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Autore: Nadie    14/01/2015    4 recensioni
Un giorno ha chiesto cosa fosse quell’amore ripetuto dai dischi in vinile di papà.
«Una cosa che aggiusta tutto.» gli hanno risposto.
«Come una super colla?»
«Proprio come una super colla.»
Adesso che il bambino che è stato lo ha abbandonato, capisce che gli hanno mentito.

[Ben e Prudence]
[La Legge del Resto - sentivo il bisogno di cambiar titolo]
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Temporale '
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12. Avanti




Un vento gentile gli soffia sul viso e gli scompiglia i capelli.
Alza lo sguardo e guarda verso il bar alla sua sinistra, la porta è spalancata e fuori ci sono una decina di tavolini disposti in modo ordinato sotto un pallido gazebo.
Occhi Verdi indossa dei jeans e una canotta grigia e ha i capelli sciolti che le arrivano fino alla vita.
Sono cresciuti. Non lo aveva notato.
Ecco un altro segno di quegli otto anni passati senza averla accanto. Ecco un altro segno del tempo che non si ferma, che non aspetta, che se ne infischia degli addii, delle lettere, delle rotture.
Al Tempo non importa niente.
Ti sono cresciuti i capelli. Non lo avevo notato. E, dimmi, sei cresciuta anche tu?
Occhi Verdi sembra stanca, terribilmente stanca. Si muove agile tra i tavolini e stringe tra le mani un vassoio che viene presto riempito dalle tazzine vuote di chi se n’è ormai andato.
Lui la osserva un altro po’, ancora un po’, per un po’, solo un po’. Vorrebbe essere capace di abbassare lo sguardo, di essere impassibile e indifferente. Vorrebbe sapersi mostrare arrabbiato e furioso. Vorrebbe essere così tante cose ma alla fine è solo qualcuno che ha perso del tempo, tempo prezioso, ed ora vuole disperatamente recuperarlo.
Si avvicina deciso al bar, si fa strada tra i tavolini tentando di ignorare le occhiate curiose della gente, e la raggiunge.
«Ciao.» dice e Occhi Verdi sobbalza e si volta spaventata.
Appena incrocia lo sguardo con quello di Occhi Bui sospira e scuote la testa, poi abbassa il capo e mette le ultime due tazzine vuote sul vassoio.
«Possiamo parlare?» le chiede.
Nessuna risposta.          
«Possiamo parlare?» alza la voce.
Nessuna risposta.
Si sente ignorato, umiliato, debole e patetico.
Ma come puoi, come ti permetti di trattarmi così?
E vorrei urlarti addosso, prenderti a schiaffi, andarmene via ed essere felice, contento di questa vita, della mia vita e contento della tua assenza.
E vorrei farti sentire ferita-tagliata-bruciata-spaccata-incompleta-spezzata-vuota.
Vuota vuota vuota.
Ti senti vuota, Prudence? Brutta sensazione, vero? Io lo so, lo so.
Sono esperto nel sentirsi vuoti.
«Prudence?»
Nessuna risposta.
E prima che lei possa sollevare il vassoio dal tavolino, lui la afferra per un braccio con la mano ferita e stringe i denti per sopportare il dolore.
Ma serra la stretta, serra la stretta e non le permette di allontanarsi.
«Smettila di fare la stronza, non ti si addice.»
La mano comincia a bruciargli, quelle dannate schegge di vetro gli fanno un gran male! Il nodo al fazzoletto si scioglie e lui è costretto a mollare la presa.
Fa un passo indietro e osserva la ferita sulla mano.
