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Autore: La Nuit du Chasseur    13/01/2015    5 recensioni
"... Dici che potremmo concederci il lusso di sentirci, e di tanto in tanto di vederci anche? Senza promesse, senza dare un nome a questa cosa, solamente non perdersi di vista, non dimenticarci l’uno dell’altra. Dici che possiamo?”.
“Dico che possiamo, bambina” le disse sulla bocca.
Genere: Erotico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Shannon Leto, Tomo Miličević
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Epilogo

Un anno dopo – Settembre 
 
          “Ciao, si, sono io”.
Miriam sbuffò cercando di togliersi dal viso una ciocca di capelli ribelle. “Sono appena arrivata. Si, si, è andato tutto bene. Ti chiamo più tardi, cerca di fare la brava!”. Sorrise e chiuse la conversazione, ripensando a quanto la sua amica potesse essere apprensiva nei suoi confronti.

Non appena mise via il cellulare, si concesse qualche minuto per metabolizzare di aver davvero iniziato quel viaggio. Si guardò attorno e chiuse gli occhi giusto un attimo, per sentire esplodere il suo stomaco, ma quello che si aspettava non avvenne: era serena, tranquilla, non sentiva angoscia o ansia all’orizzonte. Quando riaprì gli occhi sorrise, più a se stessa che al mondo: forse era guarita davvero.
Iniziò a camminare verso l’area taxi, dove un uomo gentile le prese il trolley con cui viaggiava e la fece salire sull’automobile, chiedendole subito dopo l’indirizzo a cui voleva andare.
Si rilassò non appena l’uomo partì in direzione centro città. Davanti ai suoi occhi scorrevano strade, case, ristoranti e vita. Tutto quello che aveva osservato con occhi famelici solo due anni prima, ora era davanti a lei, identico e cambiato al tempo stesso.
L’anno che aveva appena passato era stato difficile, ma intenso e alla fine anche bello. Quando aveva chiuso la porta in faccia a Jared, in faccia alla felicità, si era fatta una promessa: arrivare al traguardo. Si era chiesta a lungo, per giorni, quale fosse quel fantomatico traguardo, e l’unica risposta che era riuscita a darsi era che non lo sapeva, non lo aveva mai saputo. Ma in nome di quella meta aveva sacrificato tutto, ogni minima cosa bella che la vita le aveva offerto: i suoi amici, il suo amore, il suo sorriso, ed ora aveva il dovere morale, verso se stessa soprattutto, di arrivarci.
Si era rimboccata le maniche: aveva lasciato il suo lavoro e aveva deciso di non abbandonare la California. I primi mesi aveva lavorato in un diner, dove la paga era decente e la vita scorreva serena: nessuna responsabilità gravava sulla sua mente, se non quella di servire cappuccini e piatti scaldati al microonde, il che le andava benissimo, perché le consentiva di riprendersi, poter vivere lì e cercare la sua strada.
Lì aveva conosciuto Katreen. Avevano la stessa età, due vite diverse ed esperienze distanti, ma si erano trovate simpatiche ed entrambe avevano bisogno di dividere l’affitto, così in pochissimo tempo erano andate a vivere insieme e avevano costruito un’amicizia solida e vera.
Miriam pensò all’amica, che a lungo aveva insistito per accompagnarla in quel viaggio. Ripensò a lei e a quanto fosse stata provvidenziale in quell’ultimo anno. L’aveva aiutata a tirarsi su, ad uscire dalla tristezza, l’aveva presentata ai suoi amici e l’aveva coinvolta in viaggi e serate divertenti. Era stata per lei quello che lei aveva sempre cercato: un’amica sincera, un po’ stronza, ma infinitamente dolce. La sua indipendenza. 

