Fanfic su attori > Tom Hiddleston
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Autore: teabox    18/01/2015    5 recensioni
Per Tom doveva essere solo una serata di beneficenza, l'ennesimo evento a cui partecipare perché gli era stato chiesto e perché non aveva potuto rifiutare. Per lei, invece, la questione era vagamente più complicata. Entrambi, comunque, erano ben lontani dal sapere o immaginare che il caso avesse in mente un piano tutto suo.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nota: terzo ed ultimo capitolo! Grazie mille a chi è stato così gentile da perdere un po' di tempo leggendo questa storia e a dare un'occasione alle mie idee sceme. Davvero, mille mille grazie. 

 

 

 

 

 

Il giorno dopo alle otto e diciotto minuti della mattina Olive sarebbe velocemente tornata nella sua camera da letto per cercare un paio di pantaloni da indossare. Tom, invece, sarebbe rimasto sul divano a fissare per qualche istante il punto dove era comparsa Olive, la gola secca e la mente temporaneamente bloccata. Si sarebbe poi alzato con una certa cautela e avrebbe raggiunto la camera di Olive, fermandosi sulla soglia. 

Olive lo avrebbe guardato con un misto di imbarazzo ed ansia, ma non avrebbe detto nulla. 

Sarebbe stato Tom a parlare. «Quello che ho detto ieri non è vero», le avrebbe annunciato. 

Olive non avrebbe saputo come prendere quella frase  per un po’.

 

*

 

«Cosa succede ora?»

Olive gli lanciò un’occhiata perplessa. Avevano appena lasciato la festa di Lady Burke-Roche e Londra sembrava particolarmente fredda quella sera. 

«Non so cosa succede a te», rispose lei, «ma io ho del noioso lavoro di ricerca da fare.»

«Posso aiutarti?»

«No.»

«Posso darti un passaggio?»

«Solo se sei qui con la Jaguar.»

Tom estrasse un set di chiavi dalla tasca interna della giacca e lo fece dondolare davanti al viso di Olive.

«Voleva essere una battuta», replicò lei esterrefatta. «E davvero, chi gira per Londra con una Jaguar?»

Tom sorrise con leggerezza. «Non vedo perché no, quando sai che hai un parcheggio sicuro. Allora andiamo?»

Olive scosse la testa incredula. «Assurdo», mormorò prima di seguirlo. 

 

Quando raggiunsero la macchina, Tom si affrettò per aprirle la portiera e lei gli lanciò l’ennesimo sguardo sconcertato. «Ma da che secolo arrivi tu?»

Tom alzò le spalle. «Credo solo che la cavalleria non sia ancora morta.»

Dopo che lei gli indicò la zona generale verso cui dirigersi, perché non aveva voluto dargli l’indirizzo preciso - nonostante Tom le avesse fatto presente che sarebbe stato più facile inserirlo nel navigatore e non pensarci più - la macchina scivolò silenziosa lungo le strade della città. Tom aveva acceso la radio a volume basso, più che altro per riempire un po’ del silenzio dell’abitacolo, senza intralciare però possibili conversazioni. Non che lei sembrasse particolarmente inclinata a parlare, comunque.

 

Tom tamburellò con le dita il volante. «Serata…interessante.»

«Interessante, sì.»

«Il noioso lavoro di ricerca riguarda quella donna che pensi di conoscere?»

«Sì.»

«Come funziona? Avete una specie di database o Facebook per voi del mestiere?», domandò Tom scherzando.

Non poté davvero vederla perché teneva gli occhi fissi sulla strada di fronte a lui, ma notò comunque che Olive si era voltata a fissarlo. Probabilmente con un’espressione allibita.

«Era una battuta», precisò trattenendo una risata. «Preferisci che stia zitto?»

Olive tornò a guardare davanti a sé. «No, non importa. Voglio dire, al momento non posso comunque fare granché.» Fece una piccola pausa. «Senti.»

Tom le lanciò velocemente un’occhiata. «Sì?»

