La
mia vita è iniziata per sbaglio e tutti gli avvenimenti
più importanti sono avvenuti per sbaglio. Sono nato
per sbaglio, infatti,
i miei genitori non avevano programmato di avermi, sono capitato, sono
l’ultimo
di tre fratelli, tutti maschi. Per sbaglio ho incontrato Camila,
perché quel
giorno al Club non avrei dovuto lavorare, ma poi un mio collega mi
chiese di
sostituirlo e sempre per sbaglio ho scoperto che mia moglie mi tradisce
col
migliore amico di mio cognato, in casa del quale sto vivendo.
Insomma, sembrerebbe che niente di quello che avevo
programmato nella mia vita possa realizzarsi, anche se a dire il vero
alcune
cose le ho fatte, le ho portate a compimento.
In effetti, il fatto di essere nato per sbaglio, ha
reso la mia vita, un percorso di correzione all’errore. Non
che i miei genitori
non mi avessero voluto, però quando sono nato, la loro
attività di ristoratori
aveva appena iniziato ad ingranare, mia madre aveva già due
figli ed occuparsi
di me non era facile.
Quindi io già dalla mia prima infanzia ho imparato a
dare meno disturbo possibile.
A quindici anni, lavoravo nel ristorante dei miei come
cameriere, a venti ero un cuoco provetto. Ma siccome, io ero nato per
sbaglio,
il ristorante non sarebbe stata la mia eredità, i miei
genitori avevano già
deciso che sarebbe rimasto ai miei fratelli e non a me,
perché avevo
manifestato delle idee di innovazione che non erano a loro molto
gradite.
Io volevo studiare, ma le nostre finanze non me lo
permettevano. Così ho preso la decisione di andare a
lavorare in città nella
speranza di racimolare il denaro necessario.
Quando sono arrivato in città, non è stato per
niente
facile, neanche trovare un lavoro. Io sapevo o cucinare o fare il
cameriere, ma
nessuno proprietario mi voleva in cucina perché con la mia
bellezza distraevo
il personale. Finalmente dopo tanto cercare ho trovato lavoro al Club,
dove
invece con la mia bellezza compiacevo le clienti più
esigenti, anche se non ho
mi voluto andare oltre il mio lavoro, anche se le avances che ricevevo
non
erano poche. Stavo per poter iscrivermi
all’università, pur avendo ventinove
anni suonati e per sbaglio ho incontrato Camila. La donna della mia
vita, ho
sempre creduto.
All’inizio della nostra storia, io sapevo benissimo
chi fosse lei e capivo, che fosse capitata per sbaglio nella mia vita,
perché in
fin dei conti, lei era la principessa della città. Una delle
donne più ambite e
fidanzata con Daniele Valencia, il miglior rampollo che ci fosse in
circolazione.
Io, non avevo nulla da offrirle, quindi a parte la
grande attrazione che c’era tra noi, che sapevo sarebbe
sfumata prima o poi,
cosa poteva legarci? Sapevo che dovevo farmi da parte, ritornare nel
mio solito
angolino, quello in cui non davo fastidio e non creavo problemi a
nessuno. C’era
un però… Camila non era del mio stesso avviso.
Non saprei dire se all’inizio
tra di noi fosse amore o puntiglio, però con lei mi sentivo
come mai ero stato
nella mia vita. In quel momento lei rendeva possibile qualsiasi cosa
volessi
fare. Non mi scoraggiava mai, non ero mai uno sbaglio con lei.
Ed io mi sentivo la persona che volevo essere.
Dinamica, attiva, che non aveva paura di
affrontare i suoi più profondi desideri. Se non ci fosse
stata Camila, forse
non avrei realizzato nemmeno la metà delle cose che ho
realizzato.
Quando la sua famiglia ci ha ostacolati e mandati in
esilio, io ero pronto a farmi da parte, ma lei è stata
chiara nel dirmi che non
sarebbe mai tornata con Daniele Valencia. Ricordo ancora le sue parole.