Katreen aveva accolto le sue confidenze in moltissime notti insonni, e Miriam piano piano le aveva raccontato di Kiki, dei ragazzi, di quell’anno appena trascorso che le aveva cambiato la vita e l’aveva ridotta a quello che ora la ragazza aveva davanti: un fantasma incazzato con se stesso per i propri, immensi, errori. E le aveva raccontato di Jared.
A quel nome si toccò istintivamente il collo: aveva rimesso il suo ciondolo, lo portava giorno e notte da un anno ormai. Katreen sosteneva che fosse una punizione che si stava auto infliggendo, ma lei sapeva benissimo che era la spinta che la costringeva a non perdere di vista l’obiettivo, come se quel piccolo venti che aveva con sé, la aiutasse a lottare, a camminare nonostante tutto. Le ricordava ciò che aveva perso pur di essere quello che voleva, le ricordava che non doveva mollare, o il dolore non avrebbe avuto più uno scopo.
Jared le era mancato. Le era mancato tutti i minuti, tutti i giorni, come l’aria, come l’acqua, come qualcosa che sai benissimo ti farebbe felice, ma sai anche che sarebbe dannosa. O lo saresti tu per lei.
Era stato con lei per tutto il tempo, in quell’anno. L’aveva punita nelle notti in cui era stato più difficile vivere, e le aveva sorriso in quei momenti in cui sentiva di essere forte, in cui sentiva che ce la stava facendo. Ed era stato terapeutico non perderlo, non dimenticarlo: lei lo amava, lo sapeva dal giorno in cui sul ballatoio della sua ex casa lo aveva lasciato andare via. Quel giorno il suo cuore si era frantumato in milioni di pezzi, quando lui le aveva detto, ancora, possiamo farlo, lei e tutto ciò che rappresentava era morto sotto il peso di quella che sapeva essere la verità. Non era tornata indietro, perché sapeva che non avrebbe potuto dargli niente di ciò che lui meritava, si era fatta bastare l’idea che lui la amasse davvero, la dolcezza del suo sguardo mentre le diceva ti rivoglio.
Miriam ora era serena, ma sapeva benissimo che non avrebbe mai smesso di amarlo. In quell’anno aveva seguito i gossip: si vociferava che lui frequentasse una ragazza del mondo della moda, con la quale era stato avvistato parecchie volte. Aveva portato avanti un tour mondiale con i Mars, aveva fatto bei viaggi ed era rimasto bellissimo.
Non era gelosa, sapeva di non poterlo essere, ma quando lo vedeva uscire dagli hotel, con la ragazzina al seguito, o sbirciava sue fotografie in giro per il mondo a fare il cretino con le donne che gli cadevano ai piedi, beh, provava un senso di nausea allo stomaco. Non per il suo comportamento, ma perché lei aveva permesso tutto ciò: se lei fosse rimasta con lui, o fosse tornata da lui, ora, era certa, Jared sarebbe stato un uomo diverso. Tutte le sue insicurezze non esistevano più. 
Dopo qualche tempo che lavorava nel diner, aveva trovato un impiego di tutto rispetto, dove lo stipendio era decisamente migliore e la sua laurea finalmente utilizzata. Non aveva lasciato l’appartamento che divideva con Katreen perché non voleva stare sola, e perché sapeva che l’amica continuava ad avere bisogno di aiuto economico e di compagnia serale. Insieme, tutto sommato, erano una bella squadra.
Aveva lavorato su se stessa come mai aveva fatto nella sua vita, e aveva lasciato che il suo vero io uscisse fuori. Alternando momenti euforici a momenti bui, con l’aiuto di persone che avevano imparato a volerle bene davvero, ne era uscita e aveva curato se stessa. Quando si ritrovava a piangere sulla spalla di qualcuno di loro, pensava sempre a Shannon e Tomo, nonché ad Emma; loro anche le avevano voluto bene, lei li aveva allontanati convinta che fosse solo per amore di Jared che l’avevano accolta. Non si era mai fermata a pensare che forse loro avrebbero davvero voluto che lei facesse parte della famiglia, non si era mai fermata a pensare e basta. Aveva semplicemente accantonato la cosa, e spesso si era ritrovata a giocare con il numero di Shannon, cercando il coraggio di scrivere. Se non l’aveva mai fatto, lo sapeva, era per paura e senso di orgoglio: forse avrebbe dovuto ancora lavorare su quel particolare.
Aveva pensato mille volte di andare alle Hawaii, per salutare Kiki, l’ultima vera cosa che avrebbe dovuto fare, ma ogni volta se lo impediva con una scusa: devo lavorare, non ho ferie, costa troppo, ho il raffreddore. Erano tutte bugie che si diceva per non ammettere la verità, cioè che non voleva andare lì perché aveva paura di soffrire ancora.
Poi, qualche tempo prima, durante una sbornia presa con le sue amiche per festeggiare l’imminente matrimonio di una di loro, Miriam si era fermata improvvisamente e si era detta la verità: lei non voleva andare alle Hawaii, tutto il resto erano scuse stupide. Quando era riuscita a non mentirsi più, aveva davvero iniziato a sentirsi bene, a guarire, e aveva deciso di affrontare quel viaggio. L’aver scelto Settembre, pensò su quel taxi, non era certo stato un caso, anche se continuava a ripeterselo da tempo.
Il taxi si fermò davanti l’hotel, lei pagò la corsa e scese, andando speditamente verso la reception a prendere la sua stanza. Salì al 5 piano, entrò nella sua camera e lasciando la borsa in un angolo, andò direttamente a farsi una doccia.
Mezz’ora dopo, con un vestito di lino addosso e delle infradito basse ai piedi, inforcò i suoi occhiali da sole e prese al volo il suo panama bianco, per immergersi nelle strade di Honolulu.
Riconobbe moltissimi dei posti che aveva scoperto un paio d’anni prima, e si sorprese nel constatare che non aveva dimenticato proprio niente, e che aveva solo una leggera nostalgia.
Tuttavia, lo scoglio maggiore era ancora la spiaggia. Lì non riusciva ancora a mettere piede, e guardandola da lontano decise che l’avrebbe affrontata subito prima di partire.
Passarono i giorni, Miriam girovagò per l'isola e andò a trovare la famiglia di Kiki. Scoprì che il bar dello zio Carlos era stato messo in vendita per sanare i debiti che erano ormai elevatissimi e che la madre di Kiki si arrangiava come poteva. 
Fu felice di vederla, la riconobbe subito e la invitò a prendere un caffè in casa, dove le raccontò molto di come la vita era andata avanti, pur dopo la tragedia. La ringraziò di essere andata a trovarla e le disse che avrebbe sempre avuto degli amici, lì ad Honolulu. Tuttavia Miriam non trovò quel calore che aveva contraddistinto quella famiglia un paio d'anni prima, quando l'aveva conosciuta. Andando via pensò che forse quel viaggio sarebbe stato opportuno farlo prima, ma guardando la casa un'ultima volta capì che lei c'entrava poco: quando muore un figlio, nessuno può realmente fare nulla. 


 
          Jared si mosse piano nel letto, coprendosi il volto colpito direttamente dal sole e affondando poi la mano nei capelli, ora più corti da qualche mese.
Si stirò i muscoli e pigramente si alzò dal letto, dirigendosi verso la grande finestra della sua stanza per ammirare il panorama. Guardò fuori, e vedendo il mare calmo e le palme immobili, Jared si disse di nuovo la sua bugia preferita: sono venuto solo per riposarmi, qualche giorno di vacanza, staccare la spina. Sospirò perché non ci credeva più neanche lui e si diresse sotto la doccia, prima di uscire dall’hotel e andare a sedersi in spiaggia. Come faceva ormai tutti i pomeriggi da quando era lì. 
L’ultimo anno era stato bellissimo: i Mars erano ripartiti in tour nel settembre dell’anno prima. Da quando Emma si era messa in moto di nuovo, Jared aveva sentito il sangue scorrere di nuovo nelle vene e aveva avuto un'unica certezza: i suoi amici non l'avrebbero mai mollato. 
Christine aveva festeggiato il suo primo mese di vita a New York, il suo secondo a Miami e il suo terzo in Alaska; Emma e Shannon erano follemente innamorati, felici e fastidiosamente uniti. La loro sintonia era qualcosa che nessuno avrebbe mai capito, e forse neanche lontanamente sfiorato: la verità era che loro erano davvero stati fatti l’una per l’altro.

Christine era la loro mascotte e tutti facevano a gara per coccolarla e averla fra le braccia. Tutti, tranne i suoi genitori, che invece approfittavano volentieri della Christine manìa, che aveva coinvolto tutti, solamente per ritagliarsi dei momenti tutti loro. Per curare la coppia, dicevano. Per fare dell’ottimo sesso, li prendevano in giro Tomo e Jared.
Il fatto di avere anche Vicki con loro era stato motivo di serenità anche per Tomo. Lei aveva accettato ben volentieri di prendersi un’aspettativa dal lavoro per seguirlo, e insieme avevano ricostruito un rapporto solido e speciale. Avevano lavorato molto sull'essere uniti, sul capirsi anche quando si è arrabbiati, sul parlarsi anche quando si è stanchi. Jared li aveva osservati e il più delle volte si era ritrovato a pensare a Miriam: loro non avevano mai pensato che potesse esserci dell'altro, loro avevano sempre creduto che l'amore potesse bastare.  
In una delle pause dal tour, Tomo era andato alle Hawaii ed era riuscito a trovare la tomba di Kiki. Portarle un fiore era stato catartico, ed il fatto che dietro di lui, a tenergli la mano, ci fosse Vicki l’aveva convinto che lei era davvero una donna eccezionale. Era stato come chiudere un capitolo e chiedere perdono, mettersi l’anima in pace e rassegnarsi al fatto che quando qualcuno di caro muore, la soluzione non è smettere di vivere la nostra vita, ma quella di viverla ancora più intensamente.

