Capitolo
Ventisette: la Grande
Partenza
Il
sole stava ancora dormendo nella culla della notte.
Il
cielo e gli astri erano le uniche creature in grado di
riposare felici, quella sera. Il mattino avrebbe squarciato la notte e
milioni
di famiglie, il giorno successivo.
C’erano
tanti figli in lacrime, ad assorbire con avidità le
parole degli anziani genitori che avevano deciso di rimanere, cercando
di
imprimere quegli ultimi momenti nella memoria e maledicendosi per non
aver
fatto tesoro dei precedenti. Tanto tempo passato insieme, e
così pochi ricordi
messi nel forziere della memoria. Nessuno pensava mai di gioire per le
giornate
di vita quotidiana, credendo che quel tempo sarebbe durato per sempre.
Ma niente
era eterno, specialmente il tempo: scorreva incessante nella grande
clessidra
che era l’universo, e ormai non ne erano rimasti che pochi
granelli.
E
c’erano tre compagni che avevano deciso di sfruttare una
di quelle ultime briciole per farsi una bevuta insieme.
Antonio,
Gilbert e i loro compagni non si erano accampati
troppo lontano da Britannia, e Francis era riuscito a trovare qualche
minuto
per loro, prima di tornare ai preparativi condotti dal Mago
dell’Ovest. Gilbert
si era assunto la responsabilità di trovare
l’alcol ed era sparito nella sua
tenda, lasciando Antonio e Francis seduti sull’erba umida.
«Ecco
qua!» la tenda sputò fuori un Gilbert trionfante,
armato di una fiasca di metallo dall’aria consumata.
«La scorta di emergenza
non tradisce mai!»
«Dimmi
che non è quel liquoraccio insipido che ti porti
sempre dietro» lo supplicò scherzosamente Francis.
«È come bere fango. Dopo che
è stato filtrato dall’alito di un drago.»
«Non
rompere!» il ginocchio dell’Helsing si
schiantò in
mezzo alle sue scapole, preciso e micidiale, prima che Gilbert
scaricasse tutto
il suo peso in mezzo a loro. «Meglio di
quell’acquetta d’uva che hai la pretesa
di chiamare “vino”!»
«Il
vino è come una poesia» decantò
Francis, pomposo come
sempre. «Richiede palati fini per essere
apprezzato.»
«Palati
da femminucce» lo corresse Gilbert, le parole
sbocconcellate per via del tappo di metallo tra i suoi denti.
«Non
hai portato dei bicchieri?»
L’Hellsing
aveva un modo piuttosto fisico – in senso barbaro
– di dimostrare amicizia. Lo spostò con una
gomitata, raschiando:
«Cos’è,
rinascere ti ha rammollito? Un sorso a testa e via.»
«Io
non mi fido di bere dalla sua stessa bottiglia» Antonio
cercò di protestare seriamente, ma un sorriso si stava
già affacciando sulle
sue labbra mentre indicava Francis. «Si è portato
a letto mezza Confederazione,
chissà che strane malattie potrebbe passarci!»
«Da
che pulpito viene la predica!» il tentativo del
Fiammingo di fingersi offeso fu ancora meno convincente:
scoppiò a ridere a
metà frase. «Come se tu avessi passato la tua vita
a comportarti da uomo casto!»
«Ma
adesso sono un uomo impegnato»
annunciò Antonio con solennità, poggiando una
mano sul cuore.
«Anche
io» ricambiò Francis.
«E
io non capisco come abbiate fatto a impegnarvi con
persone del genere» Gilbert si rivolse ad Antonio, le
sopracciglia quasi unite
per la perplessità: «Lovino potrà
essere un ragazzo attraente, quando non ha
quel viso corrucciato…»
«Fa
parte del suo fascino.»
«Ah,
l’amore è come una lobotomia, ti rincretinisce
completamente»
Gilbert fissò mestamente il terreno, come se stesse
esprimendo le sue
condoglianze a un funerale. «Riparleremo del suo
“fascino” quando sarà
diventato un po’ più docile.»
Un
lampo di malizia attraversò le iridi di smeraldo del
capitano.
«Ma
lui è docile.
Solo che tu non puoi vedere quando.»
Gilbert
gli schiaffò una mano sulla faccia, spingendolo
all’indietro per prevenire qualunque dettaglio indesiderato
sulle attività
segrete dei due.
«Facciamo
in modo che la conversazione non vada in quel
verso, o il Fiammingo qui comincerà
a straparlare per delle ore intere!»
«Credo
di non avervi mai raccontato di quella ragazza
Asean…»
«Al
Mago dell’Ovest l’hai raccontato?» lo
prevenne Gilbert,
puntandogli contro il collo della fiaschetta come avrebbe fatto con una
pistola. «E a proposito del mago, non hai visto le
sue…» e indicò le proprie
sopracciglia argentate, mentre le labbra si torcevano in una smorfia.
«Sembrano
due alieni che vivono di vita propria su una faccia umana.»
«L’amore
non è una questione di sopracciglia. L’amore
è…»
Francis aveva già assunto una delle sue pose teatrali, ma la
sgonfiò quasi
immediatamente. «Sappiamo tutti che
cos’è. Siamo in quella fortunata frangia di
popolazione che ha sperimentato il vero amore.»
«Non
mettetemi al vostro stesso livello, non ho un gusto
deviato come il vostro! Matthew era bello sia dentro che
fuori!»
Le
dita callose di Gilbert si immobilizzarono attorno alla
fiaschetta. Era. Matthew “era”. Non credeva che uno
stupido verbo potesse fare
così male.
Le
ciglia argentee proiettarono un’ombra triste nei suoi
occhi sanguigni, quando li diresse verso il Marauder. La voce
uscì rugginosa,
come la lama di una spada stanca di combattere.
«Lo
rivedrò?» non osò aggiungere altro. Un
Hellsing in
lacrime sarebbe stato uno spettacolo assai gramo.
Gli
occhi azzurri vennero liberati dagli occhiali, che
Francis fece penzolare nel vuoto mentre rispondeva:
«Ti
sta aspettando, Gilbert. Ti sta chiamando.»
«Allora
perché non riesco a sentirlo?»
«Perché
ascolti dalla parte sbagliata» Francis spostò gli
occhi sul cielo trapuntato di stelle sopra di loro. «Ma ti
sta chiamando,
Gilbert. E lo ritroverai.»
«Come
fai a esserne sicuro?»
Francis
gli strappò la fiaschetta dalle mani e sparò la
sua
replica sul viso guerriero dell’Hellsing:
«Perché,
se non lo troverai tu, ti prenderò per un orecchio
e ti condurrò personalmente da lui, uomo dalla testa di
pietra.»
Il
liquore tanto insultato ebbe la sua vendetta non appena
toccò la gola del Marauder: la scorticò quasi con
il suo sapore violento, e il
Fiammingo tossì fino a farsi lacrimare gli occhi.
«Voi
Hellsing non avete mezze misure» annaspò,
restituendo
la fiaschetta.
«Voi
Marauder siete delle donnicciole» Gilbert sorbì un
lungo sorso, che inghiottì rumorosamente, per poi gonfiare
il petto con
orgoglio in direzione dell’amico agonizzante.
«Visto? Nessun problema.»
«Tu
devi avere il sistema digestivo di una viverna.»
«In
che senso?»
