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Autore: AlessiaDettaAlex    23/01/2015    5 recensioni
Che i trentaquattresimi Hunger Games abbiano inizio!
Alyss Knight si è offerta volontaria alla mietitura per proteggere Laree Amberdeen, la ragazza che ama. Ma, oltre a sopravvivere all'arena, ha un altro obiettivo importante da adempiere: nascondere alle telecamere di Capitol City la sua relazione omosessuale con la giovane Laree, che potrebbe costare loro la vita a causa delle ferree leggi di Panem a riguardo.
[Capitolo 1]
«No!» grido con rabbia, «non lei!» tremo di terrore e di fatica, quando la raggiungo davanti al palco. «Mi offro volontaria come tributo al suo posto!». Non posso credere di averlo fatto sul serio. Un brivido mi corre lungo la schiena, di paura ed eccitazione insieme, nella consapevolezza che sto per morire. Sto per morire per lei.
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[Capitolo 4]
"Noi tributi siamo solo questo: gli agnelli più belli, giovani e forti del gregge, strappati dai propri compagni per attendere al sacrificio da tributare a dèi oscuri. E il nostro sangue bagnerà l’altare dei potenti, tra grida di giubilo e l’eco lontana del lamento degli ultimi, che piangeranno per lunghi secoli i loro figli."
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Tributi edizioni passate
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Capitolo 7

«Sveglia, sveglia! Il sole sta sorgendo e oggi sarà una grandissima giornata!»
Mi rigiro nel letto con la precisa intenzione di rimanere a dormire.
«Altri cinque minuti, Sirius…»
«Sirius? Julius, vorrai dire»
Julius? Julius… Julius… accompagnatore. Mietitura. Tributi. Capitol City. Hunger Games! Scatto a sedere come una molla, gli occhi sbarrati verso di lui.
«Sicura di sentirti bene, Alyss?» mi si avvicina e mi posa una mano sulla fronte, assicurandosi che non abbia la febbre.
«Sì, sì… benissimo» sospiro io.
Lui mi scompiglia amorevolmente i capelli – non capisco perché piaccia così tanto a tutti, ho diciotto anni, mica dodici.
«Stasera ci saranno le interviste e dopo colazione Telluria ti aspetta in salone per istruirti sul portamento da tenere con il vestito che indosserai!»
Interviste. Portamento. Vestito. Ok, ci sono. Annuisco e mi vesto in fretta. Prendo un panino al volo – non ho molta fame stamattina – e vado subito da Telluria, che è seduta sul divano a leggere un giornale di moda. Appena sente i miei passi si gira e chiude la rivista.
«Buongiorno, Alyss»
«Giorno» rispondo sedendomi accanto a lei e prendendo a consumare la mia colazione.
«Benvenuta alla lezione di portamento elegante di Telluria Rikter»
Mi va di traverso un boccone.
«Perché elegante? Non serve eleganza quando si indossa un armatura»
«Oh, cara, ma tu non indosserai quel costume!»
«Come?»
Lei mi sorride serafica:
«La sfilata è un momento di presentazione dei tributi caratterizzato in special modo dall’effetto visivo. Chi sei è espresso da quello che indossi. Ma questa è un’intervista! Chi sei lo racconti tu, e lo racconti su un vero palco di uno studio televisivo e di fronte a un vero presentatore – del calibro di Domitian Braveheart, poi! – quindi l’eleganza è d’obbligo!»
Mastico lentamente il pezzo che ho morso, mentre cerco di immaginare cosa comporterà quello che mi ha detto Telluria. Immagino che dovrò indossare un vestito lungo… e dei tacchi. Sono molto preoccupata. La mia stilista mi fa cenno di aspettarla e sparisce dietro una porta. Dopo qualche minuto torna con un vestito azzurro e bianco e uno sguardo vittorioso.
«Cos’è?»
«Il tuo abito per stasera. L’ho preparato con cura in questi giorni, anche se nel farlo mi sono lasciata trasportare dai ricordi del Distretto 4» e si asciuga una lacrima col dorso della mano.