Jared invece aveva passato l’anno in maniera anomala. Gli aveva fatto bene partire, svagarsi, esibirsi e incontrare la sua famiglia, gli Echelon, però nei suoi occhi c’era sempre un velo di tristezza, che non accennava ad andare via.
Passava volentieri il tempo libero con Christine, e aveva trovato in Shayla una magnifica confidente, non sarebbe mai arrivata ai livelli di empatia che condivideva con Emma, però era una ragazza dolce e sveglia, ed erano gli unici che non avevano di che divertirsi durante i momenti liberi, così avevano unito le forze per farsi compagnia e alla fine Jared aveva acquisito molti consigli utili da parte di Shayla, che dal canto suo si era aperta molto con lui. Erano una squadra e insieme riuscivano a capirsi.
In realtà Jared avrebbe avuto di che spassarsela: tutte le sere delle donne bellissime cercavano di infilarsi nella sua stanza, e anche se a volte aveva avuto il desiderio di accettare e fregarsene, non c’era mai stata una scintilla di passione che l’aveva davvero convinto, e quindi aveva lasciato che le cose andassero come dovevano.
Fino alla primavera, quando aveva incontrato una modella a Parigi e si era convinto a passarci qualche ora, forse solo perché la città che aveva intorno era piena di ricordi ed erano tutti intenzionati a distruggerlo.
Lei era stata sublime, lo aveva davvero ripagato con un’ottima moneta, e Jared aveva iniziato a frequentarla, mettendo in chiaro che non voleva una relazione. Ma d’altronde lei era interessata al sesso, e al suo nome, che avrebbe fatto impennare in un attimo la sua popolarità.
Il gossip, dopo i primi rumors durante le notti parigine, era impazzito clamorosamente quando li avevano beccati mentre uscivano dallo stesso albergo di Londra, qualche settimana dopo. Lei era sulla bocca di tutti e il suo agente iniziava a proporle contratti milionari, mentre Jared non aveva fatto nulla per far supporre che non si frequentassero, era rimasto in silenzio nonostante Emma gli suggerisse di rilasciare dichiarazioni di qualsiasi tipo. Lui sperava solo che Miriam vedesse, che lei sapesse.
Avevano continuato a tiritera fino a quando lui non si era stancato e lei era diventata sufficientemente famosa da non servirsi più dello stereotipo modella che frequenta rock star. A quel punto si erano salutati e ognuno per la propria strada. Jared, quel giorno, aveva capito che la sua vita sentimentale avrebbe seguito quell’iter e si era rassegnato.
Più che triste o stanco, era semplicemente in balìa degli eventi e del tempo che passava, e questo se all’inizio era stato frustrante, da un certo momento in poi era diventato semplicemente normale. Musica, film, soddisfazioni lavorative e qualche donna da frequentare per qualche tempo, senza impegni né amore vero, solo per scaldarsi il letto. Andava bene così, anche se a vedere Shannon a volte provava un senso di invidia che lo costringeva ad allontanarsi da tutto e tutti.
Le parole di Miriam ancora lo perseguitavano e spesso si era chiesto se avesse sbagliato qualcosa, se avrebbe dovuto agire in maniera diversa. Non lo sapeva più, e a quel punto neanche gli interessava tanto.

Quel settembre sarebbero stati due anni.

          Jared sbuffò, interrompendo il flusso di pensieri che lo stavano facendo diventare pazzo. Poggiò le braccia dietro la schiena, sentì la sabbia fra le mani e lasciò andare la testa all’indietro, cercando disperatamente di liberare la mente, il cervello, l’anima. Sapeva già che non ci sarebbe riuscito.
Il tramonto stava incantando Honolulu e le poche persone che erano rimaste a godersi lo spettacolo, erano fondamentalmente coppie di innamorati in cerca dell’attimo giusto per immortalare una confessione, un ti amo o molto più semplicemente una fotografia. Lui era solo, e stava meditando di fregarsene e tornare a casa, che a stare lì ci si faceva solamente del male, quando girando la testa vide un’altra persona sola. Era una donna, camminava sul bagnasciuga con delle infradito in mano, attenta a non permettere all’oceano di bagnare i suoi jeans, ripiegati fino a sotto il ginocchio. Aveva una canotta azzurra a coprirle la pelle bianca e un panama che nascondeva i suoi capelli e parte del suo viso. Jared la osservò un attimo, si muoveva sicura ed elegante, emanava un senso di pace mentre giocava con la sabbia e fissava l’oceano.
Guardandola pensò che quello per cui davvero era arrabbiato da un anno era non aver capito perché tutto era andato a puttane, perché un certo giorno avevano smesso di capirsi, di ascoltarsi, di aiutarsi. Erano stati forti, amanti, complici e amici fino a quando la bolla era scoppiata e lì tutto era naufragato. Ma lui ancora non sapeva il motivo. Chissà Miriam dov’era ora, chissà come stava.
Stava per smettere di guardarla, quando una folata di vento strappò via il cappello della donna, portandolo a pochi passi da lui. Non avrebbe fatto niente, se lei non si fosse girata per vedere dove fosse finito il suo panama. Sarebbe rimasto fermo, fregandosene di apparire maleducato nel non riportarle il cappello, se solo lei non avesse voltato il suo corpo.
 
          Miriam lo fissò per un attimo, incredula. Si era voltata per andare a riprendere il panama volato via e si era ritrovata a fissare Jared. Era forse uno scherzo? Non sapeva se muoversi o no, se correre a prendere il suo panama e poi fuggire, o fuggire e basta. Forse voleva che lui facesse la sua mossa, o forse aspettava inconsciamente quel momento da così tanto tempo che non aveva avuto modo di prepararsi una strategia.
Rimase ferma, voltandosi del tutto e accennando un leggero sorriso, poi mosse un paio di passi nella direzione di Jared, lasciando che il suo sguardo fissasse solamente la sabbia. Non che non fosse sicura di dove avrebbe messo i piedi, ma per quanto avesse imparato a dominare se stessa e avesse fatto un grandissimo lavoro sulla sua psiche, ci sarebbero state alcune cose che avrebbero sempre avuto il potere di sconvolgerla. E Jared era senza dubbio una di queste.
Non appena fu vicino al cappello, notò che Jared si era alzato lentamente e l’aveva preso in mano, aspettando che lei si avvicinasse per porgerglielo. Miriam sollevò gli occhi costringendosi ad apparire serena, e prese quel panama come se lui le stesse passando un carbone ardente: “Grazie” sussurrò, guardando altrove.
 
          Era assurdo. Tornare ah Honolulu per piangersi un po’ addosso, nonostante le bugie che aveva raccontato a chiunque, se stesso compreso, e trovare Miriam che vagava sulla spiaggia. Se non era sfortuna questa!
La osservò meglio, incapace di dire qualsiasi cosa: le sue labbra erano leggermente colorate e lei aveva sempre quel suo tic di mordersele piano quando era imbarazzata. Aveva le guance arrossate dal vento e i capelli di un mosso naturale che lui adorava. Erano molto più lunghi di come li ricordava, ed ora erano di un castano chiaro che le donava molto. Li aveva lasciati sciolti, liberi di svolazzare dove volessero, liberi di mettersi come meglio credevano. Nessuna traccia della finta e fastidiosa perfezione dell’ultima volta che l’aveva vista, a Los Angeles, un anno prima.
Era ingrassata di qualche chilo, ma questo non faceva che darle una sensualità diversa, più consapevole, più adulta. Jared la osservò nei suoi particolare e la vide più donna di come fosse mai stata.
“A quanto pare abbiamo avuto la stessa idea” disse piano, guardandola e sperando che lei si girasse. Non sapeva se lei fosse lì per quell’anniversario, ma era abbastanza intelligente da credere che avrebbe potuto scegliere qualsiasi altro periodo per visitare di nuovo Honolulu. Essere su quella spiaggia il 20 di Settembre non era un caso, per entrambi.
 
