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Autore: Darkunk    25/01/2015    1 recensioni
DAL PRIMO CAPITOLO:
-Tu...mi hai salvata.-
Mi avvicinai verso quel ragazzo con le lacrime agli occhi, e sentì che le mie gambe stavano per cedere. Ma l'avrei raggiunto. Lui mi aveva salvato.
DAL TERZO CAPITOLO:
Ci restammo a fissare per un tempo che mi sembrò infinito,
finché la mia boccaccia non parlò.
-Scusa, ma noi due...
per caso, non ci siamo già incontrati?-
•~•~•~•~•~•
Prima fiction su Death Note con il solo scopo di far piacere al pubblico il mio lavoro.
[LxNuovo personaggio•LightxMisa]
Darkunk
Genere: Drammatico, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: L, Light/Raito, Mello, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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                     See Me

Se avessi dovuto dire cosa fosse successo quel giorno, non lo avrei mai saputo spiegare.
Tutto quello che ero in grado di ricordare era il letto d'ospedale, intriso di disinfettante e chissà quale altro farmaco, e di una zuccherosa infermiera con un parrucchino ridicolo che mi aveva fatto mente locale di ciò che era accaduto.
Mi disse che, qualcuno di noi fanciulli, era riuscito ad inviare prove a carico del maniaco che ci sfruttava per la gioia del suo portafoglio, e che finalmente, sarei stata libera.
Tuttavia, non riuscivo ad essere felice. 
-Dove sono Mihael Keehl e Mail Jeevas?-
-Mi spiace cara, non ho idea di chi stai parlando. Qui non risiedono nessun Mihael Keehl o Mail Jeevas.-

Dovevo essere stata un bel peso. Perseguitai varie infermiere per sapere dove fossero finiti i miei due migliori amici, se li avessero portati in un'altro ospedale, o se li avessero semplicemente spediti in qualche orfanotrofio. E ne davo atto, i medici facevano di tutto per garantirmi una risposta, ma niente. 
Mihael e Mail sembravano scomparsi dalla faccia della terra.

Mi definivo, tutto sommato, una persona abbastanza forte, ma nel sapere che le uniche persone che mi avevano sostenuto per tre lunghi anni non ci sarebbero state più, non aveva fatto altro che farmi scoppiare in un pianto silenzioso per un'intera nottata. 

Provai successivamente con un'altra domanda, sperando in una risposta soddisfacente. 
-So che è stato un detective a farci uscire da lì...mi sa dire chi è?-
-Un detective privato, se non erro. Ma non le so dire di preciso di chi si tratta.-
Quella seconda affermazione mi aveva formato un'altra crepa interiore.
Ma era mai possibile che non sapessero niente di niente?

Rimasi in ospedale per due giorni, poi, mi trasferirono in un'orfanotrofio non troppo lontano.

Era un posto piuttosto accogliente, ma nonostante ciò, non riuscì a farmi nessun amico. Per carità, nessun bambino mi trattava male o altro (anche perché, dopo quello che era accaduto, non sarebbero vissuti un minuto di più dai tanti schiaffi che avrebbero preso), ma erano nettamente inferiori al mio modo di pensare. Non riuscivo mai a fare un discorso serio con nessuno di loro.

Venni adottata due anni dopo da due  persone che imparai ad amare più tardi, Koushun Aru e Sarah Leyshon.

Avendo in casa un genitore di origini giapponesi, imparai per l'appunto il giapponese, e, nel giro di due anni, lo sapevo a menadito, sia nel parlato, che nello scritto.

Feci le scuole medie in Inghilterra, e forse, quell'arco scolastico fu il più tranquillo e pacifico della mia vita. 
Poi, per ragioni lavorative, ci dovemmo trasferire in Giappone, nella regione del Kanto. Lì continuai  le superiori, e per me fu quasi drammatico un cambiamento scolastico così radicale. Le scuole giapponesi erano molto diversi da quelle inglesi, e come unico punto comune che riuscì a trovare, fu la presenza dell'ennesima uniforme.

Ovviamente, abbandonai il mio vero cognome, Rain, per far posto a quello del mio nuove padre, Aru. 
Non mi dava così tanto fastidio. Era come abbandonare una vita per cominciarne una nuova 
Ormai rientrava nel mio stile di vita.

