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Autore: Ink Voice    26/01/2015    4 recensioni
Erano davvero bei vecchi tempi quelli in cui, pur avendo perso la propria quotidianità e la propria famiglia, si aveva un altro punto di riferimento a cui tornare con il proprio cuore; si era trovata una nuova casa rassicurante che scacciava i pericoli esterni e lasciava che, anche in tempi tanto burrascosi, ci si sentisse al sicuro dentro pareti e stanze che ormai si conoscevano come le proprie tasche.
Ma tutto questo si è dissolto nel nulla, o meglio: è stato demolito. L’Accademia che tanto rassicurava i giovani delle Forze del Bene è ormai un cumulo di macerie a causa dell’ennesima mossa andata a buon fine del Nemico: ora tutti sono chiamati a combattere, in un modo o nell’altro, volenti o nolenti.
Le ferite sono più intime che mai ed Eleonora lo imparerà a sue spese, perdendo le sue certezze e la spensieratezza di un tempo, in cambio di troppe tempeste da affrontare e nessuna sicurezza sul suo avvenire.
[La seconda di tre parti, serie Not the same story. Qualcuno mi ha detto di avvertire: non adatta ai depressi cronici.]
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Manga, Videogioco
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Not the same story'
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XIII
Un barlume di speranza

 

Corsi subito da Bellocchio, tanto precipitsosa ed allarmata che per poco non mi dimenticai di cambiarmi il pigiama.
La Galladite nella mia tasca mi infondeva strane sensazioni. Sicurezza e disponibilità ad aiutare e a sostenere, ma al tempo stesso quella freddezza e inespressività di cui era capace di dimostrarsi Aramis, in particolare quando lottava o giudicava un mio comportamento, soprattutto quando non lo approvava.
Spalancai la porta dell’ufficio di Bellocchio interrompendo la sua discussione con un ragazzo che non conoscevo. -Ci sono… novità?- ansimai, sfiancata dalla corsa non molto lunga ma eccessivamente frettolosa, che a quell’ora della mattina metteva a dura prova la mia pigrizia e scarsa resistenza.
-Oh, eccoti. Aspetta ancora qualche minuto, appena esce lui vieni dentro- rispose Bellocchio. L’espressione sul suo viso esprimeva una certa serenità che su a lui poche volte avevo visto.
Attesi con impazienza ed ansia che il suo ospite se ne andasse. Il fatto che fosse così tranquillo e non freddo stava sicuramente a significare che era successo qualcosa di bello, che c’erano buone notizie. “Hanno scoperto dove sono i miei genitori” pensai “oppure… oppure… qualsiasi altra cosa positiva che li riguarda, come che sono ancora vivi… o li hanno ritrovati a casa, sì…”.
Il rumore della porta che si apriva mi informò che potevo finalmente trovare una conferma alle mie parole o una risposta alle domande. Mi precipitai dentro.
-Allora?- chiesi immediatamente, sedendomi di fronte a Bellocchio.
Bellocchio impiegò qualche momento per rispondere, sistemando alcuni fogli comparsi sulla scrivania mentre parlava con quel ragazzo. -Non mi aspettavo di avere risultati positivi in così poco tempo, sono passati solo  pochi lunghi giorni, vero?- mi chiese poi con un sorriso sghembo. Annuii, immaginando già dove volesse andare a parare e insultandolo per star prendendo tempo senza motivo. Qualsiasi istante per me era diventato estremamente prezioso e poteva cambiare qualsiasi cosa.
-Bene, abbiamo notizie più o meno positive- proseguì.
-Più o meno?- lo interruppi subito inarcando le sopracciglia.
-Non sono uno che gioisce molto spesso e soprattutto subito, dovresti saperlo- ribatté. -E dovresti anche sapere che la situazione è precaria, basterebbe un niente per sconvolgere l’equilibrio che...
-Ok ok, ho capito, vada avanti per favore- lo fermai nuovamente, esasperata.
-... Credo di aver raggiunto- continuò inesorabilmente. -Difatti abbiamo individuato i tuoi genitori. Ma ancora non è detto che riusciamo a liberarli, anche perché non sappiamo ancora come muoverci e abbiamo bisogno di qualche accertamento ulteriore.
