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Autore: Nadie    26/01/2015    3 recensioni
Un giorno ha chiesto cosa fosse quell’amore ripetuto dai dischi in vinile di papà.
«Una cosa che aggiusta tutto.» gli hanno risposto.
«Come una super colla?»
«Proprio come una super colla.»
Adesso che il bambino che è stato lo ha abbandonato, capisce che gli hanno mentito.

[Ben e Prudence]
[La Legge del Resto - sentivo il bisogno di cambiar titolo]
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Temporale '
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13. Le buie solitudini




Non sa quanto tempo possa essere passato, quante persone possa aver osservato, quante parole possa aver ascoltato o quante sigarette possa aver fumato.
Sa soltanto che nessuno verrà a sederglisi accanto, nessuno gli chiederà scusa per aver usato parole taglienti e nessuno medicherà la sua mano ferita e allora chi sta aspettando? E allora cosa ci fa ancora là?
Scuote la testa e si alza.
Non ha senso. Non ha più senso.
Cammina svelto verso la fermata della metro più vicina.
Biglietto-macchinetta-timbro-scale-un minuto di attesa-porte che si aprono svelte.
Si siede accanto ad un uomo brizzolato e con due occhi incredibilmente piccoli ed incredibilmente scuri.
Sospira, c’è parecchia gente ma nemmeno una parola, solo lo stridere delle ruote sulle rotaie e il buio indefinito che si muove fuori dai finestrini.
Il buio, il buio, il buio. Ancora buio, di nuovo buio.
Una signora con una cascata di capelli bianchi si appoggia stanca al suo bastone.
«Si sieda pure.» le dice alzandosi in piedi ed appoggiandosi ad un palo grigio.
La signora gli sorride gentile e si siede al suo posto.
«Grazie, giovanotto!»
«Di niente.»
Fissa la cascata di capelli bianchi e pensa che sia così perfetto, così giusto.
Capelli bianchi e chissà, chissà cosa c’era al posto del bianco tanti anni fa, chissà quale colore il tempo ha fatto sbiadire e chissà se anche lui sbiadirà, piano piano.
Chissà quando e chissà come sbiadirà.
Forse perderà ogni colore, diventerà bianco, bianco e così bianco da sparire.
Forse è questo che succede, alla fine. Forse non si muore ma si sbiadisce e basta.
E lui vorrebbe sbiadire con Prudence, vorrebbe sbiadire guardando gli occhi verdi di Prudence che non sbiadiranno mai e vorrebbe poter vedere i Suoi capelli troppo cresciuti diventare una cascata bianchissima, una cascata bianchissima che illuminerà i suoi bui veloci e indefiniti.
Ma forse sbiadirà da solo.
Scuote la testa, tenta di scacciare quel pensiero.
Ma forse sbiadirà da solo.
Non ci riesce, non si può scacciare un pensiero, non quando ormai è entrato silenzioso tra le fessure sottili della mente e resta in bilico tra mille altri pensieri.
Forse sbiadirà da solo. Forse io sbiadirò da solo.
Ha raggiunto la sua fermata, sorride alla signora e ai suoi capelli sbiaditi ed esce in fretta, si fa strada tra la calca, raggiunge le scale e riemerge.
Da sottoterra in superficie.
Chiude gli occhi e respira l’aria di Dublino e dei suoi prati verdi e dei suoi cieli grigi.
Dublino, Dublino, Dublino città maledetta, Dublino città dei sogni e quanto la odia, e quanto la ama; quanto vorrebbe non esserci mai andato, e quanto vorrebbe viverci il resto dei suoi giorni.