«Mi dispiace per stasera. Non credere che io sia così cieca o assorbita da questo lavoro per non rendermi conto che è stato uno sbaglio coinvolgerti. Non avrei mai dovuto lasciare che-»

«Olive», la interruppe lui gentilmente.

«…sì?»

«Sono io che ti ho chiesto di coinvolgermi. Ti ho praticamente forzato ad accettare la mia richiesta. Ed è stato divertente. Niente di cui scusarsi.»

 

Lei tornò a richiudersi in un silenzio che interrompeva solo quando doveva indicargli quale strada prendere o a quale semaforo svoltare. 

«Puoi fermarti qui», disse infine indicando una serie di antiche palazzine in mattoni che si ripetevano lungo il resto della strada. 

Tom accostò la macchina ed Olive uscì prima che lui potesse aprirle la portiera. Sembrava a tutti gli effetti che non vedesse l’ora di sbarazzarsi di lui.

La raggiunse sul marciapiede e le sorrise, ignorando la nota di disappunto che sentiva sapendo che la serata con lei era finita.

«E’ stato un piacere rivederti», le disse offrendole la mano in un modo quasi formale.

Olive sembrò vagamente a disagio, ma la strinse comunque con un piccolo cenno del capo. «Buona notte, allora. E grazie», aggiunse poi, come se si fosse trattata di una riflessione tardiva. 

Tom sorrise e aspettò che arrivasse al portone della sua abitazione - un po’ perché per lui la cavalleria davvero non era morta e un po’ perché voleva osservare Olive qualche istante di più.

Fu quando lei fu sul punto di sparire nell’ingresso che Tom si trovò improvvisamente a pensare qualcosa - chissà quando e se la rivedrò - e a dire, altrettanto improvvisamente, qualcos’altro. 

 

«Non hai mai chiamato.»

Olive si fermò sulla soglia della sua palazzina, la mano sul pomello del portone. «Come?»

Tom le si avvicinò di qualche passo. «Hai il mio numero, ma non lo hai mai usato. Nessuna chiamata, nessun messaggio.»

Lei lo guardò perplessa. «Nemmeno tu.»

«Sì, ma sono stato io a darti il mio numero di telefono», rispose Tom facendo un altro passo e chiudendo quasi del tutto la distanza che li separava. «Di conseguenza sarebbe stato normale che tu fossi la prima a chiamarmi.»

«Tom, guardami. Cosa pensi che ne sappia di cosa si suppone sia normale o no?»

Lui scoppiò a ridere. «Ottimo punto.»

Olive gli sorrise. «E comunque ho pensato che non volessi davvero che ti chiamassi. Probabilmente il giorno dopo ti sei svegliato in panico e hai pensato “per la miseria, cosa ho fatto”.»  

«Il tuo problema è che pensi troppo.»

Lei rise. «Ho diversi problemi ma credimi, “pensare troppo” non è uno di quelli.»

Tom fece un passo indietro. «Allora buona notte?»

Olive aprì la bocca per dire qualcosa, ma sembrò poi cambiare idea. Lo guardò con una tale indecisione dipinta del viso, che Tom non poté fare a meno di domandarsi quale specie di battaglia interiore stesse combattendo in quel momento. 

«Buona notte», gli disse infine lentamente.

 

Tom le sorrise e, un istante prima di allontanarsi, le sfiorò la mano con una mezza carezza. Raggiunse la Jaguar conscio che lei lo stava ancora osservando dalla soglia della palazzina e, scivolando dentro la macchina, esitò un attimo prima di infilare la chiave. Era stato colto da un’idea. Un’idea che, ad essere onesti, era ridicola da sotto qualsiasi luce la si volesse vedere. Un’idea che, ad essere proprio del tutto onesti, forse solo un diciottenne in crisi ormonale avrebbe considerato.

Per la miseria, pensò Tom sorprendendo anche un po’ se stesso, lo sto per fare comunque.

Sfilò la chiave ed uscì dalla macchina, guardandola sconcertato.

«Che succede?», domandò Olive perplessa.