Una linea spessa terribilmente rossa e irregolare gli ricopre il dorso e le nocche della mano destra, tenta di distendere le dita e serra gli occhi per il dolore.
Lei lo osserva e sembra arrabbiata e confusa, stringe le mani a pugno e i suoi grandi occhi verdi diventano lucidi.
Occhi Bui sospira e, a denti stretti, riavvolge la mano ferita con il fazzoletto ormai sporco e spiegazzato.
«Possiamo parlare?» chiede di nuovo.
«Io non ho più niente da dirti.»
«Io invece sì.»
«Non ho più voglia di ascoltarti.»
«E invece mi ascolterai, mi ascolterai eccome, perché me lo devi. Tu mi devi un sacco di cose.»
«Non ti devo proprio niente!»
«Tanto per cominciare mi devi delle scuse.»
«Scusa per cosa?»
«Per tutto quello che mi hai fatto e per il modo squallido in cui l’hai fatto!» alza la voce e sente addosso le occhiate attente della gente ai tavolini.
Occhi Verdi resta in silenzio, forse non sa più come rispondere. Forse non può più rispondere.
«Tu sei solo un ragazzino che non si decide a crescere e parlare con te sarebbe uno spreco inutile di energie.» abbassa lo sguardo e fa per prendere tra le mani il vassoio.
«Ma certo, quando le cose si fanno complicate Prudence scappa, vero? È la sua specialità.» le sorride sornione.
Occhi Verdi afferra saldamente il vassoio, poi alza il capo e lo fissa avvilita «Vaffanculo!» quasi sputa le parole, e poi rientra nel bar senza voltarsi indietro.
Lui resta interdetto, immobile, non sa cosa dire né cosa fare.
Ha addosso gli occhi curiosi dei clienti del bar che fingono di sorseggiare indifferenti il loro caffè, e quanto vorrebbe sparire, scomparire, diventare invisibile, potersi disperdere nell’aria.
Ma non può, non è possibile, è fatto di ossa e di carne e carne e ossa non possono scomparire, non possono essere nascoste.
«Lo spettacolo è finito, potete tornare alla vostra fottuta colazione!» grida e si allontana in fretta.
Il sole splende alto nel cielo terso e limpido di una Dublino strana, nuova, senza pioggia o nuvole grigie.
Cammina svelto, lo sguardo basso e gli occhi di Prudence ancora nella sua testa, e le parole di Prudence ancora nelle sue orecchie.
Vorrebbe poterle raccogliere, le parole. Le Sue parole.
Le parole che gli sono rimaste dentro, che si sono arrampicate agili alle pareti della sua mente senza volersi far dimenticare e adesso lui sa, lui sa che potrebbe prenderle, estrarle dai cassetti segreti della sua memoria e rimetterle in ordine, inizio e fine.
Potrebbe ripercorrere con le sole parole quella storia che ora gli sembra un peso, un fastidio, un macigno ingombrante dentro al suo petto.
La metro è guasta.
Aspetto qualcosa o qualcuno, non lo so di preciso. Prima o poi succederà qualcosa, no?
Ma come fai a sapere già che non hai passato quel provino?
Hai già fatto tutto quello che volevi fare prima di morire?
Carpe diem!
Se continui a fumare morirai.
Je ne t’aime plus, mon amour. Je ne t’aime plus tous les jours.
Le farfalle non potranno mai baciarsi.
Ho paura della fine.
Che cosa siamo noi due?
Devi tornare a casa, vero?
Cos’è la verità?
Perché non mi hai detto che hai passato quel provino?
Non mi fare domande. Ti prego, niente domande.
L’ho fatto perché volevo tu fossi felice!
Aspetto un bambino.
Sei qui solo per ottenere qualcosa che non avrai mai.
Vaffanculo!
Fine.
