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Autore: rosso rubino    10/01/2015    0 recensioni
Spesso la vita ci porta a scegliere delle strade. Ci sono molte strade, alcune giuste, altre sbagliate, altre ancora sono sbagliate e ci portano su quelle giuste. Spesso la vita pone ostacoli davanti al nostro cammino e ci disarma rendendoci soli, fragili, distrutti.
Spesso la vita ci pone davanti a muri.
E quei muri sono la nostra unica via.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
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Capitolo 5


 

Un guerriero non può abbassare la testa, altrimenti perde di vista l'orizzonte dei suoi sogni.

(Paulo Coelho)

Sono viva?
Sono morta?
Chi sono?
Dove sono?                                                                                  
 Vedo solo una luce bianca, che splende inesauribile. Ma non sento niente. Non sento le braccia, né le gambe, né nient'altro che mi appartiene.Sento solamente un fischio che mi perfora i timpani. E penso all'unica cosa a cui riesco a pensare: niente. Non riesco a capire niente.
Perché non sono morta? Dovrei esserlo.
Preferisco morire piuttosto che rimanere in uno stato di completa trance per poi risvegliarmi senza un braccio. Non posso farcela. 
Un suono sonoro e prolungato mi riporta alla realtà. Sotto i palmi delle mani avverto la terra fredda, ruvida, sfaldabile. La sento come se facesse parte di me. Ci giocherello, sollevo nuvole di polvere. Terra. Questa è terra vera!
Scruto ogni singola parte del mio corpo, stando bene attenta e preparandomi all'inevitabile. Tuttavia osservo ogni arto e trovo il tutto così perfetto. Mi giro i pollici e mi accorgo di tutti i migliaia di organismi che ci vogliono per compiere questo semplice movimento. Di quanta energia deve essere impiegata per compiere questo semplice movimento. Siamo delle macchine perfette. Ogni organo serve a qualcosa. Siamo un insieme di vite che ne creano una sola.
Sono ancora tutta intera.
Ma un dubbio mi assilla. Nessuna bomba è esplosa. L'apparecchio che ho nel braccio non mi ha fatto saltare in aria. Cerco di mettermi in piedi. Ma non ci riesco. Lancio un'imprecazione a dir poco benevola. Mi sono slogata la caviglia. Sono inciampata, forse per fortuna, forse per sfortuna, e sono caduta. E ho anche sbattuto a testa e ho perso conoscenza. Non ho superato il limite per un soffio.
Sono viva.
Infine rivolgo lo sguardo verso il localizzatore. E lo vedo lì che produce ancora quel bip insopportabile. Quindi sono di nuovo al punto di partenza. E devo scegliere ancora. Ma io non voglio scegliere. E una soluzione mi travolge. Assieme ad un'indescrivibile sensazione di sollievo. E' così ovvio! Come ho fatto a non pensarci prima?
Cerco la lametta fra l'orlo e la estraggo.
La carne umana sì.
Prendo il metallo e lo sfrego contro una pietra per affilarlo. In seguito raccolgo un ramoscello secco da per terra, strappo una manica della tunica e la avvolgo sul legnetto. Per poi ficcarmi il tutto in bocca fra la mandibola superiore e quella inferiore. Stringo con i denti. Distendo il braccio sinistro e posiziono la lametta sulla pelle. Al contatto sento freddo, tanto freddo. E mi pervade un terrore reverenziale.   
Spesso dobbiamo fare qualche sacrificio per ciò che vogliamo, mi risuona in mente come un ricordo lontano, ma così dolce e familiare nella mia mente e ormai perso per sempre. Era una frase di Will.
Pensa a lui, mi ripeto. Pensa a come sarebbe orgoglioso di te. Chiudo gli occhi e ritrovo il suo viso con un'espressione soddisfatta. Mentre annuisce con un'impercettibile movimento del capo.
Forza, ce la puoi fare.
Immagino un Will che mi incoraggia. La mia mente lo posiziona davanti a me, chinato, che mi guarda negli occhi. E non voglio deluderlo. Quindi, armata di convinzione, di un pizzico di paura e di una lametta tagliente inizio a sprofondare il bisturi nella carne. Subito una sensazione di nausea e di dolore mi pervade. Il ferro freddo a contatto con la pelle mi provoca continui brividi. E tanto dolore. Quasi come se tante schegge di ghiaccio premessero contro le vene. Sento il sangue che esce in quantità spaventosa dalla ferita. Non indugio oltre. Ormai è fatta. Man mano che il metallo lacera la carne, stringo i denti. Quasi urlo. Ad un certo punto riesco ad arrivare all'odioso affare che emana una luce innaturale e ad estrarlo.
E' tutta questione di secondi.
Con la stoffa che ho in bocca stringo il più possibile la zona del taglio in modo che fuoriesca meno sangue possibile. In modo da ritardare l'appuntamento con la morte. Strappando l'altra manica recupero il rametto, lo lego alla caviglia per mantenerla rigida e per permettermi di stare in piedi. Mi alzo, prendo il localizzatore con il braccio sano e lo lancio davanti a me. E corro.
Troppo tardi. La bomba esplode e io mi ritrovo a fare un volo di cinque metri. Cado a terra con un tonfo e mi sento debole, terribilmente debole. Indifesa. Ma non posso permettermi il lusso di pensare al dolore e alla stanchezza. Le opzioni sono solo due: corri o muori. E' la mia unica possibilità per scappare. Così mi rialzo in piedi e corro trascinando la gamba sinistra e dandomi lo slancio con il braccio. Non so quanto tempo passa. Né quanto percorro. Ma ad un certo punto non riesco proprio a proseguire. Ho il fiatone, i muscoli a pezzi, il braccio intriso di sangue. La testa mi gira e si fa pesante e non riesco a pensare ad altro che al dolore.
Mi rifugio fra le radici di un albero non particolarmente alto o possente e mi ci rannicchio dentro. Provo con estrema gioia un senso di ospitalità e di calore. Nonostante l'albero sia morto da secoli, a causa della contaminazione probabilmente, ha qualcosa di vivo dentro. E' come se riuscisse a confortarmi, con la sua sola presenza. E, nonostante il clima gelido, l'aria tagliente e il rifugio inspiegabilmente scomodo, mi sento a casa mia. Una casa che non ho mai avuto. Non voglio addormentarmi. Se lo faccio so che poi non mi risveglierò più. Non posso resistere ancora a lungo. Non ho cibo. Neanche acqua. Solo un'emorragia al braccio che non riesco a bloccare e una caviglia mal funzionante. Senza parlare delle varie ferite e dei vari lividi che ho riportato dopo l'esplosione. E senza contare la testa pesante.
Eppure mi sento così inspiegabilmente felice. Finalmente posso essere libera da ogni barriera, da ogni limite. Finalmente posso scegliere. Finalmente posso vivere. Senza avere paura della morte. Non importa dove andrò né come. Voglio solo godermi la poca felicità che mi rimane da provare. Perché ho perso tutto ciò che amavo.
Forse non ti risveglierai più. Ma se domani riaprirai gli occhi, allora dovrai combattere, prometto a me stessa, Devi continuare a lottare.
   
 
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