«La macchina. Non vuole partire. Le Jaguar, che dire, belle ma inaffidabili.» Fece una pausa prima di aggiungere un’altra idea dell’ultimo minuto. «E il mio cellulare è morto.»

Olive rimase in silenzio per un attimo, il labbro inferiore catturato dall’esitazione, prima di domandare quello su cui Tom aveva contato. 

«Vuoi chiamare un taxi dal mio appartamento?»

 

Tom le sorrise. «Sarebbe davvero gentile», rispose chiudendo la macchina e infilando il cellulare - spento - nella tasca interna della sua giacca.

In qualsiasi altra circostanza non si sarebbe mai permesso di fare una cosa del genere, ma quella sera le regole a cui generalmente si sarebbe attenuto sembravano essere state tutte mandate all’aria. E quello che Tom voleva era solo passare un altro po’ di tempo con lei, sapendo che non c’era modo di essere sicuro che l’avrebbe mai rivista. 

 

*

 

Olive si spostò dall’ingresso del suo appartamento ad uno dei piani alti della palazzina, lasciando spazio a Tom perché entrasse. Si dimenticava sempre dell’effetto che l’appartamento faceva sulle persone che lo vedevano per la prima volta. Le finestre che dal pavimento quasi raggiungevano il soffitto alto, l’arredamento scelto con attenzione perché bilanciasse moderno ed antico, pratico e confortevole, gli innegabili tocchi di lusso casualmente messi in mostra.

 

«Non farti idee sbagliate», disse lei sentendo la necessità di giustificarsi, «il posto non è mio, è di M. Uno dei benefici della professione.»

Non gli fece presente che c’era la probabilità che con quello che aveva messo da parte in banca se lo sarebbe comunque potuto permettere, perché quello era un dettaglio irrilevante. 

 

Tom camminò lentamente per il salotto, fermandosi ad osservare le stampe appese ai muri, i libri sulle mensole, le poche foto che Olive si era permessa di incorniciare. 

«Il telefono è lì nell’angolo», gli fece presente lei indicandolo con una mano. Si sfilò i tacchi con un sospiro di sollievo, ma si sedette di fronte al computer ancora in abito da sera. «Se vuoi qualcosa da bere, guarda nel frigo o nel mobile sotto il telefono.»

Sentì il piccolo suono metallico dell’armadietto dei liquori aprirsi. 

«Beh, sì. Accidenti», commentò Tom.

Olive immaginò che si riferisse alle bottiglie di whisky che, se non altro, dimostravano una certa parzialità per quel liquore. «Mi aiuta a dormire, quando faccio fatica a prendere sonno», spiegò lei, l’attenzione divisa tra le ricerche che stava facendo sul computer, i messaggi che stava mandando e la sottile sensazione della presenza fisica di Tom nell’appartamento. Chiuse gli occhi per un attimo e si concentrò. Non era il momento di distrarsi. Doveva creare un dossier il più dettagliato possibile e farlo avere ad M per prima cosa la mattina successiva. Il che significava non avere molte ore a disposizione. 

 

Non ci volle molto prima che il ritmo quasi costante della tastiera le facesse dimenticare tutto il resto. L’abito da sera che non vedeva l’ora di togliersi, il fatto che fosse terribilmente stanca e Tom da qualche parte nel suo salotto. 

Era riuscita a trovare alcune informazioni e molti segni ed indizi che sembravano confermare la sua intuizione di qualche ora prima. Si dedicò a raccogliere tutto ed annotare le sue supposizioni, e quando finalmente sembrò aver finito, si stupì dell’ora che l’orologio nell’angolo dello schermo del computer sembrava indicare. 

Sospirò cercando di rilassare i muscoli del collo e della schiena, e si voltò per trovare Tom addormentato sul divano del salotto. Lo guardò per un istante con confusione - un cosa ci fa lui qui? che aveva fatto una fulminea apparizione nella sua mente - prima di rendersi conto che in quelle ore in cui era stata occupata a fare ricerca, si era dimenticata della sua presenza.