Vorrebbe metterci sotto la parola ‘fine’, aggiungerla a tutte le altre parole, schiacciarla sotto a quel ‘vaffanculo’.
Fine.
Ma è troppo orgoglioso, è troppo testardo, è troppo incompleto.
Ha bisogno di qualcosa in più, gli mancano troppi pezzetti, gli manca la completa e assoluta verità.
Gli manca la consapevolezza di aver provato a rimettere insieme ciò che si è spaccato anni e anni fa.
“Caro Benjamin, niente si rompe irreparabilmente. Niente si perde per sempre.” Sua madre gli diceva sempre così e lui le credeva, lui era piccolo e le credeva, ci credeva a quell’ottimismo, a quella sicurezza di poter sempre trovare la soluzione.
Niente si rompe irreparabilmente. Niente si perde per sempre.
La voce di sua madre riecheggia nella sua testa, il suo tono sicuro e deciso mette a tacere ogni altro pensiero.
Niente si rompe irreparabilmente. Niente si perde per sempre.
Lo diceva come fosse una legge assoluta della fisica, una regola di grammatica incontestabile. È così perché è così, tu non puoi farci nulla.
Niente si rompe irreparabilmente. Niente si perde per sempre.
Vuole crederci, vuole credere che sia così.
Alza il capo e riesce a scorgere la figura bianca e curva del ponte Ha’penny, sospeso sulle acque scure e languide del fiume Liffey.
Si avvicina e siede su una panchina a lato del fiume. Resta in silenzio. Osserva.
Non c’è molta gente da guardare e non ci sono molte parole da ascoltare.
Due ragazzi che si trovano sul ponte si stringono in un abbraccio e si scattano una foto.
Ragazzo fa una boccaccia.
Ragazza sembra infastidita.
Ragazzo la bacia.
Ridono.
Scompaiono sulla sponda opposta.
Un nonno sistema il cappello al nipotino.
«Lo vuoi un gelato, piccoletto?»
«Ma la mamma ha detto che non posso mangiare dolci.»
«La mamma non deve saperlo per forza.»
«Allora sarà un segreto segretissimo?»
«Un segreto segretissimo.»
Si sorridono complici, si prendono per mano ed entrano in una gelateria vicina.
Lui tira fuori una sigaretta dalla tasca dei jeans e la accende a fatica, la mano continua a bruciare anche nascosta da quel fazzoletto ormai sudicio.
Chiude gli occhi e tenta di concentrarsi sulla sua sigaretta, sul fumo che sembra riempirlo, sembra riempirlo e invece lo lascia vuoto, lo abbandona. Anche lui.
Vorrebbe poter riposare, non si ricorda nemmeno più quand’è stata l’ultima volta che ha dormito.
Ma forse non ci riuscirebbe nemmeno, a dormire.
Forse resterebbe sdraiato su un letto vuoto, con gli occhi al soffitto e la testa troppo piena di pensieri.
Ispira.
Espira.
Fumo che entra.
Fumo che esce.
Occhi chiusi, occhi ben chiusi e riesce a vedere Prudence con il capo chino su un vassoio pieno di tazzine, possiamo parlare? ma lei lo sta ignorando, Prudence stringe le mani a pugno e ha gli occhi lucidi, sei arrabbiata? non glielo chiede, non gli interessa, vuole solo affondare il coltello nella piaga e farla sentire tagliata e rotta e vuota come si sente lui, a Prudence piace scappare vero? e due grandi occhi verdi lo guardano stanchi e confusi e furiosi, vaffanculo! e Prudence se ne va, se ne va con disegnato sul viso lo sguardo del non-puoi-aggiustarci.
Non-puoi-aggiustarci.
Ma come si permette? Ma come può trattarlo così? Dopo tutto quello che Lui ha fatto per Lei, dopo tutto quello che Io ho fatto per Te e solo per Te.
 