                            ****
-Aru. Aru. ARU!-
Sbuffai. Non mi piaceva essere chiamata dai compagni quando il professore spiegava, anche perché se mi avesse vista parlare con qualcuno, la mia media si sarebbe sicuramente abbassata. D'altronde, fra poco avrei fatto il test d'ammissione per l'università, e che dire...Ci tenevo ad essere preparata. Ma non era nella mia indole essere scontrosa con le persone, perciò accennai un sorriso tirato alla ragazza affianco e sussurrai un:
-Che c'è?-
-Passa questo a Megumi, per favore-
Presi il foglietto dalle sue mani per passarlo alla diretta interessata, ma non prima di leggere con una rapida occhiata il soggetto della conversazione.

"Che ne pensi di Kira?"

Era da' un po' di tempo che Kira aveva cominciato il suo operato, e non potevo negare che la faccenda mi aveva stimolato un certo interesse. 
Uccidere gente per arresto cardiaco da chilometri  di distanza... Mi sembrava così impossibile che a stento ci credevo.
Ma si erano ottenute diverse prove che no, non era una farsa per fare audience e che no, non era uno scherzo di pessimo gusto di qualche programma TV.
Se dovevo dare qualche opinione personale, non avrei saputo cosa dire. Era già capitato però, che davanti ai miei genitori, rivoltami la stessa domanda, fossi stata costretta a rispondere  un "Credo sia sbagliato".
Ma tutti al mio posto non si sarebbero esposti tanto, soprattutto con i propri genitori.
Vista la mia situazione, sarei dovuta essere felice che nel mondo qualcuno sterminasse i malvagi, ma dal mio punto di vista la consideravo quasi...una resa. Qualcosa come, l'uomo soggiogato dal proprio potere o roba del genere.
Perché alla fine, si parlava proprio di un'uomo, oh almeno, era questo che L diceva.
-Ametista, scusa, ripassi questo a Nokiro?-
-Si, certo-

"Era l'ora che qualcuno cominciasse un compito del genere! Sono sempre stata convinta che la morte sia l'unica soluzione, per quei mostri"

E poi c'era L. L'ennesimo uomo nell'ombra, colui che era riuscito a risolvere una quantità immonda di casi. Mio padre ne aveva parlato più e più volte con furore, a tavola.
Forse credevo più nel suo ideale di giustizia. La morte la vedevo come una cosa troppo orrenda, per essere avvicinata ad un essere un umano, quell'immagine  che dovrebbe essere paragonata alla vita.
Si, forse credevo fosse più conveniente un ergastolo a vita che una morte senza preavviso.

"Hai proprio ragione, Megumi! Certe persone tolgono soltanto aria."

Ma a quanto pare ero l'unica a pensarla diversamente.
-Nakagawami Megumi, Toshima Nokiro, basta passarvi bigliettini, e sopratutto lasciate stare la povera Aru!-
Esclamò il professore, lievemente incavolato.
E lo scambio di bigliettini finì lì, e non seppi mai le loro infinite opinioni in riguardo.
Non che mi interessassero, per carità.      
                            ****
Tornai a casa sfinita, con mille pensieri in testa e domande più o meno importanti.
-Sono a casa-
Mia madre, veloce come un fulmine, si precipitò alla mia persona con un'espressione allegra in viso.
-Ciao, Ametista!-
Sorrisi. Era l'unica persona che riusciva a pronunciare il mio nome correttamente, quasi da renderlo famigliare.
-Ciao, mamma-
-È andato tutto bene?-
-Si, come sempre.-
Era l'allegria fatta a persona, e per di più, aveva il tipico accento British che mi faceva sempre ricordare la mia vera casa. Insomma, era un concentrato di gioia e ricordi.
-Papà è ancora al lavoro?-
Annuì con decisione.
-Lo sai, che con il casino che si è formato, ormai vive al massimo due o tre ore a casa.-
Confermai. 
Mio padre era un poliziotto, e con il senso di giustizia che si ritrovava, non era riuscito a rinunciare al caso Kira. Forse era per questo, che preferivo più L che Kira.
Kira era riuscito a separare mio padre, seppur non quello effettivo, da me.
E probabilmente, il mio subconscio interpretava questa allontanamento come un nuovo addio da parte di una persona cara, come successe dodici anni fa' con il mio padre di sangue.
Si, doveva essere proprio così.
-A be', io vado a studiare.-
-Va bene! Se mi cerchi, sto' facendo una doccia!-
Mi chiusi in camera a chiave, onde evitare disturbi da mia madre, anche se era improbabile, e cominciai a studiare.
Dopo un po' di tempo cominciò a far caldo, così decisi di accendere il condizionatore.
Ma, rivelazione, quest'ultimo non si accese.
Pensando fosse un problema di segnale, avvicinai il telecomando per l'accensione più vicino all'aggeggio.
Ma non si mosse.
Innervosita, presi una sedia, mi ci arrampicai sopra, e provai ad aprire il condizionatore. Pensavo ci fosse un guasto interno.
Quando l'aprì, rimasi scioccata dalla presenza di una telecamera, tra l'altro accesa.