“Se tu non mi vuoi, dillo chiaramente, non dare la
colpa al mio fidanzamento con Daniele Valencia.”
Era la prima volta nella mia vita che qualcuno mi
diceva di volermi, per scelta, tra i piedi. Io, mi sono innamorato
praticamente
subito della sua vitalità, della sua forza trascinante, del
suo entusiasmo per
la vita.
Quando siamo arrivati in Svizzera avevamo l’acqua alla
gola. Eravamo squattrinati. E’ vero che lei lavorava per la
sua azienda,
potendo sfruttare i suoi studi in management, ma io non volevo essere
un peso e
volevo iscrivermi all’università. Abbiamo passato
cinque anni di ordinaria
follia. Ci siamo sposati, io mi sono laureato, ho aperto una
società, abbiamo
avuto due figli e tutto questo perché io non volevo che lei
pensasse di aver
sposato lo sfigato di turno. L’avevo già tolta dal
suo stile di vita di
benessere totale. Non volevo che pensasse che potevo garantirle solo
l’indigenza
e poi avevo i miei sogni da realizzare.
Ho dato per scontato che lei mi amasse. Sono certo che
lei mi amasse, perché non saremmo mai riusciti a stare
insieme se non fosse
stato così per tutto questo tempo,ma ho sempre avuto il
sospetto di non essere
davvero il suo uomo ideale. Io sono sempre stato molto ligio al dovere.
Tutto
casa e lavoro. Quando capitava di uscire, succedeva perché
lei lo voleva, non
io. A me bastava stare a casa con la mia famiglia. Allora lei, per
convincermi,
diceva sempre “Senti, io ho un marito strafigo e
intelligentissimo, fammi
vantare un po’ con le mie amiche ti pare??”
Io, non ho mai fatto caso alla mia bellezza. Camila
diceva che avrei potuto lavorare come modello, faticando la
metà e guadagnando
il doppio ma io non mi sono mai visto in quei panni.
E in quanto alla bellezza anche lei non era da meno.
Strepitosa con quei capelli castano chiaro e i suoi occhi nocciola,
ereditati
dalla madre. Mi faceva perdere la testa. Lei è sempre stata
per me l’amore
della mia vita. Per questo adesso non la riconosco più. Non
so più chi ho
sposato. Forse sempre quella ragazza un po’ folle che ho
conosciuto, ma quella
ragazza lì era incapace di fare del male consapevolmente.
Mi ha tradito per farmi del male, per farmi un
dispetto, per una supposta telefonata in cui io parlavo di un ipotetico
tradimento per il quale volevo lasciarla. Ma io stavo parlando con il
mio avvocato
della mia uscita dalla stessa società che ho fondato,
perché avrei dovuto
vivere in Svizzera per gestirla, mentre lei era voluta tornare in
Colombia con
tutta la famiglia e io non me la sono sentita di dirle di no. In fondo,
lei ha
pagato l’aver scelto me, con l’esilio, io
l’ho assecondata volentieri con la
sua idea di tornare perché in Colombia
c’è anche la mia famiglia. Anche se ci
sono capitato per sbaglio, sono la mia famiglia. Affettivamente
parlando, non
mi hanno mai abbandonato.
Il giorno in cui ho scoperto il tradimento, sono
entrato con mio figlio Dodo nel suo ufficio e l’abbiamo
trovata con i vestiti
in disordine, praticamente mezza nuda, sdraiata sulla scrivania con
Mario
Calderon! Non ci ho visto più e l’ho preso a
pugni. Mi hanno fermato, perché l’avrei
ammazzato a suon di pugni, e dire che io non sono mai stato aggressivo!
La cosa che mi ha fatto più male, è stato non
aver
impedito a mio figlio di entrare per primo. Probabilmente
resterà scioccato a
vita. Avrei dovuto proteggerlo ma, già, non avrei mai
pensato che sua madre
potesse essere impegnata in giochi sessuali acrobatici con un uomo che
non ero
io.
