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Autore: BlackBubble    10/01/2015    0 recensioni
Quella mattina mi sentivo a pezzi per la discussione della notte precedente con Gaspar e mentre uscivo di casa ero certa che quella sarebbe stata una giornata come tutte le altre, forse solo un po’ più stancante. Quanto mi sbagliavo. Ogni volta che ripensavo a quella giornata non potevo fare a meno di sorridere. Quante cose sarebbero cambiate. E tutto grazie a lui.
*** Tratto dalla Storia ***
“Io non ho certo bisogno di presentazioni.” Sentenziò dopo che tutti gli sguardi si furono spostati su di lui. Nessuno parlava. Come si poteva anche solo replicare a tanta arroganza?
“Oh e va bene! Sono Harry, Harry Styles.” Si presentò. Come se non bastasse si esibì in un seppur elegante inchino certamente eccessivo.
Genere: Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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                                                                                               Una Poltrona Per Due

                                                                                        *** Tratto dal precedente capitolo ***

“Pensa uno come lui a letto! ‘Signorina lungo o corto?’” Scoppiammo in una risata eccessiva sbucando di fianco all’edifici. Proprio mentre il personale della sicurezza ci apriva la porta notammo alla nostra destra una folla di persone addossata all’ingresso principale. O meglio una folla di ragazzine in tumulto. Urlavano come se da questo ne dipendesse della loro vita. Qualcuna si sbracciava mentre altre piangevano. Il tutto creava un teatrino preoccupante e molto bizzarro. Quello si che era strano.
                       
                                                                                                           ***

“Machecazzosuccede?!” Commentò Lia tirandomi il più velocemente possibile verso Nero.

Dopo esserci chiuse la porta alle spalle ci voltammo di nuovo a guardare la banda inferocita di ragazze urlanti. Ci avvicinammo silenziose al bancone dove trovammo il nuovo biondino di nome Sam, a detta del suo cartellino. Lia subito analizzò la new entry da testa a piedi prima ordinare la nostra colazione. Ma io non potevo far a meno di sbirciare ogni tanto verso la folla. Quelle erano tutte matte! Si agitavano frenetiche parlando al telefono, mentre altre si agitavano convulsamente.

“Sono la davanti da stamattina alle 6.” Ci disse il biondino porgendoci il vassoio e sorridendo come un ebete a Lia.

“E perché?” Chiesi concentrando la mia attenzione sul ragazzo.

“Non ne ho idea. Ma non fanno che urlare da quando sono li.” Si fermò concentrato su qualcosa da dire il quale sembrava costargli anche una certa fatica: “Comunque sono Sam.” Riuscì a formulare  infine. Dal canto suo Lia continuava a non parlare, limitandosi a fissarlo sognante.

“E lei è Amelia. Grazie.” Dissi tirando la mia amica dal momento che sembrava non volersi svegliare da quello stato di demenza. Ci sedemmo proprio nella vetrina in modo da poter tenere d’occhio l’ingresso. Ma non troppo lontane per non vedere il bancone.

“E’ preoccupante.” Dissi poi sovrappensiero mangiando il mio muffin.

“Solo perché era un po’ emozionato. Certo poteva dire qualcosa di più ma non lo definirai un ragazzo preoccupante!” Sbottò Lia al mio commento.

“Ma cosa hai capito! Parlavo delle urlatrici là.” Facendo segno con il capo. 

Sembravano delle formiche confuse dopo una dose di insetticida. Alcune adesso si erano sedute ai bordi del marciapiede. Come se stessero aspettando qualcosa.

“E ti dirò John che la cosa non mi piace per niente…” Mi disse avvicinandosi a me con gli occhi stretti a fessura. 

“Che c’è? Ieri ho visto un vecchio film in bianco e nero ed uno diceva la stessa cosa e desideravo così tanto dirlo anche io!” Mi spiegò notando probabilmente la mia espressione sconcertata. Era completamente svalvolata.

“Comunque il biondino non è male davvero.” 

“Vero? Si chiama Sam…” Continuò lei lanciando un’occhiata al bancone.

“Asciugati quella bavetta per favore! Comunque hai finito?” Le dissi controllando l’orologio. 

Erano le nove meno dieci ed ancora nessun segno di vita dal pianeta Gaspar.