«Le
viverne mangiano sassi»
semplificò il Marauder, sventagliandosi con la mano. Erano
passati troppi anni
dall’ultima volta che aveva bevuto il liquore casalingo degli
Hellsing, e il
suo palato da esteta si era disabituato a quel sapore barbaro.
Antonio
si sporse oltre Gilbert per poter scrutare il
Fiammingo.
«È
strano» concluse alla fine della sua osservazione.
«Parli
come Francis, hai i ricordi di Francis, gesticoli come lui…
ma sei in un corpo
diverso. È strano parlare con un vecchio amico, quando
questo ha una faccia
nuova.»
«Potrei
farmi ricrescere la barba. Dite che mi donerebbe?»
il Marauder si massaggiò il mento, alla ricerca di peli
inesistenti.
«Era
ancora liscio come un bambino. Quanti anni avrà avuto,
il ragazzo che ha dato forma a quel corpo?» Antonio
rubò la fiaschetta a Gilbert,
e si ricaricò con un goccio di liquore. «Non ti fa
impressione stare nel corpo
di un ragazzo morto così giovane?»
Francis
si spalmò sulla faccia un sorriso forzato,
voltandosi verso Antonio.
«Amico
mio… stai cercando di farmi sentire un assassino?»
Il
pirata si sollevò in piedi, e stese la schiena contro il
velluto della notte. Le saette che crepitavano nel cielo strappavano
frammenti
della sua figura alle ombre. Visto in quel modo, il capitano sembrava
quasi una
creatura della notte pronta a tornare nel grembo materno.
«Forse
per te è normale, Francis. Hai vissuto moltissimi
anni più di noi» esordì Antonio.
«Ma per noi non è facile accettare il fatto
che tu sia morto e risorto in una settimana. Ovviamente siamo felici di
averti
con noi, è solo… complicato» la luna
infranse uno specchio argentato nelle
iridi del capitano, e così Francis capì che
l’amico aveva gli occhi lucidi di
lacrime. «Siamo solo umani, in fondo.»
Antonio
inspirò rumorosamente, e mosse un passo di lato,
verso il Marauder.
«E
poi, Francis… non riesco a togliermi dalla testa una
cosa. Quando Feliciano ci ha raccontato come avete scatenato gli
spiriti, ha
detto che tu avevi visto cosa sarebbe successo, trecento anni fa. Per
trecento
anni, hai saputo esattamente cosa sarebbe accaduto ai nostri pianeti. E
hai
lasciato che avvenisse.»
«Antonio…»
«Rivedo
in continuazione il volto di mio padre, che mi
guarda per l’ultima volta prima di bruciare con il resto del
pianeta. E ho
odiato il Mago dell’Ovest per così tanto tempo,
senza sapere che i fuochi di
Hispaňa lo tormentavano come tormentavano me… e
c’eri tu, dietro a tutto
questo. Tu che sapevi, e che non hai fatto niente per
impedirlo.»
«Ascoltami,
ci sono degli avvenimenti, nel corso del tempo,
che devono restare immutabili, anche se atroci…»
il capitano alzò una mano,
imponendo silenzio.
«Ma
poi» la voce si addolcì impercettibilmente.
«Poi mi
ricordo che tu eri sempre là. Non l’hai impedito,
ma non ci hai mai
abbandonato. Né me né Gilbert. Ogni volta, tu eri
là.»
Il
capitano si mise a sedere davanti a Francis, porgendogli
di nuovo la fiaschetta.
«Non
so quali grandi piani avesse il destino per questa
Galassia, e quanto tu ne sia stato coinvolto. Ma non posso dimenticare
che,
ogni volta che tendevo la mano, c’era un Fiammingo pronto ad
afferrarla.»
Un
sorriso triste solcò le labbra del Marauder.
«Avrei
voluto avvertirvi. Lo avrei voluto davvero. Ma non ho
potuto. Alcune cose non devono essere impedite, per quanto spaventose.
L’unica
cosa che potevo fare era starvi vicino» afferrò la
bottiglietta, ma non riuscì
a portarla alle labbra finché Gilbert non
biascicò:
«E
non è esattamente quello che fanno gli amici? Non possono
impedire che ci venga fatto del male, ma, diavolo! Se non ci sono loro
andiamo
in pezzi!» l’Hellsing gli assegnò un
pugno e un sorriso sghembo. «Grazie per
essere stato la nostra colla.»
«La
vostra “colla”?» lo prese in giro
Francis, accostando la
fiaschetta alle labbra. «Dovresti spolverare la tua riserva
di dichiarazioni a
effetto, Gilbert. È piuttosto carente.»
«Le
dichiarazioni a effetto erano riservate a Matthew, tu
non ne vali la pena.»
Di
nuovo, il Marauder quasi sputò un polmone dal naso sotto
l’effetto del liquore.
«E
dovresti rivedere anche la ricetta di questa sbobba. Ma
che diavolo è, fuoco greco?»
«Ricetta
segreta» dichiarò Giselbert con fare misterioso,
prima di sorbire un sorso lungo il doppio di quello del collega.
«E tu fatti
revisionare lo stomaco, femminuccia. Devono averti dato per sbaglio
quello di
un canarino.»
I
tre amici volsero lo sguardo verso il cielo.
Socchiusero
gli occhi, accecati dal bagliore della tempesta
di fulmini sopra di loro.
Nel
cielo si erano aperti dei vortici crepitanti, e tra le
loro spire si agitavano interi stormi di fulmini. Qualche serpente di
luce
arrivava fino al Confine del Mondo e ne azzannava un pezzo, e quello
cadeva
nell’aria, lento e leggero come un fazzoletto di seta, prima
di sparire in una
finissima polvere argentea.
«Avevano
detto che avremo guidato i nostri popoli» mormorò
Gilbert. «E guardateci ora. A guidare popoli stranieri verso
un’altra
dimensione. I nostri vecchi sarebbero fieri di noi.»
«Così
è questa. La fine» Antonio contemplò lo
spazio che si
sgretolava, un atomo per volta. Era terribile, era magnetico, era
magnifico. Ed
era l’ultimo scenario che avrebbero visto della
Confederazione in cui erano
nati e cresciuti.
«Qualche
rimpianto?» chiese Francis.
«Avrei
dovuto avere più cura dei semi che avevo piantato»
confessò l’Hellsing.
«Ho
fatto molte cose di cui non vado fiero. Non mi chiamano
“la Mano Destra del Diavolo” senza un valido
motivo» Antonio sospirò, mentre un
altro pezzo di universo di schiantava nel nulla. «Ma ogni
passo, anche quello
più insanguinato, mi ha portato qui. Ho dei rimorsi, ma non
dei rimpianti.»
«Io
ho sia rimorsi che rimpianti, in un numero che è quasi
imbarazzante da elencare» Francis chiuse gli occhi, e una
saetta disegnò
un’ombra bianca sulle sue palpebre. «Trecento anni
sono troppo lunghi per non
averne. Ma il mio più grande rimpianto
è…» Francis inforcò di nuovo
gli occhiali,
e un’espressione sorniona gli si accovacciò sulle
labbra. «Non vi ho ancora
raccontato di quella ragazza Asean.»
«E
te lo terrai, questo rimpianto! Io non voglio sentire!»
lo zittì Gilbert.
Rimasero
tutti e tre in silenzio, mentre lo spazio che si
sfasciava dipingeva bizzarri aloni di luce sui loro volti.
Antonio
tese la mano. E quelle dei suoi amici l’afferrarono
immediatamente, stringendola con tutta la loro forza.
