Serie TV > NCIS
Segui la storia  |       
Autore: _matthew_    24/11/2008    4 recensioni
Un caso semplice,in pratica già risolto,che all'improvviso si complica,mettendo in pericolo tutta la squadra.
Amori e paure riemergono dal passato di Tony,stimolando la curiosità di Ziva; ha senso essere gelosa della pagina più triste della vita di Anthony DiNozzo?
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Ciao a tutti! rieccomi qui ad aggiornare questa storia, che a quanto pare vi sta piacendo...mi fa piacere! premetto che questa storia era un po' troppo lineare per i miei gusti, quindi la mia mente contorta ha provveduto ad intricarla un pochino XD buona lettura!




"Mc..." piccola pausa, in cui McGee si convinse di aver sognato. Impossibile che qualcuno lo chiamasse in quella stanza d'ospedale dove l'unico essere vivente a parte lui, se così si poteva definire, era Tony.
"Pivello!" si diede un pizzicotto per accertarsi di essere sveglio, anche se il divanetto della stanza non era esattamente il luogo ideale per prendere sonno. Troppo scomodo.
Lanciò uno sguardo in tralice a Tony: gli occhi erano chiusi, ma le palpebre leggermente serrate come a difendersi dalla luce del sole che colpiva il viso, le labbra increspate in una muta protesta.
"Avete preso il numero di targa?" chiese ancora il malato, cogliendolo di sorpresa. Non riusciva a capire se fosse serio o meno.
"Mai sentito tanto a pezzi...era un camion?" continuò lui, fermandosi ad ogni parola per riprendere fiato.
"Si, Tony" rispose finalmente "Un camion che di nome fa peste, e di cognome polmonare" sicuramente una bella secchiata di realtà era il modo migliore per far tornare la lucidità ad un farfallone come Tony, sempre ammesso che non si stesse divertendo a fare la parte dello gnorri per farlo esasperare.
"Merda" soffiò lui, affondando un po' di più nel cuscino. No, a quanto pareva non stava recitando.
"Ah...e credo anche che tu abbia detto qualcosa di poco carino a Ziva" aggiunse subito. Era meglio dare le brutte notizie tutte insieme.
"Ma se ero in coma!" ribattè lui pronto, la prospettiva di una Ziva infuriata mentre lui era debole ed indifeso a letto non lo allettava granchè. Lo scontro era già impari in condizioni normali, in quel frangente per lei sarebbe stato fin troppo semplice lavare l'offesa nel suo sangue.
"Stato d'incoscienza, Tony, non coma" lo corresse prontamente McGee.
"Quindi a volte deliravi ad alta voce" si affrettò a chiarire ad una sua occhiata interrogativa. br> "E cosa dicevo?"
"Hai parlato con Ziva, non con me" specificò lui riluttante, cercando di rimandare il più possibile la confessione; si decidette a cedere solo dopo un paio di occhiate torve da parte dell'amico.
"Credo che tu l'abbia chiamata Kate" disse tutto in un fiato, come se dalla velocità con cui pronunciava le parole dipendesse la sua vita.
"Merda!" esclamò di nuovo Tony, mettendo più enfasi nella parola ed affondando maggiormente nelle coperte e nel cuscino.
"E cosa..." tentò di chiedere, stupendosi di non riuscire a finire la frase, e della sua improvvisa non voglia di sapere. Come se di Ziva gli importasse qualcosa sotto quell' aspetto. Assurdo, si affrettò a decretare.
"Quando è uscita dalla stanza era parecchio alterata" disse McGee, per poi affrettarsi ad uscire dalla stanza per fare una telefonata, lasciandolo solo a metabolizzare le notizie ricevute.

Stava per varcare la soglia del laboratorio, quando andò a sbattere violentemente contro un oggetto non identificato che emanava un forte aroma di caffè, e che sostenne incredibilmente bene l'urto.
"Gibbs!" lo salutò la scienziata, prendendo la tazza di caffè che le aveva portato. Lui rispose al saluto con un'occhiata molto più che eloquente, che Abby cercò di ignorare.
"Stavi venendo a dirmi che hai trovato qualcosa, Abby?" chiese poi, con i suoi soliti modi ruvidi.
"Stavo andando a trovare Tony...te l'hanno detto, no, che..."
"Si, Abby"
"Bene, allora..." tentò ancora la dark, provando inutilmente ad aggirare l'ostacolo Gibbs. L'ex marine si spostava con lei, impedendole di varcare la soglia.