          Miriam non osò contraddirlo. Non avrebbe avuto senso, sarebbe stato stupido. Lei era andata lì per chiudere l’ultimo capitolo della storia che le aveva spaccato il cuore, per salutare Kiki, ma aveva scelto quel periodo anche per celebrare l’amore che avrebbe potuto vincere e che invece lei aveva lasciato affondare da solo.
Si girò appena e sorridendo imbarazzata, lo ammise: “Già. Che fantasia!”. Si ficcò le mani nelle tasche dei jeans e iniziò a far scorrere il piede sulla sabbia, disegnando finta arte che non sarebbe servita a nessuno. Riuscì persino ad ironizzare, e si complimentò con se stessa per non aver ancora versato nessuna lacrima. Ma era palese che ne avesse versate così tante in quell’anno che ormai sapeva quando era giusto farlo e quando era solamente una perdita di tempo e di energie.

“Ti va di fare due passi?” le chiese Jared. Miriam alzò gli occhi su di lui e scoppiò a ridere, improvvisamente, senza un apparente motivo. “Cosa ho detto di tanto divertente?”
“Niente. È che…” si sentì una stupida ad averlo pensato, e soprattutto a volerglielo dire, ma Jared la incalzava con lo sguardo e lei alla fine cedette: “E’ la stessa frase che hai usato due anni fa, dentro quel bar” ammise, indicando il locale di legno che troneggiava sulla spiaggia e che ora non era più proprietà della famiglia di Kiki.
“Amo ripetermi. Allora, ti va?”
“Si, certo, andiamo” gli disse iniziando a camminare al suo fianco.
 
          Per qualche minuto rimasero in silenzio, entrambi chiusi nel loro mondo, entrambi che pensavano a come uscirne senza fare l’ennesimo casino.
“Hai lasciato allungare i capelli” disse Jared, prendendosi la briga di iniziare un qualsiasi discorso e sentendosi leggermente stupido, meno di quindici secondi dopo: che commento era quello?
“Già. Ho avuto poco tempo di andare dal parrucchiere!” scherzò Miriam, ridendo subito dopo. Era impressionante quando si sentisse bene; anche se tutti avrebbero potuto dire il contrario, lei era totalmente tranquilla. Sembravano non essere trascorsi quei due anni, sembrava che loro fossero ancora due sconosciuti su una spiaggia di Honolulu. Miriam smise di ridere a quel pensiero: quanto avrebbe voluto che fosse davvero così.
“Anno impegnativo?” chiese solamente Jared, trincerando dietro quella semplice domanda tutta la sua curiosità.
“Abbastanza, a dire il vero” ammise Miriam. Tornò a guardarlo, sorridendo appena, e sentì tutto il bisogno di dirgli quello che pensava, che voleva, che aveva vissuto. Ma non poteva, non era il momento, e sicuramente a Jared non sarebbe stato interessato.
“Lavori ancora a Los Angeles?”
“Si, si, sono rimasta a LA. Ho cambiato lavoro però”
“Ah, e di cosa ti occupi ora?”
“Lavoro in uno studio legale che si occupa principalmente di class action. Siamo vicini alle persone, a chi non ha strumenti per difendersi, insomma”
“Interessante. Sei nel tuo ambiente, quindi”
“Si, mi sono dedicata a ciò che amo. Alla fine ce l’ho fatta” ammise Miriam, entusiasta e orgogliosa del suo lavoro. 
“Pensavo che saresti tornata a Parigi” disse con finta nonchalance.
“Ci ho pensato per un momento, ma poi ho capito che ero scappata da lì ed un motivo doveva pur esserci. Mi sono impegnata per trovare quel motivo”
“E l’hai trovato?”
“Si, alla fine si. Ci ho messo parecchio, ma alla fine l’ho trovato” sorrise Miriam.
Parlavamo per enigmi, lo sapevano entrambi. Miriam avrebbe voluto gettargli le braccia al collo e semplicemente supplicarlo per perdonarla. Jared avrebbe voluto fermarla lì e farle una sola domanda: mi ami ancora?
Entrambi però erano franati dalla paura, dall’ostinazione, ma sopratutto dalla consapevolezza, seppur amara, che il tempo non torna indietro. Dal ricordo di tutto il dolore che avevano affrontato nei mesi precedenti, ognuno col suo metodo, ognuno alla sua maniera. Ma soprattutto entrambi sapevano che non basta amarsi per essere felici: serve l’amore, ma serve anche una serie di coincidenze fortunate, di equilibri e sintonia che è difficile creare, se non si ha di natura.
In quel momento il cellulare di Miriam squillò. Lei sussultò appena, tanto era assorta in quella piacevole quando sconvolgente passeggiata. Aprì la borsa che portava sulla spalla, più una sacca informe a dire la verità e iniziò a frugare dentro poggiandosela sul ginocchio appena alzato.
“Dannazione, dove sei!” sussurrò tra sé e sé, continuando freneticamente a cercare il cellulare, che non smetteva di suonare. E che, purtroppo per lei, squillava con la base melodica di City of Angels.
Jared si fermò con lei e ridacchiò sotto ai baffi, gongolando nel riconoscere la sua canzone. La osservò in maniera quasi maniacale e vide la sua Miriam ancora davanti a lui: i capelli non perfetti, i jeans informi, la canotta aderente e la pashmina colorata al collo. Era lei, era sempre stata lei. Ed era stata sua, quanto avrebbe voluto che fosse ancora sua.
La guardò cercare buffamente il cellulare, imbarazzata nel sentire che il silenzio della spiaggia, ormai quasi deserta, era squarciato da quella suoneria; lo vedeva che avrebbe voluto scavare una fossa nella sabbia e mettercisi dentro, e questa cosa lo faceva ridere, gli faceva tenerezza e gli faceva prendere consapevolezza che era ancora follemente innamorato di lei, del suo modo di essere, del suo caos, del suo modo buffo di fare e dire le cose.