Erano
sempre stati lì. Anche quando erano stati separati,
non si erano mai perduti.
«Eccoci
qui. Alla fine» constatò l’Hellsing.
«Ti
sbagli, Gilbert» lo contraddisse Antonio. «La
nostra più
grande avventura deve ancora cominciare. Da domani, avremo una nuova
dimensione
da esplorare.»
***
Il
sole si stava affacciando all’orizzonte.
Feliciano
osservava Ludwig, profondamente addormentato. Era
buffo come riuscisse ad avere un’espressione seriosa perfino
mentre dormiva.
Sfiorò
delicato la curva pronunciata dello zigomo, e le
palpebre del giovane fremettero prima di aprirsi.
«Feliciano?»
lo chiamò, la voce appesantita dal sonno. «Che
ore sono?»
«Tra
poco partiremo» annunciò il ragazzo.
Ludwig
si sollevò a sedere e scostò la frangia ramata
del
giovane per poterlo vedere meglio in viso.
«Feliciano?
Che cos’hai?» chiese, circondando il volto del
ragazzo con le mani.
I
palmi di Ludwig erano ruvidi, gentili, e quando lo
toccavano con tutta quella premura Feliciano aveva voglia di piangere e
ridere
di gioia al contempo.
Il
giovane portò le mani su quelle di Ludwig. I suoi palmi,
invece, erano morbidi e tremanti. Era il mago più potente
della Galassia, e il
più spaventato.
«Ho
paura» ammise in un respiro tremulo.
«Il
Mago dell’Ovest ha aperto un portale, in passato,
è un
processo sicuro…»
«Non
ho paura di quello» Feliciano strinse forte i polsi del
suo amante. Sapeva che dire una cosa del genere sarebbe stato crudele,
ma come
poteva lasciare Ludwig nell’ignoranza? «E se nella
prossima dimensione non ci
fosse la magia?»
Il
Guardiano lo fissò senza capire, con i suoi occhi
azzurri.
«Hai
paura di perdere i tuoi poteri?» tentò.
«No.
Ho paura di perdere te!» esclamò Feliciano,
abbassando
la voce subito dopo. Era un discorso sufficientemente difficile anche
senza
condirlo con urla insensate. «Per gli incantatori come
me… sarebbe un duro
colpo, ma riusciremmo ad abituarci, in qualche modo. I Gunsmith sono
stati
plasmati da della materia vivente, potrebbero al massimo cambiare
forma, ma tu…
tu, Ludwig, sei nato interamente dalla magia.»
Gli
occhi del Guardiano si spalancarono, quando compresero
il sottinteso di quelle parole.
«Se
non ci fosse la magia… morirei.»
Feliciano
annuì, storcendo le labbra per trattenere le
lacrime.
«Non
riesco a immaginarmi una dimensione senza di te. In
questi anni, sono sopravvissuto al Palazzo di Quarzo solo
perché c’eri tu. Tu,
e il pensiero che dovevo vivere per rivedere mio fratello. Solo voi
due. Voi
due siete stati sufficienti per darmi ogni giorno la forza di
sopportare il
nulla e il vuoto di quel posto. Tu hai riempito
quel nulla. E se tu dovessi sparire, io…»
«Feliciano.
Feliciano, guardami.»
Le
mani attorno al suo viso lo sospinsero gentilmente verso
l’alto, e il giovane aprì gli occhi che aveva
chiuso per impedire alle lacrime
di uscire. Ludwig baciò le sue ciglia umide di pianto, prima
di poggiare le
labbra sulla sua fronte.
«”Per
sempre” significa che non ti dirò mai addio, e non
ti
lascerò solo. Qualunque cosa succeda, non ti
abbandonerò» le dita del Guardiano
gli accarezzarono la nuca, con una gentilezza impossibile per le mani
di un
guerriero. «Questa è la nostra promessa, non
ricordi?»
Feliciano
lasciò le lacrime libere di scorrere.
«Sì!
Sì, me lo ricordo!» e si sollevò per
baciare le labbra
del suo Guardiano.
«Perciò
anche tu, Feliciano…» lo pregò Ludwig,
scostandosi
appena dalla sua bocca. «Non dirmi addio. Qualunque cosa
succeda oggi, non puoi
dirmi addio.»
Feliciano
annuì, aggrappandosi al collo del giovane per
avere un altro bacio.
Il
muggito di un corno rimbombò nell’aria, e il
giovane si
staccò dal suo Guardiano. Ma non riuscì a
lasciare la sua mano, come non riuscì
a liberarsi della paura folle che Ludwig sarebbe volato in qualche
luogo
lontano, che lui non avrebbe potuto raggiungere.
La
mano del Guardiano gli accarezzò di nuovo il viso con
quella dolcezza insostenibile.
«Va
tutto bene, Feliciano. Sarà come fare un salto, e saremo
di nuovo insieme. In una nuova dimensione, una dimensione
libera.»
Il
giovane annuì, ma le sue dita rimasero serrate intorno
alla mano del giovane.
L’ombra
del dubbio passò nelle iridi cerulee di Ludwig.
«Vedi
qualcosa?» domandò, cauto.
Le
dita di Feliciano si strinsero come per uno spasmo
attorno alle sue, e il Guardiano comprese. L’Asse era uno dei
maghi più potenti
di tutta la Galassia; ovviamente, anche i suoi poteri divinatori erano
eccezionali. E precisi: le predizioni di un Asse erano sempre veritiere.
Ludwig
si chinò per arrivare con gli occhi alla stessa
altezza di quelli ramati del suo compagno, fissi al suolo.
«Cosa
vedi?» chiese, con il massimo tatto possibile.
Feliciano
prese fiato tre volte, i polmoni che sussultavano
come se non ricordassero più come si faceva a inalare.
«Non
vedo niente.»
«E
non è una buona cosa?»
L’Asse
rivolse verso di lui gli occhi ramati, infossati
nelle lacrime.
«Sai
qual è l’unica cosa che un indovino non
può prevedere?»
«Ludwig!»
il richiamo di Gilbert interruppe i loro discorsi.
«Feliciano! Dobbiamo partire!»
Il
Guardiano portò velocemente la mano dell’Asse alle
labbra
per baciarne il dorso.
«Ce
la faremo» cercò di rassicurarlo, prima di uscire.
La
chioma rossastra di Feliciano si chinò in un assenso,
prima di raggiungere gli altri.
Il
cielo era tappezzato di Aeronavi. Si distinguevano le
imbarcazioni Asean, sottili e slanciate, contrapposte ai velivoli
panciuti
prodotti su Britannia. La bandiera piratesca della Reina
sembrava farsi beffe delle vele bianche delle Aeronavi che
avevano sottratto alla decaduta flotta Vaticana. Le buffe mongolfiere
metalliche dei Gunsmith si incastravano negli spazi vuoti delle
colleghe più
imponenti.
Feliciano
si affiancò a Lovino. A terra erano rimasti solo
lui, il fratello, Ludwig e il Mago dell’Ovest, ossia gli
incantatori che
avrebbero aperto il portale e la loro guardia.
Il
Britanno vestiva gli abiti di Faerie, e sul suo viso era
sceso un velo di lutto.
Arthur
non riusciva a scordarsi cosa era accaduto quanto le
Aeronavi avevano lasciato il suolo di Britannia. I pianti
dell’addio gli
avrebbero torturato la coscienza per molti anni ancora.