"Nessuno si muove di qui finchè non scopriamo qualcosa" la informò gelido, invitandola a tornare tra la sua truppa di strumenti scelti.
"Ma Gibbs!"
"Niente ma, Abby!" la richiamò inflessibile, seguendola all'interno del laboratorio. I codini neri ebbero un guizzo improvviso mentre la proprietaria di girava di scatto, per assicurarsi che Gibbs non le stesse facendo un pesce d'aprile fuori stagione. Tornò a dirigersi verso il computer delusa, si sarebbe dovuta ricordare che Gibbs non scherzava mai.
"Cosa dovrei scoprire?" chiese abbattuta, picchiettando di malavoglia sulla tastiera. Non era per niente ispirata, e anche la sua tazza di caffè giaceva intonsa a qualche centimetro da lei, abbandonata sul tavolo pieno di elementi di prova.
"Per esempio chi ha sparato a Tony e Ziva, oppure chi ha messo in giro un avviso di cattura spacciando Tony per Ari, e anche" e qui Gibbs storse leggermente le labbra, infastidito dal doverlo dire "Chi ha eliminato il capitano Mallory, già che ci sei" concluse.
"Bene! Solo questo?" chiese ironica, alzando gli occhi al cielo.
"Ah, gia! Anche chi ha sparato a Sullivan nel suo ufficio, è da li che è partito tutto" replicò Gibbs con un sorriso tagliente.
"Prima finisci prima potrai andare all'ospedale" la informò infine, incontrando e sostenendo lo sguardo omicida di Abby. La dark, a quest'ultima affermazione, lo fissò per un'interminabile istante, come a soppesare il significato di ogni parola, poi scattò in piedi come una molla, gettandosi sul computer, e riappropriandosi in un guizzo dell'inseparabile fonte di caffeina.
"Avrai tutto in tempo di record, Gibbs!" affermò sicura, fissando con aria di sfida il pc. Gibbs sorrise sornione, ammirando l'effetto ottenuto con quella semplice ed innocua provocazione. In fondo bastava poco per far dare ad Abby il meglio di se: della caffeina e una sfida, e il gioco era fatto.
Tutti i marchingegni elettronici e ultramoderni contenuti in quel posto presero improvvisamente vita con un sommesso ronzio di ventole che entravano pigramente in funzione, quasi di malavoglia, mentre la musica che iniziava a diffondersi testimoniava che la giovane scienziata non era di ottimo umore, e sconsigliava l'ignaro viandante ad entrare, pena una scrosciante cascata di parole.
I codini sobbalzarono paurosamente, quando lei si voltò di scatto verso la soglia del suo regno, fissando con aria interrogativa la figura che non si era ancora decisa ad evanescere come suo solito.
"Questa volta aspetterò qui, Abby" rispose lui intuendo la domanda. Sapeva che non amava essere osservata mentre lavorava, ma quella non era una situazione normale; percepiva uno strano senso d'urgenza, come un presentimento oscuro ed inquietante.

Arrivò un po' trafelata all'ingresso dell'ospedale, superando a passo veloce il bancone dell'accettazione ed infilandosi in uno degli ascensori che stavano placidamente raccogliendo medici, pazienti e visitatori al loro interno. Schiacciò con eccessiva foga il tasto del quarto piano, mentre l'atmosfera ospedaliera l'avvolgeva con i suoi odori di disinfettante e profumo per ambienti, con quell'apparenza asettica e composta, che aveva imparato a detestare più di ogni altra cosa al mondo.
Anche più del poliziotto che continuava a starle appiccicato addosso, inseguendo chissà quale speranza di gloria o vendetta per il suo defunto capo; la costringeva ogni giorno di più a faticosi sforzi di autocontrollo per non cedere all'istinto da Mossad, che le suggeriva di scantonare per un paio di vicoli bui e poco frequentati, accertarsi dell'identità del bersaglio, e poi sparare. A scelta due colpi al cuore oppure uno alla testa; entrambe le soluzioni se si voleva essere puntigliosi.
Invece erano giorni che lo sopportava passiva, limitandosi a seminarlo di quando in quando, giusto per evitare che sapesse in quale lavanderia andasse, o dove facesse colazione la mattina. In quel momento era sicuramente appostato di fronte all'ingresso dell'ospedale ad aspettare che uscisse, per poter riprendere il suo pedinamento.