 

Raggiunse il divano e si piegò di fronte a Tom, osservandolo per un attimo. Era un peccato doverlo svegliare, ma sapeva per esperienza che quello non era un posto comodo per dormire. Si sarebbe svegliato con dolori peggiori di quelli che sentiva lei in quel momento. 

Lo picchiettò delicatamente sulla spalla e lui aprì a stento gli occhi. 

«Per tua informazione ho un letto. Forza, è ora di andare a dormire.»

Tom la guardò perplesso. «Olive?»

«In carne ed ossa. Coraggio», lo aiutò ad alzarsi e lo diresse verso una delle porte che dava sul salotto. «Da quella parte.»

 

Tom si lasciò spingere senza lamentarsi, ma una volta dentro la camera da letto di Olive, rimase fermo come se una parte di lui stesse ancora dormendo.

Olive scosse la testa e si disse - e si ripeté un paio di volte - che non c’era assolutamente nulla di strano nell’aiutarlo a svestirsi, dato che lui sembrava non intenzionato a farlo. 

Gli sfilò la giacca e la cravatta, piegandoli e appoggiandoli con cura su una sedia nella camera. Esitò un attimo prima di slacciare la cintura e toglierla, ed esitò molto più di un attimo prima di slacciare il bottone dei pantaloni. Cambiò idea all’ultimo momento dedicandosi prima alla camicia, ma quando iniziò a sbottonarla, notò le sua mani tremare appena e si disse di non essere ridicola. 

 

Il petto di Tom si mostrò tra i due lembi della camicia. Olive esitò di nuovo. Fu quasi con lo stesso timore con cui avrebbe toccato un oggetto particolarmente fragile che sfiorò con le dita la pelle di Tom, separando la stoffa della camicia e salendo fino alle spalle.

Lui si schiarì la voce ed Olive alzò immediatamente lo sguardo su di lui. Sembrava improvvisamente molto sveglio. Arrossì, facendo un passo indietro. «Immagino che tu possa prenderti cura del resto», gli disse con un tono appena spigoloso, affrettandosi a sfilargli la camicia con meno attenzione di quanta ne avesse usata fino ad un attimo prima.

«Peccato», rispose lui, la voce bassa e quasi pericolosa, «iniziava a piacermi l’attenzione.»

 

Lei gli diede le spalle senza rispondere, affaccendandosi con il piegare, ripiegare e mettere in ordine i suoi vestiti - qualsiasi cosa pur di distrarsi.

Aspettò di essere certa che Tom si fosse infilato nel letto prima di spegnere la luce nel salotto - l’unica che aveva lasciato accesa e che aveva rischiarato appena la camera da letto.

Tornò allora nella stanza al buio e si sfilò l’abito velocemente, cercando una maglietta con cui coprirsi, prima di entrare - con un nervosismo che non apprezzava - dentro il letto. 

 

Aveva appena iniziato a rilassarsi, quando Tom si voltò - intuì Olive - verso di lei. 

«Avrei una domanda.»

Lei lasciò passare un istante. «Dimmi.»

«Se le circostanze fossero diverse, pensi che considereresti un appuntamento con me?»

Il cuore di Olive si mise a battere più velocemente. «Se le circostanze fossero diverse, credo di sì», rispose lentamente.

«Se le circostanze fossero diverse, so che mi piacerebbe corteggiarti.»

Lei rise piano. «Corteggiarmi

«Parola troppo antiquata?», domandò lui divertito. «Allora diciamo che mi piacerebbe fare le cose a modo. Portarti fuori a cena, accompagnarti a teatro. Un picnic da qualche parte, una sera al cinema.»

«Tre mesi prima di tenersi mano per mano?», suggerì Olive scherzando.

Tom rise. «Forse. Perché no.»

Olive gli sorrise, anche se nel buio lui non poteva vederla. Poi qualcosa di triste sembrò appoggiarsi sul fondo del suo stomaco. «Ma le circostanze non sono diverse», gli fece notare.

Tom non rispose immediatamente, ma quando parlò, lo fece con un che di grave nella voce. «No, non lo sono.»