“Lascia stare. Peggio per lui!” Mi disse Lia prendendomi la mano fra le sue come se avesse intercettanti i miei pensieri. “Forza a lavoro!” Sentenziò tirandosi sulla sedia senza lasciare la mia mano. 

Mi alzai e le sorrisi debolmente. Stavo così male al pensiero che non mi avesse nemmeno scritto un misero messaggio. Ma aveva ragione Lia. Peggio per lui! Che andasse a quel paese.

“Hai ragione il lavoro ci aspetta!” Dissi prendendola a braccetto.

“Ciaooo Saaam!” Urlò Lia facendo l’occhiolino al biondino. 

Uscite dal Caffè le urla delle ragazzine ci colpirono in pieno.

“Ma non smettono mai di urlare queste?” Esclamò Lia stizzita mentre ci avvicinavamo a quell’orda.

“Forse Yoko Ono sta facendo un nuovo disco e cercano delle coriste!” Ipotizzai quasi seria.

“Adesso tiri fuori pure lei! Non la puoi proprio vedere!” Mi disse dandomi una leggera spallata. Tutti sapevano quanto odiassi ‘colei che aveva fatto sciogliere la band più grande di tutti i tempi’.

“Ci puoi giurare! Lei è la causa di tutto!” 

“Brava mi piaci aggressiva! Cerca di sfruttare questa rabbia per farci anche entrare magari…” Mi disse scherzando dato che ormai le ragazzine ci stavano proprio di fronte e non avevano nessuna intenzione di spostarsi da li nonostante tutti gli sforzi della security.

Non me lo feci ripetere due volte: “ASCOLTATEMI BENE SIGNORINELLE! LA MIA AMICA ED IO DOVREMMO ENTRARE! LA MIA GIORNATA E’ INIZIATA NEL PEGGIORE DEI MODI E VOI NON VOLETE VEDERE QUANTO POSSO DIVENTARE CATTIVA VERO?” 

Come per magia le urlatrici si ammutolirono di botto. 

“BENE VEDO CHE CI CAPIAMO! ADESSO TOGLIETEVI DI MEZZO E FATECI PASSARE!” All’istante il gruppo si divise lasciando il giusto spazio. Con passo spedito mi diressi alla porta d’ingresso e dato che non sentii il ticchettio dei tacchi di Lia mi voltai per trovarla ancora ferma all’inizio della folla così la spronai: “Lia ti muovi?!” 

Quella di tutta risposta corse nella mia direzione non prima di dire alla folla ridendo: “Saggia decisione non farla incazzare davvero!” 

Così entrammo finalmente nell’ampio atrio della B-Sound Company. Il marmo nero italiano ricopriva l’intero edificio, il che faceva ancor più risaltare tutti i dischi d’oro ed i vari premi internazionali esposti alle pareti. In entrambi i lati le receptionist erano indaffarate al computer o al telefono ma nonostante tutto era ancora udibile la leggera musica di sottofondo. Oggi l’inconfondibile voce di Frank Sinatra risuonava per tutto l’edificio dando un tocco di eleganza in più. 

“Uhm il Presidente è di buon umore!” Affermò Lia riprendendomi sotto braccio.

“Come?” Quella frase mi distrasse dall’ammirare tutti quei premi. Entrare in quell’atrio mi faceva sempre lo stesso effetto di meraviglia.

“Il Presidente mette sempre Sinatra quando è di buon umore.” Ripeté sorridendo divertita mentre entravamo nell’ascensore stranamente vuoto. 

“Meglio per noi, no?” Sospirai premendo il tasto -1 e 12.

“Non voglio vederti col muso! Facciamo così stasera dopo che stacchiamo usciamo e magari facciamo un salto al Dancefloor! Che ne dici?” Propose con quell’allegria contagiosa ed irresistibile.

“Lia anche se volessi non avrei nulla da mettermi!” Cercai di protestare debolmente.

“Oh sciocchezze vieni da me e ti presto qualcosa altrimenti alla pausa pranzo andremo a comprar qualcosa per stasera!” Detto questo non mi diede nemmeno il tempo di poter replicare che si era già fiondata fuori dall’ascensore per dirigersi in qualche studio di registrazione per mettersi all’opera.

“Ai comandi capitano!” Le urlai dietro ricevendo due pollici in sù prima che le porte si chiudessero.