Vorrebbe sbiadire a Dublino e guardare i prati verdi sbiadire insieme a lui, vedere il lungo fiume venire risucchiato dalla terra e dal fango e sbiadire, sbiadire insieme a quella città.
Dublino città maledetta, Dublino città dei sogni.
L’hotel è a poco più di dieci metri di distanza, li percorre veloce ed entra dentro tentando di passare inosservato.
Prende le chiavi della sua stanza e sorride al receptionist.
Ha bisogno di qualcosa?
No, grazie, è già tutto perfetto.
Calca, accentua il tono sulla parola ‘perfetto’, vorrebbe pronunciarla con tutto il disprezzo possibile ma riesce ad usare solo un tono neutro, noncurante, indifferente, bianco.
Perfetto.
Sorriso.
Sale al piano superiore e raggiunge la sua camera, apre la porta e dà una rapida occhiata alla stanza.
«Franziska?»
Franziska non c’è, non è tornata.
Oppure è tornata ed è andata via di nuovo e forse ritornerà ancora, e lui non vuole che torni, lui non vuole sentire le sue domande, non vuole darle nessuna risposta. E devi sapere, Franziska, che a me non piacciono le parole, che io odio le parole e se potessi le prenderei tutte, una per una, e le spezzerei. E allora Franziska, sai cosa c’è? Usiamo il silenzio, il silenzio non fa danni, il silenzio non offende, non ferisce, non taglia, non manda affanculo nessuno. Il silenzio è perfetto-perfetto-perfetto.
Allora restiamo in silenzio, ti va?
Ma Franziska non è tipo da restare in silenzio, Franziska vuole parole e cene; anelli e fiori; abiti eleganti, candele e champagne.
E amore, vuole anche l’amore.
E lui non può dargliene, non potrebbe nemmeno volendo.
Lo ha già usato, forse sprecato, una ragazza con gli occhi verdi ha saputo solo maltrattarlo, ammaccarlo, tagliarlo e ferirlo con parole scritte e dette che lui non avrebbe mai voluto né leggere né sentire.
E quindi mi dispiace, Franziska, mi dispiace ma non si può, non posso darti l’amore che cerchi o le risposte di cui hai bisogno e quindi cosa ci facciamo insieme io e te? Cos’abbiamo da condividere? Cos’hai tu darmi e cos’ho io da darti? Mi è rimasto il nulla, niente, vuoto.
Ed è questo che vuoi? Il vuoto?
Mi dispiace, Franziska, mi dispiace.
Afferra dall’armadio il suo borsone nero e ci infila dentro un po’ dei suoi vestiti e delle sue cose, si muove svelto per la stanza, sembra quasi cerchi di scappare da non sa nemmeno lui chi o che cosa.
Quando gli sembra di avere tutto il necessario, tira un sospiro, poi prende carta e penna e lascia un biglietto sul letto.
‘Un paio di giorni, solo un paio di giorni. Ho bisogno della solitudine’
Assapora la parola.
Solitudine.
So-li-tu-di-ne.
La pronuncia a bassa voce, l’assaggia ad occhi chiusi.
Solitudine.
So-li-tu-di-ne.
Certe volte, durante quegli otto anni, ha dovuto nascondercisi dentro, ha sentito il bisogno di rifugiarsi nella parola, so-li-tu-di-ne, e in ciò che stava dietro la parola, pensava l’avrebbe fatto sentire meglio.
Lui c’era abituato, alla solitudine.
Da bambino ci passava insieme i pomeriggi in cameretta; da ragazzo ci leggeva insieme i libri o passavano la serata sul divano a guardare un gran bel film e lui pensava ma cosa posso volere di più? Ma c’è qualcosa che potrebbe mai farmi stare meglio? Io, la solitudine, una pizza e un bel film: di cos’altro ho bisogno?