 

 

 

Per Tom la stranezza non fu tanto nello svegliarsi in un posto che non conosceva - quella era una sensazione a cui si era ormai abituato da tempo - quanto sapere, ad un puro e semplice livello fisico, che c’era una persona distesa accanto a lui e che quella persona era Olive. 

 

Cercò di muoversi lentamente, allungando le braccia sopra la testa per rilassare i muscoli che non avevano avuto abbastanza riposo, ma riabbassandole le sfiorò per sbaglio la schiena. La guardò per accertarsi di non averla svegliata e rimase poi a fissarla per un altro po’, cercando di mettere ordine tra la confusione di pensieri che gli riempivano la testa.

 

La serata appena passata era stata qualcosa di assolutamente unico. Gli sarebbe bastato chiudere gli occhi per sentire di nuovo la pelle del suo collo sulle labbra o quel bacio che lei gli aveva dato. O come lo avesse spogliato e gli avesse sfiorato il petto con le dita, e quel momento di assoluta follia in cui per un istante aveva pensato semplicemente di prenderla e portarla a letto.

 

Tom si passò con una certa frustrazione una mano sul viso, massaggiandosi gli occhi e la fronte. Decise che sarebbe stato meglio lasciare il letto e allontanarsi da lei e dal quell’attraente calore che il suo corpo sembrava emanare. 

Si mosse con cautela raccogliendo i pantaloni e la camicia della sera prima e si chiuse la porta alle spalle, cercando di non disturbarla. Guardò lungo il salotto con una sensazione di totale assurdità. Non riusciva ancora a capacitarsi di essersi addormentato sul divano. 

 

La sua idea iniziale, la sera prima, era stata di passare mezz’ora - al massimo un’ora - di più con lei e quindi pretendere di chiamare un taxi e andarsene. Ma qualcosa - le luci soffuse del salotto, una certa tranquillità nell’ambiente, il suono ritmico delle dita di Olive sulla tastiera - lo avevano rilassato al punto che nemmeno lui sapeva esattamente quando si fosse addormentato.

Cercò qualcosa con cui distrarsi - qualcosa che portasse la sua mente lontano da quella nota costante che apparentemente era diventata Olive - e prese un libro di fotografie, che portò con sé sul divano del salotto. 

 

Riuscì a raggiungere solo la tredicesima pagina. La porta della camera da letto si era a quel punto aperta ed Olive era comparsa sulla soglia. Per la precisione Olive, le gambe nude completamente esposte e un’aria che da assonnata si era velocemente trasformata in imbarazzata.

E nonostante lei fosse sparita piuttosto velocemente nella camera da letto e non ci fosse stato più nulla da vedere nel punto in cui si era trovata, Tom non riuscì a spostare lo sguardo per un lungo, lungo momento.

 

*

 

Olive sapeva essere sufficientemente creativa con le parolacce. Che forse non era un talento di cui andare molto fieri, ma tornava pur sempre utile in alcuni momenti di particolare frustrazione. Eppure, in quella situazione, tutto quello che la sua testa sembrava potesse formulare era una catena pressoché infinita di “perché?”. 

 

Cercò un paio di jeans e se li infilò velocemente, giusto un attimo prima che Tom comparisse sulla soglia della camera da letto.

Di nuovo un’altra serie di “perché?” mitragliò la mente di Olive. Lo guardò, sapendo di essere arrossita e sapendo di avere ancora l’aria di chi si è appena svegliato, ma non trovò nulla da dire, vagamente a disagio nel silenzio che stava lentamente allungandosi fra loro. Ma del resto, Olive non aveva la più pallida idea di cosa fosse corretto - o appropriato - fare in una situazione del genere. 

 

«Quello che ti ho detto ieri non è vero», ruppe il silenzio Tom.

Lei lo guardò cercando sul suo viso qualche indizio riguardo a cosa si stesse riferendo. In fondo si erano detti numerose cose il giorno prima. 