La risalita ai piani alti proseguì senza interruzioni. Strano. Di solito al piano terra in molti erano costretti ad aspettare l’altro ascensore data la moltitudine di persone stipate in uno spazio seppur non così piccolo.

All’apertura delle porte vidi sfrecciare gente qua e la da ufficio a ufficio. Il che non era poi così bizzarro ma il chiacchiericcio di sottofondo e l’agitazione che si respirava avevano un che di curioso. Mi diressi al mio ufficio. L’ultima porta alla fine del corridoio. Non ebbi nemmeno il tempo di abbassare la maniglia che mi sentii chiamare.

“Lilian! Lilian!” Mi volta per vedere la minuta figura della mia assistente che correva tutta agitata.

“Cleo, buongiorno. Come mai così attiva già da quest’ora?” Molte volte era in ritardo ma la cosa non mi infastidiva. Era una ragazza dolce e molto timida che si nascondeva spesso dietro i suoi occhiali, ma certo i suoi ritardi non intaccavano la sua professionalità. Aveva un viso ovale e con capelli chiari sempre stretti in una crocchia. Quel giorno indossava l’ennesimo cardican color pastello. Sarebbe stata una così bella ragazza se solo si fosse presa un po’ più cura della sua immagine.

“No… cioè… sì…” Spiccicò cercando di riprendere fiato.

“Cloe calmati. Vieni entriamo nel mio ufficio.” 

Adoravo il mio ufficio. Era spazioso e di tonalità neutra con un’ampia vetrata che dava proprio sul Tamigi ed il Tower Bridge. In una parete  era esposta la mia collezione di dischi. L’intera superficie era dedicata alla musica di ogni genere ed ogni sua forma, dalle cassette ai cd o vinili. Quest’ultimi avevano un posto molto speciale nel mio cuore. Quasi tutti erano stati in precedenza di mio nonno il quale per permettermi di ascoltarli come un tempo mi fece dono prima della sua dipartita di uno splendido grammofono, anch'esso appartenuto a lui. Ed ora quello stesso grammofono si trovava nella restante parete del suo ufficio splendido nei suoi decori in oro ed avorio.

Lasciai il trench e la borsa nell’appendiabiti e mi diressi alla mia scrivania di mogano. Mi accomodai alla mia poltrona controllando i fogli che avevo lasciato prima del weekend.

Cleo mi seguì silenziosa senza accomodarsi in una delle poltrone davanti alla scrivania.

“Dicevi?” La incoraggiai dato che non sembrava volesse quasi disturbarmi.

“Oh si giusto. Oggi non ero in ritardo. Anzi sono venuta un’ora in anticipo dopo che Laura l’assistente del signor Flitz mi ha chiamata stamattina dicendomi di correre in ufficio. Infatti dato che tardavi ad arrivare pensavo non saresti venuta. Per quello ho corso quando ti ho vista.” Mi spiegò aggiustandosi gli occhiali ogni volta che un suo movimento li faceva scivolare un po’ più in giù. 

“Sono contenta che tu sia venuta in anticipo anche se non era necessario. Ma non riesco comunque a capire il perché.” Conclusi osservandola anche un po’ incuriosita. In fondo non era da tutti i giorni vedere Cleo agitata.

“Ecco quando Laura mi ha chiamata questa mattina anche io ne sono rimasta alquanto perplessa, non abbiamo mai scambiato più di un saluto da quando sono arrivata.” Era davvero divertente vederla sbigottita e sempre più agitata. “Così quando sono arrivata sono andata a parlarle dato che non ha voluto dirmi nulla per telefono. Non ha notato il fermento generale?” Mi domandò ad un tratto. 

Quindi non era agitazione quella che avevo notato prima arrivando al piano o quella che Cleo mi trasmetteva mentre parlava. Era eccitazione. Ma per che cosa?

“In effetti… Va avanti.” La esortai ormai la sua eccitazione aveva completamente attratto la mia  innata curiosità.

“Ho scoperto o meglio Laura mi ha detto-”

<> Il telefono dell’ufficio la interruppe lasciandola a bocca ancora aperta.

“Ti chiedo scusa. Ci vorrà solo un attimo.” Mi scusai prendendo la chiamata: “Pronto qui Bish-”

“Signorina Bishop, il Presidente richiede la sua presenza immediatamente.” Mi ordinò una voce un po’ troppo acuta che mi chiuse prontamente il telefono in faccia lasciandomi sorpresa. Appoggiai la cornetta senza proferire parola. A quanto pare la giornata non era iniziata male solo per me.