Aveva
scorto il
Leone Incoronato, tra gli anziani che avevano deciso di restare.
Si
era fatto da
parte per permettere al sovrano di accedere al vascello, ma quello era
rimasto
fermo, a fissarlo con il sorriso sereno dei saggi.
«Vostra
Altezza?» Arthur non aveva osato formulare la tremenda
domanda che gli aveva
azzannato il cuore.
«Vai,
Mago
dell’Ovest. Le Aeronavi hanno bisogno di un
capitano.»
«Non
posso
salire prima di voi.»
«Io
non salirò
su quelle navi, Mago dell’Ovest.»
«Perché?»
la
domanda scivolò fuori dall’ombra del cappuccio:
Arthur aveva abbassato
impercettibilmente la testa in modo da essere completamente nascosto da
essa.
Il
Leone
Incoronato aveva rivolto uno sguardo alle sue spalle, sereno.
«Perché
anche
loro sono il mio popolo, e hanno bisogno di una guida. Tu guiderai la
nuova
Britannia verso una nuova dimensione, io condurrò la vecchia
Britannia a una
fine pacifica.»
«Mio
Sire…»
«E
non potrei
mai vivere in una nuova dimensione. Sono nato assieme a questo pianeta,
e
desidero andarmene assieme a lui.»
«Non
c’è niente
che possa farvi cambiare idea?»
Il
Leone
Incoronato gli sorrise compassionevole.
«No,
Arthur. Ma
non essere triste. Ogni cosa inizia, ogni cosa finisce. È
nel ciclo naturale
delle cose. Ed è giusto che sia così.»
Arthur
raddrizzò
le spalle: dovevano reggere il peso di una nazione, non poteva
permettere loro di incurvarsi.
«Siete
stato una
guida meravigliosa, Leone Incoronato» si congedò,
con un profondo inchino.
«E
tu lo sarai,
Mago dell’Ovest» rispose il sovrano. «Li
affido a te. Conducili in un posto che
sia bello come la tua Faerie.»
Li
aveva
osservati mentre si sollevavano in volo: piccoli corpi che diventavano
piccoli
punti che poi sparivano nel nulla. Tante persone che quel giorno
sarebbero
state cancellate.
«Dimmi
che è
l’ultima volta che devo vedere così tante
persone…» non era riuscito a finire
la frase, quando il Marauder gli si era accostato.
«Dimmelo.»
Gli
occhi di
Francis erano rimasti fissi su Britannia, un punto sempre
più piccolo e
indistinto nello spazio.
«Dipenderà
da
noi» aveva risposto. «È sempre dipeso da
noi.»
Scosse
la testa, focalizzandosi di nuovo sul presente.
I
due fratelli Vargas attendevano istruzioni.
Lovino
lanciò un’occhiata fuggevole alle sue spalle, dove
gravitava la Reina de la Oscuridad.
Anche
lui era inquieto, e non solo perché nessuno di loro
sapeva dove quella fuga li avrebbe condotti.
Antonio
era
tornato da lui, dopo aver trascorso un po’ di tempo con i
suoi vecchi amici.
L’odore
di alcol
lo aveva subito messo in allarme, ma il capitano sembrava assolutamente
sobrio.
Il mattino avrebbe preteso la massima efficienza, e un ubriacone era
l’ultima cosa
di cui avevano bisogno. Fortunatamente, anche Antonio lo sapeva.
«Il
liquore
degli Hellsing ha un sapore tremendo» si era lamentato, dopo
che il suo
compagno lo aveva baciato.
«Dovresti
dirlo
a Francis, ne sarà felice.»
«Non
voglio
avere niente a che fare con quel tipo.»
Antonio
aveva
fissato la posa irrigidita di Lovino. Lui poteva perdonare Francis in
nome
della loro vecchia amicizia, di tutti i bei momenti passati insieme,
ma, per il
giovane, il Fiammingo era il diabolico burattinaio dietro quello
sconvolgimento,
sempre in mezzo a loro e senza aver mai avuto la decenza di avvisarli.
Antonio
conosceva il vero Francis, Lovino aveva visto solo l’Asse di
trecento anni
prima. Era normale che provasse astio per la persona che aveva previsto
tante
sciagure e non aveva fatto niente per prevenirle. Anche lui aveva
odiato a
lungo il Mago dell’Ovest, prima di conoscere la
verità.
«Un
giorno
capirai che anche Francis è una brava persona. Nonostante i
suoi innumerevoli
difetti.»
«Non
voglio
parlare di quel brutto ceffo, adesso.»
Lovino
aveva
raddrizzato la schiena, e la pelle di Antonio si era accapponata per il
timore.
Non
era mai un
buon presagio, quando il giovane diventava serio in quel modo.
«E
di cosa vuoi
parlare?» lo aveva invitato il capitano.
«Domani»
Lovino
era partito alla massima velocità: se avesse rallentato, si
sarebbe fermato,
sarebbe scoppiato a piangere e si sarebbe precipitato tra le braccia di
Antonio
pregandolo di rimanere con lui, e non poteva permettersi una crisi di
nervi,
arrivato a quel punto. «Domani tu salirai sulla
Reina.»
«Ma
tu sarai ad
aprire il portale, e Ludwig rimarrà come vostra guardia. E
anche io…»
«Ludwig
non deve
pilotare un’Aeronave. Tu sì. Perciò,
domani salirai sulla Reina.»
«E
se dovesse succedere
qualcosa?»
«Se
dovesse succedere
qualcosa, troverò comunque una strada per tornare sulla
Reina.»
«Cosa
ti fa
essere così sicuro? Per via dei tuoi poteri?»
Lovino
aveva
appoggiato le mani sui suoi avambracci per avere un sostegno mentre si
alzava
sulle punte dei piedi e si avvicinava al suo orecchio.
«Perché
ti amo,
idiota.»
Era
stato appena
un mormorio. Se lo avesse detto più forte, sarebbe morto di
imbarazzo.
Erano
trascorsi
alcuni istanti nel silenzio più totale prima che le dita di
Antonio gli
accarezzassero la testa abbassata, per poi scendere sulle spalle,
percorrere le
braccia e approdare alle mani.
«Stai
tremando.»
Lovino
aveva
cercato di sottrarre le mani alla presa dell’uomo. Antonio le
aveva lasciate
libere, solo per afferrargli con rude delicatezza il viso e condurlo
verso di
sé.
«Ti
chiamiamo la
Mano Sinistra del Diavolo da così tanto tempo, Lovino, che
ci scordiamo sempre
quanto sei giovane» aveva bisbigliato sul suo viso.
«Non posso prendere il tuo
posto, domani?»
«Non
essere
stupido. Che poteri magici hai, tu?»
«Quasi
nessuno»
aveva confermato tristemente Antonio.
«Se
lo sai,
perché lo chiedi?»
«Perché
ti amo,
Lovino. E darei il mio braccio destro per poterti sostituire,
domani.»
Lo
aveva
abbracciato e lo aveva baciato a lungo, come se avesse voluto
strappargli
quella magia che gli avrebbe permesso di prendere il suo posto.
Era
giovane, era
troppo giovane per sostenere quel peso. Nessuno, in quella
Confederazione,
aveva mai aperto un portale dimensionale, prima di allora. Nessuno
sapeva cosa
sarebbe successo. E Lovino e Feliciano sarebbero stati
nell’occhio del ciclone,
assieme al Mago dell’Ovest, difesi unicamente dal guardiano
perché tutti gli
altri sarebbero stati troppo impegnati a fare i capitani e a salvarsi
la vita.