Tutto-quello-che-Io-ho-fatto-per-Te, ad esempio incontrare un non-padre, parlare con lui, io non avrei voluto ma è successo, ma è accaduto, ma i miei piedi mi hanno portato davanti ad una villa bianca, bianca come foglio di carta e grande, grande, grande da potercisi perdere dentro.
E che giardino curato e perfetto, così perfetto da darmi quasi sui nervi! C’erano metri e metri di aiuole piene di fiori, fiori di tutti i colori e sembrava di essere ad Amsterdam, ti ricordi di Amsterdam? La tua città preferita, sembrava proprio che il tuo non-padre se ne fosse portato via un pezzetto.
Ho suonato il campanello e la porta si è aperta immediatamente.
Finbar Gallagher?
Un signore con gli occhiali a mezzaluna, i capelli radi ed un bicchiere di vino in mano mi ha sorriso e mi ha invitato ad entrare.
Poi è scomparso.
Sono rimasto solo in una casa grande, piena di persone, quante persone! Quanti volti da ogni parte, così tanti volti ma non sembravano bastare, non bastavano, e c’erano volti enormi appesi anche alle pareti e io li ho guardati, li ho studiati.
Non ci ho mai capito nulla di arte, artisti e pittura ma li ho guardati, quei volti, li ho fissati con attenzione.
Ho percorso lentamente i corridoi larghi e affollati e ho studiato i visi appesi alle pareti e ce n’era uno, ce n’era uno che aveva la pelle chiara, le labbra carnose, i capelli scuri lunghi e ondulati e due grandi, grandi occhi verdi.
Mi sono fermato.
L’ho guardato intensamente e mi ci sono spinto dentro, mi sono arrampicato sulle guance rosee e poi su, su fino a quegli occhi grandi, grandi, grandi e mi sono raggomitolato dentro a quel verde, mi sono nascosto in quelle sfumature che sapevano di erba, di albero, di fiume, di pianta che germoglia, che cresce, cresce ed io c’ero, ero lì, aggrappato a quella pianta magica, immerso dentro a quegli occhi grandi, galleggiando nel più bel verde che esista al mondo.
E mi sono sentito pieno, profondo, immenso, grande, infinito e avrei potuto espandermi dentro a quella stanza, rompermi e disperdermi in milioni di piccolissime particelle, avrei potuto non esistere neanche più e restare intrappolato dentro a quel quadro, dentro a quel viso, dentro a quegli occhi.
«Le piace?» mi ha chiesto qualcuno.
Mi sono voltato ed era là, accanto a me, un non-padre con un bicchiere di vino rosso tra le mani.
«Mi piace in modo tremendo.»
Ho sorriso.
Ha sorriso.
«La ragazza in carne ed ossa è ancora più bella.» ha detto e ha sorriso.
Ha sorriso, un sorriso largo e pieno, un sorriso schifosamente fiero ed orgoglioso.
Avrei voluto prenderlo a pugni e togliergli quel dannato sorriso dalle labbra.
Cosa diavolo hai da sorridere?
«Lo so bene.» ho detto.
Gli è caduto di mano il bicchiere e il vino si è rovesciato a terra e ha colorato di rosso le pareti bianche.
Ho sorriso di nuovo.
Mi ha costretto a voltarmi e mi ha guardato dritto negli occhi.
«Chi sei?»
«Non so se le basterà un quadro per cavarsela con Prudence.»
«Chi sei?» ha quasi gridato.
Qualcuno si è voltato e ci ha guardato, una giovane donna con i capelli biondi e gli occhi scuri si è precipitata accanto al non-padre, seguita da una ragazzina e una bambina che si somigliavano in modo impressionante.
E gli occhi blu del non-padre erano così furiosi, così spaventati.
«Ti piace la tua vita, Finbar? Sei felice di te stesso? Scommetto di sì, hai una bella casa, un bel conto in banca, una bella famiglia… » ho fatto un cenno con il capo alla donna bionda e alle sue figlie, non avrei voluto metterle in mezzo ma erano lì, erano lì e sembravano gridare lui-ormai-ha-scelto-noi-e-di-Lei-si-è-dimenticato «è importante la famiglia, non credi? Sono importanti i figli. Tu ci tieni, ai tuoi figli?»
Mi ha fissato e sembrava arrabbiato e ferito e umiliato e impaurito.
«Certo che tengo ai miei figli, non è nemmeno una domanda da porre ad un padre!»
«Un padre non lascia sua figlia nella merda senza farsi più sentire.»
«Non è andata così!»
«Ah no? E com’è che andata? Racconta, ti ascolto.»
«A te non sono tenuto a raccontare nulla!»
Mi ha afferrato per un braccio e mi ha trascinato fuori, fuori di casa, lontano da tutti quei volti, lontano dalla sua famiglia, dalla sua bolla di felicità.
Ha spalancato la porta e mi ha quasi sbattuto per terra.
«Non farti più rivedere o chiamerò la polizia!»
Stava per rientrare in casa.
«Ha una figlia.»
Si è fermato.
Mi ha guardato.
«Che cosa?»
Mi sono rimesso in piedi e ho tentato di scuoter via la terra dai vestiti.
«Che cosa hai detto?» ha chiesto di nuovo.
L’ho guardato e ho provato a cercarti dentro ai suoi occhi, cara Prudence, ci ho provato ma non c’eri.
Non c’eri su quel viso, non eri su quelle labbra sottili o in mezzo a quei capelli biondi, e nemmeno dentro a quegli occhi blu.
Non c’eri.
«Ho detto che sei diventato nonno. Congratulazioni, stronzo.»
Me ne sono andato, ma prima di allontanarmi ho visto un ragazzo alto, biondo, con gli occhi blu e un sorriso contagioso.
Era seduto sull’erba e parlava animatamente con una ragazza.
Indossava una maglietta con sopra la linguaccia dei Rolling Stones.
Ho sorriso e sono corso via.
 