Ho accompagnato subito mio figlio a casa di Armando,
sapevo che lui non c’era ma non potevo tollerare che mio
figlio vedesse me e
Camila litigare. In effetti dopo tra di noi, c’è
stata una lite furiosa, direi
furibonda, in cui le mi diceva che sapeva del mio tradimento, anche se
io non l’ho
mai tradita, perché la amo.
Dopo, sono tornato da mio figlio, che ancora oggi a
distanza di due mesi non vuole parlare con sua madre e per questo vive
dai suoi
zii, tra l’altro adesso ci abito anche io.
Ciò che mi fa più male, è stato ed
è, vedere negli
occhi di mio figlio il disprezzo, o la pena, non so, che sembra provare
nei
miei confronti per essere stato quello che si è fatto
tradire.
So che lui è troppo giovane per capire, ma vorrei
gridargli che anche io provo i suoi stessi sentimenti nei confronti di
me stesso
e NON SO quando sua madre ha iniziato ad allontanarsi da me. Non
capisco cosa
ho fatto per provocare questo terremoto. Non so se invece dipende da
qualcosa
che non ho fatto.
Ripenso alla
nostra ultima furiosa litigata, quella in seguito a cui me ne sono
andato di
casa. Devo dire che in questi due mesi non ero andato via,
perché volevo
provare a dare la possibilità a Camila di capire che la sua
storia con Calderon
fosse un fuoco di paglia, qualcosa che non aveva nessuna importanza. Mi
sono
illuso che comportandomi così lei sarebbe tornata da me,
perché avrebbe capito
di amare me, ma non è stato affatto così.
Durante il
nostro ultimo litigio, in buona sostanza lei mi ha detto che non vuole
più
stare con me, perché io sono un morto vivo, è
stanca di trascinarmi dove io
voglio andare, sarebbe stata felice se l’avessi tradita,
perché almeno avrebbe
significato che avevo fatto qualcosa di vitale. A questa affermazione
ho capito
che lei non mi amava più. Non so, a questo punto se lei mi
abbia mai amato. Se
la nostra famiglia abbia contato qualcosa per lei, o se invece io non
fossi
stato solo la ripicca, che lei ha voluto fare nei confronti dei suoi
genitori e
di cui ora si è stufata. Insomma non so se per
l’ennesima volta, io sia lo
sbaglio nella vita di qualcuno.
***
Sto
da Betty
e Armando da ormai due settimane. Mi piace stare con loro e sono felice
che
siano gli zii dei miei figli. Sono una famiglia felice e praticamente
perfetta.
Anche se l’anno scorso sono stati anche loro
sull’orlo del divorzio, perché si
sono separati, hanno trovato dentro la loro coppia e il grande amore
che li
lega, la forza per superare tutti i loro con problemi. Non senza grandi
difficoltà.
Ne sono stato testimone diretto. Hanno tre figli e la più
piccola, Aurora ha poco
più di un anno. E’ davvero un amore. Mi ricordo
quando nostro figlio Juan era
appena nato, penso che l’ultimo momento di
felicità pura che io e Camila
abbiamo provato assieme sia stato quello.
Adesso, io
vivo momentaneamente qui, ma presto mi troverò una casa dove
abitare. Non so se
mio figlio Dodo vorrà stare con me, oppure vorrà
restare qui. Di sicuro non
vorrà stare con Camila. Ho provato tate volte a dirgli che
deve parlare con sua
madre ma lui ha ereditato l’ostinazione dei Mendoza e non
vuole parlarle.
Una cosa
positiva è che, Abi, Abigail Bennet, il mio avvocato, la
donna con la quale
Camila pensava la tradissi mi ha detto che quantificando la mia uscita
dalla
mia stessa società, considerando gli enormi investimenti
fatti in questi anni
con rande successo, in cambio del mio trentacinque percento di quote,
uscendo
da tutte le partecipazioni, avrò in termini di denaro venti
milioni di dollari!