Sarebbero
stati
da soli, nel bel mezzo di una Galassia che divorava se stessa.
Lovino
scacciò a forza quei pensieri per concentrarsi sulle
parole del Mago dell’Ovest.
Assunsero
la posizione tracciata dal Britanno, e
pronunciarono assieme la formula magica.
Arthur
lanciò un’occhiata ansiosa alla sua flotta.
Sarebbero
stati gli ultimi a partire, per poterlo recuperare e fuggire prima che
il
portale si chiudesse. Sperava che questo non avrebbe compromesso la
loro
salvezza.
I
tre incantatori si disposero a triangolo e tesero le mani
verso il cielo.
Il
rituale ebbe inizio.
***
Gli
anziani rimasti su Britannia, nel sistema Asean e in
tutti i pianeti della Confederazione alzarono gli occhi al cielo, e
sorrisi
rugosi incresparono i loro volti.
Uno
squarcio di ombre e luci bluastre si era aperto nel
centro del cielo, più rassicurante e più maestoso
dei vortici impazziti che
squassavano la volta celeste. Alcuni di loro salutarono le Aeronavi
che, come
tanti piccoli sciami ordinati, si affrettavano verso un nuovo mondo.
Un
vecchio, su Chugoku, aveva appena acceso due incensi
sulla tomba della defunta sposa, e si era seduto di fianco alla lapide,
chiacchierando con il marmo.
«Stai
parlando con Mei-Ling?» domandò
un’anziana donna,
seduta di fianco a una tomba poco distante.
«Le
ho solo detto “aspettami”» sorrise,
mostrando un
chiostro di denti sgangherati. «Il resto glielo
dirò di persona, più tardi.»
Il
Leone Incoronato, su Britannia, stava leggendo alcuni
passi del Testo Sacro.
«La
gabbia della vita ti lascerà libero di volare nella
terra dei Verdi Pascoli, che non conosce fame, freddo o dolore. Non
accumulate
i vostri tesori su questa terra di cenere, ma accumulateli sotto gli
alberi in
fiore di quel posto miracoloso, poiché il vostro cuore
sarà dove sarà il vostro
tesoro.»
«Leone
Incoronato, maestà, ho un problema»
annunciò un
vecchio. «Il mio cuore è incatenato alla mia
patria. Che posso fare?»
Il
sovrano sorrise, chiudendo il libro.
«Sono
sicuro che il Giudice Supremo farà un’eccezione.
Abbiamo dato l’anima a questa nostra terra, e con essa
l’abbiamo amata. E
l’amore non è mai una cosa negativa.»
Fu
proprio in quel momento che il cielo crollò.
Il
terribile suono dello spazio lacerato si conficcò nel
cuore di ogni pianeta, facendolo tremare con violenza. L’asse
di rotazione dei
satelliti più piccoli fu divelto da quella scossa
apocalittica, e i vecchi più
deboli si accasciarono al suolo, mortalmente trafitti da quel suono
spaventoso.
«Non
devi avere più paura, Mei-Ling» mormorò
l’anziano Asean, tendendo la mano verso
la pietra tombale. «Non sarai più sola. Perdonami
se ti ho fatta aspettare» una
lacrima si incastrò in una ruga a lato degli occhi, mentre
il vecchio esalava
l’ultimo respiro con un sorriso. «Sei sempre
così bella…»
Il
cielo si spezzò, e i suoi frammenti si schiantarono sui
pianeti sottostanti,
schiacciando case, colline, persone. Una piccola baita solitaria e un
bulbo mai
nato furono sbriciolati da uno dei pezzi più grossi.
I
capitani delle Aeronavi quasi si bruciarono le dita per la forza con
cui
tirarono i timoni per evitare i frammenti fatali e mantenere
l’assetto di
bordo.
Feliciano,
Lovino e Arthur invocarono una barriera, mentre Ludwig colpiva i pezzi
di cielo
con la sua spada, mandandoli in frantumi prima che potessero colpirli.
Gli
incantatori lanciarono un’occhiata alle Aeronavi ancora dalla
loro parte del
portale: alcune mongolfiere dei Gunsmith erano rimaste indietro
rispetto alle
altre, e si affrettavano di fianco alle navi Asean e alla Reina, passata per metà. La
flotta di Britannia attendeva il
proprio mago.
Non
mancava molto, ma era comunque troppo se la Confederazione aveva
già cominciato
a crollare.
Poi
arrivarono.
Un’orda
di incubi e abomini piovve dal cielo. I demoni erano finalmente pronti
a
divorare quella Galassia che per tanto tempo avevano solo potuto vedere
dall’altra parte del Confine del Mondo.
Gli
anziani sopravvissuti si strinsero tra loro, decisi a portare fino a
termine il
loro intento di morire assieme al loro pianeta. Ma molti di loro
piansero,
prima che i demoni li travolgessero.
Gilbert
si sporse dalla balaustra della Reina
per scrutare all’interno del portale appena attraversato.
«Io
torno indietro» annunciò, caricandosi
l’archibugio in spalla. «Non ce la
faranno mai, senza un Hellsing.»
«Hai
ragione» convenne Roderich, poggiandogli una mano sulla
spalla. «Ma tu non sei
l’unico Hellsing presente.»
Lo
spinse prima che Gilbert potesse capire cosa stava succedendo. Le mani
callose
dei marinai lo afferrarono, trattenendolo sulla nave. Roderich doveva
essersi accordato
con loro in precedenza, in qualche modo.
Gilbert
si dibatté, ma inutilmente: per quanto forte, era pur sempre
uno contro sei.
«Fermo!»
gridò, vedendo l’altro Hellsing scavalcare la
balaustra.
Roderich
si voltò verso di lui, l’espressione seria appena
intaccata da un sorriso
triste.
«Faccio
quello che dovrebbe fare un padre. Vado a scacciare i mostri da sotto
il letto.»
«Un
padre dovrebbe stare insieme a suo figlio!»
Quelle
parole lo colpirono come una freccia al cuore e, per un attimo, la sua
compostezza
venne meno.
«Non
sono stato un buon padre» commentò amaro Roderich.
«Sei
stato pessimo» rincarò Gilbert, proteso verso di
lui con tutte le sue forze. «E
se muori adesso, non avrai nemmeno la possibilità di
dimostrare il contrario.»
Roderich
sfiorò il violino con devozione prima di mostrarlo a Gilbert.
«Non
sono mai stato in grado di uccidere i demoni, ma con questo posso
creare una
barriera per trattenerli. Non grande abbastanza per una Confederazione,
ma
sufficiente per cinque persone» portò il violino
al petto e assegnò uno sguardo
fiero e malinconico a Gilbert. «È sempre stata la
mia peculiarità. L’unico
Hellsing che non uccide i demoni ma li ferma» le dita
passarono delicate sulle
corde. «Mi chiedo se non fosse in qualche modo…
stabilito fin dall’inizio…»
«Roderich…»
Non
voleva perderlo di nuovo. Aveva passato anni a cercarlo, a tentare di
capire
perché suo padre li avesse traditi. E lo aveva trovato,
aveva capito. Così
tanto tempo, così tanto dolore che si sarebbe potuto
evitare…
Roderich
sollevò la mano in un saluto. Gilbert si sentì
morire.