Lo osservo bene: è un lungo vestito a tubino a balze azzurre e bianche, che somigliano ad onde marine. Tutto sommato ha un taglio piuttosto sportivo, non posso lamentarmi. Poi mi mostra una giacchetta corta fatta a maglie metalliche, uguali a quelle della mia armatura della sfilata.
«Questo è da mettere sopra. Ovviamente è abbinata alle scarpe» e tira fuori dal nulla un paio di sandali argentati e splendenti. Beh, per lo meno non sono tacchi.
«Cominciamo?» mi chiede retoricamente. Io annuisco.
Va malissimo: stiamo la prima mezzora solo a curare la postura della mia schiena, perché a quanto pare incurvo troppo le spalle in avanti. E le ore che seguono, quelle dedicate proprio al modo di camminare, atteggiarsi e addirittura salutare, passano con una lentezza disarmante. A metà mattinata le chiedo il permesso per una pausa. A permesso accordato, mi propongo di salire in camera e andare in bagno.
Mi chiudo la porta alle spalle e comincio a muovermi per il corridoio. Sono quasi arrivata in camera mia quando sento degli strani rumori provenire da una stanza: sembrano… dei sospiri? E dei mugolii? Identifico l’origine del suono e mi stupisco dell’accorgermi che si tratta della camera da letto di Seismòs.
Dovrei entrare? Magari ha qualche problema. Non controllare mi dà la sensazione di non aver fatto nulla in un’ipotetica fase di agonia pre-morte, il che mi rende colpevole di omissione di soccorso. D’altra parte mi sento come se stessi per violare la privacy di un uomo che chissà cosa sta facendo.
Resto immobile per dieci secondi a cercare di capire come agire, quando sento arrivare da dentro una specie di urletto stridulo: irrompo in camera senza altri dubbi.
Ecco, quello che mi trovo davanti non è esattamente la scena di agonia che mi ero figurata fino a un momento prima. Certo, era difficile riuscire a immaginarsi Julius che giace inerme sul letto matrimoniale mentre un Seismòs seminudo lo bacia con passione su ogni lembo di pelle libera.
E così è lui il suo famoso ex-fidanzato ritrovato.
«Alyss…?» sussurra il mio accompagnatore, scostandosi di dosso lo stilista dai capelli sfatti giallo limone.
Non so cosa esprima la mia faccia in questo momento, ma so che non resterò qui un attimo di più.
Giro sui tacchi ed esco il più velocemente possibile, rinchiudendomi in camera mia.
Quindi Julius se la fa con Seismòs. Così, sul letto di un appartamento nel Centro di Addestramento, come se nulla fosse. Come se io e Laree non avessimo invece dovuto nasconderci tra i rottami di un treno solo per scambiarci un fugace bacio a stampo prima della mietitura. Crollo sul letto: tutto ciò è profondamente ingiusto!
«Alyss…» bussa alla porta.
«Julius, vattene»
«Ma tesoro! Ti prego, lasciami entrare!»
«Ho detto vattene…» la mia voce è quasi un sussurro, eppure tutto dentro di me urla.
Urla un perché, un motivo valido per tutto questo.
«Posso spiegarti!»
E a che serve? Mica deve chiedere il permesso a me per fare quello che vuole col suo fidanzato.
«Ascolta, Alyss, io… io non lo sapevo. Intendo… di te e Laree. Se Layla me l’avesse detto prima…»
Non so come, non so perché, ma ora sono di fronte alla porta aperta e lo sto guardando in faccia.
La figura che mi trovo davanti non sembra affatto lo Julius che sono abituata a vedere, quello perfetto e sistemato di ogni mietitura: ha i capelli corti e castani, non la solita criniera lilla – e criniera è davvero la parola esatta – che tiene per le normali relazioni sociali. Al posto dei completi sgargianti è coperto da un “sobrio” accappatoio leopardato. Solo gli occhi hanno sempre quell’innaturale colore violetto. Sembra quasi una persona normale.
Lui è chiaramente sorpreso, non si aspettava che gli aprissi. Nemmeno io, a dire il vero.
«Dicevi?» dico simulando disinteresse.