“Cloe devi scusarmi ma il Presidente o meglio la segretaria del Presidente mi ha ordinato di presentarmi immediatamente nel suo ufficio.” Così mi alzai avviandomi alla porta. 

“Ma-” La povera Cleo non riuscì a concludere che la interruppi subito: “Cleo ti prometto che appena avrò finito continueremo il discorso!” E chiusi la porta dirigendomi all’ascensore. 

Dovevo ammettere che ora nel piano potevo palpare quell’elettricità che prima avevo scambiato per agitazione. Il piccolo bar era pieno di colleghi che vociferavano tutti insieme. La mia curiosità avrebbe dovuto aspettare però. Quando il Re chiama i sudditi corrono. Ancora una volta notai che l’ascensore era vuoto. Maledetta curiosità. Premetti il tasto 13 prima che potessi dirigermi verso l’ufficio e interrogare Cleo. L’attesa durò pochissimo. 

Quando si aprirono le porte mi ritrovai nella grande anticamera. L’aria fredda mi colpì come ogni volta. L’intero ambiente era molto simile all’atrio eccezion fatta per i premi appesi alle pareti. Qui regnava la sobrietà. Sinatra cantava ancora con voce vellutata un grande classico ‘My Way’. In fondo alla sala trovai la segretaria intenta a digitare frenetica sul computer. Ricordava molto la signorina Rottermaier di Heidi eccetto per i suoi appena trent’anni. Viso appuntito, labbra strette in una fessura, sguardo corrucciato e capelli neri raccolti in un chignon basso. Mi notò appena, il tempo di interrompere la tortura alla povera tastiera, per sollevare la cornetta e comunica con voce ancora più acuta: “La Signorina Bishop è arrivata. Bene.” Chiuse la chiamata educatamente. Un miracolo. Mi squadrò e sistemandosi gli occhiali a punta mi comunicò che potevo accomodarmi.

Mi avvicinai alla grande porta  di legno. Abbassai la maniglia e spinsi per entrare. 

A differenza dell’anticamera quell’ufficio aveva una temperatura più calda, piacevole, nonostante la notevole ampiezza dell’ambiente. Niente premi come nell’anticamera ma il nero la faceva da padrone. Marmo nero. Libreria nera. Scrivania nera. Poltrone nere. Tutto nero. Per fortuna le ampie vetrate conferivano una certa luminosità. La vista da quell’ultimo piano era mozzafiato. Essendo uno degli edifici più alti in quella zona si garantiva una viabilità netta su tutta quella fetta di Londra. Sembrava di osservarla da una palla di cristallo. Era alla tua portata pronta per essere afferrata e vissuta. Purtroppo l’audio in quella stanza era stato disattivato e non potei sentire Sinatra che terminava la sua canzone con forza e delicatezza insieme. 

Notai subito l’aggiunta di tre poltrone alle solite due. Anch’esse nere e precise alle altre. Aveva forse una scorta? Mi accorsi oltretutto che tutte le poltrone erano occupate ma non potei notare da chi poiché mi davano le spalle. Atteggiamento che trovai molto inappropriato dato il mio invito a partecipare in considerazione del fatto che non era nemmeno presente una sesta sedia per me. Meglio così. Si trattava di una cosa breve. 

Il Presidente invece troneggiava i presenti stando in piedi di fianco alla scrivania con le braccia dietro la schiena. L’abito di alta sartoria blu lo rendeva un uomo di altri tempi. I capelli neri accuratamente tagliati e pettinati di donavano un tocco di fierezza e le rughe intorno agli occhi annunciavano i suoi cinquant’anni. Ma la mascella libera dalla barba e lo scintillio nei suoi occhi verde scuro lo faceva apparire come un giovane di appena vent’anni. Aveva accennato un mezzo sorriso al mio arrivo al quale io non aveva contraccambiato.

“Presidente mi ha fatto cambiare.” Annunciai formale avanzando senza però superare le poltrone degli ospiti. Se tanto dovevo andare subito via perché disturbarmi ad osservare dei maleducati.

“Si Lilian per favore avvicinati ed accomodati.” Disse il Presidente con voce pacata e misurata.