«Vivi
la tua vita» l’Accordatore gli regalò un
sorriso inquinato di lacrime
trattenute. «E fai in modo che sia meravigliosa.»
Poi
si lanciò nello spazio, avvolto da una bolla di atmosfera di
artificiale, e
corse più veloce che poté dove le grida di suo
figlio non lo avrebbero
raggiunto.
Attraversò
il portale e atterrò in mezzo ai maghi prima che potessero
farlo i demoni.
L’archetto
passò furioso sulle corde, e la barriera bloccò
quegli abomini prima che potessero
abbattersi su di loro.
Un
rombo di fiamme riscaldò l’aria intorno a loro: il
Figlio del Cielo stava
combattendo per salvare le Aeronavi restanti.
«Quanti
ne mancano?» gridò Roderich, senza smettere di
suonare.
«Solo
due navi Asean» strillò di rimando Lovino, per
farsi udire sopra i versi dei
demoni e le fiamme del Figlio del Cielo. «E la flotta di
Britannia.»
Le
navi Asean attraversarono veloci il portale, e il loro sovrano si
librò sopra
le Aeronavi di Britannia per bruciare qualunque mostro troppo ardito.
«Il
Figlio del Cielo è straordinario» si
complimentò il Mago dell’Ovest.
«Rischiare
tanto per degli stranieri…»
«Non
dire sciocchezze Vaticane» lo rimproverò Lovino.
«Siamo tutti uguali. Siamo
tutti fuggiaschi.»
Il
giovane cercò di mascherare il tremito della voce, ma non
riuscì a nascondere i
brividi che si propagavano in tutto il suo corpo. Tenere aperto un
portale
dimensionale di quella grandezza era un’impresa estremamente
faticosa, e il
terrore che la barriera dell’Accordatore potesse fallire non
aiutava a
sopportare la stanchezza.
Era
troppo. Un portale intero, i demoni, la paura… era troppo.
Sentiva le lacrime
bruciargli gli occhi e le ginocchia sul punto di crollare, ma si morse
le
labbra e si costrinse a continuare. Era troppo, ma non poteva cedere:
non ci
sarebbe stato nessuno a prendere il suo posto. E si erano spinti troppo
lontano
per fallire per un suo istante di debolezza.
La
flotta di Britannia scorse veloce all’interno del portale,
fino a che l’ultima
nave lanciò una corda nella loro direzione.
«Dobbiamo
aggrapparci tutti nello stesso momento» urlò il
Mago dell’Ovest in direzione
dell’Accordatore: lui, Lovino, Feliciano e Ludwig si erano
accordati in
precedenza, ma Roderich era nuovo. «Appena interromperemo la
magia, il portale
inizierà a chiudersi.»
«Io
non attraverserò quel portale.»
Roderich
non si voltò per vedere le espressioni dei suoi
interlocutori. Doveva suonare.
E poi, sapeva che non avrebbe sostenuto lo sguardo ferito e sconvolto
di
Ludwig. Era troppo simile a quello di Gilbert.
«Se
smettessi di suonare, la barriera crollerebbe. E questi mostri ci
divorerebbero
in un attimo. Inoltre… non vogliamo che questi abomini ci
seguano, giusto? Li
tratterrò da questa parte finché il portale non
si sarà chiuso completamente.»
«Ma
non si sono avvicinati al portale, magari non gli
interessa…» provò a dire
Ludwig.
«Solo
perché ci siamo noi, e noi siamo carne, il portale no. Ma
quando avranno
esaurito il cibo, lo cercheranno da qualche altra parte…
magari una nuova
dimensione.»
«Cosa
dirò a Gilbert?»
Solo
gli anni di assiduo studio dello strumento gli impedirono di
interrompere la
melodia e decretare la loro fine. Gilbert. Il bambino che lo pregava
per un po’
di affetto e che all’improvviso era diventato un guerriero
solitario. Che non
aveva smesso di pregarlo.
«Non
gli dirai nulla. Ho già detto tutto quello che volevo
dirgli» questa volta, una
lacrima riuscì a scivolare sul violino.
«Non
c’è più tempo!» li
avvertì il Mago dell’Ovest, prima di afferrare la
corda.
Lovino e Feliciano si attaccarono subito dopo, seguiti da Ludwig, tutti
avvolti
da bolle di atmosfera artificiale.
Roderich
coprì la loro ritirata, ma quel giorno non aveva ancora
esaurito le sgradevoli
sorprese.
Ludwig
lasciò andare la corda come se si fosse trasformata
improvvisamente in un
tizzone ardente, ritraendosi all’interno del portale.
Feliciano
si dimenticò della corda e corse verso di lui, seguito da
Lovino, che non aveva
intenzione di lasciare il fratello da solo, ignorando le grida di
avvertimento
del Mago dell’Ovest.
«Che
diavolo stanno facendo?» inveì Antonio, vedendo i
tre bloccati davanti al
portale. Gilbert seguiva la vicenda con la stessa espressione sconvolta
incollata al viso.
Erano
troppo lontani per sentire cosa i fratelli Vargas e uno degli ultimi
Hellsing
si stessero dicendo.
«Ludwig?»
lo chiamò Feliciano, tendendo la mano. «Vieni.
Dobbiamo andarcene.»
Ludwig
lo guardò con la morte nelle iridi azzurre, e stese le dita
verso di lui. Nel
momento in cui queste attraversarono il portale si ricoprirono di crepe
e la
pelle divenne grigia e spenta come la sabbia su un fossile.
Il
Guardiano ritrasse la mano prima che potesse diventare un pugno di
sabbia.
«Era
come avevi detto tu» masticò a fatica, il cuore
gonfio di lacrime. «Non posso
uscire da questa dimensione. Sono stato creato dal nulla. Se esco da
questa
dimensione, torno a essere nulla» un pezzo di portale si
sfaldò in un lampo di
luce. Sotto quel bagliore pallido, il viso di Ludwig apparve cereo come
quello
di un morto. «Mi dispiace…»
Feliciano
quasi non sentì le mani del fratello poggiarsi sulle sue
spalle. Doveva perdere
anche Ludwig? Una delle due cose preziose della sua vita?
Tese
di nuovo la mano all’interno del portale. I demoni
impazzivano attorno alla
barriera di Roderich, i motori delle navi ruggivano e i capitani
urlavano loro
si sbrigarsi. Feliciano non udì nessuna di quelle cose.
Sentì solo il suo cuore
rallentare i battiti e poi tacere, come se fosse morto. Ludwig, il suo
Ludwig…
Il
Guardiano afferrò la sua mano e la strinse al petto, per poi
baciarne le dita.
«Non
dirò addio. Te l’ho promesso.»
Lovino
immaginava che Feliciano non avrebbe accettato facilmente la perdita di
Ludwig.
Ma non avrebbe mai pensato che sarebbe arrivato a tanto per il suo
Guardiano.
Si
gettò all’interno del portale, si portò
dietro Ludwig e appoggiò una mano in
mezzo alle sue scapole e l’altra al centro del proprio petto.
«Tu
sei forte» lo salutò con un filo di voce.
«Quindi trova la forza per perdonarmi»
e lo spinse verso Lovino con un’onda d’urto.
Ludwig
ruzzolò fuori dal portale, inebetito e dolorante. Tutto il
suo corpo bruciava,
come se un minuscolo incendio stesse divampando in ognuna delle sue
cellule.