Non avrei
mai pensato di avere tutto questo denaro un giorno in banca. Mi sembra
un’autentica
follia. In poche parole mi ritrovo ad essere, adesso, più
ricco di Armando
Mendoza!! Dovrò decidere cosa fare con questa montagna di
denaro, che non
basterebbe una vita per spenderlo tutto. Forse mi converrebbe parlarne
con
Nicolas Mora.
Sono le otto
di sera, io sono già a casa da oggi pomeriggio, non sono
affatto uscito. Betty
sta entrando in casa quando le suona il cellulare.
“Cosa???”
urla. “E in quale ospedale è? Come sta?”
Io mi
allarmo subito. Quando chiude il telefono mi dice che Armando ha avuto
un incidente
con la macchina e che adesso è in ospedale. Mi offro di
andare con lei, tanto c’è
Gina con i ragazzi.
“Betty,
sai da sola che non saresti nelle
condizioni di guidare! Vengo con te così facciamo
prima!”
Betty prende
un cambio per Armando. “Al telefono mi hanno detto che ha un
leggero trauma
cranico e un braccio rotto, per fortuna una frattura composta. Per
capirci
qualcosa di più devo andare in ospedale” mi dice.
In un
battibaleno siamo arrivati al Pronto Soccorso. Betty è in
stato confusionale,
ma io le faccio coraggio e le dico di stare tranquilla. Per fortuna
troviamo
subito Armando, in un open space della sala di prima assistenza.
“Armando”
gli dice Betty “come stai?”
Lui è
piuttosto dolorante ma reagisce bene. “Mi … sono
venuti addosso…. Un ragazzo…
mi ha soccorso…”
Ha un taglio sul sopracciglio destro.
Parliamo con
il medico che ci dice che Armando è stato molto fortunato.
Ha un leggero trauma
cranico ma la tac non ha evidenziato traumi cerebrali, e un braccio
rotto. Il
medico ci dice che lo terranno sotto controllo tutta la notte e che se
non ci
saranno peggioramenti significativi, e non se ne aspettano, domani o al
massimo
due giorni dopo potrà andare a casa.
Betty, più
rassicurata tira un sospiro di sollievo. Ci viene incontro un ragazzo.
“Piacere
signora Mendoza, sono il ragazzo che ha investito suo marito”
dice a Betty.
“Come può
pensare che sia un piacere per me conoscere il ragazzo che tra poco mi
lasciava
vedova!!”gli risponde lei.
“Lo so”
ribatte il ragazzo “ma l’ho soccorso e mi sono
anche terrorizzato. Passerò un
casino per questo incidente. Mi chiamo Jeremy Sanders, voglio che
sappia che
sono un bravo ragazzo, non l’ho fatto apposta. Ero solo un
po’ alterato e avevo
leggermente bevuto perché avevo litigato con la mia
ragazza” aggiunge.
“Non mi
interessa niente dei suoi problemi, signor Sanders. Mio marito ha tre
figli, la
più piccola di un anno appena che stasera hanno rischiato di
restare senza
padre!” urla Betty.
“Senti
Jeremy” intervengo io “non è il caso di
parlare con Betty stasera, magari
domani. È molto scossa, puoi biasimarla?”
“No, ha
ragione signor…”” dice il giovane.
“Alberto
Montero … sono il cognato di Armando Mendoza.” Gli
lascio un mio biglietto da
visita. “Ci contatti domani” gli dico. “E
grazie per non essere scappato”.
Finalmente
portano Armando in una stanza, Betty non vuole assolutamente lasciarlo,
ma il
medico è categorico. Non potrà passare la notte
con lui che deve stare ad
assoluto riposo. Per me, non è facile convincerla a tornare
a casa per poi
ritornare in ospedale domani mattina presto, ma ci riesco. Anche
Armando le
dice di pensare ai bambini, ma Betty fa fatica a lasciarlo. Penso che
non
potrebbe mai vivere senza di lui.