Mi costrinsi a non saltare sulla sedia dal sollievo e dalla felicità. Inspirai profondamente, suscitando un po’ d’ilarità, seppur appena accennata, nel caro Bellocchio. -Ehm... Bene!- esclamai sorridendo in maniera fintamente distaccata. -E quando verrò a conoscenza delle informazioni che avete trovato e delle vostre prime intenzioni?
-Anche subito- fece Bellocchio con leggerezza. -Ma prima dobbiamo aspettare la tua amica Angelica.

-Di qua si va per i sotterranei- cinguettò la mia guida. Altri non era che la stessa Angie ovviamente.
Aveva fatto irruzione nell’ufficio di Bellocchio praticamente subito dopo che lui mi aveva detto di aspettarla, senza nemmeno bussare alla porta e saltandomi letteralmente addosso non appena mi aveva individuata. Aveva esclamato: “Li ho trovati, Ele! Devi venire subito assolutamente ti prego ti prego ti-”
Così più o meno si erano svolti i cinque minuti successivi all’arrivo della ragazza, più allegra e ottimista che mai.
-Ma quindi ci sono buone probabilità che...?
-Oh, sono vivi, su questo non c’è alcun dubbio. Adesso dobbiamo solo trovare un modo per infiltrarci e riprenderli- mi interruppe lei, intuendo ciò che stavo per dire.
“Solo?” Pensai ironicamente, ma non me la sentii di ribattere.
Angelica mi portò al corridoio F, nel quale quasi mai avevo avuto l’occasione di entrare, se non per farmi un giretto random. Mai ero arrivata alla fine, verso cui invece la ragazza mi stava conducendo.
Le pareti accanto a noi possedevano sempre quel loro fascino inquieto, che a me trasmetteva una certa sicurezza poiché le associavo a un posto che ormai ero abituata a chiamare casa, ma che sicuramente intimorivano ospiti indesiderati. Le lampadine sul soffitto, che diffondevano una timida luce bianca non molto forte, impedivano che l’unica fonte di chiarore per tutta la base segreta fossero soltanto i bellissimi cristalli colorati incastonati nella roccia. Quelle magiche pietre illuminate di azzurro e rosso, i due colori erano presenti in tutte le loro sfumature, erano collegate a linee che decoravano le lamine d’acciaio sulle pareti, le attraversavano e si incontravano incrociandosi e mescolandosi. Era davvero un bello spettacolo, seppur in parte artificiale. Non che ciò intaccasse la sua bellezza, certo!
Non avevo mai visto un corridoio così lungo nella base, nonostante stessimo camminando da alcuni minuti e piuttosto velocemente. Le porte si susseguivano l’una dopo l'altra, non c’era niente che le distinguesse dalla precedente o dalla successiva. Evitai di chiedere ad Angelica cosa si facesse lì dentro perché mi aspettavo che nemmeno lei sapesse qualcosa a riguardo, e poi non ero molto interessata poiché in quel momento ero concentrata solo su una cosa.
I miei genitori.
Davvero li avevano individuati già con tanta precisione? Credevo di dover aspettare giorni e giorni ancora fino allo sfinimento, invece no. Mi ritenni abbastanza, anzi molto fortunata: c’era chi non sapeva proprio che fine avessero fatto i propri genitori, chi li aveva visti morire davanti ai propri occhi sconvolti dalla disperazione, chi veniva costretto a sottostare ad un ricatto. Io no, avevo i miei genitori ancora vivi che aspettavano solo di essere strappati via dalle grinfie del nemico.
Victory Team. Che nome odioso.
Ripensai alle scenate fatte davanti Bellocchio pochi giorni prima e mi sentii in colpa, uno schifo, mi feci anche abbastanza schifo. Guidata dalla furia delle emozioni, troppo impetuose perché io riuscissi a sostenerle o ad affrontarle razionalmente, avevo ordinato ad Aramis di bloccarlo per i miei comodi. Non che non avessi, in fin dei conti, ragione: ma mi ero comportata troppo male anche per una situazione del genere, lo riconoscevo ora a mente lucida e pronta ad esaminare con attenzione ciò che era successo e avevo fatto.