Dopo aver letto quella lettera cattiva otto anni fa, dopo aver pronunciato l’ultima parola nera in fondo al foglio bianco – perdonami – lui avrebbe voluto ridurre in minuscoli pezzetti ogni parola, ogni centimetro di carta e no, non ti perdono, Prudence, non ti perdono ed ora mi alzo, mi rivesto e, cascassero le stelle dal cielo, vengo a riprenderti!
Invece no.
Invece aveva ripiegato con cura la lettera, se l’era infilata in tasca e si era seduto sul divano a leggere un buon libro.
Aveva pensato va bene così, non importa, non mi importa. Non voglio spiegazioni, non voglio scuse, non voglio niente perché a me di Lei non importa niente.
Tanto ho la solitudine.
So-li-tu-di-ne.
Ma mentre leggeva di Heathcliff e del suo amore martoriato, del suo cuore tradito e inaridito, sentiva le parole di Prudence bruciare nella tasca dei suoi jeans, e si era sentito proprio come Heathcliff, tanto che avrebbe voluto farci due chiacchiere.
Heathcliff, amico mio, siamo nella stessa merda. E mi spiace, mi spiace ma la colpa non è tua, non è mia e forse nemmeno di Catherine o Prudence. La colpa è dell’amore – se esiste – dell’amore e basta.
So-li-tu-di-ne.
Esce svelto dalla camera e si chiude la porta alle spalle, poi ritorna al piano terra, sorride di nuovo al receptionist, e si mischia alle gente di Dublino, alle strade di Dublino, ai prati, al grigio, al sole debole, al vento fresco e al verde, al verde, al verde.
C’è verde dappertutto.
Si blocca improvvisamente davanti alla fermata della metro.
Lui sa dove deve andare, sa dove può andare ma quel posto è un cimitero di ricordi che forse dovrebbe evitare accuratamente.
Ma c’è qualcosa che lo spinge, lo spinge giù per le scale, lo spinge oltre le macchinette e fino a dentro la metropolitana; qualcosa che lo spinge, lo spinge, lo spinge fino alla fermata per Merrion Square, a sud, sud della città; lì dove c’è pieno di verde, lì dove abitò anche Oscar Wilde, buon Dio, quell’uomo sapeva dire sempre la cosa giusta! Vorrebbe chiedergli qualcosa, Oscar, caro Oscar, hai niente da dire su questa situazione di merda? Non ce l’hai un aforisma anche per me?
E lì, lì tra il verde ed Oscar Wilde, c’era – e ci dev’essere ancora – il suo tetto sopra la testa in affitto.
Percorre con facilità tutta la strada, sarebbe capace di arrivare dove deve arrivare anche bendato, si ricorda di quando quel tragitto lo percorreva insieme a Prudence e lei parlava, parlava, parlava di cose grandi, cose astratte, cose inspiegabili e lui voleva starla ad ascoltare perché era così interessato, così affascinato, ma voleva anche baciarla, così, all'improvviso, lasciarla senza parole.
Alza il capo da terra ed eccolo lì, il suo tetto-sopra-la-testa-in-affitto, eccolo lì: l’arancione sui muri non è ancora sbiadito e, anzi, sembra essere stato riverniciato a dovere.
Si avvicina al portone.
Sa che non dovrebbe, sa che sta infrangendo delle regole ma il sole comincia ad essere così debole, il cielo così grigio e la pioggia, è sicuro che la pioggia stia arrivando.
Attraversa la strada e cammina fino al parco lì di fronte, si avvicina ad un grosso vaso di pietra con dentro dei pallidi ciclamini che lui ricorda bene.
 