Lui in un primo momento balbetta qualcosa di incomprensibile, poi si schiarisce la voce.
«A causa del trambusto Layla poco fa è accorsa a vedere cosa è successo e… beh, ci ha spiegato tutto»
Ancora? Ma che problemi ha quella ragazza?
Non ho più nemmeno la forza di arrabbiarmi.
Invece noto che lui mi guarda colpevole e con una punta di sorpresa negli occhi. Probabilmente non se lo aspettava. Tanto meglio: se non se lo immaginava lui che mi vede ogni giorno, la giustizia di Capitol non avrà nemmeno l’ombra della possibilità di scoprirmi.
A meno che Layla non abbia la premura di comunicarglielo, penso con una punta di ironia.
«Non puoi capire cosa significa. Non serve che vieni da me a dispiacerti» le mie parole suonano più affilate di quello che volevo. Intuisco la sua mortificazione e pongo fine a questo strazio chiudendogli la porta in faccia. Non è proprio la cosa più delicata che potessi fare, ma, scossa come sono, se continuassi a parlare sarebbe solo peggio.
Mi sfilo l’abito da sera coi sandali e mi butto sul letto in tuta. Per stamattina la lezione è finita.
All’ora di pranzo non mi scomodo a raggiungere gli altri e, peraltro, nessuno si azzarda a venirmi a chiamare. Ordino delle pietanze direttamente dalla camera, sorprendendomi nel vedere che queste mi si presentano davanti dieci minuti dopo da un’apertura sulla parete. Servizio completo per anime solitarie.
Dopo il pasto, però, nulla impedisce a Layla di entrare come un carro armato in stanza sfondando quasi la porta d’ingresso:
«Incomincia adesso la sessione tematica di preparazione all’intervista, che ti piaccia o no!»
Io sbuffo e mi risveglio dallo stato catatonico in cui ero caduta per via della mangiata che ho fatto. Poi realizzo compiutamente chi è la persona che ho davanti e la fulmino con un’occhiata ostile.
«Non eri tu quella che diceva di non dire a nessuno della mia situazione con Laree?» la apostrofo.
«Era rivolto a te, non a me stessa» mi risponde con un alzata di spalle.
«E mi spiegheresti gentilmente quale sarebbe la differenza?»
«Che io so di chi devo fidarmi e tu no»
Odio essere trattata come una bambina ignorante e da tenere a bada, perciò mi propongo di obiettare un’ultima volta.
«Come fai ad essere sicura che Julius e gli altri terranno la bocca chiusa?»
«Primo: perché li ho minacciati. Secondo: perché non farebbero mai qualcosa che possa andare a svantaggio del team» elenca le ragioni su indice e medio, con una pazienza sconcertante per il suo carattere.
Credo di potermi fidare. In fondo non che io abbia proprio un’altra scelta.
«Finito con le domande? Possiamo cominciare a parlare di cose serie?» mi chiede sedendosi a gambe larghe su una sedia voltata, le braccia che penzolano dallo schienale. Io annuisco e mi siedo a gambe incrociate sul letto rivolta verso di lei.
La mia mentore fa un lungo respiro prima di cominciare a parlare.
«Stasera sarai su un palco con tutta la nazione che guarderà te e gli altri ragazzi. Dizzy ti farà delle domande per conoscerti meglio, perché lo scopo di tutta questa farsa è far affezionare gli spettatori ai tributi, in modo che ognuno possa garantirsi sponsor» mi spiega brevemente lei.
Domitian Braveheart, detto Dizzy, è uno dei più stimati intervistatori degli Hunger Games di sempre. Appare spesso in tv, tanto che persino io, che non ho una tv, ne ho sentito tanto parlare e l’ho visto quando trasmettevano i Giochi.
È un po’ fuori di testa. Nel senso che straparla e ha sempre la battuta pronta, anche per le storie più tragiche. È imbarazzante e a tratti odioso – solo per noi nei distretti, ovviamente – ma sa come scaldare l’atmosfera quando si fa troppo gelida. In generale, non ho così tanta voglia di farmi intervistare da lui.