Sospirai impercettibilmente, Angelica non lo notò. Era già da un po’ che riuscivo a vedere la fine del corridoio e ci avvicinavamo finalmente all’ingresso dei sotterranei. -Angie, di preciso, c’e qualcosa che dovrei sapere prima di entrare o è tutto nella norma?- domandai schiva.
-Che io sappia va tutto bene, perché?- chiese stupita.
Scossi la testa. -Così- dissi semplicemente.
La verità era che stavo diventando - anche se per fortuna non lo ero ancora - orribilmente paranoica e avevo una paura matta ad entrare in qualsiasi stanza, temendo un pericolo in agguato dietro ogni angolo.
Arrivammo quindi alla porta. Angelica aveva allacciato alla cintura dei jeans, oltre a una borsa con le Poké Ball, un mazzo di chiavi abbastanza povero. Ne scelse una tra le tre o quattro che aveva a disposizione e la infilò nella serratura, che si aprì subito… rivelando un’altra porta. Inarcai le sopracciglia: ok la sicurezza, ma una porta che dava su un’altra non l’avevo mai vista, nemmeno nei migliori film di spionaggio.
-Questa si apre solo riconoscendo l’impronta digitale- mi spiegò lei. Uno schermino si trovava in basso al posto della serratura. Lei vi poggiò il dito e dopo pochi istanti un bip gentile ci annunciò che eravamo ammesse nei sotterranei.
Ci accolse una scala a chiocciola che alla sola vista mi fece girare la testa, poiché annebbiata dalle emozioni ero molto più sensibile del solito. In realtà non era troppo lunga - o almeno, mi aspettavo di peggio - e quando me ne resi conto mi sentii piuttosto meglio. Scendemmo, Angelica con molta più disinvoltura e velocità rispetto a me, abituata a fare su e giù per quelle scale tutti i giorni mentre io me ne andavo a spasso per Unima a consegnare lettere e veder bruciare torri.
Arrivammo quindi al pianerottolo che dava su un altro pesante cancello d’acciaio.
-Anche questo nasconde un’altra porta o ne devi aprire solo uno?- chiesi acidamente, stralunata dai troppi portoni che avevo varcato e dalle eccessive rampe di scale. Mi tremavano le gambe a causa di quei tre-quattro minuti buoni passati a scendere nei sotterranei.
-Solo uno- replicò lei tranquilla senza notare la nota ironica che avevo messo nella voce.
-Che aspetto hanno i sotterranei?
-Sono piuttosto labirintici. Non tanto per la struttura in sé, ma per la quantità parecchio consistente di uffici, stanzine e ripostigli, nonché una sala enorme che monitora… molte cose- mi spiegò lei.
-Del tipo?
-Anni fa, molto tempo prima che nascesse il Victory Team e scoppiasse questa specie di guerra, il Pokémon alieno Deoxys si nascose in un meteorite, diciamo così a grandi linee- fece vagamente -e lo comandò. Sai verso dove?
Scossi la testa, senza capire perché mi stesse raccontando quello, e lei riprese: -Verso la regione di Hoenn. Stava per entrare nella nostra atmosfera e non avrebbe incontrato alcun ostacolo: dal centro spaziale di Verdeazzupoli tenevano d’occhio la situazione, interrogandosi su cosa fare e come. Si risolse tutto con l’aiuto di Rayquaza, ma quello che voglio dirti è che il nostro ruolo è simile a quello di chi lavorava al centro spaziale.
-Quindi osservate gli eventi in corso sul pianeta e pensate anche a ciò che potrebbe fare o escogitare il nemico?
-Esatto- confermò lei. -Teniamo d’occhio ciò che sta succedendo nel mondo. Ora più che mai siamo concentrati sulle attività nemiche e facciamo quasi solo quello, anche se un gruppo di persone si dedica ad altro. Non so dirti bene cosa, è top-secret e io mi occupo del nemico e di cose così.
