furono tutto quello che avevo bisogno sentire. Mi lasciò un piccolo bacio tra i riccioli castani e un brivido mi attraversò il corpo. Mi accoccolai a lui ancora di più.
E mi sentii capita, e mi sentii protetta.
 

*Angolo Autrice*
Salve a tutte! Sono tornata con una versione riveduta della mia vecchia ff. Che dite, vi piace? Spero di aver fatto un buon lavoro, anche se non ne sono proprio sicura. Come primo capitolo, sono successe tante cose. Aggiorno quando raggiungo un po' di recensioni.
Chia :3

 

 

 

 

 

 

   
 
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