«Ok, io cosa devo fare? Ti avverto che non mi metterò a ballare come una foca ammaestrata» faccio secca, scrocchiandomi le spalle con un rapido movimento.
Lei mi guarda e ride.
«No, non dovrai farlo. Ma il livello di finzione dovrà essere quello. Ascolta» e si accende una sigaretta, come se non l’avessi già avvertita di non farlo qui dentro, «tu sei una fonte di gossip per questa gente. Sono curiosi di conoscerti, fantasmino» e ispira profondamente quel veleno.
Fantasmino… provo a soprassedere su questa cosa.
«Ok, quindi parlerò di come sono sopravvissuta da sola nel distretto?»
«Sì. Inventati storie, e non nominare mai Laree o quel vecchio Pacificatore che ti ha aiutato»
Come fa a saperlo? Questa ragazza mi sorprende sempre di più.
«Che tipo di storie dovrei inventarmi?»
«Non lo so, ma qualcosa che faccia intendere che sei furba e forte, che bisogna puntare su di te perché tu, da sola, sei riuscita a fottere un’intera nazione e ne sei uscita viva»
«Ho capito. E se mi chiederà di Laree?»
«Te lo chiederà quasi sicuramente. È una tua vecchia amica, solo questo»
Annuisco. Sembra facile: fare qualche discorso sulle terribili condizioni in cui sono sopravvissuta, non nominare Sirius, dire che Laree è solo una mia amica. Dovrei farcela.
«Per il resto credo che tu possa benissimo cavartela. Sei un tipo tosto e traspare molto bene. Ah, e inventati una scusa per quella cicatrice, è bene che non si sappia che hai sfidato un Pacificatore. Sii forte, ma non ribelle»
«Ok»
«Vuoi fare qualche discorso di prova?»
«Sì, certo»
Passiamo tutto il pomeriggio ad architettare la mia nuova avventurosa vita, ripulendola da tutto quello che può essere nocivo per chi mi aspetta al 6. Devo proteggerli da ogni possibile accusa.
Alla fine di tutto Layla è molto soddisfatta di me: io sono piuttosto naturale e non ho difficoltà di sorta a parlare di eventi dolorosi – più o meno veritieri – che mi sono accaduti.
Anche a cena preferisco rimanere in camera, nonostante le lamentele di Layla. Non ho voglia di vedere gli altri prima dell’intervista.
 
Sono nel mio vestitino, seduta sul palco in mezzo ad altri ventitré tributi. Roy è affianco a me, incredibilmente calmo, in un completo rosso e bianco con tanto di papillon. Le interviste cominciano prima ancora che io possa rendermene conto.
Dopo la civettuola e scialba ragazza dell’1, Axel stupisce tutti con la sua sfrontatezza e sicurezza: risponde diretto alle domande di Dizzy, ostenta una sicurezza e una crudeltà che spaventano su di un tredicenne.
Lana è piuttosto calma invece. Sentirla parlare di sé mi rilassa. Ripenso a quando abbiamo ingaggiato quella sfida in palestra: se ci fossimo conosciute in un’altra occasione saremmo state buone amiche.
«C’è un motivo chiaro per cui ti sei offerta volontaria? Dai, dai, sono curioso! Parlaci del perché se qui con noi» le chiede Dizzy.
«Mi sono offerta volontaria per dimostrare al ragazzo che mi ha rifiutata che valgo di più di quello che pensa» il pubblico caccia un oh! tra il malizioso e l’ammirazione. Ma negli occhi di Lana – che riesco a vedere solo dallo schermo – io leggo ora una punta di rabbia.
«Ah! Si pentirà sicuramente di quello che ti ha fatto!»
«Oh, se ne pentirà eccome. Anche perché ha avuto pure il coraggio di offrirsi volontario con me»
Adesso il pubblico è in delirio mentre sullo schermo viene proiettato il volto impassibile di Phoenix. Una storia di rifiuto e vendetta? Questo è pane quotidiano per gli abitanti di Capitol City. Dubito che riuscirò a fare di meglio per attirare l’attenzione su di me. Se sta fingendo è un genio, se è la verità è molto coraggiosa.