Angelica era diventata particolarmente, stranamente seria mentre parlava. Forse quell’argomento la interessava ed assorbiva talmente tanto che quando ci pensava non riusciva a mostrarsi di buonumore o credeva di non averne motivo. Non sapevo se preferirla così o quand’era più allegra: in quel modo mi riusciva più facile relazionarmi con lei poiché a volte la sua intaccabile gioia era un po’ irritante, ma quando si mostrava felice e sorridente era una vera e propria botta di vitalità e di buonumore nelle situazioni più tristi: riusciva a farti star bene con poche delle sue belle parole.
Intanto la ragazza aveva tirato fuori nuovamente il mazzo di chiavi e aveva aperto il cancello. Borbottando molto rumorosamente quello pian piano si aprì, concedendoci l’onore di entrare nella zona off-limits - o qualcosa del genere - della base segreta.
Appena misi ufficialmente piede sul suolo dei sotterranei decisi che non mi piacevano. Era tutto assolutamente piatto e spento: non c’erano i bei cristalli che illuminavano di luce colorata l’ambiente al “piano di sopra” e la luce bianca delle lampadine era molto più forte di quelle nell’ambiente della base che conoscevo. Erano talmente forti che mi parvero quelle che gli investigatori utilizzano per gli interrogatori, che ti confondono e mettono angoscia.
Era proprio così che mi sentivo mentre camminavo lentamente con Angelica, dirette verso chissà dove. Ero davvero in soggezione, rabbrividivo dal freddo - la temperatura, nonostante fosse estate, era bassa - e mi guardavo attorno sentendomi osservata costantemente. Capii la ragione alla vista di telecamere che ci seguivano, concentrate su di noi che in quel momento eravamo l’unica “cosa” in movimento.
Un’altra sensazione sgradevole che quel posto mi trasmetteva era la grande somiglianza con la cella in cui ero stata rinchiusa quando i Victory mi avevano fatto la bella sorpresa di rapirmi insieme a Chiara, Camille e Gold. Le pareti di roccia rivestite in acciaio scuro, il pavimento fatto dello stesso materiale che amplificava il ticchiettio dei nostri passi e produceva un’eco inquietante, quel suono fastidioso ci seguiva ovunque andassimo. L’aria viziata là dentro subito mi fece venire un forte mal di testa.
Feci l’ennesima domanda alla mia compagna: -Ma non ti dà fastidio stare tutto il tempo qua dentro?
-In che senso?- replicò sorpresa.
-Be’- storsi il naso all’idea di star respirando più anidride carbonica che ossigeno -qua praticamente non circola aria. Ci sono i condotti, sì, e d’altronde al piano superiore non stiamo messi molto meglio… però io non sopporterei dover stare qua dentro per la maggior parte del mio tempo. Mi verrebbe voglia di uscire.
“E di vedere un po’ di luce del sole” pensai osservando il pallore sgradevolmente ingiallito della pelle di Angelica e poi quello di un isolato passante, che salutammo a bassa voce. La figurina scarna di lei era una sofferenza a vedersi, non avrei mai voluto essere al posto suo viste quelle condizioni.
Angelica sospirò e cambiò espressione: avevo toccato un tasto dolente. -Hai ragione. È una vita che non mi faccio una passeggiata e qua dentro c’è anche chi sta messo peggio di me. So che ti faccio una brutta impressione…
-No, Angie!- la frenai subito, mortificata. -Non volevo assolutamente dir…
-Ma lo so che non volevi offendermi né dire niente del genere… però non posso mentire a riguardo: noto le occhiate storte che molti del “piano di sopra” lanciano a noi. Ci trattano un po’ come debolucci che non sono buoni a lottare né a difendersi o peggio ancora come topi di biblioteca. Forse hanno ragione, anzi, sicuramente… ma non possiamo fare proprio altrimenti. Il nostro lavoro è qui ed è davvero importante, anche se quasi nessuno se ne rende conto. Quindi non possiamo proprio andare per cavoli nostri e ignorare gli ordini. Siamo noi a diffondere le notizie, noi a passare le notti in bianco per seguire movimenti sospetti… ma tanto non mi aspetto più niente.