«Non avrei bisogno di circostanze diverse per chiederti un appuntamento. Te lo chiederei comunque. Te lo chiederei ora.»

Olive sgranò un po’ gli occhi e si trovò ad arrossire di nuovo. «Oh», fu l’unica cosa che riuscì a rispondere, prima che il suono del videocitofono si allungasse nell’appartamento, raggiungendoli nella camera da letto e interrompendo quello che avrebbero potuto dirsi.

 

Quando il videocitofono suonò una seconda volta, Tom chiese ad Olive se non volesse andare a vedere chi fosse e lei accennò un sì con la testa, senza riuscire a guardarlo quando gli passò accanto.

Raggiunse il display e guardò l’immagine della persona che aspettava davanti al portone sulla strada. Si voltò per un attimo, incrociando lo sguardo di Tom. 

«E’ M», disse con un certo nervosismo.

Ed aprì il portone.

 

*

 

M non aveva un’età. 

O, almeno, questo era quello che amavano dire le persone che lavoravano per lei, dato che - graziata da un corpo e un viso che non sembravano invecchiare - non dimostrava mai più di quarant’anni. Il trucco leggero e un’impeccabile senso dello stile, poi, aggiungevano un ulteriore difficoltà a chi si volesse azzardare ad indovinare quanti anni avesse. 

 

M, inoltre, sapeva tutto. Tutto quello che le interessava sapere, s’intende. 

Olive ne era abituata, quindi non si sorprese nemmeno un po’ quando, quella mattina, entrò nel suo appartamento con una shopping bag di Ted Baker appesa ad un braccio. 

Salutò Olive con due baci sulle guance e sorrise amabilmente a Tom. 

«Felice di sapere che non mi sbagliavo nel pensare che avrebbe necessitato di questi, Mr Hiddleston», gli disse porgendogli la shopping bag.

Olive nascose un sorriso davanti all’espressione confusa di Tom. Lo osservò aprire la borsa ed estrarne un paio di pantaloni e una maglia. 

«Ho dovuto indovinare con le misure, ma generalmente ho buon occhio», continuò a parlare M casualmente, sfilandosi dalle spalle una mantella di lana, e quindi guanti e cappello. Gli sorrise gentilmente, notando come Tom non si fosse mosso. «Sono certa che senta la necessità di uscire da quei vestiti del giorno prima, Mr Hiddleston, e farsi una doccia. Dopo di che può indossare il suo cambio e raggiungerci per una tazza di caffè, sì?»

Tom guardò M con un certo imbarazzo. «Sì, signora. Grazie.»

Olive soffocò una risata che si guadagnò uno sguardo asciutto da parte di Tom.

«E Mr Hiddleston?», lo richiamò M all’ultimo momento.

Tom si girò con un aria nervosa.

«La prossima volta che sente la necessità di aiutare uno dei miei agenti, sarebbe meglio che si presentasse più preparato e preferibilmente pronto per circostanze ben peggiori di quelle di ieri sera.»

«Sì, signora», rispose di nuovo Tom impacciato, prima di trovare rifugio nella camera da letto.

 

Olive cercò di non ridere, ma guardò M divertita. «Un giorno mi devi dire come fai.»

«Non sono particolarmente contenta nemmeno di te, Olive», le fece presente M con un tono di rimprovero. «Mi è stato detto che non è del tutto colpa tua se Mr Hiddleston è stato coinvolto, ma dovresti sapere meglio di così. Avresti dovuto trovare un modo di lasciarlo fuori.»

Olive spostò lo sguardo di lato. «Lo so.»

M sospirò, rimanendo immobile per un attimo prima di avvicinarsi al divano e accomodarsi. «Ti chiederò solo una cosa, Olive, e non voglio che tu mi risponda subito. Voglio che tu ci rifletta e voglio una risposta sincera.»

Olive attese.

«C’è forse qualcosa riguardo a te e a Mr Hiddleston che vuoi dirmi o di cui dovrei essere a conoscenza?»

Lei s’irrigidì e la prima risposta - no, M, assolutamente nulla - le si bloccò in gola. 