Conclusa la sua intervista con un veloce scambio di battute finali, è il turno di Pheonix: lui viene accolto con dei fischi e urletti contrariati. Mi accorgo solo ora della reale portata di ciò che ha fatto Lana: ha costruito la sua popolarità infangando il suo compagno di distretto. Un’arma di difesa e di attacco insieme.
Sono invidiosa.
Phoenix, da parte sua, non sembra scomporsi più di tanto. Durante l’intervista vengo a sapere che ha la mia età e che è una vera roccia in fatto di autocontrollo. Non si scompone mai. Alla domanda sulla veridicità di quello che ha detto Lana, lui risponde così:
«E’ andata come ha detto lei. Si è dichiarata a me due settimane prima della mietitura e io l’ho respinta»
«Ma come mai? Una ragazza così bella! Aspetta, fammi indovinare: il problema è che sei impotente!» butta lì Dizzy, suscitando l’ilarità del pubblico.
«Semplicemente lei non mi piace» diretto come una lama.
«Ma come hai visto la nostra giovane se l’è legata al dito…»
«Non mi interessa»
Il pubblico è in delirio. Una rivalità così accesa tra compagni di distretto è una vera rarità, e la storia del rifiuto fa ribollire le passioni di ogni capitolino presente in sala. Ma la glacialità di quel ragazzo! Invece di difendersi ammette tutto con estrema facilità. Si vede che non ha bisogno minimamente del sostegno di un pubblico per pensare di poter vincere. Non fatico a crederci: è un favorito, è robusto e ha diciotto anni. Può permettersi quello che vuole.
I tributi del 3 non si discostano molto dall’idea che mi ero fatta di loro: lui spaventato e lei saccente.
Lavender, del Distretto 4, conferma la sua pazzia. Dice di voler vincere gli Hunger Games solo per il gusto di essere proclamata vincitrice mentre cammina sui cadaveri delle sue vittime. Un certo sconcerto si impossessa dello studio per qualche secondo. Ma subito dopo sono già acclamazioni di giubilo e sostenitori – cioè, purtroppo per me, sponsor – che fioccano da tutte le parti.
Finalmente è il turno di Skeeter, il misterioso bel favorito che sta sempre sulle sue. Dizzy accenna alla sua mietitura, in particolare a qualcosa a cui non avevo fatto caso finora: lui è stato estratto e nessuno si è offerto volontario al suo posto, come invece spesso accade al 4. Gli domanda come mai, e Skeeter risponde con un’alzata di spalle.
«Probabilmente è perché gli altri ragazzi non sopportano me come io non sopporto loro»
«Cioè hanno preferito rinunciare alla loro gloria personale per sperare che tu non torni mai più?»
«Qualcosa del genere»
«E quindi… hai intenzione di vincere per dimostrargli chi sei?»
«Oh no, caro Dizzy» risponde lui scotendo il capo, «non ho intenzione di vincere. Io al 4 non ci torno. Ma ho intenzione di sostenere fino alla fine un tributo che sceglierò»
Come?
C’è sconcerto in studio, ma un applauso improvviso sovrasta il balbettio senza senso dell’intervistatore. Con una dichiarazione del genere potrebbe benissimo mettersi contro gli strateghi, che sicuramente non hanno bisogno di gesti di altruismo negli Hunger Games.
Non riesco a capire a che gioco stia giocando. Possibile che voglia sacrificarsi per permettere a qualcuno che nemmeno conosce di tornare a casa? Come fa a non temere l’ira degli strateghi?
Poi capisco: non ha detto di non voler combattere, e nemmeno di ritirarsi. Lui combatterà, eccome. E poi c’è quel dodici dell’addestramento. Gli strateghi non uccideranno qualcuno con così tante potenzialità: darà un tocco in più allo spettacolo, qualsiasi destino sceglierà.
Mentre mi chiudo in questi pensieri, l’intervista di Skeeter è finita. Tocca ai ragazzi del 5, e io smetto definitivamente di ascoltare: mi sale l’ansia. Tra poco toccherà a me. Ho il cuore a mille sembro una fontana per quanto sono sudata. Il tempo sembra non scorrere più e fisso solo i miei sandali argentati.