Si fermò un attimo mentre io cercavo invano la forza per ribattere, qualche parola per tirarla su di morale. -Ma ormai comunque ci ho fatto l’abitudine. Anzi, ci abbiamo fatto tutti l’abitudine. Non ci sono molte persone come te, Ele. La maggior parte di voi reclute sono degli snob senza fine e se la tirano solo perché hanno Pokémon particolarmente forti e ben allenati. Sono sicura che tu non sia mai stata arrogante nei nostri confronti, vista la tua gentilezza con me…
Arrossii. In effetti non mi era mai passata per l’anticamera del cervello l’idea di sentirmi superiore agli altri, ma a dirla tutta non mi ero mai nemmeno particolarmente interessata ad Angelica e non ricordavo alcun episodio in cui mi dimostravo tanto disponibile. Non aspettandomi un simile complimento riuscii a balbettare solo un imbarazzato: -Ti ringrazio molto, Angie…
Lei fece spallucce. -Immagino che nemmeno per te sia facile gestire le missioni e la tua squadra.
-Bah, sono mesi che la cosa più animata che faccio è ronfare più forte del normale quando dormo- borbottai. -Mi manca molto uscire e provare quei brividi di ansia e impazienza quando la situazione si fa estremamente delicata… e mi mancano anche la paura e l’adrenalina. Il prezzo da pagare però è davvero alto, basti pensare alla fine che ha fatto Iris e ai rischi che corro ogni volta che metto piede fuori la base segreta… o a ciò che hanno fatto ai miei genitori.- Appena lo dissi strinsi i pungi istintivamente.
Angelica all’improvviso mi prese una mano e me la strinse senza forza. Quasi sussultai per quel contatto, mi pareva di non averne uno del genere da secoli. -Non avere paura, va tutto bene- disse dolcemente, sorridendo. -Te lo garantisco.
-S… sì. Grazie- balbettai ancora tutta rossa in viso. Lei ridacchiò.
Nemmeno mi accorsi che intanto eravamo arrivate. Angie, sorridendo pensierosa, digitò l’ennesimo codice sull’ennesimo schermino della giornata, che per l’ennesima volta accettò la nostra - ennesima - richiesta di entrata.
La porta si aprì su un enorme stanzone, di dimensioni seriamente spropositate. La sala era evidentemente contenuta in quel blocco di ferro abbracciato dai principali corridoi dei sotterranei. La sistemazione e l’aspetto di essa era molto simile a una stanza del Centro Spaziale di Verdeazzupoli: file e file di scrivanie scendevano verso il fondo seguendo l’andatura di una scala che finiva in uno spiazzetto, una specie di pianerottolo. Esso dava su dei grandi schermi, alcuni che elaboravano formule a me assolutamente incromprensibili, altri che caricavano qualcosa oppure che mostravano delle immagini provenienti da svariati posti imprecisati nel mondo. La maggior parte delle postazioni alle scrivanie erano davvero disordinate, con torri di cartelle e fogli che per poco non finivano sopra i computer. I monitor erano accesi, tutti, senza alcuna eccezione. Una dozzina di persone si aggirava per quell’antro tecnologico.
Rimasi ovviamente a bocca aperta, sconvolta da un tale ammasso di tecnologia e matematica allo stato puro. Era un’atmosfera angusta e nella penombra come il resto dei sotterranei, ma la mia reazione non fu di fastidio come era stata fino ad allora. Piuttosto ne fui basita e anche un po’ ammirata: al posto di chiunque altro là dentro io mi sarei certamente persa, anche solo per capire quale fosse il mio posto.
-Questo però è forte, vero?- ammiccò Angelica, prendendomi per il polso e trascinandomi letteralmente giù per le scale. Guardavo ovunque meno che dove stavo camminando, perciò più volte rischiai di inciampare nei miei stessi piedi.
-Io… è… oddio- balbettai sentendomi piccola piccola, annichilendo al cospetto del severo sguardo dei megaschermi. -E tu lavori qua dentro?