 
 
Sono passati tre giorni da quella sera, tre giorni senza mangiare e dormire e lui avrebbe solo voluto parlarLe, avrebbe solo voluto stringerla forte tra le braccia e mi dispiace Prudence, mi dispiace per tuo padre, mi dispiace per la solitudine e mi dispiace se sei arrabbiata, ma non ne vale più la pena.
Ma non pensarci, non pensarci, tanto ormai se n’è andato.
Ma resto io, resto io anche dopo le lettere cattive e gli abbandoni senza spiegazioni.
Resto io.
Ma Lei non vuole che resti, ma Lei non ha più nulla da dirgli e lui resta seduto su una panchina, solo e con lo stomaco vuoto, una sigaretta tra le mani e davanti a lui tante vite che vanno avanti, che continuano, proseguono come se nulla fosse.
Tutto va avanti, avanti, avanti e cosa c’è lì davanti?
E lui vorrebbe ci fossero Prudence e i suoi occhi verdi.
E lui vorrebbe restare.
Ma Lei non vuole che resti.
E quindi è così? E quindi ci siamo rotti irreparabilmente, persi per sempre?
Non lo sa più con certezza.
Non sa niente con certezza.
Non sa cosa sia la certezza.
La sigaretta è finita, bruciata, caduta, schiacciata.
Alza gli occhi e pensa avanti, avanti, avanti e non lo sa, non lo sa se riuscirà ad andare avanti, così avanti, lì davanti.
Vorrebbe restare.
Ma Lei non vuole che resti.
 
 
 
 
Salve bella gente!
E mentre Ben si scatta le foto in mezzo alle piante grasse(il disagio di quest'uomo è un qualcosa di meraviglioso), io ritorno, dopo un mese di assenza, con un nuovo capitolo dei due sfigati che hanno proprio raggiunto il picco massimo di sfiga!
Anzitutto chiedo venia per il ritardone improponibilmente improponibile ma è un periodaccio, comunque spero l'attesa sia valsa la pena!
Il capitolo in questione ha subito numerose distruzioni e ricomposizioni e alla fine ho deciso di impostare l'incontro Barny/suocero(mi sa che un po' di disagio ce l'ho anche io, eh) in questo modo perché... perché sì, ecco.
E niente, ringrazio come sempre tutti i lettori(silenziosi e non) ed evaporo.
Hasta luego,
C.


 P.S: Ho deciso di togliere le foto e di non metterle più perché mi facevano un po' tribulare con l'editor ed alcune, a volte, scomparivano misteriosamente... verrà il giorno in cui andrò d'accordo con l'editor di efp.
Ma non è questo il giorno.
 

 
  
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