E poi tocca a me.
Un applauso del pubblico, Dizzy che mi tende la mano, i riflettori puntati in faccia e io dimentico tutta la lezione di portamento elegante fatta da Telluria questa mattina. Tempo perso.
Mi siedo sul divanetto affianco all’intervistatore, che mi sorride mostrando fieramente i suoi denti d’oro. Porta uno smoking nero con paillettes dorate e i suoi capelli sono tinti di verde smeraldo e sparati in tutte le direzioni: dal mio punto di vista è un porcospino, dal punto di vista dei capitolini è alta moda.
«Allora, Alyss. Sono troppo curioso di conoscerti! Ma sono vere queste storie sulla ragazza fantasma? Cioè, fino a qualche giorno fa eri veramente considerata morta?»
«Sì» rispondo meccanicamente. Non riesco ad aggiungere altro, ho la bocca impastata.
«E come hai fatto… insomma, a sopravvivere? Senza un sistema d’istruzione, la possibilità di un lavoro, l’onore di partecipare alla mietitura! Non deve essere stato facile»
Mi schiarisco la voce.
«No… ma dopo la morte di mia madre mi sono tirata su le maniche e mi sono data da fare» metto su lo sguardo più amaro che ho nel mio repertorio «pensa che frugavo nella spazzatura per riuscire a trovare qualcosa da mangiare»
Qualcuno nel pubblico sospira. Ma io non sono soddisfatta.
«Hai vissuto l’arena prima ancora di parteciparvi!»
«Questa ne è la dimostrazione, Dizzy» gli dico indicando la mia cicatrice.
«Bellissima! Come te la sei fatta? No, no: voglio indovinare io! Hai provato a farti la barba!»
Ma che battute sono?!
Simulo una risata e poi scuoto la testa.
«Non sono sicura vi piacerebbe saperlo» rido ironica io.
«Invece io dico di sì!» mi sprona lui battendomi una mano sulla schiena.
«Come vuoi. Avevo dodici anni. Ero sotto il portico della macelleria a rovistare nei cassonetti in cerca di cibo, quando sento dei ringhi alle mie spalle» faccio una pausa e chiudo gli occhi, come per ricordare meglio quel momento, «non uno. Ben due giganteschi mastini mi stavano spingendo al muro. Credetti davvero quella sarebbe stata la mia fine, Dizzy! Ero la metà di loro e molto più scarna. Poi li affrontai: fu una rissa spaventosa dalla quale uscii vittoriosa grazie a una scheggia di vetro che avevo raccolto da terra: ti dico solo che non soffrii più la fame per settimane, con tutta quella carne. E questa cicatrice è il trofeo del mio valore»
Un applauso di stima da parte del pubblico è ciò che ho guadagnato. Dizzy annuisce, poi placa l’esultanza con un cenno della mano.
«Wow, sei una bomba! E poi c’è quella ragazza per cui ti sei offerta volontaria. Chi è? Da come ti guardava sembrava ti conoscesse da una vita!»
«Una vecchia amica», mi affretto a rispondere, «anche se a dire il vero non la rivedevo dai tempi in cui avevo ancora una casa. Non sapeva che ero viva, ma in passato eravamo molto unite… non volevo che morisse».
La sala si riempie degli ah! commossi.
Abbasso lo sguardo alle mie mani giunte sopra le gambe. Laree mi sta guardando. Devo rialzare lo sguardo per lei. Devo essere forte per lei.
«Ma io vincerò. Gliel’ho promesso» aggiungo.
«Col tuo background da vera guerriera – come ci hai dimostrato con quel meraviglioso costume durante la sfilata – non avrai difficoltà a vincere! Hai tutto il nostro sostegno!» conclude Dizzy mentre il pubblico esplode in un applauso.
«Alyss Knight, Distretto 6!» annuncia prendendomi la mano e alzandola in aria.
Quando torno a sedere tiro un sospirone: e anche questa è fatta! Ora posso studiarmi in santa pace gli altri tributi. E a proposito di altri tributi, adesso è il turno di Roy.