“Presidente la ringrazio ma sto bene in piedi ed oltretutto non ci sono poltrone sufficenti.” Replicai mantenendo il suo stesso tono cordiale ma calcolato. Poteva sembrare che la poltrona mancante fosse una banale svista. Ma mai le cose erano banali e nessun errore era mai concesso se era coinvolto quest’uomo. 

“Prego, le cedo la mia poltrona.” Disse una voce a me sconosciuta ma con un timbro basso e seducente. 

Così dicendo la figura si alzò e potei dare un volto a quella voce così maschile. Era un ragazzo alto, dalla corporatura asciutta ma tonica. Avrà avuto all’incirca la mia età. La massa informe di capelli castani incorniciava un viso dai lineamenti dritti. La mascella pronunciata gli donava un’aria quasi aristocratica. Fu subito attratta nel cercare un contato visivo e quando i nostri sguardi si incrociarono dalle labbra carnose spuntò un sorriso sghembo che rivelò una piccola fossetta conferendogli un’aria tenera e gentile. Ma quello che mi trafisse e mi fece trattenere il fiato solo per un secondo furono gli occhi. Occhi dal taglio quasi orientale. Di un verde intenso e liquido. Mai visti di più belli. Ma parvero notare la mia reazione tanto che qualcosa nel profondo cambiò quasi impercettibilmente. Il sopracciglio gli si sollevò appena. Il sorriso sghembo divenne malizioso e l’aria gentile fu sostituita dalla consapevolezza di se stesso. Sapeva bene di essere un ragazzo attraente e gli piaceva. In quell’esatto istante ciò che mi aveva fatto trattenere il fiato per un secondo scoppiò, come un palloncino troppo gonfio, davanti ai miei occhi tramutando la mia attrazione in disgusto. Non sopportavo chi faceva il piacione ed aveva l’arroganza di vantarsene anche perché questo spesso combaciava con una personalità superficiale devota solo a se stessa. 

Notando la mia immobilità commentò prontamente suscitando la risata sommessa dei presenti: 

“Oppure potrebbe rimanere in piedi ed ammirarmi, se preferisce.” E questo certamente confermava la mia teoria. 

“Non mi permetterei mai di scomodare un ospite, la ringrazio comunque.” Cercai subito di rimetterlo al suo posto. Io qui ci lavoravo e lui non poteva permettersi tutte quella confidenza inappropriata. 

Lo vidi riaccomodarsi ma notai che non tornò a darmi le spalle. Divaricò le gambe poggiando le braccia ai braccioli della poltrona sistemandosi più comodo ed allontanandosi il tanto di aver una visuale migliore sugli altri e su di me. Non smise di fissarmi nemmeno quando il Presidente riprese la parola.

“Signori vi presento il responsabile degli reparto di produzione audio nonché del settore commerciale della nostra azienda. Lilian ti presento gli One Direction.” Concluse sorridendomi sommessamente. 

A quelle parole le restanti poltrone si voltarono nella mia direzione in un saluto generale e mi resi conto che anche gli altri quattro occupanti delle poltrone non era certo dei ragazzi che potevano passare inosservati. All’incirca dedussi avessero la mia stessa età il che mi sorprese. Come mai dei ragazzi così giovani erano nello studio del Presidente. Come aveva detto che si chiamavano… One cosa? Erano forse un’azienda avversaria? O forse facevano parte di qualche agenzia pubblicitaria d’immagine? Beh l’immagine era buona in effetti.

Il Presidente intuendo la mia confusione continuò prontamente: “I signori qua presenti fanno parte di una delle Boy Band più popolari dell’ultimo decennio.”

“Molto piacere.” Fu tutto quello che riuscì a formulare accennando un sorriso di circostanza. Ecco perché non riuscivo ad associarli a nessun ambiente e quel nome non mi era per niente familiare. Ed il perché di quell’assortimento maniacale così perfetto mi fu subito chiaro. Erano una Boy Band. Musica per le ragazzine. Ragazzine… 

“Ecco il perché di quella folla questa mattina.” Commentai rimettendo i pezzi del puzzle al loro posto.

“Ci sarà stata una fuga di notizie ed è stato inevitabile l’assedio da parte dei nostri fan…” Chi poteva mai aver pronunciato quelle parole se non il re della vanità. “e questo è un altro dei motivi del nostro incontro.” Concluse serio senza però avermi lanciato una lunga occhiata subito dopo.