A tutto quello si era aggiunto McGee, che l'aveva chiamata un'ora abbondante prima dell'inizio del suo turno, dicendole che doveva assolutamente raggiungerlo in ospedale, senza però darle altre spiegazioni; aveva semplicemente riattaccato, lasciandola a bocca aperta e tremendamente preoccupata. Per quale motivo, poi, doveva ancora capirlo; forse era l'idea che qualcuno stesse cercando d'incastrarla, oppure il continuo trovarsi in quel continuo asettico ambiente che detestava tanto.
Una vocina continuava a gridare insistente che era colpa di Tony, ma lei continuava ostinatamente ad ignorarla; non poteva certo essere psicologicamente distrutta da un idiota in coma che la scambiava per una ex collega alla quale era legato. Se poi l'idiota di nome faceva Anthony DiNozzo, la cosa era ancora più ridicola, semplicemente impossibile, anzi.
Le porte dell'ascensore si aprirono con estenuante lentezza sul corridoio piastrellato del piano, permettendole finalmente di lasciarsi alle spalle quell'informe calca umana all'aroma di dopobarba da due soldi e disinfettante.
Percorse a passo rapido e sicuro i tre corridoi che la separavano dalla sua meta, sempre attenta a tutti quelli che incrociava, soprattutto se portavano una mascherina da sala operatoria calata sul viso. Un paio di volte la sua deformazione professionale la spinse a portare la mano vicino alla pistola, con un movimento fluido e ormai automatico; cosa che in passato le aveva salvato la vita parecchie volte.
Più si avvicinava, più sentiva le mani prudere, anche se non ne capiva la ragione. Improvvisamente McGee le si materializzò davanti, comparendo dall'angolo dei distributori automatici con due caffè, uno dei quali dall'odore troppo dolciastro per essere di Gibbs, e troppo poco abbondante per essere di Abby. Il calcolo era quindi presto fatto; il cuore, chissà perché, le fece un piccolo tuffo, mancando un battito e recuperando con una serie di battiti affrettati il momentaneo disguido.
"E' sveglio?" chiese con una voce troppo mielosa per i suoi gusti. Gli ospedali le facevano decisamente un brutto effetto.
McGee annuì leggermente, invitandola ad entrare con un cenno del capo e passandole la tazza di caffè dal forte contenuto di zuccheri.
"Credo che preferisca essere servito da te...di sicura ti ritiene più aderente al suo modello ideale di infermiera" disse ridendo.
Lei rispose con un sorriso inquietante, simile a quello che potrebbe avere un gatto mentre si prepara a giocare con il topo; con l'unica differenza che un gatto, per quanto abile, non può conoscere tutti i modi di uccidere noti ad un agente operativo del Mossad.
Quel pensiero parve attraversare la mente di McGee, regalandogli visioni a metà tra il comico e l'agghiacciante, e facendogli pregare che Tony si comportasse bene. Cosa decisamente impossibile, date le circostanze.
"Sei decisamente meglio delle ultime due infermiere che sono entrate...per non parlare del pivello" la accolse la sua voce, non appena aveva varcato la soglia della stanza, soleggiata e profumata di disinfettate.
"Ci stai provando Tony?" chiese pungente, fingendo un'aria scocciata e poggiando la tazza di caffè sul comodino, per poi sedersi a metà del letto, all'altezza delle sue ginocchia.
Avrebbe potuto sistemarsi sulla poltrona all'angolo opposto della camera, che portava tracce evidenti del soggiorno prolungato di McGee, o rimanere semplicemente in piedi a consona distanza; invece per un qualche strano motivo aveva sentito il bisogno di sedersi vicino a lui, e per un folle istante la sua mano aveva provato a cercare quella di lui. Poi si era subito ripresa, dandosi della stupida per quel gesto.
"Ti sono mancato, vero Ziva?" chiese lui con quel suo sorriso sornione che gli illuminava anche gli occhi, ammiccando provocante.
"No" dichiarò lei lapidaria, decisa a non dargli la minima soddisfazione.
"Vorresti dirmi che non eri preoccupata per me?" la punzecchiò ancora lui sfoggiando la sua migliore espressione da cucciolo bastonato. Decisamente Anthony DiNozzo sapeva recitare meglio di così.
"No" ripetè lei sicura, mentre le si dipingeva in volto un sorriso di sfida.
Tony allungò la mano verso la tazza di caffè, per bloccarsi poi a metà del gesto, preda di un forte accesso di tosse. Si portò entrambe le mani alla bocca, sollevando la schiena dallo schienale rialzato del letto, il corpo lievemente scosso da quello che sembrava un principio di convulsioni.