Dizzy gli fa subito dei complimenti per il suo bel completino e lo rinomina funghetto per via del colore dei capelli e la bassa statura. Tutti, persino Roy, sembrano apprezzare il nomignolo ironico. Probabilmente anche il nostro intervistatore sa che un bambino come lui sarà il primo a cadere, perciò cerca di buttarla sul ridere.
Parlano un po’ della sua vita nel distretto, finché Dizzy non se ne esce con un’esclamazione curiosa:
«Comunque dev’essere una sensazione strana essere accompagnati agli Hunger Games da tua zia!»
Zia?!
Il mio tasso d’attenzione si impenna improvvisamente.
«Beh, non è proprio mia zia. Layla è la cugina di mia madre, perciò forse è più una zia di secondo grado!» le telecamere inquadrano la mia mentore, che sorride un po’ forzatamente.
«E’ vero, ricordo l’intervista che le feci cinque anni fa! Disse che avrebbe vinto proprio per tornare a casa da questa sua cugina, che era l’unica parente ancora in vita che aveva!» esclama Dizzy, agitandosi sui braccioli della sua poltroncina.
«Fino a che mia madre non morì, un mese dopo la sua vittoria» conclude tristemente Roy.
«Ma tu proverai a vincere per entrambe?»
«Proverò vincere per entrambe» ripete lui accennando a un sorriso.
Poi la conversazione si sposta su argomenti più leggeri, finché il tempo di Roy finisce.
E quindi Layla e Roy hanno un legame di sangue. Devo farmi spiegare alcune cose.
Durante le successive interviste la mia testa è da tutt’altra parte: ho bisogno di chiarimenti, di capire le vere intenzioni della nostra mentore. Perché è chiaro che nessuno farebbe morire in questo modo un famigliare senza aver provato a proteggerlo. Ergo lei mi ha mentito. Non può, non è possibile che abbia scelto me.
A conclusione del programma, Dizzy dà la buonanotte a tutti e finalmente le telecamere si spengono.
Torno dietro le quinte e trovo Layla, che sta parlottando animatamente con Julius. La prendo da parte a forza e le grido contro senza ritegno:
«Quando pensavi di dirmi che quel bambino è tuo nipote?!»
«Quest’informazione cambia forse qualcosa?» mi risponde lei scostandomi con fare irritato.
«Sì, cambia la scelta di chi vuoi davvero tenere in vita!»
Lei mi guarda con disprezzo tale che per un attimo mi sento un verme ad averle urlato contro. Ma è solo un attimo.
«Ti ho già spiegato che scegliendo te avrei fatto un torto a mia cugina. Ora sai perché. Ma non mi rimangio la parola data… lui non ha possibilità, tu sì!»
«Mi stai dicendo che lasceresti che il figlio della tua amata cugina muoia senza far nulla?»
«Sì!» sbotta alla fine lei, «sì, perché preferisco sapere che riabbraccerà sua madre piuttosto che vederlo vivere in questo schifo di mondo! Io posso solo fare in modo che se ne vada nel modo meno atroce possibile e questo lui lo sa!»
«E’ vero» interviene una vocina alle mie spalle.
«Roy?» mi volto. Lui non dice nulla e mi abbraccia forte. Rimango interdetta.
«Lo so che non ce la farò. Anche se ho paura» mi sussurra.
Layla si avvicina e gli accarezza i capelli. Roy si stacca da me e si getta tra le braccia di sua zia. La mia mentore ha gli occhi lucidi. Li guardo stringersi e mi accorgo di non averli mai conosciuti sul serio. Tra loro c’è un legame che non avevo mai visto prima, un mondo interiore privato fatto di affetto e paura. Rimango ad osservarli a bocca semiaperta, fino a che un gruppo di Pacificatori non ci ordina di tornare nei nostri appartamenti. Eseguiamo l’ordine nel più completo silenzio.