          Miriam cercò il cellulare per quello che le sembrò un tempo infinito. Continuava ad imprecare e a sentirsi una stupida: perché aveva messo quella suoneria? Perché qualcuno avrebbe dovuto cercarla proprio mentre era davanti a Jared? Jared, che non vedeva da un anno. Bella figura, ottima mossa, si disse mentalmente.
Trovò finalmente il cellulare e prese la chiamata al volo, più per farlo smettere di suonare che per altro. Era Katreen. “Ehi, ciao” rispose affannata come se avesse appena finito di correre.
“Miriam, stai correndo?” chiese l’amica, sospettosa.
“No, ma che dici” rispose Miriam. Avrebbe voluto ucciderla. “Che c’è?”
“E allora stai facendo altro… senti che fiato corto che hai!” la prese in giro.
“Smettila subito, Kat. Cosa vuoi?”
“Come siamo scorbutiche… cosa fai?”
“Passeggio”
“Quindi hai tempo di sentire le ultime di Jodie!” esultò l’amica, mentre iniziava a trangugiare patatine, il suo pasto preferito.
“No, non ho tempo!” disse un po’ troppo velocemente Miriam.
“Miriam, cosa mi nascondi!?”
“Niente, dai devo andare” tagliò corto.
“Tu mi nascondi qualcosa e lo sai. Ti interrogherò al più presto, stupida!”
“Non ti lascerò vincere, cretina!”
“Si si, vedremo…”
“D’accordo, ciao!”. Miriam chiuse la telefonata ridendo, senza rendersi conto di che espressione divertita avesse in volto. “Scusami” disse a Jared, riferendosi all’interruzione.
“Non c’è problema” rispose elegantemente lui. Salvo poi affondare: “Un’amica?”
Miriam ci vide molto di più dietro quella domanda e tornò seria: la loro crisi era iniziata perché lei voleva avere indipendenza, perché lei aveva bisogno di amici, di persone che non fossero Jared – centriche. Ora vedeva in quella domanda un mondo intero e aveva quasi remore a rispondergli. “Si, un’ottima amica” disse semplicemente. “E a te com’è andata quest’anno? Ho visto che avete fatto un lunghissimo tour”. Cambiò discorso velocemente, non c’era motivo di parlargli della sua vita, di dargli più informazioni di quante ne avesse già dato.
“Si, siamo partiti subito dopo la nascita della piccola. E’ stato un anno soddisfacente, pieno di emozioni. Ci hai seguiti?”
“Non direttamente. Ma ho sbirciato dal web, a volte, lo ammetto”
“Hai sbirciato dal web” ripetè Jared, affondando le mani nelle tasche e guardando altrove.

          Si chiese se avesse avuto notizie anche della modella, il suo cuore gongolò per un momento, poi cadde nello sconforto: non avrebbe mai voluto che Miriam pensasse che l’avesse sostituita in maniera così veloce, così semplice. La realtà era che sarebbe stato impossibile sostituirla, ma quando ci pensò si disse che forse era inutile dirglielo. Forse lei era ancora con quell’altro.

“Come sta Tomo?” chiese impaurita dalla risposta. Erano mesi che pensava di dovergli dire di Kiki.
“Bene, si è ripreso. Vicki è venuta con noi in tour e sono tornati ad essere felici”. La scrutò e la vide torcersi le mani, un sentimento di galanteria misto ad affetto gli suggerì di aiutarla, anche se forse sarebbe stato il caso che lei se la cavasse da sola, quella volta. “Lo sappiamo, Miriam” le disse con un tono quasi paterno.
“Sapete…”
“Sto parlando di Kiki. Shan ha vuotato il sacco e so che non avrebbe dovuto, ma credo che se non si fosse trattato di Tomo avrebbe portato il segreto con sé per sempre” spiegò.
“Oh” disse solamente Miriam. Improvvisamente era più serena, come se un peso, forse l’ultimo, avesse lasciato il suo stomaco, la sua anima. Sapeva di aver sbagliato, forse la vita le avrebbe concesso di rimediare. “Io avrei dovuto dirglielo, non ce l’ho fatta, mi sento male al solo pensiero” disse. “E’ che era tutto così difficile: la sua morte, la nostra relazione naufragata, credo di non essere stata programmata per sopportare un tale sfacelo tutto insieme, ecco”
“Tutti possiamo sbagliare”
“Sei troppo clemente”
“No, sono sincero. Ed onesto” le disse serio. Non intendeva difenderla oltre il dovuto, ma era vero che accanirsi sugli errori altrui non avrebbe portato altro che rammarico e dolore, e lui non aveva voglia di averne altro nella sua vita. “Perché non l’hai detto a me?”
“Perché mi avevi lasciato, ed ero sconvolta. È stato come se il mondo implodesse davanti a me, trascinandomi dentro il suo vortice di caos perenne. Io non riuscivo a ragionare lucidamente, a pensare, a valutare le conseguenze di quello che facevo. Volevo solamente stare bene, ero ossessionata dall’idea di cambiare, di smettere di soffrire, di cercare solamente una dimensione in cui poter mettere in pausa tutto ed essere serena” disse infervorandosi e accompagnando il discorso con ampi gesti delle mani.
Si vergognava, ma sentiva di dover essere sincera e in un certo senso era giusto che lui sapesse. Così continuò, non chiedendosi se lui seguisse il ragionamento, sperando solo che stesse ascoltando davvero: “Ci ho messo tanto a capire i miei problemi e a risolverli. È stato difficile, mi sono sentita una fallita così tante volte, mi sono sentita sola tutti i giorni, chiusa, isolata da tutto. Piano piano ho gestito tutto, ho rimesso tutto apposto, come quando fai il cambio degli armadi e sistemi i cassetti. Io ho fatto così: giorno dopo giorno ho preso i problemi e li ho resi vivibili, mettendoli in un cassetto e passando al successivo solo quando ero certa di aver accantonato davvero il precedente. Mi mancava solo un nodo da sbrogliare: venire a salutare Kiki”.

Aveva continuato a camminare, parlando e gesticolando come se lui non ci fosse, un fiume di parole che si riversavano su quella spiaggia e che forse erano l’unica medicina di cui entrambi avevano bisogno. Aveva pensato di non rivelargli molti particolari ed ora era lì che si spogliava di tutto: sicuramente l’istinto di pensare una cosa e farne un’altra albergava ancora in lei.

          Jared la lasciò parlare, seguì il suo ragionamento, seguì i suoi passi. Era elettrizzante vederla impegnata, sicura, finalmente lucida, era come vedere tutto il percorso che lei aveva fatto, il dolore che aveva attraversato per approdare lì dove ora camminava. Sicura e serena, ma serena davvero. Aspettò che finisse di parlare e poi sospirò, accorgendosi di non essere riuscito a staccarle gli occhi di dosso per un secondo: “Sei qui per salutare Kiki?”
“Si, glielo dovevo. Ho sbagliato molto anche con lei, me ne sono fregata e sono andata a cercarla quando io avevo bisogno di una spalla. Sono stata meschina e la vita mi ha ripagato con la moneta più dura: il silenzio. Sai, mi sono resa conto che il punto non è sbagliare, ma riuscire a chiedere scusa subito, perché se aspetti potresti non trovare nessuno ad ascoltarti, e lì” fece una pausa, lo guardò e concluse: “Lì il guaio è serio, te lo porti dentro per sempre. Mi sono raccontata una serie di cazzate immense per non venire qui. Poi mi sono resa conto che dovevo farlo. Il fatto di averti incontrato è stato solo un regalo, mettiamola così: ho lavorato bene, forse, e il destino ha deciso di essere magnanimo con me, per questa volta”
“La tua visione delle cose è singolare, molto più interessante di quanto ricordassi”
“Sono cambiata tanto in questo anno, Jared. Ho fatto un percorso e solo ora posso davvero dire di aver cambiato le cose. Sembra stupido, lo so, ma io mi sento davvero rinata. Ho imparato ad accettarmi, ad accettare i miei errori, ho imparato a volermi bene” spiegò ancora.
“E potresti lasciare che anche gli altri ti vogliano bene?” chiese lui, cercando una risposta, un segno, qualcosa che potesse indurlo a sperare ancora.
Miriam non rispose, si morse il labbro e infilando le mani nelle tasche dei jeans, cambiò argomento: “La piccola di Shan è bellissima” disse Miriam con un fil di voce.
“Si, è una piccola Emma in realtà” disse orgoglioso con gli occhi illuminati. Poi la guardò scettico: “Come hai fatto a vederla?”
“Sbirciavo, ricordi? Ogni tanto qualche giornalista non è così rispettoso della privacy altrui e tempo fa uscirono alcune foto della piccola senza il viso pixellato. Mi sono anche chiesta che fine bruta può aver fatto il colpevole, per mano di Emma ovviamente”
Scoppiarono a ridere entrambi, poi Jared difese sua cognata: “Emma da quando è mamma è diventata dolcissima. Non che prima non lo fosse, ma dovresti vederla ora”
“Spero sia migliorata dall’ultima volta che l’ho vista” borbottò Miriam, prima di pentirsi subito e coprirsi la bocca con la mano. Jared la guardò e smise di sorridere: sapevano entrambi quello che significava quella frase.
“E’ stata tanto cattiva?” chiese lui.
“Abbastanza. Ma credo avesse ragione” sostenne lei.
“Non devi difenderla perché stai parlando con me”
“No, lo penso davvero” disse semplicemente. Poi lo guardò, intuendo: “Vuoi dirmi che non sai quello che ci siamo dette?”
“No, ovviamente no”
“Uhm…”
“Ho chiesto ad entrambi di non dirmi niente. Non volevo sapere nulla, avevo bisogno di riprendermi e di dimenticarti. Non mi sarebbe stato utile continuare a parlare di te” ammise Jared, senza pentirsi di aver usato parole come dimenticare, utile, bisogno. Era la verità, e nessuna verità poteva far male, nella situazione in cui erano loro.
 