"Oh mio Dio"

Pensavo che mio padre scherzasse quando mi disse, una volta "Se rimani tutto il giorno in camera tua, finirà che ti spierò per sapere quello che fai tutte quelle ore!", ma risultava del tutto improbabile una cosa del genere.

Mi venne naturale.
-MAMMA, C'È UNA TELECAMERA NEL CONDIZIONATORE!-

                            ****
Il risultato fu che volli rimangiarmi tutto un secondo dopo, ma per mia fortuna, fu come aver urlato ad un sordo. Mia madre, sotto la doccia, non sentì proprio niente.
Così, feci la seconda cosa che mi venne più naturale.
Presi il cellulare e chiamai mio padre.
-Ametista! P...-
-PAPÀ, C'È UNA CAZZO DI TELECAMERA NEL  CONDIZIONATORE!-
Non avevo mai usato un linguaggio così scurrile con mio padre, in vita mia.
E che...cavolo, non tutte le adolescenti a quanto ne so si ritrovano spiate con una telecamera! 
-Pensavo stessi scherzando, quella volta. Pensavo ti fidassi di me! -
-Ametista lasciami spiegar...-
Sentì una voce maschile sovrapposi con forza su quella di mio padre, che ruggì qualcosa come:
"Spenga subito il telefono, signor Aru!"
E la chiamata s'interruppe.
Subito venni avvolta da una domanda a cui probabilmente solo mio padre poteva darmi una risposta.
Scrissi un messaggio veloce e lo inviai.

"Papà, non sospetterai mica che Kira sia io?" 
 
Non dissi niente a mia madre, più tardi. Pensavo che avrei solo peggiorato la situazione.
Aspettai tutta la notte, ma non ottenni una risposta. Ma sopratutto, mio padre quella sera non rincasò.

                          ****
Quelle turbe mi perseguitarono la mattina successiva, e, essendo visibilmente preoccupata, sbagliai pure a rispondere al professore.
Ma sinceramente, non mi importava più di tanto.
Le domande che mi ponevo ruotavano tutte attorno ad unico centro: la polizia, con molte probabilità, aveva dei dubbi su di me.
Ma quello che mi premeva di più era sapere quanto mio padre avesse detto sul mio conto, ad altri eventuali agenti (non sapevo quanti fossero).
Il mio passato faceva pensare che fossi la persona ideale per incarnare Kira, su questo non c'era dubbio.
Non avevo mai raccontato dettagliatamente quello che mi era accaduto in precedenza (anche perché, con tutti i farmaci inalati, nemmeno io ricordavo molti fatti), ma avevo fatto giurare ai miei due nuovi genitori che non si sarebbero mai messi a parlare di quello che mi capitó nove anni fa.
L'unica speranza che mi rimaneva era che mantenesse fede a quel patto.





Angolo autrice:
....si, lo so, è un'idea abbastanza idiota, e se volete prendermi in giro potete farlo. Non piangerò >_>
Scemate a parte, ringrazio Midnight Lies per aver commentato e The Fire per aver messo la storia tra le preferite anche se aveva solo un capitolo. grazie, grazie, e ancora grazie.
alla prossima, ci vediamo domenica prossima! (Se volete. SE)
Darkunk 
 


                       

                          

                          












  
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