Quando
siamo
all’uscita dell’ospedale, Betty nota una donna
ferma davanti una macchinetta
che piange disperata. Mi fa cenno di fermarmi. Le sembra di conoscerla.
Ed in
effetti la conosco anche io. È Marcela Valencia.
“Marcela” la
chiama piano Betty, quasi a volersi assicurare che sia lei
“cosa ci fa qui?”
Marcela, improvvisamente
scoppia a piangere ancora più forte abbracciando Betty.
“Forse…. Mio
figlio” dice singhiozzando lei “forse …
Julian … ha la meningite.”
“Oddio mi
dispiace tantissimo” le dice Betty.
So molto
poco dei rapporti intercorsi tra di loro. Ma da quello che mi ha sempre
detto
Camila, Marcela era veramente innamorata di Armando, al punto di
lasciarlo a
Betty, perché lui non la amava.
Betty mi
chiede se per me è un problema stare lì altri
dieci minuti per cercare di far
calmare Marcela.
“Marcela” le
dico “ si ricorda di mio cognato Alberto, il marito di
Camila” le dice
indicandomi.
“Certo, l’ho
visto poche volte, ma mi ricordo benissimo di lui” le
risponde lei.
“Noi siamo
qui perché Armando ha avuto un incidente con la macchina e
lo tengono in
osservazione per un giorno o due, per fortuna niente di grave, ma ha un
braccio
rotto.”
“Povera
Betty, non la invidio affatto, Armando con un braccio rotto
sarà più
intrattabile del solito” le dice Marcela.
“Ci dica del
suo bambino” intervengo io. “Sa sono padre e
preoccuparmi mi viene naturale!”
“Il mio
bambino ha una strana infezione e i medici temono si tratti di
meningite. Alla
sua età non è inusuale.”
“Ma non lo
sa con certezza no?” le chiede Betty. Penso che morirebbe se
dovesse succedere
qualcosa ad Aurora.
“No, stanno
ancora facendo gli esami! Un bambino così piccolo! Mio
figlio ha solo
diciassette mesi! Adesso lo tengono in isolamento, non me lo fanno
neanche
vedere, ma io non posso lasciarlo qui.”
“Certo che
no” dico io. “Mi scusi ma non
c’è nessuno che può stare con lei? Il
padre del
bambino?”
“Il padre
del bambino è a Los Angeles. Io sono tornata a
Bogotà da due mesi, ma non l’ho
detto praticamente a nessuno. Solo mio fratello Daniele lo sa, ma lui
vive in
Germania adesso” dice guardando Betty negli occhi. Oddio la
storia di Daniele
la conosco pure io.
“Senta
Marcela, non è il caso che resti qui sola. Vada a casa,
tanto per suo figlio in
questo momento non può fare niente” le dice Betty.
“Ma io non
posso lasciarlo solo” le risponde lei.
“Ma se non
glielo fanno vedere, non ha senso stare qui” le dice
dolcemente Betty. “Si
sfinisce e basta. Adesso facciamo così,
andiamo tutti a casa e domani mattina presto torniamo tutti qui. Sono
certa che
riceveremo tutti buone notizie” aggiunge cercando di farsi e
di farle coraggio.
“Devo chiamare
un taxi” dice Marcela.
“Neanche per
idea!” intervengo io. “Betty per te non
è un problema se accompagniamo Marcela
a casa sua vero?” le chiedo io.
“Assolutamente
no” mi risponde Betty.
“Grazie” ci
dice Marcela “siete davvero molto gentili.”
Qualcosa mi
colpisce di questa donna, forse il suo sguardo sconfitto, la sua
profonda
solitudine. Sento che qualcosa la accomuna a me, ma non so ancora cosa.