          Miriam rimase colpita da come Jared le aveva detto quello che pensava, quello che era successo. In un certo senso le aveva dichiarato molto più in quella frase che in tutto il discorso precedente. Le aveva detto che aveva dovuto dimenticarla, che aveva dovuto andare avanti.
Miriam tacque qualche secondo, lo guardò ammirare l’orizzonte davanti a loro, con il rosso fuoco del tramonto e l’oceano calmo che placidamente si infrangeva sulla sabbia. Poi chiese quel che si chiedeva da un anno: “E ci sei riuscito?”
“A fare cosa?”. Jared bluffava, sapeva benissimo quel che Miriam gli aveva chiesto. Voleva solo sentirglielo dire davvero.
“A dimenticarmi” sussurrò piano lei.
“No”. Miriam si bloccò, girò lo sguardo e cercò quello di Jared, che si era voltato verso di lei e aveva un’espressione serena, ma di attesa.
Miriam tentò di dire qualcosa, qualsiasi cosa che potesse risultare adatta, ma mentre apriva la bocca sentiva il fiato non aiutarla, sentiva l’aria non passarle dai polmoni. Poi una folata di vento la aiutò, e improvvisamente scostò la sua pashmina, lasciando libero il suo collo.
Jared rise piano, gli occhi illuminati e rivolti solo a quel particolare: “Neanche tu, forse” disse piano, arrivando piano a toccare il ciondolo che brillava. Istintivamente Miriam portò la mano al collo e fu un attimo: le loro dita, entrambe sul simbolo di quel giorno, si toccarono, ed entrambi sentirono una scarica elettrica, l’unica che avrebbe potuto davvero farli tornare a vivere.
“Jared, mi dispiace” trovò il coraggio di dire Miriam. Perché era vero, era quello che sperava di potergli dire da un anno: che le dispiaceva. Di averlo fatto soffrire, di avere rovinato qualcosa che avrebbe potuto essere bello. Di avergli chiuso in faccia la porta, quando lui le aveva detto che si, potevano farcela. Ancora.
“Dispiace anche a me” sospirò Jared, fissando l’oceano e pensando a quel giorno di luglio. “Non avrei dovuto convincerti a tutti i costi a convivere e non avrei dovuto reagire in quella maniera quando hai cercato di parlarmi”
“Ognuno le sue colpe?” propose Miriam, leggera.
“Ho tentato di dirti le mie più volte, in realtà. Ho cercato di chiederti scusa, ma non sono stato abbastanza convincente, forse”
“Jared, io avevo bisogno di rimanere sola con me stessa, non avrei potuto darti nulla di più un anno fa, quando mi hai chiesto di tornare insieme. Mi è costato chiudere quella porta, ma credimi che è stato meglio così”
“Meglio per chi?”
“Per entrambi. Anche per te”
“Vedo che la tendenza a scegliere per gli altri non l’hai persa”
“Ora sei ingiusto”

          Jared sospirò e riprese a camminare, lasciandola dietro di qualche passo. Non sapeva perché era diventato astioso, non sapeva perché d’un tratto voleva solo vederla sparire. Cercò di riacquistare la calma e quando la sentì accanto a sé, tentò di recuperare: “Scusami, non volevo essere così…”
“Stronzo?”
Jared sorrise amaro e ammise anche quella volta: “E stronzo sia”. Pareggio, palla al centro e la partita che inizia di nuovo, snervante e illuminatrice. “Ricominciamo, dai. Parlami della tua amica” disse divertito, cercando di far tornare leggera l'atmosfera, di non rovinarla oltre. 
“Katreen” sospirò Miriam e istintivamente sorrise guardando davanti a sé. “Ci siamo conosciute nel diner dove ho lavorato per qualche tempo”
Diner?” chiese scettico Jared, non capendo bene.
“Si, per qualche mese mi sono mantenuta così, dopo aver lasciato il mio lavoro” spiegò Miriam. “Lei era cameriera lì da tempo, è una fumettista e collabora con svariati giornali sotto pseudonimi. È brava, ma il lavoro dei suoi sogni non le frutta molto economicamente, così si arrabatta anche con altro”
“Siete molto amiche?”
“Ora si. Lei all’inizio mi ha aiutato molto, era un periodo decisamente nero per me, e non sapevo neanche dove sbattere la testa. Mi ha accolto nella sua vita e in un certo senso mi ha aiutato a migliorare la mia. Quando ho lasciato il diner per iniziare a lavorare nello studio legale mi ha regalato una penna e mi ha chiesto di non smettere di essere come sono. Viviamo ancora insieme, forse entrambe avevamo bisogno di una sorella, di una spalla”
“Sono contento che tu abbia trovato la tua indipendenza” disse sovrappensiero, calcando suo malgrado su quella parola. Poi si corresse: “E non c’è nessuna frecciatina in questa frase, lo giuro”. Si mise un mano sul petto e rise, per convincerla. Miriam lo guardò allibita e poi si lasciò andare all’allegria del momento.
“Si, certo come no” disse fintamente offesa. “Sono stata molto cattiva e a tratti stupida, lo so. Ma non puoi chiedere amore se non sei pronta ad amare te stessa, in primis
“E sei stata pronta a chiederlo a qualcun altro, in questo anno?”
“No, Jared” disse, ora sicura. Non aveva bisogno di pensare alla risposta, lei la risposta l'aveva sempre avuta. “Se avessi voluto amore, l’avrei chiesto all’unica persona dalla quale lo volevo davvero”. Lo stava sfidando, guardandolo apertamente negli occhi, che ora non le mettevano più paura. Era come se fosse alla sua altezza, al suo pari: ora non erano più il gigante e la bambina, erano due persone che si erano rialzate e si stavano concedendo l'opportunità di spiegarsi davvero. Lusso che la vita non concede a tutti. 
“E quel tipo?”
“Christopher" suggerì Miriam, sospirando. "E' stato un errore di valutazione. Quando ho saputo che Kiki era morta mi sono convinta di qualcosa che è materialmente impossibile: volevo cambiare me stessa, volevo accontentarmi delle briciole pur di avere una vita serena, senza intoppi né sofferenze. L’ho mandato via subito dopo aver mandato via te”
“Sai, la cosa che più mi aveva ferito, quando pensavo a noi, era proprio il suo volto che trionfava davanti a me. Era la cosa peggiore pensare che avevi scelto lui, e non per ego ferito, ma perché lui ti aveva cambiata così tanto” disse Jared, finalmente libero di poter esprimere i suoi più reconditi pensieri. “Ti avevo vista in spiaggia, quel giorno, e avevo stentato a capire che eri tu: niente più caos, niente più abiti casual, sembravi una perfetta donna d’altri tempi. E non mi piaceva. Non mi piaceva che fossi cambiata perché qualcuno ti voleva diversa”
“Quando ho ripreso in mano i miei jeans è stato liberatorio” ammise, ripensando a quel giorno lontano. “E tu, invece?”
“Io cosa?”
“Ho letto i giornali, Jared. So di quella modella” disse sorniona, come un'amica che vuole farsi raccontare i dettagli piccanti. Lei di piccante non voleva sapere nulla, ma quella passeggiata aveva il sapore di un incontro di boxe vecchia maniera, e lei stava giocando le sue carte. 
Quando aveva scoperto di quella donna, era rimasta scioccata; gelosa non era stata la parola esatta, in realtà, perché da tempo aveva raggiunto la consapevolezza che Jared non era più cosa sua, e che era giusto che lui ricominciasse. Era scioccata dal modo, però, dalla città scelta più che altro. parigi. Come poteva pensare di ricominciare con un’altra donna a Parigi, si era chiesta.

