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Autore: Dragneel_Natsu    28/01/2015    1 recensioni
Una storia ambientata in un mondo completamente fantastico in cui nevica in continuazione. I due protagonisti, Frebi e Ful, si troveranno stranamente assieme a vivere una breve ma significativa avventura che cambierà le loro vite.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti cari lettori (?)
ecco qui il nuovo capitolo, come avevo promesso, dopo una settimana. Spero possa piacere ed essere apprezzato, e ricordo che le critiche ed i suggerimenti sono sempre ben accetti, questa è la mia prima storia (che faccio leggere) e la voglia di migliorare è tanta. Grazie per l'attenzione e un grazie a tutti quelli che si soffermano a leggere, buona lettura ^^.


COME LA NEVE CHE CADE DAL CIELO
cap 3 la morte cala la sua falce
Mi svegliai al fianco di Heyma leggermente disorientato, facendo poco a poco mente locale. Ieri andai avanti a disperarmi per ore, e lei mi stesse vicino tutto il tempo. Alla fine decise di farmi dormire con lei, preoccupata che rischiassi di avere un'altra crisi durante la notte se fossi rimasto solo. Avrebbero dovuto eleggere santa quella donna data tutta la pazienza che mostrava nei miei confronti.
Mi alzai dal letto, dopo aver intravisto che morfeo non aveva ancora smesso di cullarla tra le sue braccia, e mi avviai verso le mie stanze (nota: Heyme e Ful vivono assieme). Era davvero tardi e tra poco avremmo entrambi dovuto iniziare il nostro turno. Mi vestii MOLTO pesante, come mio solito. Non riuscivo proprio a capire come quelli del posto potessero andare in giro con i loro abiti leggeri senza morire ibernati. 
Tornai da Heyma silenziosamente per poi tuffarmi rumorosamente sul letto.
Niente, non si era svegliata. Strano, in genere il sonno le si rompeva facilmente.
Dev'essere stata molto in pensiero per me e quindi sveglia tutta la notte.
Mi avvicinai a lei sussurrandole. Ancora niente.
La scossi leggermente. Nessuna reazione. 
La mossi ancora chiamandola dolcemente. Non fece una piega.
Iniziai a scuoterla forte chiamandola, dapprima tranquillo, poi gridando disperato.
La sua gelida e beata espressione, unica quando dorme, non mutò.
Un atroce dubbio mi assalse. Le toccai il collo con due dita... non sentii niente.
Niente aria, niente *tum tum*.
Il terrore si fece padrone di me. 
La presi per le spalle iniziando a percuoterla forte, gridando come un pazzo.
"Heyme! Heyme! Svegliati ti prego! Heyme... Madre! Ti prego rispondi" Nessun cambiamento.
I suoi vestiti iniziarono ad intingersi dei colori delle mie lacrime.
"Mamma... ti prego... Non puoi morire... Tu..." singhiozzai forte "... mi avevi promesso che mi avresti aiutato a cercare casa! A scoprire chi fossero i miei genitori! Beh... NON ME NE IMPORTA PIU'! Sei tu la mia unica e sola madre! RISPONDIMI! Tu non puoi morire! Ti ho chiamato madre... ti prego..." 
E queste mie ultime parole furono solo flebili sussurri, uno straziante gemito che segnò la chiusa del sipario su questo mio deprimente monologo: "N-non l-lasciarmi s-solo"

Corsi fuori da li, non so diretto dove, ma volevo allontanarmi il più possibile.
Non era vero! Non poteva essere vero! Era solo un incubo schifoso, uno scempio della realtà!
Mi lanciai in su per le strade innevate a perdifiato, senza preoccuparmi della neve che mi bagnava, senza preoccuparmi di poter cadere. E così accadde. 
La mia espressione fu deformata dal dolore. Dolore che si aggiunse ad altro dolore. Con un occhio mezzo aperto intravidi l'ospeale.
Quindi era in questo inferno che mi avevano portato i miei disperati passi?
Mi rialziai a fatica per poi dirigermi verso l'imponente struttura.
Entrai in modo tutt'altro che silenzioso, col mio "meraviglioso" attuale aspetto, attirando l'attenzione di tutti.
Mi guardarono tra lo stranito ed il preoccupato. Un mio collega, del quale non mi preoccupai di riconoscere l'identità, mi si avvicinò, chiedendomi: "Dov'è Heyme? In genere è sempre con te" 
Chinai la testa iniziando a tremare, stringendo poi i pugni in preda a... rabbia?
Mi misi a gridare, povere urla disperate di chi ha perso il controllo: "Oggi non verrà! Non verrà mai più! E nemmeno io! Non vi voglio più vedere e non voglio più mettere piede in questo flegetonte! (nota: Ful utilizza alcune espressioni tratte dall'opera della divina commedia di Dante, in genere associate alle punizioni dei vari gironi dell'inferno. Tolomea era l'inferno di ghiaccio, non che un esempio di questo. Mentre il flegetonte era un fiome di sangue bollente nel quale stavano immersi i dannati colpevoli di violenza)"
Una voce indefinita, di qualcuno, non so nemmeno dire se vicino o lontano: "Non ti avrebbe mai lasciato solo... Ed hai detto che non verrà più... E' morta?"
Furia. Solo pura rabbia.
"Sta ZITTO! NON PARLATE MOSTRI!" e di nuovo corsi, non so dove, ma corsi fuori di li, ignorando tutte le voce che sentivo. Avevo bisogno di correre. Dovevo scappare. Avevo bisogno di dimenticare.
Perché quest'incubo non voleva finire? Perché nonostante passassero anni non riscivo a svegliarmi? Volevo andare via di li, abbandonare tutto. Odiavo quel posto di sola neve. Dov'è casa mia?

Caddi. Caddi e ricaddi. Ed ogni volta la forza di rialzarmi veniva sempre meno. Ma, ad un certo punto, giunsi in un terreno senza neve.
Cessò il freddo che avvolgeva le mie gambe fino a poco prima sepolte nella neve. Scomparve il bagnato per lasciar posto all'asciutto...
Era quindi questo il mio tanto bramato paradiso?



Mi scuso ancora per la lunghezza del capitolo, non l'ho scritto ora e la storia era stata pensata come una flash fic >.<
Settimana prossima, o forse anche prima, pubblicherò il prossimo, grazie mille a tutti ^^
  
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