-Più o meno, ma non è che stia sempre qua. Giro abbastanza spesso per i sotterranei e anche per il piano di sopra…
-Tu sei Eleonora?
Una voce maschile mi chiamò. Mi girai più volte e finalmente individuai un sorridente vecchietto che mi porgeva la mano. -Sì- mormorai dandogli la mia -sono io, piacere.
-Non lo si può dire a una persona che non si conosce, non si può sapere se sarà un piacere! Ahahah!- rise il signore, mostrando una dentatura poco invidiabile e nemmeno completa, palesemente ingiallita e rovinata da anni e anni di fumo accanito. -Io sono uno dei direttori di questo posticino. Sono il dottor Wilson, e be’, a questo punto non mi resta che sperare che sia un piacere davvero!
L’anziano, smilzo e ricurvo su sé stesso, continuava a ridere di cuore alitando in faccia a me e ad Angelica tutto il suo fetore di fumo. Parlava con un fortissimo accento proveniente da Unima, meno forte di quello già riconoscibile di Anemone che invece era praticamente assente nel parlare di Enigma.
Cercando di resistere, gli mollai la mano e provai a ridere, ma dal mio tentativo ne uscì fuori un grugnito schifato dal puzzo di sigaro, che sperai di tutto cuore non si riconoscesse. -Ehm… sì… allora cosa…?
-I tuoi genitori…- si fece improvvisamente serio -Sono sicuro che stiano bene, ne abbiamo le prove. Perciò nessuno ti vieta di sperare, ma…
“Ovvio, il ma ci deve essere sempre comunque e dovunque…”
-Abbiamo ovviamente bisogno di ulteriori accertamenti e conferme. Credo tu possa immaginare comunque che, se e quando sarà ora di andarli a recuperare, tu non potrai partire- proseguì.
Io per tutta risposta esclamai: -Cosa?!-, sgranando gli occhi sconcertata.
-Ele, hai presente i medici che hanno in famiglia qualche parente malato?- cercò di spiegarmi Angelica. -La situazione è simile. Loro non possono curare i propri familiari perché le emozioni giocano brutti scherzi e se andasse male si può immaginare come andrebbe a finire. Tu come ti sentiresti se non riuscissi a liberare i tuoi?- Non risposi e lei poté continuare: -Diciamo abbastanza male da sentirti perseguitata in eterno. Ora, tu come chiunque altro ci servi sana di mente e al meglio delle tue prestazioni. Le situazioni personali non dovrebbero intaccare il tuo lavoro.
Pensai un’altra volta all’accesa discussione con Bellocchio. Lui in fin dei conti aveva accettato il mio comportamento, seppur esagerato e mosso dalle emozioni. Però ciò che avevo fatto rimaneva una cosa assolutamente inaccettabile: me ne resi conto e puntualmente mi sentii in colpa. -Ho capito- mi sottomisi mio malgrado, -va bene. Cosa devo sapere?
-Che i tuoi genitori sono prigionieri qua a Sinnoh in una base segreta minore. Purtroppo, però, ora che sono lì la sorveglianza è stata aumentata e ci riuscirà difficile liberarli. Non impossibile, ma molto molto difficile. Capisci?
-Sì, capisco benissimo.
-Per coprire l’assenza dei tuoi genitori abbiamo inscenato una vacanza, l’abbiamo fatto un po’ a sorpresa. ecco. In ogni caso Bianca sta controllando e gestendo la situazione come può, sta facendo un ottimo lavoro dal basso delle sue poche possibilità.
Quante volte avrei dovuto ringraziare la Capopalestra per i suoi aiuti? Troppe. E non riuscivo mai a trovare le giuste occasioni per dimostrarmi riconoscente come dovevo e come ero.
-Quindi- riprese Wilson -la situazione ti è chiara e la cara Angie provvederà per tenerti informata sui fatti salienti. Tu non cacciarti nei guai e non provare a lanciarti in un’impresa suicida per liberare i tuoi genitori, perché non ce la faresti mai e l’unico risultato sarebbe rimetterci la tua vita e quella dei tuoi. Ok?