“Era pubblicità” disse sicuro.
“Sii sincero” lo ammonì. 
“Sono sincero. Ci ho passato qualche settimana, senza chiederle più di qualche notte di sesso e qualche cena per fare due chiacchiere. Lei era molto interessata al mio nome, le serviva per farsi conoscere, io…” si interruppe imbarazzato. “Beh, lo sai”
“Si, posso immaginarlo” sostenne Miriam, non senza ridere leggermente.
“Non è stata l’unica” disse poi. “O meglio: è stata l’unica con cui mi sono fatto beccare. E l’ho fatto volontariamente”
“Volontariamente?”. Ora non capiva.
“Ero logorato dalla rabbia che tu stessi ancora con lui. Dovevo darti un messaggio, farti capire che non eri la sola ad essere andata avanti. E così mi sono fatto beccare: speravo che tu leggessi dai giornali della mia storia, sapevo che ci avrebbero ricamato sopra”
“E così l’hai fatto a Parigi”
“No, Parigi è stato un caso”
“Ho creduto per mesi che fosse tutto fatto apposta. Guardavi i fotografi accanto a lei e non dicevi, nè facevi nulla. Sei stato cattivo, lo sai?!"
“Lo so, mi dispiace” ammise. La guardò e vederla priva di tracce di gelosia o rabbia lo convinse che camminavano nella giusta direzione. Non sarebbe stato possibile abbracciarsi di nuovo e ricominciare ad occhi chiusi, non sarebbe stato onesto, né adulto. Era possibile conoscersi di nuovo, però, col tempo e la sincerità di cui in passato avevano creduto di poter fare a meno.
“Com’è stato tornare a Parigi?”
“Amo quella città, ma credo che le starò lontano per un po’”
“Capisco. Io non ci torno da troppo tempo”
“Siamo in vena di confessioni?” si informò Jared, e l'espressione era a metà fra il colpevole e il divertito. Si toccò leggermente la barba chiedendolo e attendendo la risposta. 
“Più o meno” disse lentamente Miriam, guardandolo con la coda dell'occhio. 
“Bene, allora ne ho un’altra da fare”
“Spara”
“Quando ci siamo lasciati, immediatamente dopo più o meno, ho avuto una relazione con…” si interruppe, improvvisamente pentito di aver iniziato quella conversazione. “Shayla” finì la frase, sospirando.

          Miriam lo guardò per un momento allibita, poi si voltò rapidamente verso l’oceano e si fermò dandogli le spalle, in silenzio. “Non posso crederci, ci eravamo appena lasciati”
“Fammi spiegare, Miriam” tentò lui; le prese un braccio per farla girare, ma lei con uno strappo deciso si liberò dalla sua presa e Jared abbassò lo sguardo, deciso a prendersi ciò che la sua reazione gli avrebbe riservato. Certo, poteva evitarselo, anche se non comprendeva molto bene perché la modella era ammessa e Shayla no, ma poco importava.
“Quindi fammi capire, Jared” iniziò lei, maledettamente seria.
“Miriam...”
“Fammi capire, ho detto” disse ancora, risultando ancora più aspra, non ammettendo repliche di nessun genere. Si girò piano e Jared alzò gli occhi a guardarla: sentì qualcosa incrinarsi nel petto quando le vide quell’espressione seria in volto. Miriam incrociò le braccia al petto e inclinò di poco la testa, continuando a gustarsi la scena di lui che annaspava. “Te la sei fatta con Shayla quando ci siamo lasciati” disse, attendendo una risposta. 
Jared annuì solamente, e lei continuò decisa: “Ma eri ad occhi chiusi?” chiese subito dopo. “No, perché, è una ragazza adorabile, una con le palle, simpatica, tosta, gran lavoratrice, ma insomma… su, Leto, sappiamo che puoi puntare a molto di più in fatto di bellezza!” finì, prima di scoppiare a ridere.

“Tu…” disse solamente lui, puntandole un dito contro e vedendola sbellicarsi dalle risate da sola. Aveva le lacrime agli occhi, era bellissima, ma bellissima davvero pensò, e pensò di non averglielo mai detto abbastanza, di essersi lasciato andare molto volte, ma di non averle detto la cosa più importante: quando era così spontanea, era uno spettacolo incredibile.
L’aveva preso apertamente in giro, con un pizzico di cattiveria, quella retoricamente consentita, che rende il mondo meno serio e più spiritoso. Era stata sagace e perfida, spontanea e vera, ma soprattutto aveva abbattuto quel muro di ferro che entrambi sentivano esserci fra loro.
“Scusa, dai la smetto!” disse dopo qualche minuto, cercando di smettere di ridere, di darsi un contegno.
“Credevo saresti andata avanti per molto” replicò Jared, facendo il finto offeso, non riuscendo a vincere nessun premio per quell’interpretazione. Sotto ai baffi si vedeva un sorrisino allegro e nei suoi occhi la luce che da tempo lei sognava.
“Mi è mancato parlare con te, sai?” gli disse poi. Erano in silenzio da un po’, dopo l’ilarità, quando Miriam aveva smesso di ridere ed era tornata seria, con gli occhi lucidi e le guance arrossate, si era fermati a contemplare le consapevolezze che avevano faticosamente raggiunto.