Occorsero alcuni secondi di immobilità e respiri profondi
per calmare quella
sensazione e rendersi finalmente conto di cosa fosse successo.
Era
all’esterno della sua dimensione, eppure la pelle era ancora
pelle. Non si era
sgretolato in una miriade di frammenti.
«Feliciano!»
esultò, voltandosi. «Feliciano, ha funzionato!
Qualunque cosa tu…» la voce
rallentò tra le sue labbra fino a spegnersi del tutto.
«Feliciano? Perché non
esci?»
L’Asse
stese tristemente la mano nella loro direzione, e la ritirò
quando le dita
iniziarono a sbriciolarsi.
«Feliciano!»
il dolore nella voce di Lovino lacerò l’aria
martoriata dai versi dei demoni. «Che
cosa hai fatto?»
«Scambio
di struttura molecolare» il sorriso gli squarciò
il viso con una tristezza
infinita. «Ora sono io… a essere nato dal
nulla.»
Una
saetta bianca portò con sé un pezzo di portale,
nascondendo il corpo del
giovane dalla vita in giù.
«Fammi
tornare com’ero!» gridò il Guardiano.
«Feliciano, ti prego… non ho mai voluto
questo!»
«Ma
il destino l’ha voluto, Ludwig.»
L’Asse
si allontanò di un passo quando un fulmine azzurro
strappò un altro frammento
di portale. Ormai era visibile solo il suo volto a pezzi.
«L’unica
cosa che un indovino non può vedere, Ludwig. Vuoi sapere
qual è?» fu un lamento
strozzato quello che abbandonò la gola di Feliciano,
otturata di lacrime.
Avrebbe voluto essere forte, sorridere e incoraggiarli fino alla fine,
ma non
ci riusciva: i suoi cari stavano per andarsene dove non li avrebbe mai
raggiunti, e lui sarebbe stato divorato dai demoni, e tutto sarebbe
finito e
non ci sarebbe più stato ritorno. Aveva paura, e non sapeva
come nasconderlo.
«Un
indovino non può prevedere la sua morte» concluse
per lui Lovino, quasi
inudibile. La sua voce si alzò improvvisamente di tono
quando urlò: «Perché non
mi hai detto niente, Feliciano? Avremmo potuto trovare una
soluzione!»
«E
quale?» il pianto gli scosse le labbra, e l’Asse
abbassò lo sguardo perché i
due non vedessero lo spuntare delle prime lacrime sul suo viso.
«Non avrei mai
permesso a Ludwig di morire.»
«Sei
anni» paura, rabbia e tristezza avevano conficcato i loro
artigli nella gola di
Lovino, e le parole uscirono livide e tremanti. «Ti ho
cercato incessantemente
per sei anni, Feliciano! E adesso dovrei perderti
così?»
«Ti
voglio bene, Lovino» cercò di deglutire, ma la
gola era diventata un nodo
stretto e amaro. «Ricordatelo, ovunque andrai. È
l’unica cosa che conta.»
«Feliciano!»
«Ti
voglio davvero bene, Lovino. Davvero… davvero
tanto…»
Il
portale si sbriciolò sotto una saetta argentata, e gli occhi
ramati che li
guardavano disperati furono tutto ciò che poterono vedere di
Feliciano.
«Anche
se dovessi rinascere come una rosa, ti troverei tra mille altre
rose…» le
parole inciamparono sulla lingua del Guardiano, che dovette
interrompersi per
trangugiare le lacrime. «Troverò la strada,
Feliciano. Troverò la strada che mi
riporterà da te.»
«La
troveremo» si inserì Lovino, le spalle tremanti e
gli occhi di fuoco. «Non dirò
un addio. Non è un addio. Ci ritroveremo, da qualche parte,
in una qualche
piega dell’universo. Non è un addio. Ti
ritroverò.»
Gli
occhi di Feliciano annuirono, affogati dalle lacrime che continuavano a
sgorgare.
Il
portale lanciò il suo ultimo crepitio, e le iridi ramate
iniziarono a sparire.
«Feliciano!»
gridò Lovino, la bocca piena di collera e pianto, mentre le
ultime brecce del
portale si chiudevano. «Ti troverò! Lo giuro, ti
ritroverò!»
«Fate
presto» mugolò Feliciano, quando fu certo che il
portale si fosse
definitivamente chiuso, sigillandolo in quell’inferno di
demoni. «Ho paura di
rimanere da solo…»
«Non
sei solo.»
L’affermazione
del musicista lo sorprese alle spalle.
«È
anche il titolo di questa sinfonia» annunciò
Roderich, la schiena che si ergeva
fiera contro i demoni che picchiavano sulla barriera. «Che,
purtroppo, sta per
finire.»
Feliciano
non riuscì a dire nulla.
Si
alzò e sollevò le braccia verso il cielo,
invocando una barriera un istante
prima che l’archetto abbandonasse le corde.
«Ho
guadagnato solo un po’ di tempo»
notificò Feliciano, un terrore gelido che gli
scuoteva le ossa.
«È
sempre stato l’Asse a proteggere la Confederazione dai
demoni. Ma senza cibo e
senza acqua… resisteremo al massimo tre giorni.»
«Vale
davvero la pena sopravvivere per vedere… questo?»
Roderich indicò lo scempio
alle sue spalle: migliaia di demoni ammassati che premevano le loro
fauci sui
bordi invisibili della barriera.
La
preghiera dell’Asse si inciampò nel pianto.
«Non
voglio morire.»
Il
musicista lo osservò con una compassione sconfinata.
«Nessuno
lo vuole. Ma l’aldilà non è un brutto
posto. Ci sono tutti gli Hellsing, e,
anche se a volte sono rozzi, sono una buona compagnia. E se dovessi
vedere una
ragazza che combatte come un uomo, chiamami subito. Mi sta aspettando
da anni,
ormai.»
Un
singhiozzo gli scosse il petto quando le braccia dell’uomo lo
circondarono.
«Ti
abbiamo ammantato con il titolo di Asse, e ci siamo scordati che
c’è un
ragazzo, dietro quel nome.»
L’Asse
non poteva crollare, ma Feliciano sì. E stava andando a
pezzi, in quel momento.
«Loro
sono salvi» affermò, convincendo se stesso e
Roderich al contempo. «Ne è valsa
la pena.»
«Oh,
sì» Roderich lo abbracciò
più stretto. «Per loro, altre mille
volte…»
Feliciano
si aggrappò con tutte le sue forze alle spalle
dell’uomo mentre annullava la
barriera.
Il
respiro scorreva mozzato nelle loro gole, i muscoli tremavano e i cuori
battevano all’impazzata. La morte si stava avvicinando.
Feliciano
sollevò improvvisamente il capo, stupido.
«Roderich»
esclamò. «Qualcuno ci sta
chiamando…»
Furono
le sue ultime parole, prima che un demone si avventasse sul suo collo
scoperto.
***
Era
difficile correre quando tutto ciò che si desiderava era
inginocchiarsi e
piangere.
Se
solo le lacrime avessero davvero potuto risolvere il problema, Ludwig e
Lovino
avrebbero pianto fino a disidratarsi. Ma un Guardiano sapeva che si
vinceva
solo combattendo e la Mano Sinistra del Diavolo sapeva che il destino
si
cambiava con le proprie mani, non con le lacrime.