“Capisco.” Concordò il Presidente dirigendosi verso la vetrata parlando subito dopo: “Lilian i signori qua presenti hanno preso una decisione riguardante la loro casa discografica. Desiderano abbandonarla. Ma prima certamente intendono salvaguardare il loro interesse e di conseguenza è loro intenzione cercare e trovare la giusta etichetta che li soddisfi a pieno.” A queste ultime parole il riccio mi lanciò un’occhiata di fuoco. Ridicolo. “In tale senso quest’oggi abbiamo provveduto ad incontrarci personalmente per visionare se i nostri interessi convergono sugli stessi punti.” Concluse voltandosi e guardandomi dritta negli occhi.

“Adesso ti chiederai il perché sia stata richiesta la tua presenza.” Il mio sesto senso mi diceva che qualsiasi fosse stato il motivo non mi sarebbe certamente piaciuto. “Ebbene gradirei che tu mostrassi ai signori la nostra azienda.” Concluse tornando a mostrare quel suo sorriso pacato ma enigmatico.

Al principio credetti di aver capito male. Ma non era così. Mi aveva appena chiesto di fare da guida turistica ad una Boy Band. Proprio a me, che nemmeno sapevo dove fosse l’ufficio delle pubbliche relazioni. Certo mi occupavo di pubblicità. Però di dischi. Non vendevo aziende. Altrimenti avrei fatto l’agente immobiliare. O il giudice alle aste. Ma quel senso di confusione fu sostituito all’istante da una sorta di lieve rabbia. Come poteva chiedere a me di fare da garzone a questi cinque? Non avevo forse dimostrato che nonostante la mia età ero in grado di ricoprire delle cariche importanti all’interno della stessa azienda. Altrimenti perché affidarmi tutta quella responsabilità. Prima ancora di finire l’università ero entrata a lavorare per l’etichetta partendo dal basso. Avevo fatto addirittura la receptionist per un periodo. Era forse una retrocessione dei miei stessi incarichi. Un modo poco educato di dire che non ero in grado di fare bene il mio lavoro. O era un modo per umiliarmi per qualche scelta che ai piani alti non era andata a genio. Cercai di ricordare anche un solo atto che avrebbe potuto far infuriare il Presidente. Non mi venne in mente niente. Poi come un capannello dall’allarme la mia mente si illuminò.

Quel turbinio di emozioni mi attraversò in meno di un secondo prima di rispondere: “Come desidera, signor Presidente.” Sapevo a che gioco stava giocando.

“Bene! Quando si comincia?” Esclamò il riccio saltando e battendo le mani. 

“Se lo desiderate anche subito.” Risposi accondiscendente.

“Allora andiamo!” Sentenziò borioso come se stesse partendo per qualche sorta di avventura.

“Signori è stato un piacere. Spero di rivedervi ancora.” Così dicendo il Presidente strinse le mani ai cinque prima di accomodarsi sulla poltrona, segno che eravamo liberi di andare.

Lasciai che i cinque si allontanassero per sussurrare appena: “So cosa stai cercando di fare.”

Il Presidente sollevò lo sguardo da un documento che aveva iniziato ad analizzare: “Lilian non capisco a cosa tu ti possa riferire.” Concluse osservandomi serio e per un momento credetti davvero che non sapesse.

“Sappi che hai scelto la persona sbagliata.” Fu tutto quello che ebbi da dire. Cercai di trasmettere il più possibile quello che provavo e mentre mi allontanavo avrei giurato di sentire un ‘io non credo’. 

Ma ormai avevo raggiunto la porta e voltarmi non era più possibile. 





Spazio all'autore: Buonasera!!! Ho cercato di scrivere il più velocemente possibile ed ecco qua il secondo capitolo!!! Giusto per chiarire il tempo in cui si svolge la storia, la band ha pubblicato Four e ha già terminato ill Tour. Quindi si tratta di una sorta di futuro molto vicino. In più prima che possiate dire "Ma come è possibile che esista ancora qualcuno che non li conosce???"  e lo so che lo state pensando, devo ammettere che la qui presente fino a pochissimo tempo fa non aveva la minima idea di chi fossero... Lo confesso... Detto questo spero mi perdonerete e fatemi sapere che ne pensate di questo capitolo! Baci :*
   
 
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