          Jared si chiedeva quanto fosse possibile cancellare tutto e chiederle di amarlo ancora. Si chiedeva se fosse pronto, se lei avesse voglia, la guardava estasiato e capì che il tempo era passato, che l’acqua che aveva attraversato i letti dei loro fiumi personali era stata davvero troppa e troppo intensa per poter essere cancellata così. Avevano deciso di dividere le proprie strade, si erano curati da soli, cercando il supporto ognuno nel proprio angolo di vita, cercando di ostacolare qualsiasi ricordo dell'altro. Ora ritrovarsi sulla spiaggia non sarebbe stato sufficiente per abbracciarsi e dirsi ti amo di nuovo. Per quanto potesse essere vero, potesse essere forte, Jared aveva imparato la lezione: l'amore non basta. 
Un anno non sono bruscolini che seppellisci sotto un divano per non farne trovare le tracce. Sono trecentosessantacinque giorni, uno più uno meno, in cui lui aveva cercato, alla sua veneranda età, di rimettersi in piedi. Aveva creduto di essere un uomo adulto, invincibile, sicuro di se stesso, e poi all'improvviso lei era arrivata e non solo aveva sconvolto la sua vita, ma l'aveva anche lasciato a piedi, in preda a quello che non sentiva più da anni: la consapevolezza di non essere affatto arrivato da nessuna parte. La sicurezza che si può essere un asso nel lavoro, avere soddisfazioni, essere bravi e osannati, ma ci sarà sempre quella persona a cui non andrai bene. E la beffa sarà che vorresti essere tutto solo per quella persona, e nessuno per il resto del mondo. 
Niente avrebbe potuto togliergli la certezza che lei era la donna della sua vita, ma il tempo dell’adolescenza era finito: non poteva baciarla lì e sperare che tutto tornasse apposto. Anche perché, ai tempi del loro bruciante amore, niente era stato davvero al proprio posto e loro non se ne erano mai resi conto. 

 
          Miriam si tormentava un labbro e giocava con l’orlo della sua canotta, come una bambina davanti ad un’interrogazione per la quale sa di non aver studiato abbastanza. Lei era quella che aveva intrapreso un viaggio fatto di speranze e nessuna certezza, aveva vissuto a pieno un periodo brutto, era riuscita a risollevarsi, era fiera, orgogliosa di quello che aveva fatto, anche se aveva relegato l’amore all'essere una danza che non avrebbe mai più ballato, perchè se c'era una cosa di cui era sicura, era proprio che il suo ballerino era lontano. 
Sarebbe stato facile baciarlo e chiedergli di amarla ancora, ma sarebbe stato anche ingiusto e anche vagamente masochistico. La verità era che nessuno dei due, pensò Miriam, poteva cancellare il male che si erano fatti e i passi che, singolarmente e lontano dall’altro, avevano compiuto affinché quel dolore inferto fosse curato.

Lo guardava fissarla e si sentiva a suo agio, fieramente adulta in piedi davanti a lui: non aveva mai avuto quella sensazione nel cuore, si era sempre sentita molto piccola e molto insicura davanti a lui e forse quello era stato il loro problema principale. Miriam sorrise piano, sentì per la prima volta la vera pace: ogni tassello di quel puzzle infinito, iniziato due anni prima su quella spiaggia, era finalmente al suo posto. Era andato al suo posto ancora su quella spiaggia. E non ci sarebbero stati ritorni di fiamma, amicizie mancate, dolore e felicità improvvisa a farle rimpiangere ogni singolo giorno che aveva vissuto, con le unghie e con i denti. Perché era grazie a tutti quei giorni messi insieme, che lei era poteva dirsi donna, poteva dirsi arrivata alla felicità. Quella che coltivi nelle piccole cose, che non cerchi correndo e affandondoti verso la meta. La vittoria più bella era essere lì, davanti a Jared, e sentirsi felici, pur essendo consapevoli di essere tornati al punto di partenza, pur essendo incerti sul domani.

          Entrambi però sapevano che niente vietava loro di tentare di nuovo: conoscersi non era un delitto, non era vietato, non poteva far male. Entrambi, in quel silenzio che avevano passato ad ascoltare i propri pensieri, scrutandosi di tanto in tanto, facendo finta di osservare il mare, ma osservando solo le mosse dell'altro, avevano chiesto aiuto alla propria coscienza, e inaspettatamente la risposta era stata simile. Conoscersi non sarebbe stato un errore. 


“Ti va di mangiare qualcosa insieme, stasera?” gli chiese sorridendo.
“Sushi?”
“Andata” rispose riprendendo a camminare.

          Se qualcuno li avesse visti in quel momento, camminare l'uno accanto all'altra, sorridere e prendersi in giro come se si conoscessero da una vita, come se si capissero al volo, avrebbe pensato a due innamorati in vacanza, felici e spensierati. Solo loro potevano sapere la tempesta che avevano attraversato per un periodo indicibilmente lungo. E dalla quale forse ancora non erano davvero usciti. 

         Quella persona avrebbe allora potuto pensare che erano rimasti comunque uniti e che solo l’amore cura tutto. Loro avrebbero risposto che l’amore non basta, che serve anche la sopportazione e il coraggio a volte. L’amore è la miccia, ma per alimentare il fuoco serve aria, soffio, vento e fegato. Serve il fegato, che loro non avevano avuto, per rimanere uniti.

         Quella persona avrebbe comunque detto che forse non è tardi per dimostrare di averlo, quel coraggio, quella forza, perché gli amori veri non finiscono mai. Loro, allora, avrebbero detto che gli amori veri finiscono eccome. Finiscono perché niente è eterno, se non siamo disposti a plasmarci con il cambiamento e ci rendiamo adatti al tempo che passa. Se non si sta uniti.


          Ma loro avrebbero anche risposto che a volte la vita offre seconde opportunità, e allora camminare accanto su una spiaggia può essere un modo per vedere se questa volta si è capaci di essere più forti, più coraggiosi. O semplicemente più umani. 


 
       

L'angolo di Sissi

Vi ho trollato, magari solo un pò! 
Questo epilogo non ha titolo, dateglielo voi. 

Ho voluto solo chiudere davvero la storia di Miriam e Jared, 
ho voluto farli incontrare di nuovo,
più maturi e più sereni. 

Sarebbe stato facile farli baciare e far cadere miele ovunque,
ma è stato infinitamente più bello rendere le cose complicate, ma regalare speranza.

Perchè l'amore è questo: dare speranza ogni giorno, 
ma sapere che essere single è molto più semplice. 

Spero che siate felici per il finale che ho scelto per la mia storia. 
Spero che siate rimasti soddisfatti. 

Spero che Ale non inizi ad intonare la musichetta di Profondo Rosso. 
E che Muna non mi segua a Valencia per picchiarmi. 
E che Macrì e Fede siano sufficientemente felici, anche senza dramma. 
So invece che Mami avrà bisogno di un kleenex per arrivare fino a qui. 

Con affetto, 
Sissi 

 
  
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