«Come ti ho detto», riprese a parlare M, «non voglio che tu mi risponda subito. Pensaci e fammi sapere. Nel frattempo, potresti gentilmente preparare del caffè e aggiornarmi su quello che hai scoperto ieri sera?»

Olive accennò un sì, sentendosi immediatamente più rilassata. Non aveva nessuna difficoltà a parlare di lavoro, riassumere le informazioni importanti e i dettagli necessari. Erano gli aspetti personali che riuscivano sempre ad incastrasi nella sua testa e confonderla.

 

*

 

Tom tornò in salotto per trovare Olive alla porta d’ingresso con in una mano la mantella di M, temporaneamente occupata ad infilarsi i guanti. Il cappello era già al suo posto. 

«Mr Hiddleston», disse M guardandolo con apprezzamento, «decisamente molto meglio.»

Tom le sorrise. «Se mi dice quanto le devo-»

M lo fermò con un gesto vago della mano. «No, no. E’ in ringraziamento per i servizi resi ieri sera.»

Indossò poi la mantella, baciò Olive sulle guance e fece un cenno con la mano a Tom. «À bientôt.»

 

Olive si chiuse la porta alle spalle, prima di voltarsi e sorridergli - forse un po’ troppo allegra. «Caffè?»

«Perché no», rispose Tom. La seguì fino all’isola della cucina, dove un paio di tazzine aspettavano di essere usate. «Cos’ha detto M riguardo a quello che hai scoperto ieri sera?»

Olive versò il caffè. «E’ sembrata soddisfatta. Soddisfatta abbastanza da affidarmi il compito di fare più luce su quei piccoli particolari interessanti che sono saltati fuori.»

«Vuol dire che per il momento non sei più affidata ai test di sistemi d’allarme?»

«Parrebbe proprio così», rispose Olive allegra. Increspò poi la fronte. «Ora devo solo capire da dove cominciare.»

 

Tom rimase per qualche attimo in silenzio giocherellando con la tazzina del caffè. «La settimana prossima parto», annunciò poi all’improvviso. «Iniziano le riprese di un nuovo film e starò via grosso modo un paio di mesi.»

Vide Olive fissarsi le dita evitando il suo sguardo. 

«Ma una volta di ritorno, se tu non sei più a caccia di questa tua vecchia conoscenza, mi domandavo se-»

«Potremmo vederci di nuovo?», finì velocemente lei per Tom.

E lui non mancò di notare come Olive avesse scelto con attenzione di evitare parole che avrebbero potuto indicare più di un semplice incontro tra due persone unite da una strana amicizia.

Abbassò la testa con un piccolo sorriso mesto. «Esattamente.»

«Certo che possiamo vederci di nuovo», la sentì dire con forse una nota di forzata leggerezza.

«Bene», replicò allora Tom. Allontanò la tazzina da caffè e le sorrise con la stessa pretesa allegria che sapeva - immaginava, voleva sperare - stesse usando lei. 

Raccolse poi la shopping bag dove aveva messo i vestiti della sera precedente e trovò Olive in attesa all’ingresso dell’appartamento, la porta già aperta.

«Allora a tra qualche mese», disse lei vaga, solo qualcosa nel viso che sembrava tradire dell’altro.

Tom la osservò per un attimo, prima di piegarsi su di lei e lasciarle un bacio sulla guancia. «Puoi contarci», le rispose con un sorriso.

 

(E sì, Tom l’avrebbe rivista. E le avrebbe chiesto un appuntamento, ma lei lo avrebbe rifiutato. E anche se ci sarebbero stati alcuni contrattempi, si sarebbero baciati di nuovo comunque - e quello sarebbe stato solo l’inizio. 

Ma anche se Tom avesse potuto prevedere tutto questo, mai e poi avrebbe potuto immaginarsi che - tra una e l’altra di queste cose - si sarebbe trovato una notte, in abito da sera, a correre con lei sui tetti di Londra. Ma, davvero, dopotutto chi avrebbe mai potuto provedere quello.)

 

Fin

  
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