Luke, ho deciso di tornare a Londra. Dove ti lascio le chiavi di casa?
Nel solito vaso.
Sei sicuro che non le troverà nessuno?
Nessuno cerca chiavi nei vasi, è così scontato che non lo fa nessuno.
 
Affonda le dita nella terra ancora umida di pioggia, scava a fondo, non riesce a trovarle.
Sbuffa e lascia cadere il borsone, infila anche la mano ferita nella terra. Dannazione, non le trova e dannazione quanto brucia!
Sta attento a non far sporcare la ferita e poi prova dall’altro lato del vaso, scava, scava e sente la terra infilarsi sotto le unghie, ma non possono non esserci, nessuno può averle prese, nessuno cerca chiavi nei vasi.
Affonda per bene le dita e sente qualcosa di freddo e duro contro le falangi, allunga la mano sinistra e afferra l’oggetto misterioso.
Ritira la mano ed eccole, le sue chiavi, forse un po’ sporche e malridotte, ma ci sono.
Sorride, ha le mani infangate ma non importa: adesso ha quello che voleva.
Afferra il borsone e ritorna davanti al portone, senza esitazione infila nella serratura la prima chiave, lunga e spessa.
Pack.
Entra titubante nell’atrio che odora di limoni, sale svelto le due rampe di scale ed arriva al secondo piano.
Porta scura a destra.
Adesso c’è, l’esitazione. Adesso ha paura di infilare la seconda chiave, di scoprire se qualcun altro è entrato in quel dannato posto o se è rimasto tutto come prima, se nulla è cambiato e forse c’è ancora il letto mai rifatto, lasciato così com’era; forse c’è ancora la persiana aperta dall’ultima notte in cui ha bevuto un po’ della sua birra preferita e ha guardato i tetti di Dublino pensando Prudence, Prudence, Prudence.
Chiude gli occhi, prende un bel respiro e infila la chiave.
La serratura fa un po’ di resistenza, tiene gli occhi chiusi e gira la chiave con decisione.
Un rumore secco. La porta è aperta.
Sospira, riapre gli occhi ed entra, non ha scelta, è arrivato fino a lì e deve entrare, deve affrontare il passato, i ricordi e il tempo che non lo ha aspettato.
Non c’è più l’odore di pulito che c’era di solito, c’è polvere sparsa sul pavimento e sulle mensole.
Avanza di qualche passo e riecco la piccola cucina con le sedie colorate e scomode, sposta lo sguardo e riecco il salottino con il suo divano bianco e il tappeto pieno di polvere, alza gli occhi verso la persiana ed è aperta, è ancora aperta.
Lascia cadere a terra il borsone e si precipita nel corridoio dietro al salotto, c’è una porta chiusa, ci appoggia contro una guancia e chiude gli occhi, oh se lo ricorda, se lo ricorda com’era prima, se lo ricorda chi era prima.
Gli sembra di essere tornato quel ragazzo e gli scappa un sorriso.
Appoggia la mano sulla maniglia e spinge, e un’altra porta si apre.
Ci sono ancora le finestre sbarrate e la stanza è buia e fredda, riesce comunque a vedere il letto che è esattamente come lo ha lasciato, come lo hanno lasciato.
Si avvicina lentamente, si siede e prende le lenzuola tra le mani sporche di terra e di sangue secco, annusa. Nessun odore.
Non c’è più nessun odore.
Nasconde il viso tra le lenzuola e, non vorrebbe, ma si sente così piccolo e perduto e pieno, pieno di solitudine e piange, non può fare altro che piangere.
Piange, piange, piange e poi, dopo tre giorni senza mangiare e dormire, con le mani sporche, troppi ricordi in testa, una ferita da curare ed un vuoto dentro da riempire, si addormenta su quel letto che ha visto passare otto anni in un buio veloce e indefinito, su quel letto che ha perso il suo odore, il loro odore.
 
 
 


Salve, mia belle ciurma!
Ho fatto ancora un(bel) po' di ritardo ma è un periodaccio e in più non riesco mai ad essere totalmente soddisfatta di ciò che scrivo e quindi spesso, pur avendo capitoli già pronti, non mi regge il cuore di pubblicarli!
Questo è un capitolo di passaggio che spero non vi abbia annoiati troppo, in tal caso perdonatemi! Posso già anticiparvi che nel prossimo capitolo Ben si farà finalmente due chiacchiere con Prudence(a questo punto speriamo che lei non lo mandi di nuovo a quel bel paese!)(ma alla fine non è nemmeno colpa di Prudence ma mia, che sono l'autrice, però vabbé)
Cooomunque, la storia ha cambiato titolo ed è diventata 'Cara Prudence' perché lo trovo molto più adatto, spero di non aver generato confusione!
E niente, siccome il mio disagio ultimamente è stato amplificato dalla visione della seconda stagione di Sherlock(?!?!?!?!) e sto chiaramente comiciando a disagiare improponibilmente(?), forse è meglio se sloggio.
Un grazie come sempre a chi spende un po' del suo tempo per leggermi, grazie davvero!
A presto leggerci,
C.


P.S: Per i lettori che mi sopportano anche fuori dallo splendido fandom di Barny, sappiate che presto pubblicherò una storia a quattro mani su questo account--------> 
http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=794585 che ho il piacere di condividere con la splendida Duvrangrgata Efp.
Hasta luego!

               
 
 
 

 
  
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