È una notte lunga. Domani saremo nell’arena e io, nonostante la stanchezza, non riesco a dormire. Sono seduta sul letto con le ginocchia strette al petto, mentre guardo Capitol City in festa dal grande finestrone della mia stanza. Continuano a ronzarmi nella mente le parole di Layla, quelle di Roy, e poi i volti dei tributi durante le interviste, la risata di Domitian Braveheart, l’esultanza del pubblico e infine la tranquillità del mio distretto: ecco il volto di Laree, in lacrime, che mi prega di tornare da lei. È l’immagine che custodisco nella mia memoria dalla mietitura, quella che mi sono ripromessa di aver bene stampata in mente quando sarò nell’arena. E l’arena sta arrivando.
Gli altri tributi non sono per nulla deboli.
Le ho promesso che sarei tornata.
Non ne sono più così tanto sicura.
 
***
Siamo nascoste tra i cespugli del giardino della sua scuola. Laree si sta nascondendo da Rik, che cerca da tutto il giorno di convincerla ad uscire con lui. Nonostante la mia migliore amica gli abbia già detto più volte di no, lui non si dà per vinto. Per avere quattordici anni è già un bravo seduttore. Ma con Laree non funziona.
«Oggi l’insegnante di storia ci ha spiegato una cosa molto buffa» comincia lei giochicchiando con una foglia.
«Cosa?» le chiedo io seguendo con lo sguardo ogni suo movimento.
«L’“Editto sull’omosessualità” stilato durante il quindicesimo anno dai Giorni Bui» dichiara lei, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
«E perché sarebbe molto buffo?»
«Perché la motivazione di questa legge è un rapporto secondo cui in quell’anno il tasso di malattie a trasmissione sessuale nei distretti aumentò in maniera spropositata: così Capitol City, per limitare i danni, vietò le unioni tra persone dello stesso sesso»
Cerco di capire cosa ci trovi di divertente in tutto questo, ma proprio non ci arrivo.
«Ripeto la domanda: perché sarebbe molto buffo?» insisto.
«Ma perché non è vero! Mio fratello River mi ha raccontato la verità: prima della legge c’era gente che fingeva di avere relazioni omosessuali solo per non dover dare alla luce bambini che poi avrebbero potuto perdere negli Hunger Games. Era un atto ribelle, in qualche modo. Così Capitol City intervenne» conclude lei vittoriosa.
Io la guardo scettica.
«Non potrebbe esserselo inventato tuo fratello? Lo sappiamo entrambe che lui ha uno spiccato spirito ribelle…» commento alzando un sopracciglio.
«No. È il destino»
«Il destino?» credo che sia la prima volta che sento questa parola.
«È ciò che muove gli eventi di questo mondo: tutto quello che accade ha un motivo e uno scopo ben precisi. Me l’ha detto River»
«Io non penso. Ma tu credi a tutto quello che ti dice tuo fratello?»
«Certo. Lo vedo: lui sa cose che noi non possiamo neanche immaginare!»
Destino? Motivo? Scopo? E la morte di mio padre? Di mia madre? Che scopo aveva? Sa anche questo River? No, non penso. Non ci credo neanche un po’.
 
Note di Me.
Ed ecco un lunghissimo capitolo pieno di sorprese tutto per voi. E sapete quanto ci ho messo a scriverlo?
Dizzy: aspetta, fammi indovinare!
Me: no, Dizzy, placati.
Comunque ci ho messo un sacco di tempo. Mi è costato fatica, perché le cose da trattare eramo molte e io non vedevo l'ora di passare a scrivere dell'arena. Non sapete che soddisfazione pubblicare finalmente questo capitolo! *-*
Allora, che ne pensate di Lana e Phoenix? Di Seismòs e Julius? E di Layla e Roy? (che so essere i vostri preferiti...e ora sono pure parenti)
Ma voi non potete immaginare quanto ho riso descrivendo la scena in cui Alyss scopre Julius e Sei in atti poco interpretabili, ahahaha.
Bene, lascio la parola ai vostri commenti. Al prossimo (fantastico) capitolo *-* ARENAAAAAAAH (il prossimo aggiornamento sarà il 28 gennaio, subito dopo il mio esame di Storia Moderna. Evvai)
Alex
   
 
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