"Tony!" esclamò Ziva preoccupata, portandosi vicino al collega e cercando di scostargli le mani dal volto, completamente dimentica del proposito di non dargli soddisfazione. Quello che vide non le piacque; anzi, la raggelò, provocandole un improvviso moto di rabbia e forse dolore.
Senza riflettere regalò a quel viso sornione e sorridente, che si vantava in silenzio dello scherzo di pessimo gusto che le aveva appena fatto, il più sonoro dei ceffoni.
La sua mano rimase ad indugiare per un attimo sulla guancia di Tony, e lui l'afferrò prima che potesse ritrarla. Al contrario di lei non sembrava sorpreso per quel gesto, e la fissava con uno sguardo stranamente penetrante e serio.
"E questo per cos'era?" chiese tranquillo, regalandole un sorriso ambiguo e complice.
"Lo sai benissimo" lo gelò lei, fissandolo con la sua peggiore occhiataccia. Lui sostenne tranquillamente quello sguardo omicida, sperando che non diventasse tema ricorrente dei suoi incubi, scuotendo lievemente la testa.
"E' per l'innocente scherzetto..." iniziò lui, parlando leggermente sottovoce, come se iniziasse a mancargli il fiato "O perchè ti ho chiamata Kate?" concluse, cercando di inspirare, non visto, quanta più aria possibile. Stava iniziando a diventare faticoso parlare.
Lo sguardo di lei cambiò di colpo, assumendo uno strano miscuglio d'espressioni tra il triste e il sorpreso. A quanto sembrava la sua spia preferita non era brava a giocare ai segreti con i propri sentimenti.
Stava per rispondere, quando si sentì tirare la mano che Tony le aveva preso in precedenza; quell'azione tanto improvvisa quanto inaspettata la colse di sorpresa, facendola cadere verso di lui. Le loro labbra s'incontrarono, mentre le dita delle mani s'intrecciavano sulle coperte.
Per un tempo che le parve infinito, ma che per una mente mediamente razionale non doveva essere stato superiore al minuto, il suo cervello si spense completamente, abbandonandosi alle sensazioni che quel contatto tanto inaspettato le regalava.
Poi, così com'era andata, la corrente tornò, facendole notare l'assurdità di quella situazione, e la confusione che le provocava nella mente già sovraffollata. Immagini sfocate iniziarono a turbinarle davanti agli occhi, tra le quali una lapide dedicata a Kate e un bianco lenzuolo d'ospedale, macchiato da candide macchie rosso sangue, simili a mille rose appena sbocciate.
Poggiò le sue mani sul torace del ragazzo, sottraendosi poi a quel contatto tanto piacevole quanto irrazionale. Farfugliò qualcosa di simile ad una scusa, e si eclissò dalla stanza ad una velocità molto vicina a quella della luce, lasciandosi alle spalle un McGee perplesso e in cerca di risposte, che provò ad affacciarsi alla camera del collega, ma il suo sguardo di fuoco e il pesante ansimare lo informarono che non era il caso di fare domande.
Anche se avesse voluto rispondere, cosa di cui dubitava fortemente, la sua ancora ridotta capacità polmonare gliel'avrebbe impedito; era evidente che quei cinque minuti con Ziva, qualsiasi cosa fosse successa, l'avevano stancato più del previsto.

"Gibbs Gibbs Gibbs" trillò Abby, nel suo miglior tono da pessima notizia, girandosi verso l'angolo in cui si era asserragliato l'uomo, e rimanendo sorpresa dalla sua scomparsa. Di solito lui tendeva a comparire, quando lei trovava qualcosa, non a scomparire. Si fermò interdetta, il foglio che reggeva in mano fermo a mezz'aria.
"Sono qui, Abby" Le comunicò la sua voce alle sue spalle, strappandole un sorriso divertito. Sempre il solito Gibbs, che per nulla al mondo rinuncerebbe ad un'entrata di scena ad effetto.
"Ah...ecco, ci sono dei..." iniziò lei, accennando a girarsi verso di lui.
"Problemi, Abby?" completò lui, prendendole di mano il foglio appena stampato e leggendone il contenuto.
Il suo volto si rabbuiò all'istante; non aveva bisogno che qualcuno gli spiegasse il significato di tutti quei punti di riscontro per capire che si erano appena cacciati in un gran brutto guaio, anche se per una volta avrebbe tanto voluto sentirsi dire che stava sbagliando tutto, e che aveva capito male.
  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > NCIS / Vai alla pagina dell'autore: _matthew_