Annuii. Non mi sembravano grosse novità, mi aspettavo qualcosa di più. Ma forse in una situazione del genere quel poco doveva bastare e avanzarmi pure.
-Ele…- mi chiamò Angelica timidamente, a voce bassa. Mi voltai verso di lei, interrogativa. -Per caso vuoi vedere il posto in cui sono rinchiusi?
Ci pensai su, presto preda dell’indecisione. Trascorsero eterni momenti prima che le potessi rispondere: -Credo di no. Non me la sento e forse starei anche peggio.
-Saggia scelta!- rise ancora Wilson, tirandomi una manata che evidentemente voleva essere amichevole sulla spalla. Sobbalzai emettendo una specie di guaito sorpreso, che fece arrossire Angie e ridere ancor più sguaiatamente il vecchio professore. Imprecai mentalmente desiderando di lasciare la sua sgradita presenza.
-Allora siamo d’accordo- balbettò Angelica che voleva riportare un po’ d’ordine. Poi pronunciò le parole che stavo aspettando di sentire da minuti interi: -Possiamo andare?
-Certo, certissimo! Spero di rivederti presto, Eleonora, perché in quell’occasione arriveranno buone notizie!- ci salutò energicamente l’arzillo vecchietto, saltellando via come un personaggio dei cartoni animati.
Sbuffai trattenendomi dall’urlare al mondo l’alleluia. -E tu riesci a sopravvivere con un capo del genere?- chiesi alla mia compagna. Eravamo entrambe mezze sconvolte.
-Più o meno…- mormorò lei. -Quel tizio è lunatico come non so cosa. Hai visto? Passa dal serio e professionale al più stupido e immotivato divertimento! Per non parlare della puzza di fumo: capisci che si sta avvicinando a te quando sta a metri di distanza solo per quel dannato odore. Rende l’aria irrespirabile.
-Più di quanto non sia già così?- ribattei inarcando le sopracciglia.
Angie sospirò con aria rassegnata. -Già.
-Ehi, ehi, ehi! Aspettate!
Wilson tornò sui suoi passi e ci corse incontro, inciampando impacciato per le scale.
“Oh no, ancora lui…” Mi diedi una pacca sulla fronte e poi trasformai il gesto di stizza in un modo per ravviarmi i capelli. Poi rivolta a lui feci: -Sì?
-Bellocchio mentre stavate arrivando mi ha dato un messaggio per te, Eleonora. Ha detto di allenarti un po’ mentre noi lavoriamo per andare a recuperare i tuoi genitori, perché potrebbe chiamarti presto per una missione.






Angolo ottuso di un'autrice ottusa
Ehi, chi si vede! Sono tornata su Not the same story! Non mi aspettavate neh?
Avrei dovuto pubblicare due volte come al solito questo mese, ma purtroppo mi sono ritrovata nel bel mezzo di un blocco. Senza ispirazione né voglia né niente, ho abbandonato NTSS a sé stessa come se potesse scriversi da sola... bah, magari però tornava l'ispirazione nel frattempo.
L'importante è che io sia qui (?)!
Piccola novità: siamo all’incirca a metà storia. Contando sia l’extra che il prologo, la metà ufficiale sarà il prossimo capitolo. Spero di riuscire a completare la storia entro quest'estate, per riscrivere durante le vacanze la prima parte e poi partire in autunno con la terza e ultima parte.
E udite udite! L’ultima pagina di questo capitolo è la 99esima del file della seconda parte, yayyy ahahaha, chissà che non arrivi a 200 pagine per la fine! XD
Bene, penso di aver detto tutto.
Ah no! Vi avviso come al solito di tener d'occhio le uscite del Soulwriters Team: io personalmente ho in corso sia la long maggiore H.O.P.E. che il Giornalino Arcobaleno con la mia carisssssssima Aura. Intorno al 15 febbraio invece ci vediamo come al solito su Minaccia dallo Spazio.
Poi vari ed eventuali, pian piano sto anche riprendendo a recensire.
Detto ciò fatemi sapere se il capitolo vi è piaciuto, a presto!
  
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