Anche
con il cuore di piombo e le gambe di marmo, i due si fecero strada
verso le
Aeronavi, chi con la tenacia del guerriero e chi con la rabbia del
fuorilegge.
Si
voltarono entrambi di scatto quando un fragore tremendo li scosse per
le
spalle.
La
chiusura del portale, per contraccolpo, aveva generato un vortice
dimensionale.
Che ora stendeva le sue spire turbinanti verso di loro.
«Via!»
gridò Ludwig, afferrando Lovino per un braccio.
La
Mano Sinistra del Diavolo cercò di correre al massimo delle
sue forze, ma il
vortice non impiegò molto ad afferrare un lembo dei suoi
pantaloni per poi
ghermire la sua caviglia. La spira diede uno strappo, e le gambe di
Lovino
furono risucchiate fino alla coscia.
Il
Guardiano lo tenne saldamente per i gomiti, cercando di tirarlo fuori
da quelle
sabbie mobili dimensionali. Lovino tentò di scalciare, poi
provò a rimanere
immobile, ma nessuna delle sue strategie ebbe successo: la melma
dimensionale
lo aveva inglobato fino alle anche.
La
consapevolezza che quella era la sua fine gli inumidì le
ciglia. Tutto quelle
battaglie per nulla. La Mano Sinistra del Diavolo sarebbe stata mozzata
da uno
stupido contraccolpo magico.
L’invettiva
uscì ruvida e rovente, per compensare il panico che gli
stava gelando il cuore.
«Lasciami
andare!» morse le lacrime che arrivarono a bagnargli le
labbra e ruggì: «Lasciami
andare! Mio fratello si è sacrificato per te, non azzardarti
a morire qui!»
«Feliciano
non ha salvato solo me» replicò Ludwig, la fronte
imperlata di sudore per la
lotta contro la presa ferrea del vortice.
Un
frullio d’ali si levò in lontananza, e Lovino
scorse l’Hellsing dirigersi verso
di loro, una figura in lontananza sopra la spalla del Guardiano.
«Arrivano!»
esultò la Mano Sinistra del Diavolo. «Arrivano a
prenderci!»
La
gioia durò un solo istante. Il vortice mugghiò, e
diede un altro, tremendo
strappo.
Il
Guardiano fu sbalzato in avanti, e le sue braccia, legate a quelle di
Lovino,
sprofondarono lasciando visibili solo le spalle. Dalla melma scura
spuntavano
solo il viso e le mani della Mano Sinistra del Diavolo, aggrappate alle
spalle
di Ludwig.
Lovino
chiuse le palpebre tremanti, e il suo cuore in tumulto gli spinse sulle
labbra
un’affermazione piena di amarezza.
«Non
doveva finire così.»
«No»
confermò Ludwig, la voce pesante come una pietra tombale.
«Non doveva finire
così» prese un respiro profondo sentendo il
vortice ringhiare: un’altra scossa
era in arrivo. L’ultima.
«Troveremo
la strada. In un modo o nell’altro, in un mondo o
nell’altro, troveremo la
strada per tornare da Feliciano» pregò, prima che
la melma assestasse il terzo
strappo, più forte di tutti gli altri.
Ludwig
chiuse gli occhi, per non vedere il vortice farsi sempre più
vicino. La melma
si strinse intorno a lui, stritolandolo con le sue spire. Le ossa del
Guardiano
scricchiolarono, le giunture minacciarono di spezzarsi e il cranio di
esplodere
in mille pezzi sotto quella pressione.
Il
Guardiano strinse le palpebre con tutte le sue forze, cercando di
trattenere
gli occhi pulsanti nelle orbite. Il cuore aveva smesso di palpitare, e
lanciava
singulti agonizzanti a intervalli irregolari. I polmoni si erano
ritirati come
il mare durante la bassa marea, due sacchetti smilzi incapaci di
trattenere una
singola boccata di aria.
Ludwig
non capì subito che la cosa che gli feriva gli occhi era la
luce del giorno e
gli schiaffi che riceveva sul viso erano vento.
Come
se un drago l’avesse masticato e poi sputato di colpo, il
Guardiano si trovò
libero all’improvviso. Sbatté contro qualcosa di
duro con tutto il corpo, e
qualcos’altro gli grattò le narici.
Ludwig
si girò bruscamente di schiena, sbarrando improvvisamente
occhi e gola. L’aria
fece irruzione nei suoi polmoni, e fu quasi doloroso sentirli tornare
alla loro
dimensione. Il cuore gli pulsò nelle orecchie e nella gola
prima di ricordarsi
il suo giusto posto al centro del petto.
Gli
occhi erano rimasti aperti, ma solo in quel momento videro davvero cosa
li
circondava. Sopra di loro, un cielo azzurro; ai lati, una strada
sterrata. La
cosa che gli aveva pizzicato il naso era la polvere sollevata dal suo
impatto
con il suolo.
Si
rialzò a sedere con uno scatto addominale, e
lanciò occhiate frenetiche tutto
intorno.
La
Mano Sinistra del Diavolo era poco distante da lui, carponi, e stava
tossendo
anche l’anima fuori dal corpo.
«Che
diavolo è successo?» sbottò, tra un
colpo di tosse e l’altro. «Dove siamo
finiti?»
Ludwig
si rialzò faticosamente in piedi per portarsi di fianco al
ragazzo.
«Siamo
vivi» notificò il Guardiano, tendendo una mano al
giovane. «Il vortice ci ha
spediti in un’altra dimensione.»
Lovino
rifiutò l’aiuto e si issò in piedi da
solo.
«Una
dimensione diversa da quella in cui sono approdate le
Aeronavi» Lovino finse di
scrollarsi la polvere dai vestiti per non dover incontrare lo sguardo
del
Guardiano.
Non
avevano lottato solo per una nuova dimensione. Avevano lottato per una
nuova
dimensione da condividere con i loro cari. Erano riusciti a realizzare
solo la
prima parte del loro piano: le persone che amavano le avevano perse
lungo la
strada.
Ludwig
sollevò improvvisamente il capo contro l’azzurro
del cielo, in ascolto.
«Lovino»
lo riscosse. «Qualcuno ci sta chiamando.»
«È
impossibile. Qui non conosciamo nessuno.»
«Ascolta»
Ludwig roteò il busto, socchiudendo gli occhi per
concentrarsi meglio. «Viene
da questa parte…» la sorpresa illuminò
gli occhi cerulei, facendoli spalancare.
«Non è possibile…»
«Cosa?
Che sta succedendo adesso?»
Ludwig
gli fece cenno di seguirlo e prese a correre lungo la strada sterrata.
«Da
questa parte, Lovino!» lo incitò.
«Forse… forse non tutto è
perduto!»
«Che
significa? Ehi, crucco, che diavolo significa?»
Dovette
rassegnarsi a seguire quel gigante nella sua folle corsa.
Chiunque
fosse a chiamarli, il Guardiano era abbastanza impaziente di
incontrarlo da
dimenticarsi perfino di rispondere.
Penultimo
capitolo.
Non
ci posso credere.
PENULTIMO
*piange*.
Anyway…
prometto che
non vi farò aspettare troppo per l’ultimo
capitolo! E anche per gli
spin-off<3
Grazie,
grazie, grazie
di cuore a tutti voi che avete letto fin qui e che siete spiritualmente
pronti
ad affrontare il capitolo conclusivo<3
Come
sempre, se avete
richieste di spin-off, fatemi sapere :)
A
presto!
Rred